Folgen
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La mia carriera da calciatore senza talento è durata 10 anni, cioè dal momento in cui sognavo di diventare, come tutti i bambini della mia generazione, il nuovo Maradona alla mia consapevole e inevitabile resa.
Era il 1987... -
A breve dovrò cambiare di nuovo e per l’ennesima volta casa. Ho letto che il trasloco è la terza fonte di stress assoluto dopo il lutto e la separazione. Questo se ti capita in condizioni di normalità. Ma metti che lo devi affrontare in un periodo come quello che stiamo vivendo fatto di chiusure, di apatia e di mancata libertà, è facile che dalla posizione più bassa del podio scali velocemente al primo posto di questa disagevole classifica. E allora perché io che devo fare quest’altro trasloco tra meno di un mese mi sento come se non mi potesse capitare niente di meglio?
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Fehlende Folgen?
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Quando vedo qualcuno in difficoltà, la prima cosa che faccio è provare a nascondermi.
Nello specifico evito le persone, anche quelle a cui sono affezionato, che soffrono per amore. Non è cattiveria la mia, anzi. Ci sono passato e so di cosa hanno bisogno le persone che soffrono per amore. E vi assicuro: non sono io. -
Perché tutti quelli che hanno realizzato i loro sogni ci dicono che possiamo realizzare i nostri ma non ci dicono mai come si fa? Io ho deciso di essere un comico e ho cominciato a vivere il mio sogno solo quando ho capito che prima dovevo passare da un incubo: fare il mio spettacolo peggiore per un pubblico ostile.
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Nella vita l’importante è rimanere se stessi. Questo mi hanno sempre detto. Ma poi mi hanno sempre aggiunto che per riuscire - per farcela veramente - bisogna sempre
migliorarsi, imparare dagli altri, “uscire dalla propria comfort zone”. Questa cosa mi ha sempre creato un po’ di confusione: devo rimanere me stesso o devo cambiare?
Quanto posso migliorarmi pur rimanendo me stesso? Ma soprattutto: com’è che tutti quanti entrano ed escono dalla loro Comfort Zone come se avessero il
Telepass mentre io non la trovo nemmeno con Google Maps? -
La prima volta che ho detto "ti amo" avevo 14 anni e non l'ho detto a una persona: l'ho detto a un paio di scarpe. Veramente. Mi è uscito istintivamente quel "Ti amo" a un paio di scarpe come tante, lo ammetto, ma comunque uniche per me. Scusate, ma voi non l'avete mai avuto un capo d'abbigliamento che vi faceva sentire molto più sicuri di voi, vi teneva al caldo e all’asciutto seguendovi ovunque con discrezione e soprattutto senza mai chiedere niente in cambio? Io sì. Me le ricordo ancora quelle scarpe... Erano bruttissime. E io lo amavo follemente.
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Questo podcast esce il lunedì, ho una settimana intera per pensarci... allora posso sapere perché mi devo ridurre sempre all’ultimo momento per scriverlo, registrarlo e pubblicarlo, accumulando in pochi giorni una quantità d’ansia tale che potrebbe essere diluita per una vita intera?!
La mia è una domanda retorica perché la risposta la conosco, se la volete sapere pure voi, ascoltatevelo tutto questo episodio del podcast. -
Avete mai l'impressione di vivere la vita di qualcun altro? Precisamente quella di un divo di Hollywood. Non è difficile anche perché se ci fate caso tutte le storie di queste star iniziano sempre così: "Da giovane vivevo in un paesino del Kentucky. Ero povero, ho fatto tanti lavori differenti per mantenermi ma mi sentivo represso e frustrato. E anche con le ragazze non andava meglio. Poi però un giorno è arrivata la mia grande occasione e tutto è cambiato...". Ecco a parte il paesino del Kentucky e la grande occasione, quello represso e frustrato sono io.
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Sono napoletano e mi piace ricordarlo sempre, perfino alimentando degli stereotipi: faccio benissimo la pizza, tifo ovviamente Napoli, ho il sole nel cuore 24 ore su 24 e conosco i film di Troisi a memoria. E fin qui tutto bene, solo che... non sono scaramantico. L'ho detto. Non sono scaramantico, ho un approccio col destino chirurgico e scandinavo e se mi attraversa la strada un gatto nero non faccio una piega, anzi... lo seguo.
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In una scala di coraggio che va da zero a dieci, dove in fondo trovi quello che si spaventa della sua stessa ombra e in cima c’è Bruce Willis in Armageddon che salva la terra sacrificando la sua stessa vita, io mi trovo nella parte bassa della classifica, stabilmente in zona retrocessione. Ecco, diciamo che mi trovo al cosiddetto livello...
Cacasotto. -
"Come stai?" È una domanda semplice, utile per rompere il ghiaccio, che ti mostra interessato a chi ti sta di fronte e che, automaticamente, ti definisce come “persona educata”. Ma io non mi fido. Chi mi fa questa domanda in realtà vuole chiedermi una cortesia o mi vuole confidare un segreto o -peggio ancora- si vuole vantare con me di un suo successo personale. Secondo me, quando ti chiedono “Come stai?” l’unica cosa che non vogliono sapere è... “Come stai”.
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Essere il 2021 è complicato. Dopo un 2020 così difficile, dall'anno nuovo tutti si aspettano molto. Forse anche troppo. Io so solo una cosa: non vorrei mai essere il 2021.
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Il 31 dicembre non farò niente e non perché me l'ha imposto questo 2020, ma perché ho finalmente attraversato tutte e 3 le fasi di “elaborazione del Capodanno”. Come quelle del lutto, ma meno tristi. In fondo... è sempre Capodanno.
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C'era una cosa che da bambino m'impediva di godermi il Natale, mi metteva una pressione addosso, un'ansia da prestazione esagerata... come quella che potrebbe provare un artificiere che deve disinnescare una bomba pronta ad esplodere. La mia bomba era la poesia di Natale.
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Perché non ho mai la risposta pronta? Se vengo rimproverato o provocato perché -lì per lì- non so mai cosa dire? La risposta giusta da dare mi viene dopo. Quando ormai è troppo tardi. Forse.