エピソード

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7722

    FUSARO, IL TURBO-MARXISTA CHE INCANTA I CATTOLICI di Stefano Fontana
    Il filosofo Diego Fusaro è marxista, anche se di un certo tipo, ed è piuttosto ascoltato tra i cattolici, soprattutto quelli di un certo tipo, che ambiscono alla sua presenza in occasione di presentazioni di libri o di convegni e vedono molte convergenze tra la sua analisi della situazione attuale del mondo e della Chiesa e la visione cattolica. Verrebbe da pensare ad una nuova fase del dialogo tra marxismo e cristianesimo. Negli anni Settanta del secolo scorso questo dialogo tendeva a far convergere i cristiani su posizioni rivoluzionarie, adesso si pensa che sia il neo-marxismo alla Fusaro a convergere verso posizioni cattoliche conservatrici.
    Fusaro scrive molto ed è anche molto presente nel web e in tv. I suoi interventi vogliono rovesciare le canoniche posizioni della sinistra borghese progressista. Per esempio egli è critico del Sessantotto ("liberazione non dal capitale ma del capitale"); sembra tenere molto alle identità nazionali e rimprovera la sinistra di demonizzare il nazionalismo chiamandolo fascismo; recupera, anche se a suo modo, il concetto di "patria" che invece è inviso al cosmopolitismo della sinistra; si ritiene populista mentre questo termine viene demonizzato dal neosocialismo liberale; parla della comunità come luogo delle "radici etiche" e accusa la sinistra di pensare più agli omosessuali che agli operai; denuncia il nuovo globalismo finanziario delle élites internazionali, è contrario alla cancel culture, al reddito minimo garantito, all'abbandono dei simboli del crocefisso e del presepe e vuole che si torni al concetto di verità... Capita così che molti cattolici che non siano "cattolici democratici", apprezzino e condividano queste sue novità, perfino (o forse soprattutto) quando egli critica la linea di Papa Francesco, valutandola come obbediente alle logiche dei Soros e degli Schwab. Le sue invettive contro il "turbocapitalismo", che elimina le identità e che genera una classe di sconfitti (il "popolo degli abissi") e una di dominanti "demofobi", ossia che odiano il popolo come scrive nel libro Demofobia, sono considerate conformi ad un certo cattolicesimo comunitarista e solidarista.
    Questo risulta ad una lettura di superfice, ma invero le cose non stanno così.
    FIGLIO DEL NEMICO CHE VUOLE COMBATTERE
    La principale contraddizione che si può riscontrare in Fusaro è che egli rimane all'interno della prospettiva di pensiero che intende contrastare. La cosa è evidente anche dal semplice esame dei suoi autori di riferimento. Le citazioni spaziano su un numero infinito di pensatori moderni, ma non c'è dubbio che i maestri di Fusaro siano Hegel, Marx e Gramsci. Soprattutto quest'ultimo al punto che Fusaro si propone come il nuovo Gramsci. Ora, la prospettiva degli autori di riferimento di Fusaro deriva dal modernismo filosofico, ma a quella stessa eredità di pensiero fanno riferimento anche i fenomeni che egli contesta - dal turbocapitalismo all'"open space della società liquida cosmopolitica", come egli scrive. Per questo motivo è lecito sostenere che egli si contraddica e, soprattutto, che non dia vita ad una vera alternativa.
    A questo proposito, esaminiamo la proposta di Fusaro nella sintetica formulazione datane da lui stesso: "populismo integrale socialista e democratico". L'espressione contiene i tre concetti di popolo, di socialismo e di democrazia che Fusaro accoglie e ripropone nei significati dati loro dalla modernità successiva alla Rivoluzione francese e che quindi contraddicono il significato che la dottrina politica cattolica assegna loro. Il popolo, per lui, è quanto "sta sotto" (ceti medi e classi lavoratrici), in contrapposizione a quanto sta "sopra" (le élite), sicché l'appartenenza al popolo è un dato sociologico e "di classe". Infatti, egli contrappone l'"oligarchismo liberista" e il "populismo socialista". Il popolo di Fusaro manca di due elementi che gli sono invece essenziali per la visione cattolica: avere una base naturale, ossia essere l'insieme di una serie di società naturali e non solo sociologiche, prima di tutto la famiglia, ed essere unito dai fini naturali e, soprattutto, dal fine ultimo. Anche il concetto di "lotta di classe", che Fusaro ripropone nella nuova versione della guerra tra élite e popolo, è estraneo al pensiero sociale cattolico, dato che il bene comune suppone la concordia e non la lotta.
    Il socialismo e la democrazia radicale vengono poi congiunti tra loro perché questo "popolo degli abissi", secondo Fusaro, deve essere aiutato da un "moderno principe" (ecco che torna prepotente Gramsci) ad esprimere una "volontà collettiva" affinché le diverse domande sociali presenti nel popolo si trasformino in soggettività politica. Le forze eterogenee presenti nel popolo vanno aiutate a transitare verso il "blocco egemonico e storico". Questo darebbe luogo ad una democrazia che Fusaro chiama "radicale" o "compiuta" e che fa tutt'uno con lo Stato sovrano, in modo che populismo e sovranismo coinciderebbero. Come esempi di questo processo, Fusaro indica il movimento 5 Stelle e lo spagnolo Podemos. Mai degli esempi hanno potuto essere così negativamente eloquenti.
    Egli prefigura quindi un popolo culturalmente egemonizzato da un nuovo socialismo, plasmato culturalmente e guidato da un nuovo "moderno principe" che fa capo ad uno Stato sovrano: tutti concetti, compreso questo di "sovranità", assolutamente alieni dalla dottrina sociale della Chiesa e figli, o nipoti, delle categorie politiche moderne. Del "turbocapitalismo" egli non riesce a spiegare le origini: se lo facesse le troverebbe nello stesso ceppo di pensiero a cui lui stesso attinge.
    LA FINE DEL CRISTIANESIMO?
    Tornando alle numerosissime citazioni con cui Fusaro apre ogni capitoletto dei suoi libri, si nota che tutte finiscono per sostenere le sue tesi, anche se ad esprimerle sono autori molto lontani tra loro. Il capitolo del libro La fine del cristianesimo dal titolo "Senza Dio, il nuovo spirito del capitalismo", è introdotto da una frase di Marx ed Engels, come se costoro non avessero contribuito ad un mondo senza Dio ma, al contrario, ne avessero messo in guardia. Quello di Fusaro è una specie di melting-pot delle citazioni, un sincretismo dei riferimenti che si traduce in un accostamento spericolato delle varie filosofie. Secondo lui il "fanatismo economico" del turbocapistalismo si oppone al "comunismo realizzato", all'"etica borghese", alla "lotta di classe planetaria", agli "Stati sovrani nazionali" e... alla "prospettiva religiosa", facendo così di ogni erba un fascio, dato che anche il comunismo realizzato o lo Stato moderno assoluto si oppongono alla prospettiva religiosa. Questo modo di procedere è particolarmente evidente quando Fusaro tratta del cristianesimo nel libro già citato. Alcuni esempi possono essere eloquenti.
    Dopo aver criticato l'"assalto al cielo" del neocapitalismo che ha ridotto gli uomini ad "atomi disumanizzati", Fusaro affida ad Hegel il compito di spiegare questo fenomeno e di fornire la risposta. Ad Hegel, che è il principale responsabile della riduzione della religione a mondo. Come alternativa all'appiattimento della realtà sull'esistente e all'uomo "resiliente", ossia che si adatta (come da lui illustrato nel libro Odio la resilienza), egli parla di Thomas Müntzer e del millenarismo protestante, di Ernst Bloch e della "corrente calda" del marxismo, e di Gioacchino da Fiore, tutti autori che però hanno storicizzato la trascendenza e, quindi, che hanno contribuito a produrre quell'"attacco al cielo" che Fusaro lamenta. Se ne lamenta da marxista e quindi fa questi errori.
    Prendendosela con le "logiche adattive" dello spirito di resilienza, Fusaro fa rientrare in questa categoria sia l'empirismo di Locke che il realismo di San Tommaso con la sua visione della verità come adaequatio rispetto alla realtà. Di fatto li appiattisce l'uno sull'altro, mentre stanno ad una distanza siderale. Sono riferimenti confusi che impediscono di distinguere nelle direttive culturali del pensiero moderno il vero e il falso. I pochi autori cristiani citati - manca completamente San Tommaso - finiscono nel tritatutto del fusaro-sincretismo.
    Nel libro sulla fine del cristianesimo, Fusaro parla molto di Benedetto XVI e di Francesco. Celebra il primo, che avrebbe mantenuto l'alternativa al mondo, e critica il secondo, con il quale la Chiesa sarebbe diventata subalterna al mondo, il cristianesimo si sarebbe auto-neutralizzato, la neo-chiesa sarebbe diventata una succursale del nuovo ordine mondiale, e con il millenarismo green avrebbe obbedito alle istituzioni mondialiste, trasformando i credenti in consumatori. L'attuale situazione "scismatica" è considerata conseguenza di questo "bivio". Da qui il nuovo auspicio: "Il cristianesimo può tornare ad essere rivoluzionario, come lo fu in origine, se saprà organizzarsi come corrente calda di opposizione alla civiltà del nulla, riaffermando la civiltà dell'uomo come imago Dei e della comunità solidale come unità delle creature, nonché l'esigenza di un'attuazione in terra del regno dei cieli". Belle parole, che Fusaro, con un gioco di prestigio, fa risalire - poteva non essere così? - ad Antonio Gramsci. Ma in questo modo alla Chiesa non sarà riservato altro compito che "divenire parte integrante della protesta contro la falsità universale del regime del tecnocapitalismo". Troppo poco per invitare così spesso Fusaro ad eventi cattolici.

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    LIBERTA' DI RELIGIONE? NO, GRAZIE! di Stefano Fontana
    Le preposizioni, siano esse semplici o articolate, hanno grande importanza nell'espressione in lingua italiana. Così capita anche per le tre espressioni che riguardano la libertà religiosa nella vita pubblica: libertà di religione, dalla religione, della religione. Esse esprimono tre visioni completamente diverse per cui bisogna fare attenzione, quando si parla di questi argomenti, ad usare bene le preposizioni.
    1) LIBERTÀ DI RELIGIONE
    Questa è la versione liberale della libertà religiosa. Di religione vuol dire di ogni religione e quindi si riconosce a tutte le religioni un eguale diritto ad esprimersi in pubblico, non distinguendo tra di esse nessuna più vera di un'altra. La società diventa così il supermercato delle religioni, con tutti i prodotti religiosi sugli scaffali a disposizione dei singoli cittadini che prenderanno questa o quella. La libertà, qui, è intesa come libertà immotivata di scelta. L'autorità politica tutela solo questa e non fa propria nessuna religione specifica. Essa tutela anche il diritto del cittadino non solo a sceglierne una ma anche a riportarla sullo scaffale quando se ne fosse stancato per prelevarne un'altra. Questa società sembra a prima vista aperta al fatto religioso, ma in realtà è chiusa. Infatti, essa considera le religioni come tutte uguali, ossia come tutte vere e come tutte false nello stesso tempo. Le considera come indifferenti alla vita politica e fuori degli interessi dell'autorità politica. La libertà di religione è in fondo una posizione atea.
    2) LIBERTÀ DALLA RELIGIONE
    Questo modo di intendere il fatto religioso consiste nell'escluderlo completamente dalla vita pubblica, impedendone ogni manifestazione nella pubblica piazza. Ogni religione sarebbe un limite alla libertà umana, sociale e politica, perché introdurrebbe nella vita pubblica degli assoluti, fonte di intolleranza. La libertà è considerata come indipendenza da costrizioni esterne alla coscienza, possibilità di espandere la ricerca razionale senza dover seguire dei dogmi, consapevolezza che esistono sì opinioni in dialogo tra loro ma non verità, le quali bloccherebbero il dialogo. Questa libertà religiosa è quindi ostile alle religioni, esprime un laicismo accentuato e un anticlericalismo appuntito. Inizialmente lo fa per motivi umanistici (difendere l'uomo da Dio come fonte di alienazione) ma poi finisce anche per liberarsi dell'uomo, visto anch'esso come fonte di una nuova religione, seppure non più trascendente. All'umanesimo ateo segue la fine dell'umanesimo.
    3) LIBERTÀ DELLA RELIGIONE
    Questa terza impostazione riconosce che esiste una religio vera, la quale ha diritto alla propria libertà non tanto e non solo in nome di una generica libertà di religione, ma in virtù della propria verità e della sua necessaria presenza nella vita pubblica per garantire al meglio la sanità di vita della politica stessa. La religio vera ha la pretesa di essere unica e indispensabile non solo per la salvezza eterna delle anime ma anche per la costituzione e il mantenimento della vita sociale in armonia con le finalità autentiche dell'essere umano. Essa, in quanto vera, interpella anche la verità della politica, spingendola ad essere politica nel modo migliore. Questo richiede che la politica sia sensibile alla libertà di questa religione, che la protegga anche per garantire sé stessa, e che tolleri a certe condizioni le altre religioni, ma senza porle sul suo stesso piano. Il criterio per valutare la verità delle religioni da parte della politica non sarà un criterio religioso ma di ragione politica ispirata al diritto naturale, ben sapendo, tuttavia, che il custode ultimo anche del diritto naturale è la religio vera e non la politica.

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  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7687

    ORA DI RELIGIONE: LA FEDE IN BALIA DELLE OPINIONI di Stefano Fontana
    In questo periodo dell'anno famiglie e studenti devono scegliere se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica (IRC). Le diocesi fanno quindi la loro promozione. Talvolta intervengono direttamente i vescovi, altre volte i responsabili degli uffici diocesani e si stampano manifesti che vengono collocati agli ingressi delle chiese parrocchiali. Gli argomenti per convincere sono sempre gli stessi: si esclude che sia un indottrinamento, si precisa che non è catechismo, si conferma che l'approccio deve essere culturale e non confessionale, che il clima è di dialogo, che si vuole dare spazio alle domande dei giovani, che si affronteranno temi di vita concreta, che verrà analizzato il fenomeno religioso in senso lato, che si favorirà una apertura mentale per poter comprendere la storia e la cultura della nazione e così via.
    Al di là di queste belle parole, l'IRC nella scuola pubblica non è affatto un mondo di rose e fiori. In molti casi gli insegnanti scelgono questa attività in via provvisoria, in attesa di migliori sistemazioni. Qualcuno di loro ha frequentato un Istituto di Scienze Religiose ma molti non hanno una preparazione specifica in campo teologico. La selezione dei docenti avviene da parte del rispettivo ufficio diocesano, che in certi casi procede con criteri poco trasparenti. Il docente, pur se nominato dalla diocesi, deve essere gradito anche al dirigente scolastico, in caso contrario costui può richiederne la rimozione.
    1) NON SI PARLA DI RELIGIONE CATTOLICA
    Ciò crea un certo imbarazzo nel docente che spesso si vede costretto a "compiacere" alle linee educative della dirigenza scolastica della scuola in cui insegna. Il dirigente è avvantaggiato perché le "pratiche", comprese le sostituzioni in caso di assenza, sono a carico della diocesi e non della propria segreteria, ma nello stesso tempo è preoccupato che i docenti in questione non esprimano posizioni di cultura religiosa troppo forti e alternative. Ci sono poi i dirigenti militanti che nell'orario settimanale collocano le ore di religione cattolica nelle posizioni più adatte a disincentivare l'adesione degli studenti. Del resto, con una quarantina di minuti a disposizione alla settimana, togliendo poi le sospensioni o i rimaneggiamenti del calendario per molti motivi, cosa si può riuscire a dire di fondato?
    Le difficoltà ora accennate non sono comunque le più importanti. Il fatto principale è che alla fine non sembra che l'IRC nella scuola pubblica insegni veramente la religione cattolica. Le ore di questo insegnamento vengono riempite da docenti nel modo più vario. Si parla di tutto e, spesso, senza mai parlare della religione cattolica. Si parla di sessualità e amore, di altre religioni cristiane e non cristiane, di fatti di cronaca, di problematiche morali, di educazione civica, di guerra e pace, di ecologia, di politica, di temi scottanti (sempre quelli) come l'evoluzionismo, le crociate o l'inquisizione, di "nuovi diritti"... Ci sono docenti che preparano un programmino organico, ma altri entrano in classe ed improvvisano, spesso lasciando che gli studenti pongano qualche problema per poi suscitare un dialogo attorno ad esso. Alla varietà dei temi trattati, corrisponde la varietà delle convinzioni teologiche dei docenti che sono cattolici in modo spesso molto diverso tra loro.
    2) SI PARLA CONTRO LA RELIGIONE CATTOLICA
    Va riconosciuto che in molti casi non solo non si parla di religione cattolica, ma si parla anche contro la religione cattolica. I responsabili dei progetti gender nelle scuole statali sono spesso i docenti di religione cattolica, naturalmente senza che l'ufficio diocesano competente abbia nulla da dire. Questo anche perché spesso questi docenti, per avere un "riconoscimento" vero della loro presenza nella scuola, essendo quello di insegnante di religione cattolica piuttosto debole, si impegnano in funzioni di coordinamento didattico.
    Sta di fatto che non si ha alcuna certezza che questo insegnamento serva alla religione cattolica. Anzi, si può legittimamente temere che, in generale, la danneggi deformandola e adattandola al gradimento degli studenti, riducendola quando va bene ad un confronto di opinioni, una specie di talk-show scolastico. Per essere accettato, l'insegnante di religione deve adattarsi alle campagne per le quali di volta in volta il potere decide di mobilitare gli studenti: ieri la verità per Giulio Regeni, oggi le tesi di Greta Thunberg o il femminicidio.
    La problematica in questione ha anche a che fare con gli Istituti di Scienze religiose. L'ultimo numero della rivista della Facoltà Teologica del Triveneto Studia Patavina riferisce che in Italia sono circa 10 mila i frequentanti questi Istituti e la maggioranza lo fa in vista dell'IRC nella scuola statale. Se questo insegnamento si riducesse sarebbe un guaio perché gli Istituti di Scienze religiose imploderebbero.
    Il 10 gennaio scorso il cardinale Zuppi e il ministro Valditara hanno firmato l'accordo per l'immissione in ruolo di cica 6400 insegnanti. La situazione dell'IRC illude la Chiesa italiana di essere efficacemente sul campo quanto a formazione, ma così non è. Essa dipende dallo Stato e dalle ideologie che entrano nella scuola statale. Lo stato di salute di questo insegnamento ci dice che con esso la Chiesa si riduce ad una minoritaria agenzia formativa di una non meglio precisata etica umanisticheggiante. Peccato che non si intravveda alcuna spinta a educare e istruire in proprio.

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    NO AL DDL ROCCELLA SULLA VIOLENZA ALLE DONNE di Stefano Fontana
    Il nostro Osservatorio esprime una valutazione molto negativa del cosiddetto ddl Roccella (dal nome del ministro della famiglia e delle pari opportunità), approvato definitivamente dal Senato nei giorni scorsi e avente ad oggetto "Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica". Sia il governo che il parlamento hanno preferito seguire l'emozione della pubblica opinione costruita ad arte dopo l'omicidio di Giulia, aderendo a una visione della problematica distorta dall'ideologia e approvando delle misure nell'ambito della educazione e della pubblica istruzione decisamente inaccettabili. La maggioranza parlamentare e il si sono adeguati, per carenza di criteri culturali alternativi, alla corrente di pensiero di sinistra e radicale, rumorosa e tendenziosa ma non per questo attendibile.
    La drammatica e riprovevole vicenda dell'omicidio di una giovane donna, rubricata sotto l'etichetta ideologica di "femminicidio", corrisponde ad una realtà volutamente deformata a cui si sono prestate le maggiori testate giornalistiche e, soprattutto, le televisioni nazionali sia private che statali. Tutti hanno recitato con pressante insistenza e pervasività lo stesso copione. Nelle scuole statali si è iniziata una propaganda a senso unico. Anche il mondo cattolico vi ha ampiamente aderito, se i settimanali diocesani non hanno avuto dubbi a parlare di "violenza di genere", accodandosi alla versione "ufficiale", e se nelle omelie domenicali i sacerdoti hanno ampiamente ripreso questo fatto, dopo aver nascosto invece quello di Indi Gregory. La linea culturale è stata dettata dalla sinistra sociale e dal movimentismo femminista e omosessualista secondo i quali il "femminicidio" è un disastro diffusissimo, le donne sono vittime in quanto donne, essere donna è la più recente delle forme di discriminazione, la colpa è del maschio in quanto tale, questi fatti avvengono prevalentemente in famiglia e tra le mura domestiche, sono in pericolo i diritti delle donne ma anche quelli di ogni "diverso", la rivoluzione femminista e di genere non è ancora finita perché in Italia c'è un rigurgito di "fascismo", di sessismo e di visione patriarcale. Peccato, come dicevo, che il governo e i parlamentari abbiano assunto acriticamente queste invenzioni funzionali a far passare una linea culturale radicale.
    I fenomeni di uccisione di donne per motivi di relazione con il partner maschio sono molto più limitati di quanto si dice, come ha anche affermato di recente il prefetto di Padova. Il movimentismo sociale di sinistra, femminista e omosessualista, ha compiuto un vero e proprio attacco terroristico alla sede romana di Pro Vita e Famiglia - cui va la nostra solidarietà -, con un atto proditorio che nessuno di quell'area sociale e politica ha condannato. Segno, questo, che c'è una regia dietro questa messa in scena del femminicidio e che la polemica è destinata ad altre finalità. Nell'attuale cultura woke la tesi del femminicidio assume il carattere della condanna del maschio in quanto maschio e del padre in quanto padre e quindi viene finalizzata alla distruzione della famiglia naturale. A questo proposito, i dati delle situazioni rubricate come "femminicidio" dimostrano che si tratta quasi sempre di relazioni più o meno irregolari e disturbate, ma ciononostante l'opinione pubblica viene indotta ad accusare la famiglia in quanto tale, considerandola fonte di violenza in se stessa - anche il titolo della legge parla di "violenza domestica" -, mentre la causa vera è la crisi della famiglia programmata e caparbiamente portata avanti. L'assunzione della donna come simbolo del "diverso" discriminato conduce ad allargare per analogia il discorso ad altri supposti "diversi" come sessuali e transessuali. Le vere situazioni di violenza contro le donne, dall'aborto selettivo all'utero in affitto, non vengono minimamente ricordati.
    Il ddl Roccella accoglie tutto questo, dato che è impossibile assumere la ratio del "femminicidio" così come oggi viene impostata senza accogliere anche tutti questi suoi effetti collaterali. È molto grave che, su questa base, si sia pensato di dover intervenire nella scuola pubblica con percorsi obbligatori di educazione alle relazioni sentimentali e alla diversità. Molto grave prima di tutto perché è una nuova ingerenza dello Stato in ambiti non di sua competenza, tagliando fuori ancora una volta i genitori e imponendo una educazione che ha tutte le caratteristiche di una ri-educazione ideologica voluta e attuata dal potere centrale. Di tutto abbiamo bisogno ma non di un ulteriore accentramento statalistico, soprattutto in campo educativo. Molto grave, poi, perché questi percorsi di educazione forzata saranno riempiti di contenuti assolutamente negativi, prima di tutto dal punto di vista morale. Data la composizione del corpo insegnante della scuola statale, che coltiva in massima parte una cultura ideologicamente di sinistra, relativista e irreligiosa, è inevitabile che il nuovo insegnamento venga riempito di contenuti diseducativi. Purtroppo, ciò varrà anche per le scuole cattoliche paritarie, integrate come sono nel sistema pubblico di istruzione, le quali non si sottrarranno all'inganno essendo già ora permeate della stessa cultura post-naturale di quelle statali strettamente intese. Chiesa e cattolici in genere non hanno nulla da obiettare, perché dovrebbe obiettare un preside di una scuola cattolica paritaria? Il ddl Roccella è una nuova spinta ad uscire dal sistema mediante la scuola parentale cattolica.

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    PER ESSERE UGUALI, SI DEVE TOGLIERE LA LIBERTA' di Stefano Fontana
    La Dottrina sociale della Chiesa è a favore dell'uguale dignità degli esseri umani, ma discorda dall'egualitarismo come ideologia, non pensa che tutto debba essere uguale. L'ugualitarismo ideologico è sempre stato una minaccia per l'umanità e per la Chiesa, a cominciare da quell'eritis sicut dii della Genesi: "uguali a Dio". La filosofia classica aveva sempre contrastato questa visione egualitarista, riscontrando nel cosmo una gerarchia di esseri che doveva essere in qualche modo replicata nella vita della Polis. Il Cristianesimo parla della creazione del mondo da parte di Dio come espressione di gloria e di sapienza che sono esaltate dalla diversità degli esseri creati. Dio ama tutte le cose, ma il suo amore è all'origine creativa della loro diversità. Sia nella Chiesa che nella società non tutti sono uguali, i laici sono diversi dai chierici e anche tra i chierici c'è una gerarchia, come del resto tra sudditi e autorità nella vita politica. A richiederlo non è solo l'esigenza di diversità ma anche quella di unità. Sembra che una società di eguali sia più unita, ma così non è, perché manca dell'autorità gerarchica che conferisce unità al tutto, non con la forza del potere ma con l'ordinamento di tutti al bene comune. Il bene comune richiede la diversità, perché non è unico per tutti ma è analogico.
    Col pensiero moderno le cose cambiano. Gli uomini sono pensati originariamente come uguali nel senso di privi di ordine e di legge, ossia delle cose che differenziano e stabiliscono le gerarchie. Gli uomini sono individui irrelati, delle unità numeriche e come tali sono tutti uguali. Sono anche però disuniti e conflittuali, per cui serve la reductio ad unum, l'unità deve essere imposta. Il primo a dirlo è stato Marsilio da Padova nel suo Defensor Pacis e dopo di lui tutti i proto-pensatori della modernità. Per Rousseau tutti sono uguali sotto la Volontà generale, la disuguaglianza è un prodotto sociale ed egli voleva ripristinare nella società la stessa uguaglianza che c'era nella natura. Hobbes dice che «tutti gli uomini sono uguali per natura. La disuguaglianza ora presente è stata introdotta dalla legge civile». Per il comunismo tutti sono uguali sotto lo Stato/partito. Per la socialdemocrazia tutti devono essere resi uguali mediante la pervasiva presenza del Welfare statale dalla culla alla bara. Tutti sono uguali per la società di massa industriale e soprattutto postindustriale, nella quale le élite spariscono. Oggi si dice che tutti gli orientamenti sessuali sono uguali, che sentirsi maschio o femmina deve essere considerato uguale, che tutti hanno diritto al figlio, l'ecologismo impone comportamenti uguali per tutti, la società del controllo verifica che questi uguali comportamenti vengano veramente rispettati da tutti. Anche nella Chiesa si parla di egualitarismo, sospendendo la differenza tra Chiesa docente e Chiesa discente e quella tra sacerdozio universale e sacerdozio ordinato.
    Dostoevskij aveva visto bene gli enormi pericoli dell'egualitarismo nel suo libro I demoni: «Là ogni membro della società sorveglia l'altro ed è obbligato alla delazione. Ciascuno appartiene a tutti, tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono tutti uguali. Nei casi estremi c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'eguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello di istruzione, delle scienze e degli ingegni. Un alto livello delle scienze e degli ingegni è accessibile solo alle capacità superiori, ma non occorrono capacità superiori! Gli uomini di capacità superiore si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di capacità superiore non possono non essere despoti e hanno sempre pervertito più che non abbiano giovato; essi vengono cacciati o giustiziati. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si bucano gli occhi, Shakespeare viene lapidato».

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    GIORGIO NAPOLITANO, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA IN SINTONIA CON I POTERI FORTI di Stefano Fontana
    Giorgio Napolitano è stato un valido esempio della transizione del Partito Comunista Italiano dal comunismo delle prime ore, ancora filosovietico nella forma, anche se nella sostanza già imbevuto di togliattismo più che di gramscismo, e il neosocialismo dell'Italia e dell'Europa postmoderne, dall'ideologia evanescente e camaleontica e dalla completa sintonizzazione sulle decisioni dei poteri forti. Siano essi ideologici, economici o politici.
    Nel 1956 Napolitano esaltava l'invasione dell'Ungheria e difendeva il compito mondialista dell'Unione sovietica, il 20 febbraio 1974 in un articolo su L'Unità egli spiegava perché la cacciata di Aleksandr Solzhenitsyn dall'Urss fosse la «soluzione migliore» che il Partito comunista sovietico potesse adottare... per giungere, in tempi più recenti, ad appoggiare il bombardamento della Libia da parte di Francia e Inghilterra a nome della NATO iniziato il 19 marzo 2011, e architettare dal Quirinale, sempre nello stesso anno, un cambiamento di governo in ottemperanza alle richieste di chi comandava allora, e comanda tuttora, nell'Unione Europea.
    Il "migliorismo", l'ideologia di cui era sostenitore e principale protagonista nella omonima corrente del Partito Comunista, mostrava essere così una concezione politica cinicamente pragmatistica, in coerenza del resto con la linea di sviluppo dell'adattamento del comunismo all'Occidente democratico e secolarizzato. Pragmatismo e secolarizzazione che guidarono anche la sua azione nel caso di Eluana Englaro, con la quale la sua presidenza si macchiò di un'altra pesante colpa.
    BOMBARDAMENTI ALLA LIBIA
    Nella vicenda dei bombardamenti alla Libia è certo che la posizione di Napolitano fosse decisamente favorevole all'intervento, come egli stesso ebbe a dichiarare in seguito, confermando che, invece, almeno in origine, la posizione del presidente del Consiglio Berlusconi era contraria. È anche accertato che, in quei momenti di incertezza politica che caratterizzava tutti i partiti con passi in avanti e repentini ripiegamenti indietro, la posizione di Napolitano fu ferma e decisiva per garantire l'appoggio dell'Italia. Si sa ormai che i motivi per far fuori Gheddafi erano altri rispetto a quelli dichiarati allora, e che erano soprattutto di natura monetaria: la Libia stava lavorando per dar vita ad una moneta non dipendente dal dollaro.
    Anche nel caso del disarcionamento di Berlusconi dal governo alla fine del 2011 la mano di Napolitano si fece sentire in modo molto pesante e attraverso un piano ben congegnato e perseguito a tappe. Dapprima la borsa enfatizza il famoso scarto con i bond tedeschi, poi il 23 ottobre 2011 la Merkel e Sarkozy sorridono di Berlusconi in pubblico delegittimandone l'immagine internazionale, quindi Napolitano nomina Monti senatore a vita non si sa per quali meriti, e poi spinge Berlusconi, che teme per i riflessi borsistici sulle proprie aziende, alle dimissioni e incarica Monti di formare il nuovo governo. Il migliorismo in questo caso è consistito in un rigido pragmatismo politico, trasformando il ruolo della presidenza della Repubblica a soggetto politico attivo, linea che sarà poi proseguita da Mattarella.
    ELUANA ENGLARO
    Nel caso di Eluana Englaro, Napolitano ha avuto la responsabilità di avere aperto la prima significativa porta verso l'eutanasia, quando fece avvertire il Consiglio dei ministri in seduta - cosa assolutamente inusuale - che non avrebbe firmato un decreto legge che impedisse l'esecuzione della giovane come stabilito dai giudici. Si trattava di una minaccia e di un ricatto preventivi e, quindi, di un atto politico. Anche in questo caso l'ideologia migliorista produceva un comportamento crudamente pragmatico.
    Napolitano è stato il primo presidente della Repubblica ad essere rieletto, come avvenne il 18 aprile 2013. Rimase in carica per due ulteriori anni. La cronaca dice che il motivo è stata la situazione politica molto frammentata a seguito delle elezioni politiche avvenute in quell'anno. Però quella frammentazione politica si rispecchiava nel Presidente rieletto, figli l'una e l'altro di una degenerazione della politica che aveva radici lontane e profonde. Napolitano, nel suo discorso dopo la rielezione, redarguì aspramente i partiti, quegli stessi partiti che egli aveva però delegittimato durante la sua prima presidenza.
    Non va dimenticato che con la nomina di Monti alla presidenza del Consiglio nel 2011, inizia la storia dei leader governativi non eletti, ma decisi dal presidente della Repubblica. Dalla situazione di caos politico di allora emerse Letta, subito messo da parte però dallo stesso Napolitano che ad un certo punto gli preferì Renzi. Dietro al famoso "Enrico, stai sereno!" c'era Napolitano.
    Mercoledì 20 settembre, durante l'udienza in Vaticano, papa Francesco ha invitato a pregare per Giorgio Napolitano. Nel febbraio 2016 il pontefice aveva espresso una sorprendente, e per molti irritante, valutazione del suo operato politico. Aveva annoverato Re Giorgio tra "i grandi d'Italia" insieme ad Emma Bonino. In particolare egli si riferiva all'accettazione della rielezione, «quando ha accettato per la seconda volta, a quell'età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l'ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di eroicità patriottica».
    Sulla preghiera siamo d'accordo. Su questa valutazione politica no.

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    LIBERTA' DI RELIGIONE E DOVERI POLITICI VERSO LA VERA RELIGIONE di Stefano Fontana

    Oggi la libertà di religione viene intesa nel seguente modo. L'uomo si trova davanti alle varie religioni, compresi l'agnosticismo o l'ateismo, e può scegliere l'una o l'altra. Il potere politico deve garantire questa sua libertà di scelta e questo lo può fare solo rimanendo indifferente a quale scelta venga fatta. L'individuo ha un libero arbitrio che precede la scelta di una religione o di un'altra e questo libero arbitrio è quanto la legge e il potere politico devono garantire. Non si garantisce una scelta ma la libertà di scegliere. La libertà di religione è intesa come la possibilità di scegliere, e poi di professare, liberamente la religione scelta.
    Il potere politico è quindi agnostico verso la religione e le religioni, non entra nel merito, non la considera una dimensione a se confacente. Il motivo per sostenere questo, di solito, è il principio di laicità al quale dovrebbe attenersi il potere politico. Se esso distinguesse tra religione e religione eserciterebbe una specie di protettorato per l'una o per l'altra.
    PERCHÉ QUESTA CONCEZIONE È SBAGLIATA
    Questa concezione è sbagliata. In questo modo, la libertà di scelta è indifferente al contenuto di verità delle varie religioni. Se viene pubblicamente riconosciuta all'individuo la possibilità di scegliere ogni religione, vuol dire che non c'è una religione più vera di altre né una religione che contenga degli errori pericolosi per l'uomo e per la società. Ognuna potrebbe essere sia vera che falsa. [...]
    Così facendo, sia il singolo individuo che il potere politico accettano di non avere dei criteri razionali di verità per valutare le religioni. Questo significa che o le religioni non sono soggette a criteri di verità o che l'individuo e il potere politico pensano che la ragione sia così debole da non capire se una religione è più vera di un'altra. È evidente che, in ambedue i casi, c'è una separazione tra ragione e religione.
    Ecco allora perché questa versione della libertà di religione non può essere accettata. Essa implica la separazione tra libertà e verità (delle religioni) e tra ragione e religione. Una simile separazione non può essere accettata né dalla ragione né dalla religione (cattolica).
    LIBERTÀ E VERITÀ
    Concentriamoci ora sulla concezione di libertà che sta alla base della visione della libertà di religione che abbiamo appena visto. Si deve distinguere tra libero arbitrio e libertà. Il primo è la pura capacità di scegliere, la seconda è l'esercizio della scelta secondo il bene. Fare il male comporta la perdita della propria libertà. Il libero arbitrio è una pura capacità di scelta e, quindi, è moralmente non significativo e assolutamente astratto. La libertà vera si ha nella scelta fatta secondo il bene; la schiavitù vera consiste nella scelta del male. San Paolo o Socrate in carcere erano liberi, un terrorista o uno stupratore fuori dal carcere non sono liberi.
    L'esistenza di una libertà precedente il bene e il male è l'idea della modernità, ma non è l'idea cristiana. Si tratta di una libertà astratta, vuota e assoluta, che diventa essa stessa giudizio del bene e del male. Se una cosa non è scelta liberamente è male, una cosa scelta liberamente è bene solo per il fatto di essere scelta liberamente. In questo caso Maria Santissima non sarebbe stata libera, dato che libertà era già tutt'uno con la verità. Invece la libertà è resa tale non solo dallo scegliere ma anche dalla scelta: essa ha a che fare fin da subito con la verità. Non può quindi esistere una libertà di scelta indifferente alla verità di quanto viene scelto. Ciò avviene anche nel caso della scelta della religione. Quando si sceglie una religione si compie un atto di libertà connesso fin da subito con il problema della verità. La verità delle religioni che si scelgono assume così un'importanza fondamentale per la vera libertà della scelta. La verità vi farà liberi.
    LIBERTÀ DI RELIGIONE E LEGGE MORALE E NATURALE
    Una evidente dimostrazione di questo è la possibilità di scegliere religioni che contraddicono principi di legge morale naturale. Una religione che richiedesse di sacrificare esseri umani agli dèi, l'uccisione degli infedeli, le mutilazioni genitali, oppure che impedisse le trasfusioni di sangue per motivi di salute, o subordinasse la donna all'uomo, che prevedesse il diritto del marito di stuprare la moglie, che imponesse forme di governo teocratiche, che prevedesse la prostituzione sacra oppure il plagio delle menti degli adepti, oppure i matrimoni combinati con bambine, oppure la poligamia o la poliandria o che ritenesse lecita l'omosessualità, oppure che prevedesse percorsi di spersonalizzazione... non rispetterebbe la legge morale naturale. Queste religioni conterebbero elementi di falsità e non di verità, di male e non di bene. Chi le scegliesse perderebbe (liberamente) la propria libertà.
    Il potere politico non può allora porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione pubblica e dell'autentico bene comune. Non può allora ammettere un indiscriminato diritto alla libertà di religione. Ci sono religioni - oppure aspetti di alcune religioni - che non hanno diritto a essere professate in pubblico. Certo che, per fare questo, bisognerebbe che il potere politico non avesse rinunciato, come purtroppo ha fatto, all'idea che la ragione politica possa conoscere il bene comune. L'indiscriminata tolleranza per tutte le religioni è figlia della debolezza della ragione in generale e della ragione politica in particolare. Ma non si creda che ciò non dipenda anche dall'aver smesso di pensare pubblicamente che possa esistere una religione vera. La politica è incapace di concepire un bene comune che faccia da criterio di valutazione delle religioni perché ha perso di vista il suo rapporto con la religione vera. Questo è un punto su cui torneremo: il rapporto con la religione vera permette alla ragione di valutare razionalmente la verità delle religioni.
    IL SILLABO
    Si capisce da quanto detto che la visione preconciliare del Sillabo aveva le sue legittime motivazioni. Il bene comune della società umana implicava il rispetto della legge morale naturale. Elementi di legge morale naturale ci sono più o meno in tutte le religioni ma solo la religione cattolica la garantisce completamente. Inoltre la legge morale naturale, che in linea di principio è accessibile anche alla retta ragione, di fatto ha bisogno della religione cattolica sia per essere adeguatamente conosciuta sia per essere adeguatamente rispettata. Per questo fa parte del bene comune non solo la legge morale naturale ma anche la religione cattolica, senza della quale anche i vincoli della legge morale naturale vengono meno. Papa Francesco ha scritto nella Evangelii Gaudium che c'è un diritto a conoscere il Vangelo. Dogmi cattolici hanno fatto la storia e le eresie avrebbero distrutto la società. Ecco perché lo Stato riteneva di dover proteggere la religione cattolica e impedire le altre religioni.
    I ragionamenti ora visti sono stati condotti dal punto di vista della ragione politica. Dal punto di vista della religione cattolica si deve aggiungere che la vita sociale e politica non è indifferente alla salvezza eterna delle anime. Certamente lo Stato non è la Chiesa e anche San Tommaso diceva che non si devono impedire per legge se non i peccati più gravi. Ma è evidente che l'organizzazione della vita terrena può impedire gravemente la salvezza delle anime. Tale vita terrena non ha solo un significato strumentale verso quella eterna, ha anche una sua propria dignità dovuta alla creazione, eppure, dentro l'unicità della vocazione alla salvezza, gioca un ruolo fondamentale per la salvezza o la perdizione.
    Faccio notare che tutti i concetti ora visti sono rimasti perfettamente tali nel magistero successivo e odierno: che esista una legge morale naturale, che tale legge morale naturale abbia bisogno della religione cristiana, che non esista un ordine naturale completamente autonomo rispetto a Dio, che la religione cristiana abbia la pretesa di essere la religione vera, che del bene comune faccia parte la religione vera, che le persone e le società (per gli Stati vedremo poi) abbiano dei doveri verso l'unica vera religione è considerato dottrina anche oggi. In altre parole la regalità sociale di Cristo è tuttora dottrina della Chiesa. [...]
    CONCLUSIONE
    Per paradossale che possa sembrare, è solo il rapporto privilegiato tra ragione politica e fede cattolica che garantisce la vera libertà di religione a tutte le religioni. La fine dello Stato confessionale, la deriva violenta più che garantista dell'indifferentismo religioso, la grave intolleranza praticata da chi pretende di essere tollerante ma non tollera chi pensa che non tutto si possa tollerare

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    DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: L'EREDITA' TRADITA DI LEONE XIII di Stefano Fontana
    In questo 2023 ricorrono i 120 anni dalla morte di papa Leone XIII, avvenuta il 20 luglio 1903. Gli anniversari sono sempre occasione di bilanci. In questo caso il bilancio riguarda il fondatore della Dottrina sociale della Chiesa nell'epoca moderna, non solo per la Rerum novarum ma anche per il coro di altre otto encicliche che fanno da cornice a quella sulla questione operaia e che Leone XIII stesso elencò nell'enciclica Annum ingressi nel 1902, ad un anno dalla sua morte. Il numero ora in uscita del "Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa" le presenta una per una sotto il titolo generale "Il progetto sociale di Leone XIII". Siamo rimasti fedeli a quel quadro di riferimento, almeno negli aspetti sostanziali?
    Alla base del suo approccio alla questione sociale stava l'enciclica Aeterni Patris (1879) che riproponeva la filosofia del realismo tomista in contrapposizione alle filosofie del tempo, soprattutto il positivismo materialista, invitando tutte le scuole cattoliche a farla propria nell'educazione. E oggi? Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI i punti fondamentali di quel quadro filosofico sono stati sostanzialmente conservati, dato che è stato mantenuto il rapporto tradizionale tra la ragione e la fede. Più di recente, invece, il magistero ecclesiastico sembra essersi allontanato da quei presupposti filosofici, assumendo una razionalità incentrata sull'esistenza e la storia. Su questo punto, di Leone XIII è rimasto veramente poco o nulla.
    L'ENCICLICA SULLA MASSONERIA
    Papa Pecci aveva scritto ben quattro encicliche e tre lettere apostoliche sulla massoneria, la più nota delle quali è stata la Humanum genus (1884). La massoneria veniva da lui considerata come relativista, libertaria, naturalista e diabolica. Oggi la Chiesa sembra aver cambiato rotta. Soprattutto dopo la famosa lettera del cardinale Gianfranco Ravasi ai "fratelli massoni" del 14 febbraio 2016. Non si può però dire che la natura e gli obiettivi della massoneria siano nel frattempo cambiati, né che si siano addolciti. Ancora oggi essa lavora per una religione universale dell'umanità priva di dogmi e combatte la Chiesa sia dall'esterno che dall'interno. Anche su questo punto il cambiamento è ben evidente.
    Leone XIII aveva rivendicato per la Chiesa il diritto ad una autorità originaria ed esclusiva su alcune materie, come la legislazione sul matrimonio e l'educazione. Secondo la Arcanum divinae sapientiae (1880), il matrimonio doveva e poteva essere solo religioso, perché, una volta sganciato da quel fondamento soprannaturale, si sarebbe via via degradato anche sul piano civile, come infatti abbiamo visto accadere. Quanto all'educazione, il papa sosteneva che la Chiesa avesse una funzione "sopraeminente", come disse poi anche Pio XI, in quanto incarnante una "maternità soprannaturale", di ordinare l'educazione dei bambini e dei giovani alla religione vera, che avrebbe garantito anche la ragione vera. Quindi nessun monopolio sovranista dello Stato in materia di matrimonio e di scuola. Oggi siamo lontanissimi da queste posizioni e non solo i laici ma anche i cattolici considerano giusto e naturale che il matrimonio e la scuola siano governati dello Stato. Anche qui nessuna continuità.
    Leone XIII pensava e insegnava nelle sue encicliche sociali che l'autorità viene da Dio e non dal popolo sovrano. Non negava in modo assoluto la democrazia, ma pensava che un potere sovrano, come è anche quello del popolo e non solo quello dei despoti assoluti, fosse inaccettabile e molto pericoloso. Chi è sovrano non dipende da altri sopra di sé, quindi può fare quello che vuole. E infatti oggi il popolo delle democrazie moderne fa quello che vuole (o si illude di farlo). Agli occhi di Leone XIII, ma anche di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la nostra democrazia attuale ha molti aspetti totalitari. Se l'autorità viene da Dio, allora il potere politico non è indipendente e autosufficiente, ha bisogno di porsi in relazione con la religione vera. Ma oggi questo principio è ampiamente abbandonato.
    OBBEDIRE A DIO PIUTTOSTO CHE AGLI UOMINI
    A proposito di religione vera ... Leone XIII non pensava che tutte le religioni avessero la stessa capacità di fondare e animare, pur rispettandone la legittima autonomia, la società e la politica, ma che questo scopo potesse essere agevolmente e proficuamente raggiunto solo dalla religione cattolica. Con variazioni e qualche problema lasciato aperto, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si attennero sostanzialmente a questo criterio. Oggi, invece, la Chiesa, per rispetto del principio dalla libertà di religione su cui Leone XIII avrebbe diverse perplessità, assegna a tutte le religioni la stessa capacità di animare e guidare la società civile, facendosi paladina dell'indifferentismo religioso, o al massimo del dialogo pubblico tra tutte le fedi. La distanza rispetto a Leone XIII qui è molto grande.
    Nell'enciclica Sapientiae christianae (1890), Leone XIII sosteneva che i primi tre doveri del cittadino cristiano nella società fossero i seguenti: è necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini; difendere la fede cristiana; obbedire ai pastori e alla Chiesa. Giovanni Paolo II ancora si atteneva - con le debite varianti - a queste indicazioni, dato che riteneva essere la Dottrina sociale della Chiesa un "annuncio di Cristo nelle realtà temporali", ma oggi questi doveri sono posti dopo altri e addirittura sono taciuti o eliminati. La talpa della secolarizzazione ha ben fatto il suo lavoro sotterraneo.
    Che dire allora a 120 anni dalla morte di Leone XIII? Limitiamoci a dire questo: bisognerà insistere col darsi da fare per capire quello che è avvenuto nel frattempo.

  • VIDEO: I processi di Berlusconi ➜ https://www.youtube.com/watch?v=mynoOO-QI6M

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7442

    MUORE BERLUSCONI A 86 ANNI, TRA MERITI POLITICI E LIMITI CULTURALI di Stefano Fontana
    Non è cosa facile, ma vorrei ugualmente tentare una valutazione della presenza nell'arena politica di Silvio Berlusconi, presenza durata un trentennio, senza mescolare troppo le vicende private con quelle pubbliche. Non è cosa facile, perché all'origine di ambedue c'è la stessa personalità esuberante che, in fondo, non ha mai distinto tra i due piani, e i fatti privati sono diventati automaticamente pubblici certamente per la speculazione degli oppositori ma anche per volontà dell'interessato. Tuttavia, rimane possibile fare una disamina dell'influenza di Berlusconi sulla politica italiana, ponendo l'accento su quest'ultima piuttosto che sulle serate nella villa di Arcore.
    Quando, nel 1993, Berlusconi decise di "scendere in campo" eravamo nel pieno dell'inchiesta/manovra di Mani Pulite che aveva travolto la Democrazia cristiana e il Partito socialista, ma non il Partito comunista italiano. Secondo logica sarebbe dovuto accadere il contrario. In quegli anni il comunismo sovietico crollava, ma a subirne le conseguenze negative non erano i comunisti italiani ma i loro storici oppositori: democristiani e socialisti craxiani. Questo perché l'inchiesta del pool di Milano era condotta a senso unico. Era infatti un disegno politico. In quella situazione, con le barriere anti-sinistra divelte e con il Partito comunista di Occhetto pronto a schierare la propria macchina da guerra elettorale, Berlusconi ha riempito un vuoto e svolto un ruolo storico. Gli va anche riconosciuto il merito di aver sdoganato la Lega di Bossi e il MSI di Fini, che poi divenne Alleanza Nazionale, anche se in seguito dovette pagare cara questa alleanza, sia col "ribaltone" di Bossi sia con i continui ricatti di Follini (Udc) e Fini che indebolirono i governi da lui presieduti.
    IL PROCESSO INNESCATO DA BERLUSCONI
    Ai meriti di Berlusconi in questa prima fase della sua presenza pubblica va anche aggiunto un utile movimentismo culturale che egli riuscì allora a creare in Italia, nel tentativo di rompere l'egemonia della sinistra. Nacquero nuove riviste, come "Ideazione", la rivista culturale di Forza Italia, e "Liberal" che, diretta da Ferdinando Adornato, esprimeva le idee di un pensiero liberale equilibrato e responsabile, utile antidoto al pensiero liberal della sinistra. Nacque Magna Charta di Pera e Quagliarello e capitò anche che Antonio Socci creasse in TV il suo programma "Excalibur" ove si parlò perfino di apparizione mariane. Gli intellettuali di corte rimanevano dall'altra parte, e anzi deridevano la presunta sprovvedutezza culturale del produttore di programmi televisivi come "Drive In", però intellettuali come il già citato Marcello Pera poterono esprimere in pubblico una voce nuova.
    Dopo quella fase iniziale, però, il processo innescato da Berlusconi si affievolì fino ad arenarsi. Egli si riferiva ad un elettorale moderato, quello della vecchia Democrazia cristiana, oltre che dei socialisti non massimalisti. L'elettorato del partito cattolico, tuttavia, soprattutto nella fase della segreteria di De Mita negli anni Ottanta, aveva subito un accentuato processo di secolarizzazione. Quella di Berlusconi era una proposta scolorita sul piano dei valori, che corrispondeva a quello che quell'elettorato moderato pensava sul piano dell'etica pubblica.
    Il moderatismo politico era figlio di un moderatismo culturale che non lasciava spazio ad impennate sui principi. Non ricordo battaglie decise e convinte di Berlusconi sui temi di frontiera etica che proprio allora stavano emergendo. Nel caso Englaro, alla fine, egli decise di non approvare il decreto legge necessario per bloccare la sentenza di morte. Napolitano aveva impropriamente avvertito il Consiglio dei ministri in seduta che non avrebbe firmato quel decreto. Berlusconi doveva e poteva farlo approvare lo stesso, ma non lo fece. Forza Italia e i governi Berlusconi non fecero mai nessuna battaglia né culturale né politica nel settore della vita e della famiglia. Da moderati, cercarono al massimo di moderare. Ma i tempi richiedevano ben altro.
    BERLUSCONI E I CATTOLICI
    Nei confronti dei cattolici e del mondo cattolico in genere, Silvio Berlusconi rappresentò una pietra di inciampo. Dopo il fallimento del Partito popolare di Zaccagnini, i cattolici si divisero in due parti contrapposte. Quelli che, come Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, scelsero di collaborare con lui, e quelli della sinistra cristiana che lo odiavano politicamente. Egli era visto come un pericolo della democrazia, come il prevalere del privato sul pubblico, come l'ostacolo principale all'incontro storico tra cattolici e comunisti che da Franco Rodano in poi molti non avevano mai smesso di perseguire.
    Comunione e Liberazione lo appoggiò, ma Don Giuseppe Dossetti scrisse il suo pamphlet "Quanto resta della notte", Scalfaro si incaricò, da presidente della Repubblica, di tenerlo a bada, Francesco Saverio Borrelli invitò a "resistere, resistere, resistere!", Romano Prodi scese in campo contro di lui quale rappresentante del dossettismo della sinistra cattolica come se si trattasse dello scontro tra morte e vita. Del resto, già anni prima, Sergio Mattarella ed altri ministri della sinistra DC si erano dimessi per protesta contro la concessione delle licenze TV a Mediaset, paventando una dittatura mediatica. Pietro Scoppola, nel libro "La nuova cristianità perduta" aveva accusato le TV di Berlusconi di essere state la prima causa della secolarizzazione del popolo italiano, secolarizzazione che avrebbe addirittura resa obsoleta la "nuova cristianità" di Jacques Maritain.
    Il moderatismo etico-politico di Berlusconi, il suo liberalismo di convenienza, combattivo ma sempre rispettoso del sistema, ebbe un guizzo di fortuna in un primo momento, ma in seguito mancò di prospettiva, come è evidente anche dal fatto che non sia riuscito a creare una classe dirigente all'altezza dei compiti che egli stesso si proponeva. Portare in politica i propri protetti poteva avere una giustificazione nell'emergenza dell'inizio, ma poi non più. Per questo possiamo dire che non esista una vera e propria eredità di Berlusconi in politica, per due motivi: l'identificazione tra pubblico e privato e la debolezza di un liberalismo moderato della convenienza nel mentre la politica diventava l'arena di scontri radicali sempre più accesi sul piano dei valori.
    Nota di BastaBugie: Ruben Razzante nell'articolo seguente dal titolo "Berlusconi, c'è stata anche persecuzione giudiziaria" parla dei processi, anche mediatici, a Silvio Berlusconi, spesso sfociati nel nulla.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 giugno 2023:
    La morte di Silvio Berlusconi per tante ragioni è un evento epocale. Per giorni i media parleranno prevalentemente della scomparsa dell'ex premier, che ha segnato la storia italiana in tanti campi, da quello imprenditoriale a quello politico, da quello calcistico a quello dei costumi e dell'informazione. Tra gli aspetti più controversi della sua figura c'è il rapporto con la giustizia. Dal 1993, anno della sua discesa in campo, è iniziata tra Silvio e alcune procure, in particolare quella di Milano, una guerra senza esclusione di colpi, che ha condizionato profondamente le dinamiche politiche nazionali, alterando e turbando l'equilibrio tra i poteri.
    Di quel giustizialismo, che ha alimentato per anni un cortocircuito tra giustizia e informazione, di cui Berlusconi è stato il principale bersaglio, restano solo macerie. Una parte politica, la sinistra, ha sperato per anni di beneficiare delle disgrazie giudiziarie dell'eterno rivale, ma quasi mai ci è riuscita, anzi il clima giustizialista che ha dominato la scena politica italiana negli anni del berlusconismo ha prodotto solo livore, cattiveria e odio sociale.
    Ci si chiede se non sia esagerata l'espressione «persecuzione giudiziaria» applicata a Silvio Berlusconi. Probabilmente non lo è, perché l'accanimento nei suoi confronti da parte di settori altamente politicizzati della magistratura ha raggiunto livelli di guardia per molti anni, ispirando inchieste pretestuose che hanno inciso sulle casse del già dissestato pianeta giustizia e che abbiamo pagato tutti quanti noi cittadini di tasca nostra. Fiumi di denaro pubblico sono stati utilizzati per combattere battaglie di natura politica spesso sfociate in nulla, anzi paradossalmente servite a far apparire Berlusconi come un martire anche quando forse non lo era.
    Circa 30 anni di procedimenti che hanno visto implicato il leader di Forza Italia e più di un centinaio di avvocati che hanno lavorato per Berlusconi e le sue società. Decine di processi e più di 4.000 udienze per tentare di incastrarlo perfino sulle sue amicizie femminili.
    Ma si era capita subito l'aria che tirava quando entrò in politica. Già il 22 novembre 1994, pochi mesi dopo il suo trionfo elettorale del 27 marzo 1994, mentre presiedeva come presidente del Consiglio a Napoli il vertice Onu sulla criminalità transnazionale, a Silvio Berlusconi fu notificato dal pool di Mani Pulite un a

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7393

    HOMESCHOOLING, E' IL MOMENTO DELLA VERA SCUOLA CATTOLICA di Stefano Fontana
    La prima via d'uscita dal sistema pervasivo che ci attanaglia è l'educazione. Certo, anche altri, a partire dall'informazione a cui si dedica la Bussola, informazione che, comunque, è anche formazione e quindi educazione. Valori e comportamenti oggi vengono largamente imposti. L'educazione nella scuola statale corrisponde - quando non vada ben oltre! - al patriottismo costituzionale, il che alla fine significa che i nostri figli devono condividere i principi repubblicani, anche quando vanno contro la legge naturale: buon cittadino e uomo buono si divaricano e il primo vince sul secondo.
    Media e social educano sì, ma nel senso che diseducano: non esiste un serial televisivo che non contempli l'omosessualità e che non presenti le famiglie divise o allargate come cose normali. Per rendere possibili i propri obiettivi, il sistema di oggi deforma sistematicamente l'educazione sull'ambiente, sulla procreazione, sulla religione, sulla salute, sull'identità maschile e femminile, sui fatti, raccontati secondo le narrazioni di regime, sulla storia...
    Anche nella Chiesa le cose non vanno troppo bene. Limitata e spesso scadente l'educazione religiosa, frequente l'omologazione ai criteri del mondo, presa di distanza dall'educare a giudicare la realtà. Quella che anni fa si chiamava "emergenza educativa" è ormai esplosa.
    Ci sono educatori - sia genitori che insegnanti, ma anche sacerdoti e religiosi - che si pongono seriamente questo grave problema. Sono genitori e insegnanti cattolici nella scuola di Stato, sono genitori e insegnanti cattolici nelle scuole paritarie cattoliche, sono genitori e insegnanti che stanno dando vista a scuole parentali e ad esperienze di homeschooling (scuola domestica, scuola fatta a casa). I primi si sentono abbandonati e fanno veramente fatica ad andare avanti in un contesto sistematicamente ostile e che percorre altre strade. I secondi resistono, ma si rendono conto che la scuola cattolica paritaria deve pagare un certo dazio al sistema imperante. I terzi sono più motivati e scaltriti, più alternativi al sistema e per molti rappresentano una chance positiva e da incoraggiare.
    C'è quindi un mondo dell'educazione che "non ci sta", soprattutto il mondo delle scuole parentali o domestiche. Questo mondo rappresenta la principale e forse unica speranza che abbiamo oggi davanti all'omologazione dei cervelli e dei cuori dei nostri figli e nipoti. Non c'è bisogno di attendere l'intelligenza artificiale, già oggi i cervelli e i cuori vengono plagiati sistematicamente. Questo mondo dell'educazione non è però solo un fatto educativo, è anche una mobilitazione sociale, prefigura un diverso assetto della polis, i suoi soggetti pensano ad una diversa presenza della religione cattolica e della Chiesa nella società. Sono quindi anche un fenomeno etico e teologico, che la Chiesa ufficiale, purtroppo, sta trascurando, mentre invece rappresenta un futuro di vera libertà.
    Se questo mondo è ben più che un semplice fenomeno educativo, esso richiede di essere visto dentro l'intero quadro della Dottrina sociale della Chiesa. Ha bisogno di essere valorizzato come germe di una società cristiana, tramite l'educazione ma oltre la sola educazione. È un ampio fenomeno in atto di costruzione della civiltà cristiana. In un momento storico in cui la Chiesa ufficiale dice che non bisogna impegnarsi per una società e civiltà cristiane, proprio questo sta invece facendo questo movimento della scuola cattolica. I genitori, gli insegnanti, le scuole cattoliche, soprattutto parentali, riconsegnano alla Chiesa e alla religione cattolica il primato educativo nella pubblica piazza, anche se la Chiesa ufficiale di oggi respinge l'offerta.
    Sabato 29 aprile 2023, si terrà a Lonigo (Vicenza), presso la Villa San Fermo dei Padri Pavoniani, la Seconda Giornata nazionale della Vera scuola cattolica, organizzata dall'Osservatorio cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa. Essa fa seguito ad una analoga iniziativa dell'anno scorso da cui era emerso il Manifesto dal titolo "È il momento della vera scuola cattolica" sottoscritto da molte scuole, soprattutto parentali, nonostante molte di esse non amino comparire per evitare vessazioni e boicottaggi nei loro confronti. Questa prossima seconda Giornata riprende il cammino e l'evento sarà poi anche ripetuto in altre parti d'Italia. Essa sarà sia un momento di riflessione sui contenuti della vera educazione cattolica, sia un momento di incontro, dialogo e confronto sulle problematiche pratiche. Tutto il mondo che ho descritto sopra è invitato.
    Il filo conduttore della Giornata del 29 aprile sarà "A scuola di verità. Il quadro del sapere e le discipline". Il tema è fondamentale: la fede interpella la ragione e, quindi, le discipline - le "materie" scolastiche, si diceva una volta. Questo richiede che la fede sia considerata come un "sapere", altrimenti non può pretendere di interloquire con le discipline di insegnamento. La vera scuola cattolica fa passare l'annunzio anche attraverso le discipline, i saperi particolari. In gioco c'è la possibilità o meno di un "universo del sapere", senza del quale i nostri figli saranno sperduti e soli.

  • VIDEO: Dovete credere! ➜ https://www.youtube.com/watch?v=e6b22FCDwbM&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1Uxp&index=3

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7324

    LA MEDICINA PERVASIVA COME NUOVO POTERE ASSOLUTO di Stefano Fontana
    Per comprendere che tipo di potere si celi sotto il nuovo "potere terapeutico" è utile fare quattro passaggi concettuali.
    Prima di tutto bisogna prendere atto che la medicina ha investito tutta la vita sociale, ben oltre i limiti della pura e semplice lotta alla malattia e "quando noi vogliamo fare ricorso a un campo che crediamo esterno alla medicina, ci rendiamo conto che è stato medicalizzato", "La medicina non ha più oggi un campo che le sia esterno". Come scrive dom Giulio Meiattinni, l'esperienza Covid ha attestato il passaggio dal "sanatorio appartato al sanatorio pervasivo" La medicina ci educa a come alimentarci, a come utilizzare il tempo libero e le vacanze, a dove abitare, a come costruirci la casa e a mille stili di vita. Essa pontifica sui rapporti tra psiche e corpo e ci induce a consumare integratori naturali per le più svariate finalità. Ci induce a modificare chirurgicamente il corpo per fini estetici e a imbottirci di steroidi e cocktail proteici. Veicola una artificiosa ideologia naturalista. La scuola viene progressivamente medicalizzata, con la trasformazione dei problemi educativi in problemi clinici. La medicina diventa oggetto di consumo e di costume. Essa investe il lavoro con la medicina del lavoro, o lo sport con la medicina dello sport. La terapia psicanalitica ha sostituito la religione. Oggi chi entra in una farmacia lo fa per mille motivi - dall'aborto chimico alla cosmesi - e non più solo per la tradizionale cura della malattia.
    Il fatto di maggiore impatto di questo ampliamento di campo è costituito dalla medicina preventiva, che interviene prima dei sintomi e non dopo. Secondo Meiattini le politiche Covid hanno avuto due conseguenze: l'assorbimento nel cittadino della categoria del paziente e la sparizione della categoria del guarito" Con la vaccinazione di massa, le modifiche del dna nei concepiti in provetta, l'eugenetica, le strutture sanitarie a disposizione della disforia di genere nei bambini, il blocco della pubertà per dilazionare il momento della scelta del genere… la medicina diventa un preconfezionamento dell'umanità futura nei cui confronti la prevenzione dalle malattie è solo uno strumento mentre il fine è il transumanesimo.
    LA MEDICINA COME POTERE
    Eccoci allora al secondo passaggio. Da tutto ciò è facile capire il nuovo significato politico della medicina. Essa rappresenta un enorme potere di controllo e pianificazione della popolazione. In questo potere trovano appuntamento le grandi case farmaceutiche, le fondazioni tecnologiche globali e i poteri politici. La medicina diventa così un sistema di governo politico, elemento fondamentale del Deep State. Le case farmaceutiche finanziano la ricerca, facendole dire quello che esse desiderano. I grandi media veicolano le narrazioni concordate. Il potere politico implementa le disposizioni necessarie a indirizzare i comportamenti dei cittadini.
    Questo nuovo potere sistemico, tuttavia, nelle democrazie occidentali ricerca il consenso dei cittadini che chiedono essi stessi di essere soggetti al controllo del potere sanitario/politico. È questo il significato dell'espressione "società palliativa". Il controllo sanitario, fin dalla metà del XVIII secolo, ha fatto emergere il soggetto della "popolazione" che in precedenza non esisteva dal punto di vista sociologico. Ora è la popolazione stessa che chiede di essere controllata e fonda a sua volta il potere sanitario. Così nelle democrazie occidentali si formano dittature sanitarie consensuali. Nel caso del biennio covid, nemmeno le dichiarazioni della Pfizer che attestavano come il lancio del prodotto fosse avvenuto fin dall'inizio nella consapevolezza della sua inefficacia è bastato perché la popolazione cominciasse a porsi qualche domanda, tanta era la convinzione prodotta in essa dal potere palliativo. Al concetto di società palliativa, va accostato poi quello di "psicopolitica" perché nell'occidente democratico la sorveglianza, il controllo e l'indirizzamento dei comportamenti si fa agendo sulle menti e non più sui corpi. Infine, va notato che il nuovo potere terapeutico si fonda sulla paura indotta, ma non la paura per le imposizioni o sanzioni del potere politico/sanitario, che invece si presenta e viene accettato come liberatorio dalla paura, bensì come paura dalle emergenze sanitarie e in particolare dai nuovi pericoli sanitari che, invece, proprio il potere sanitario produce.
    LA MEDICINA UCCIDE
    Una volta stabilito che la medicina è ormai pervasiva e che rappresenta un potere terapeutico, bisogna fare un terzo passo in avanti e comprendere che la medicina uccide: "la medicina uccide, ha sempre ucciso e ha sempre avuto coscienza di farlo". Non uccide per le sue carenze, per certe falle di ignoranza scientifica, per disfunzioni operative o per inadeguatezza degli operatori: "la medicina può essere pericolosa non a causa della sua ignoranza, ma per il suo sapere, proprio perché essa è una scienza".
    Oggi la medicina uccide tramite l'aborto di Stato, in applicazione delle leggi sull'eutanasia e il suicidio assistito, uccide gli embrioni umani prodotti in eccesso durante la fecondazione artificiale, i feti per trarne organi e cellule staminali per la ricerca. Durante la pandemia ha ucciso in vari modi: con la trascuratezza per gli effetti avversi, con l'applicazione obbligata di protocolli assurdi, con la negazione delle cure e la scelta ideologica e assoluta per il vaccino, facendo penare nell'isolamento tante persone anziane ricoverate, togliendo risorse ad altri reparti sanitari senza più la possibilità di garantire in essi la normale prevenzione e cura.
    A questi tre passaggi bisogna infine aggiungerne un altro. Il nuovo potere terapeutico si è integrato in un sistema economico politico che per alimentarsi e riuscire a mantenere il proprio potere ha bisogno che la società vanga concepita come composta da malati permanenti. L'onere della prova della malattia non deve più spettare al potere sanitario, ma al cittadino, da considerarsi malato fino a prova contraria da lui stesso prodotta. Ma siccome i criteri della prova sono stabiliti dal potere, il cittadino non è in grado di provare di non essere malato. Se non abbiamo la febbre è perché non ce la siamo ancora misurata. Il potere politico ha bisogno di malati "a priori", perché tutti possano rientrare nella sfera delle sue funzioni. Su questo esso fonda la prevenzione, come prefigurazione totale di una società futura. Ecco perché la società è come una immensa farmacia, o un immenso ospedale, dove le malattie si presuppongono e, per evitarle, si riprogramma l'essere umano. Se la malattia è permanente anche la paura è permanente e la paura rende permanente il potere.

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    IL CENTRODESTRA SVELA IL SUO VOLTO ABORTISTA di Stefano Fontana
    Il voto del 24 gennaio con cui la Camera (a grandissima maggioranza) ha "congelato" la legge 194 sull'aborto di Stato da ogni tentativo parlamentare, non solo di abolirla, ma anche di legiferare su quanto da essa disposto, ha rappresentato per la maggioranza uscita dalle recenti elezioni politiche uno schianto culturale e politico difficilissimo da recuperare. Si può parlare di fallimento.
    Dopo questo voto, il centro-destra ha un volto deturpato, o non ha più un volto. Il tema della difesa della vita non è un argomento settoriale della politica, esso è un "principio" e, come tutti i principi, non è negoziabile. Negoziare sui principi o, peggio, negare i principi vuol dire perdere i punti di riferimento fondanti, senza dei quali tutto cade perché diventa in-fondato. E se niente è fondato, tutto diventa manovrabile, cambiabile, sovvertibile, adattabile a seconda delle circostanze e degli interessi. Una maggioranza che non sa difendere nemmeno il fondamento della vita, perde di dignità politica anche in tutti gli altri campi e nei suoi confronti non fidarsi diventa d'obbligo.
    In questo frangente il centro-destra ha confermato di non avere una cultura politica. Infatti si è totalmente appiattito sul "fiore all'occhiello" della cultura del post-illuminismo borghese, dell'individualismo narcisistico, dell'emotivismo etico, della cultura postmoderna dei nuovi diritti: l'aborto. Se Meloni e Roccella la pensano come la Schlein su questo punto, che è un punto di luce per tutto il resto, come potranno pensarla diversamente sul resto? Con questo voto in aula, la coalizione che ha vinto le elezioni ha perso sul fronte della cultura politica.
    LA SINISTRA HA VINTO LA BATTAGLIA CULTURALE
    La sinistra, che ha perso le elezioni, governa ancora il Paese con le sue idee. La maggioranza di governo ha perso con le proprie mani. La grande questione è: se ne è accorta? Oppure l'assimilazione della cultura neo-borghese ha ormai preso il posto di una cultura di destra assente? Vincere per poi fare quello che dicono gli avversari, pensando per di più di averlo deciso in conformità alla propria cultura, è la peggiore delle sconfitte. Perdere pensando di vincere non ammette riscosse.
    La cultura del centro-destra non c'è, a ben pensarci però non c'era nemmeno alle elezioni. La Serracchiani, il giorno successivo all'esito elettorale, disse che nel Paese la sinistra era maggioranza. L'avevano derisa ma aveva ragione. La Meloni ha vinto perché PD e Terzo Polo non avevano trovato l'accordo. La Meloni non è stata eletta per la cultura alternativa di centrodestra che essa esprimeva, perché questa cultura non c'era. È stata eletta per mille motivi (giustissimi) di stanchezza, dopo la recita collettiva a copione prestabilito durata tanti anni.
    Se almeno la maggioranza leggesse più spesso quanto scrive Marcello Veneziani potrebbe trovare qualche strada, ma dubito che lo faccia. E i cattolici che ora siedono in Parlamento sugli scranni del centro-destra alzano la mano per approvare questa rinuncia pubblica alla verità del fondamento della vita, come nelle precedenti legislature di sinistra l'avevano alzata per la legge Cirinnà e iniziative legislative analoghe.
    PUO' UN CATTOLICO VOTARE CENTRODESTRA?
    Nel suo famoso libro del 1981 Dopo la virtù, Alasdair MacIntyre aveva sostenuto che se si rifiuta la possibilità di attingere a fondamenti etici impersonali e oggettivi e ci si rifugia nell'emotivismo secondo il quale la coscienza di ognuno è inconfutabile, si finisce per cancellare qualsiasi distinzione tra azioni sociali manipolative e non manipolative. L'aborto è una azione sociale manipolativa, in quanto l'altro non viene trattato come un fine ma come un mezzo.
    Con il voto sulla 194 la Camera della Repubblica ha fatto questa scelta, che è poi la scelta di gran parte del pensiero politico vincente nella modernità, secondo il quale "i valori sono creati dalle decisioni umane", come dicevano in tanti, da Weber ad Aron, da Nietzsche a Sartre, da Moore ad Hare. Ma è proprio da questa visione che una cultura di destra che voglia dirsi alternativa dovrebbe schiodarsi, ritornando invece ad una cultura dei fondamenti, ad una concezione che pone alla base della politica l'adesione ad un ordine impersonale. Proprio quanto con il recente voto sulla 194 non ha fatto.
    Nessun aiuto potrà venire in questo senso da Forza Italia, che possiede una (debolissima) cultura neoliberale. Non tutti i liberali sono uguali. Ci sono anche quelli che vogliono una "nuova costituente" o che, ricorrendo magari ad un Locke male interpretato, affermano di aver bisogno di Dio per fondare i diritti. Forza Italia non riesce nemmeno ad immaginare simili avventure intellettuali.
    Qualcuno poteva sperare qualcosa dalla Lega, che nei tratti originari aveva qualche elemento legato all'ordine naturale. Il punto di forza della coalizione poteva essere Fratelli d'Italia. Non certo per il discorso del fascismo che, anzi, fu storicamente un macro-fenomeno di secolarizzazione dell'Italia e di modernizzazione forzata, ma per il riferimento alla famiglia e alla nazione. Nel frattempo, la cultura politica alternativa alla sinistra modernista ancora attende.
    Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "A destra abortisti come a sinistra: la 194 è intoccabile" racconta come con 257 sì e tre astenuti, la Camera ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a non intaccare, nemmeno indirettamente, la legge sull'aborto.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 gennaio 2023:
    Atena dagli occhi azzurri, Odisseo ricco d'astuzie, il piè veloce Achille. Tutti attributi che vengono chiamati epiteti e che identificano un personaggio in modo peculiare, così peculiare che questi epiteti seguono sempre l'eroe in ogni circostanza, tanto da diventare la sua seconda pelle (Achille rimase il piè veloce Achille anche quando si trovava seduto).
    Qual è l'epiteto che più si confà alla legge 194 sull'aborto? Intoccabile. Un epiteto coniato prima nelle piazze, poi sui media e nei corridoi della politica e, infine, ora anche in Parlamento. Infatti il 24 gennaio scorso il M5S, in occasione della proposta di legge per l'istituzione della Commissione bicamerale sul femminicidio, ha proposto il seguente ordine del giorno, dopo una riformulazione del testo, assai più radicale nella sua forma originale, chiesta dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari: "La Camera impegna il Governo ad astenersi dall'intraprendere iniziative di carattere anche normativo volte ad eliminare o limitare il sistema di tutele garantito dalla legge n. 194 del 1978". L'odg è stato votato quasi all'unanimità dalla Camera (solo tre astenuti).
    Un odg che impegna il Governo non solo a non toccare gli articoli della 194, ma anche ad evitare, seppur alla lontana, possibili intralci alla sua applicazione. Ad esempio la compagine meloniana non potrà più proporre disegni di legge per il riconoscimento della soggettività giuridica del concepito o per l'aiuto economico alle donne con gravidanze indesiderate (verrebbe letto come deterrente all'aborto); non potrà più appoggiare iniziative provenienti dal mondo pro-life, né tutelare l'obiezione di coscienza. E l'elenco potrebbe continuare a lungo.
    Interessante leggere alcuni stralci dei paragrafi introduttivi dell'odg (cfr. pp. 32-33) per capire come tutti i parlamentari di ogni schieramento siano riusciti nell'impossibile, ossia siano riusciti a saldare una proposta di legge per istituire una commissione contro il femminicidio con l'aborto: "In tale contesto culturale riferito alla tutela della dignità delle donne il nostro ordinamento si è dotato, tra le altre, della legge 22 maggio 1978 n. 194". Nel giorno in cui viene approvata una Commissione sui femminicidi, il Governo si impegna a non modificare una legge che avrà soppresso almeno 3 milioni di bambine nel ventre materno e avrà ucciso nell'anima circa il doppio di donne, perché avrà ucciso la loro parte materna, quella più essenziale in ogni donna. Come la 194 possa tutelare la dignità delle donne rimane un ossimoro.
    L'odg prosegue dichiarando che la 194 "ha riconosciuto, da una parte, il diritto alla vita dell'embrione e del feto, e dall'altra, la tutela del diritto della donna alla salute fisica o psichica". La tutela della "vita umana sin dal suo inizio", enunciata all'art. 1, è rimasta sulla carta, è solo uno specchietto per le allodole. È come se avessimo una legge che all'art. 1 dichiarasse che lo Stato tutela i minori e nei seguenti articoli ti dicesse come sterminare questi minori quando la salute psicofisica delle loro madri è in pericolo.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7152

    COSA SI ASPETTANO GLI ITALIANI DA GIORGIA MELONI di Stefano Fontana
    Prima delle elezioni politiche la Bussola aveva auspicato un voto di cambiamento. Cambiamento netto rispetto ad un sistema di governo strutturatosi da lungo tempo e pericoloso. Bisognava porre la parola fine alle politiche disastrose nel campo della famiglia e della vita, al sistema di potere della sinistra e alle mille connivenze nei suoi confronti, a quello della eccessiva dipendenza dalla Commissione europea che tramite le parole della sua Presidente, a ridosso delle elezioni, ha perfino intimidito gli italiani, ai governi cooptati dall'alto e dal di fuori, alla ideologia dei "migliori" che soli sanno interpretare il senso della storia, alle politiche di controllo sociale messe a punto sotto l'insegna del Covid, alle narrazioni inventate dal potere e fatte passare dalla stampa strutturalmente complice come verità indiscutibili.
    La vittoria elettorale del centro-destra non garantisce fino in fondo questo cambiamento secondo i nostri auspici ma, come scrivevamo, apre degli spiragli dentro i quali è auspicabile si possano inserire forze nuove, provenienti anche dalla società civile e da una cultura alternativa che nel Paese c'è ma veniva costretta alla clandestinità. Si spera che sarà possibile dire parole nuove finora interdette, motivare prospettive nuove finora bloccate sul nascere, sottrarsi ad una cultura di sistema priva di verità. In altre parole, si riapre la partita, mentre con le precedenti maggioranze il sistema chiudeva i ranghi a soffocare ogni dissenso. Una partita dagli esiti non scontati, ma almeno ora si può sperare di poter almeno giocare.

    CHI FRENA IL CAMBIAMENTO
    Ragionando in termini realistici, si sa bene che alcuni elementi rimarranno a frenare il cambiamento. Il primo è il contesto internazionale. Ursula Von der Leyen ha detto che verranno adottare delle adeguate misure se in Italia le cose dovessero andare in un cero senso, ossia nel senso in cui sono andate. Meloni e Berlusconi, in campagna elettorale, avevano detto di voler garantire questo europeismo e questo atlantismo, con le conseguenti ripercussioni sulla guerra. Espressioni più problematiche e prese di posizione meno rigide non avrebbero guastato.
    Il secondo è il sistema di potere della sinistra, che non è evaporato come neve al sole dopo l'esito elettorale, ma che resiste nella società e nelle istituzioni e, passata la sbornia e sostituito Letta con Bonaccini, si mobiliterà in modo strettamente coordinato. La nuova maggioranza dovrà attendersi una lunga lotta: dalla mobilitazione degli studenti alla resurrezione dei sindacati, dall'impegno di certa magistratura "impegnata" alla disinformazione e deformazione della grande stampa e dei notiziari TV, che già in campagna elettorale si sono ben schierati.
    Il terzo è interno alla stessa coalizione di centro-destra. L'indebolimento della Lega, motivato dalla forzata convivenza delle sue due anime, quella istituzionale e quella popolare, soprattutto nel periodo del governo Draghi, non favorisce prese di posizione alternative, specialmente sul tema immigrazione. Lo stesso capiterà a seguito del "moderatismo" di Forza Italia. Quanto a Fratelli d'Italia, il partito è nascosto dietro a Giorgia Meloni, non si sa quale sia la sua classe dirigente, e quindi costituisce una incognita. Su alcuni temi di fondo, quindi, non solo c'è da aspettarsi posizioni diverse tra i tre partiti, ma dello stesso Fratelli d'Italia non è certo fino in fondo come la pensi.

    NUOVE POSSIBILITÀ
    Con tutte le cautele del caso, va accolto comunque favorevolmente l'esito elettorale che ha riaperto i giochi politici e culturali nel nostro Paese dopo tanto tempo. Si apriranno spazi nuovi per realtà nuove. A testimoniare il cambiamento dovrà però essere prima di tutto Giorgia Meloni. Spetta a lei dare qualche segno inequivocabile del cambiamento promesso, indicando subito almeno tre temi di immediato intervento da parte della futura maggioranza. Gli elettori sentono il bisogno di avere almeno tre esempi concreti e chiari che indichino una svolta altrettanto concreta e chiara. Su questo intendiamo anche noi fare delle proposte.
    Giorgia Meloni dica subito che il ddl Zan non verrà approvato da questa maggioranza parlamentare. Lo dica come indicazione politica, come impegno dei parlamentari eletti dal centro-destra. Lo dica nonostante nel programma della coalizione non fosse scritto un impegno chiarissimo su questi argomenti. Serve coraggio, perché dentro i partiti alleati (ma forse anche dentro FdI, questo popolo politico ancora non molto conosciuto) si trovano senz'altro spinte diverse. Sarebbe importante per qualificare una complessiva posizione sulla famiglia (naturale).
    Giorgia Meloni dica subito che l'Italia desidera la pace e auspica un dialogo tra le parti in causa in Ucraina per arrivare a quel risultato. Sarebbe un modo per marcare la diversità rispetto al "draghismo" che si era invece fortemente impegnato nell'acuire il conflitto anziché smorzare le braci, e porrebbe le basi per successive auspicabili decisioni di ritiro degli aiuti militari.
    Infine, Giorgia Meloni dichiari la cifra che, una volta al governo, si impegna ad erogare per finanziare la riduzione dei costi dell'energia, riservandosi di indagare più a fondo e con calma sulle cause del fenomeno.
    Tre parole: famiglia, pace, energia. Da dire subito. Per il cambiamento.

  • TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7138

    PUO' UN CATTOLICO VOTARE IL CENTRODESTRA? di Stefano Fontana
    In campagna elettorale gli interventi dei leader dei partiti cercano di intercettare interessi, opinioni, gusti diversi per ampliare il consenso. Questo è un lato della medaglia. L'altro è che in questo modo la loro proposta politica perde di chiarezza e intensità. Ciò è pericoloso sempre, ma soprattutto in questo momento di grande scontentezza, di forti problematiche sociali e di voglia di cambiamento.
    Giorgia Meloni aspira ad essere il leader del centrodestra e, in caso di vittoria alle elezioni, addirittura di guidare il governo. Sui temi etici, però, è piuttosto ondivaga, ora si dice convinta della necessità di sostenere famiglia e vita, ora apre alle coppie gay, dice che né la 194 né la Cirinnà saranno toccate, e concede qualcosa all'adozione di minori da parte di persone single o di coppie omosessuali. Queste variazioni danno l'idea di una visione poco unitaria, culturalmente dipendente da altri e scarsamente alternativa. Da notare poi che le incertezze della Meloni si accompagnano a quelle degli altri due partiti del centrodestra e ciò rende meno affidabile la coalizione, a vantaggio dei partiti minori che, almeno sulla carta, fanno proposte più decise e incisive. Per la Meloni, però, fare il gioco dei partitini minori vuol dire fare indirettamente il gioco della sinistra, dato che quelli i voti li tolgono a lei, non a Letta.

    DUE INTERVENTI DISCUTIBILI
    Di recente Meloni ha fatto due interventi molto discutibili sul tema della famiglia, della procreazione e dei minori. Ieri Giorgia ha risposto a Luca Trapanese, assessore del comune di Napoli, a proposito delle adozioni dei minori da parte di persone single o di coppie omosessuali. Partendo dal presupposto (sbagliato) che una persona single o una coppia omosessuale può voler più bene ad un bambino che una famiglia naturale, Giorgia Meloni si è dichiarata interessata ad esaminare la problematica al riguardo. Certo, ci possono essere di fatto famiglie naturali che non trattano bene i bambini adottati, ma questi casi sono una eccezione rispetto alle esigenze naturali per le quali il luogo umanamente più idoneo per crescere un bambino è una famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Invece, le adozioni da parte di single o di coppie omosessuali non possono strutturalmente, e non solo in via di eccezione, fare il bene del bambino, perché innaturali.
    L'altro suo recente intervento risale a qualche giorno fa, quando Giorgia scrisse una lunga lettera al giovane attivista LGBT che l'aveva interrotta e contestata sul palco durante una manifestazione elettorale a Cagliari. Nella lettera scriveva: "Anche io penso che siamo tutti uguali e tutti Fratelli e penso che ciascuno abbia diritto ad amare chi vuole, e che lo Stato debba farsi i fatti suoi. Oggi ci sono le unioni civili e in Italia puoi tranquillamente legarti ufficialmente con chi vuoi; non proporrei di togliere questo diritto". Aveva poi continuato, confermando la sua contrarietà a concedere la possibilità di adottare bambini alle persone single, che nella polemica con Trapanese diventa molto più sfumata e aperta.

    IO SONO GIORGIA, SONO UNA MADRE, SONO ITALIANA, SONO CRISTIANA
    Tutti ricordano, però, anche che il 20 ottobre 2019, alla manifestazione unitaria del centrodestra a Roma, Giorgia Meloni aveva tuonato contro il pensiero unico che ci vuole tutti come dei "codici" privi di identità per dominarci meglio: "Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana, non me lo toglierete! Mi vergogno di uno Stato che non fa niente per le famiglie... non credo in uno Stato che mette i desideri legittimi di un omosessuale di adottare un bambino di fonte al diritto di quel bambino di avere un padre e una madre semplicemente perché quell'omosessuale vota e il bambino no". Allora le sue posizioni erano diverse.
    Non intendo qui tanto criticare le contraddizioni elettorali di Giorgia Meloni e fare l'esegesi dei suoi vari comizi dal palco calibrando le parole da lei adoperate. Intendo piuttosto portare in evidenza una debolezza di Fratelli d'Italia e del centrodestra intero, che fatica ad esprimere una cultura politica a tutto tondo, senza sbavature, e che si traduca in proposte complessive e veramente alternative alla sinistra. Non hanno un quadro. Sul tema della famiglia il centrodestra non è capace di dire qualcosa di alternativo e gli interventi di Giorgia Meloni ora visti lo confermano. Non si limitino a dire che la 194 o la Cirinnà vanno applicate nella loro forma migliore, dicano che non corrispondono alla loro visione della vita e della famiglia e dicano quale sia quest'ultima.
    Queste osservazioni non riguardano solo il tema famiglia, adozioni & affini. Se la Meloni e il centrodestra vogliono stare nell'Unione Europea senza però mettere in discussione "questa" Unione Europea, non dicono niente di diverso da Letta e finisce che Letta trova i suoi oppositori più nella sinistra della propria coalizione che non nella coalizione avversaria. Sul problema energetico il centrodestra denunci le vere cause per cui siamo arrivati a questa situazione, contrasti decisamente la "transizione ecologica" voluta dalla sinistra e faccia non solo le giuste proposte per bloccare le bollette, ma dia anche una visione complessiva di un modo diverso di affrontare l'intero complesso problema. Per la scuola, non si limiti a pretendere l'abolizione delle mascherine in aula - che comunque il governo disporrà, almeno per motivi elettoralistici - ma dia una sferzata all'idea stessa di scuola oggi dominante, in modo coraggioso che rompa con lo statalismo.
    Altrimenti dovremo aspettare il prossimo contestatore di sinistra ad un comizio della Meloni per assistere a nuove sbavature nella sua proposta politica.

  • VIDEO: Criteri cattolici per un voto cattolico ➜ https://www.youtube.com/watch?v=DYulz37i9bU&list=PLolpIV2TSebURQLIBppY4bAc0bO7DbkRT

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7126

    ELEZIONI POLITICHE DEL 2022: DOVE SONO I CATTOLICI?
    I cattolici sono ormai irrilevanti nella politica italiana, ecco perché molti non andranno a votare (VIDEO: Criteri cattolici per un voto cattolico)
    di Stefano Fontana
    Andrea Riccardi, sul Corriere della Sera del 18 agosto, ha detto che ormai i cattolici sono "irrilevanti" in politica e bisogna chiedersi perché. Rispondiamo volentieri all'invito, non senza far notare, però, che il nuovo partito cattolico DemoS, espressione di Sant'Egidio di cui Riccardi è fondatore e curatore, ha finito per chiedere al Partito Democratico un seggio da qualche parte, il che dimostra una grande volontà di essere rilevanti. Ma a parte il contesto, l'affermazione di Riccardi è vera e seria e merita un qualche tentativo di risposta anche da parte nostra.
    Prima di tutto: i cattolici sono irrilevanti perché sono sempre meno. Nelle grandi città la frequenza alla messa domenicale si attesta sul 4 per cento. Nei centri più modesti le cose migliorano, ma in generale, come diceva Benedetto XVI in Portogallo, la fede sembra essere un lumicino senza più alimento e in via di spegnersi. Gli aspetti quantitativi non sono mai decisivi e i cattolici potrebbero essere creativi e influenti pur essendo in pochi. Tuttavia, la loro esiguità numerica evidenzia anche un aspetto qualitativo: l'evangelizzazione è trascurata perché scambiata con il proselitismo, le parrocchie spesso sono comunità di solidarietà e non di missione, e la Dottrina sociale della Chiesa, nei rarissimi casi in cui vi si fa riferimento, non viene minimamente intesa come "strumento di evangelizzazione". Per questo i "pochi" cattolici diventano anche "sparuti" e, come tali, non possono certo incidere.

    MANCA LA FORMAZIONE ALLA DOTTRINA CRISTIANA
    In secondo luogo, in questo (limitato) mondo cattolico la formazione dottrinale è in gravissima crisi, spesso anche per volontà degli stessi pastori. Prevalgono devozione e pastoralismo, ma i principi di riflessione e i criteri di giudizio non vengono più trasmessi. La formazione alla dottrina cristiana è molto carente, spesso non c'è per motivazioni teologiche che riprenderò più avanti, altre volte non c'è perché sacerdoti e laici sono impreparati a sostenerla, quando c'è si rivolge a piccoli o piccolissimi numeri. La maggioranza dei fedeli è lasciata senza formazione. Come pretendere che il cattolico sia presente in modo consapevole nella scena pubblica se ha idee confuse sulle principali questioni dottrinali? E cosa pretendere se molto spesso sono i pastori stessi a porre dubbi che destabilizzano le poche convinzioni che si hanno? La "rilevanza" politica è a valle, ma senza le condizioni a monte è irrealistico pretenderla.
    E così arriviamo al punto veramente decisivo. Quando alcuni fedeli cattolici - necessariamente pochi per i motivi visti sopra - sentono una spinta ad occuparsi dell'ambito politico, si trovano privi del collegamento tra la loro fede personale con le ragioni di quell'ambito politico. Siamo ancora - o addirittura la situazione è peggiorata - alla famosa mancanza di una coerenza tra Vangelo e vita, tra fede e cultura e, soprattutto, tra fede e politica. Al punto che, in molti casi, è meglio che questi fedeli non si impegnino in politica: produrrebbero meno danni.
    Conosco molti cattolici che sono militanti di +Europa, il partito di Emma Bonino, del PD che vuole il "matrimonio egualitario", dell'estrema sinistra che vuole il gender e il socialismo di Stato. Viene a mancare l'anello che lega la fede soggettiva alle verità oggettive credute, le quali hanno anche ripercussioni sulla vita politica e permettono quella "coerenza" tra fede e impegno politico di cui parlava la (tanto vituperata) Nota Ratzinger del 2002. Nessuna parrocchia e nessuna diocesi insegna la Dottrina sociale della Chiesa correttamente intesa, vale a dire non ridotta a parlare di ecologia.

    IL SINDACO DI VERONA
    Può essere un esempio efficace il caso del nuovo sindaco di Verona, Damiano Tommasi, eletto alle recenti amministrative. La persona è apprezzabilissima, cattolico da sempre impegnato nell'associazionismo ecclesiale, marito e padre di sei figli, onesto, generoso ed equilibrato. Però si è posto a capo di una coalizione di sinistra e ha aperto ai nuovi diritti, subito dopo la sua elezione c'è stato in città un gay pride di ringraziamento, ha affermato di voler inserire il comune di Verona nella rete Re.a.di. che collega i comuni che intendono promuovere iniziative di educazione sessuale nelle scuole secondo l'ideologia gender e l'omosessualismo. Il vescovo uscente di Verona, mons. Giuseppe Zenti, purtroppo per lui in modo maldestro e fuori tempo, ha richiamato alla coerenza: i cattolici non possono sostenere l'agenda gender, ma è stato zittito, ridicolizzato e considerato "irrilevante".
    Oggi si pensa che i cattolici possano sostenere qualsiasi agenda politica. Anche DemoS, come abbiamo visto sopra, darà una mano al partito che - parole di Letta - vuole il matrimonio egualitario, il suicidio assistito, la legge Zan e la cannabis legale. Del resto, se Francesco loda Emma Bonino, apprezza Biden contro Trump, si dice amico di molti leader comunisti latinoamericani, appoggia padre James Martin... perché un cattolico non può militare nei partiti che la pensano così? Ma se un cattolico può militare indifferentemente in tutti i partiti, allora la sua fede non possiede contenuti politici dirimenti e irrinunciabili, cioè non dice alla politica niente di più di quanto la politica possa dire a se stessa. Ecco l'irrilevanza vera e il suo ultimo fondamento. I cattolici si pongono nell'ambito politico nudi, vuoti e disponibili.
    Tutto ciò semplicemente capita o è voluto? È voluto. Che i cattolici si sciolgano, come tutti gli altri, in un generico e mondano "camminare insieme" oggi è teorizzato dai teologi che contano ed è insegnato dal magistero. Ma perché allora lamentarsi dell'irrilevanza dei cattolici? Bisognerebbe esserne contenti.

  • VIDEO: L’educazione cattolica ➜ https://www.youtube.com/watch?v=XAbc8uk2RVw&list=PLolpIV2TSebURQLIBppY4bAc0bO7DbkRT

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7092

    LA VERA SCUOLA CATTOLICA: HOMESCHOOLING E SCUOLE PARENTALI di Stefano Fontana
    150 persone provenienti da una decina di provincie italiane dal Piemonte al Lazio, otto sacerdoti presenti, molte scuole parentali cattoliche ed esperienze di homeschooling, pedagogisti, insegnanti e genitori di scuola paritaria e statale desiderosi di togliersi la camicia di forza, tre relazioni di contenuto e poi una fitta rete di contatti e scambio di esperienze. Questa in sintesi la riuscita Giornata nazionale sull'Educazione cattolica realizzata dall'Osservatorio cardinale Van Thuân sabato scorso 4 giugno a Lonigo (VI) nella ospitalità del convento di San Daniele dei Frati Minori.
    Il titolo del convegno era allarmante e propositivo: "È il momento della vera scuola cattolica", illustrato ancora meglio dal sottotitolo: "Uscire dal sistema per essere se stessi". Le tre relazioni di Stefano Fontana, don Samuele Cecotti e don Marco Begato sono state concordi nel constatare che esiste ormai un sistema ben collaudato e che si muove con coerenza non per educare ma per diseducare, per togliere i figli ai genitori, per impedire alla Chiesa di continuare a considerarsi primario soggetto educativo e non solo collaboratrice esterna e occasionale dopo aver delegato l'educazione ad altri e soprattutto allo Stato. Questo sistema si chiude a riccio per impedire vie di fuga, approfitta delle emergenze per implementare forme di controllo educativo, [...] interviene massicciamente sull'educazione perché da lì si controlla poi l'intera società e la politica.
    Nella platea del convegno molti insegnanti che hanno lottato, subendone le conseguenze, per la libertà di educazione durante il Covid, di genitori che hanno iniziato esperienze coraggiose di homeschooling per "salvare l'anima" ai loro bambini, di gruppi di mamme e papà cattolici che hanno adibito clandestinamente un sottotetto ad una scuola parentale per un gruppettino di loro figlioli. Era presente anche qualche istituto religioso che ha sentito l'impellente chiamata di dare vita ad una scuola parentale veramente cattolica e veramente libera, con la pronta adesione di molte famiglie. Molte e diverse le esperienze, alcune già collaudate altre sulla linea di partenza: in tutti la convinzione che la strada è quella giusta, la strada della vera libertà sia secondo ragione che secondo fede.

    USCIRE DAL SISTEMA
    Uscire dal sistema significa uscire dallo Stato e anche dalle strutture della Chiesa quando queste sono funzionali al nuovo regime educativo statalista. Come spesso purtroppo accade. La Chiesa oggi, è stato detto al convegno, è ancora interessata all'educazione, ma non più all'educazione cattolica. Qui la testimonianza dei partecipanti è stata unanime: nessun aiuto dalle istituzioni ecclesiastiche, quando va bene c'è il silenzio e quando va peggio l'ostilità.
    La Chiesa sembra aver stabilito di non avere nessun dovere/diritto originario di educare tutte le genti fino agli estremi confini della terra, ha cominciato a pensare di averlo fatto in passato per spirito di supplenza e che ora è giusto che siano le pubbliche istituzioni a provvedervi. In questo modo, però, la Chiesa rinuncia a quanto le è proprio per natura: come ha segnalato al convegno don Cecotti, la Chiesa insegna la verità rivelata, però questa si basa sulla ragione e quindi ha titolo originario anche per educare la ragione, in un unico progetto educativo perché unico, anche se distinto, è il progetto salvifico. Purtroppo, l'influenza di tante correnti della teologia contemporanea condizionate dalla prospettiva protestante ha rotto il rapporto tra fede e ragione sicché oggi si pensa che alla ragione debba pensare lo Stato e alla fede la Chiesa. Da qui il ritiro di quest'ultima dalla pubblica piazza.

    LO STATO MAMMA
    Che poi magari lo Stato insegnasse ad usare la ragione. Oggi, anche se non da oggi, avviene il contrario. Come hanno segnalato le relazioni mattutine al convegno, dapprima lo Stato si è dichiarato neutro da principi e valori, poi ha cominciato a combattere coloro che pretendevano ancora di tenere formi principi e valori pubblici, quindi ha iniziato a fare violenza imponendo i propri principi e i propri valori. Come è avvenuto da qualche tempo con l'istituzione dell'insegnamento dell'Educazione Civica in ogni ordine di scuola pubblica. Lo spunto del convegno nazionale di sabato scorso è stata proprio la pubblicazione del libro dell'Osservatorio "Manuale per la buona Educazione Civica" che intende contrapporsi alla nuova religione civile con la quale il potere intende plagiare e rieducare i nostri giovani ad un concetto di cittadinanza da esso artificialmente prodotto. Il libro - e il convegno che ne è nato - si vuole opporre allo Stato Educatore, Formatore, Plasmatore... allo Stato Mamma.
    I poteri reali però sono oggi più grandi dello stesso Stato, che impone l'educazione all'ideologia ambientalista per soddisfare le esigenze politiche ed economiche di chi vuole la transizione ecologica globale, che impone l'educazione digitale per soddisfare equivalenti esigenze politiche ed economiche di controllo globale dei movimenti, dei pensieri e dei desideri.
    È il sistema, bellezza! Sì, ma bisogna uscirne.

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    LA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA E' SOLO UNA TAPPA, NON LA VITTORIA FINALE CONTRO L'ABORTO di Stefano Fontana
    Dopo la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha dichiarato incostituzionale il diritto all'aborto, molti si sono mossi per renderlo costituzionale, ossia per inserire nella Carta dei rispettivi Paesi quel diritto. Anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in questo senso. Ciò non rende controproducente la decisione della Corte americana, come è già stato opportunamente chiarito, però impone di fare qualche riflessione di approfondimento sul costituzionalismo applicato all'aborto.
    La sentenza americana ha avuto veramente dei meriti storici, questo è fuori discussione. Va però tenuto presente che essa afferma che nel testo costituzionale non c'è alcun riferimento al diritto all'aborto, mentre non dice che l'aborto è costituzionalmente impedito. Tanto è vero che essa rimanda la palla alla legislazione dei singoli Stati. Per questo qualcuno ha parlato di una vittoria della democrazia. Però, a pensarci bene, in teoria tutti i singoli Stati dell'Unione potrebbero legiferare a favore del diritto ad abortire. In questo caso non sarebbe per niente una vittoria della democrazia. Il discorso della Corte Suprema si è attenuto strettamente al testo della Costituzione americana, non ha fatto alcun riferimento a qualcosa" che la preceda, come per esempio il diritto naturale alla vita del concepito. Ha stabilito che la costituzione non impone il diritto all'aborto agli Stati dell'Unione, ma ha anche certificato che la Costituzione nemmeno dice il contrario, ossia che il diritto all'aborto non può essere da loro previsto per legge. La Corte si è attenuta alla Costituzione, facendone quindi il punto di riferimento primo ed ultimo della vita giuridica e politica dell'Unione. Questa è, in fondo, una forma di costituzionalismo: intendere la carta costituzionale come non bisognosa di altro, essa stessa origine del diritto e della legge. Torno a dire che queste considerazioni non eliminano l'importanza del fatto, tuttavia meritano una riflessione per impostare una strategia appropriata per l'immediato futuro.

    L'ABORTO NON È UN DIRITTO, MA È ANCHE UNA INACCETTABILE INGIUSTIZIA
    La reazione di coloro che, in risposta alla Corte americana, vogliono costituzionalizzare il diritto all'aborto, si muove pure nel campo del costituzionalismo, ma con una impostazione più radicale. La Corte americana non ha decretato che l'aborto è vietato, ma solo che non è obbligatorio per gli Stati prevederlo, questi invece vogliono che le carte costituzionali decretino che è un diritto, e quindi un obbligo da rispettare. Tra le due posizioni c'è quindi una asimmetria, che potrebbe essere colmata solo se si facesse dire alla costituzione, non solo che l'aborto non è un diritto, ma anche che è una inaccettabile ingiustizia. La prossima ondata di tentativi di costituzionalizzare il diritto all'aborto non è contrastabile mantenendo solo la posizione espressa dalla Corte americana. Occorrerà passare alla costituzionalizzazione del divieto di abortire. Ma come si fa se la costituzione nulla dice a questo proposito? Bisognerà allora riferirsi a qualcosa che preceda" la Costituzione, ma questo è proprio quanto la Corte americana non ha fatto. Quella posizione, quindi, se è stata molto importante per rompere una tendenza e riaprire i giochi, non può essere la soluzione definitiva: solo facendo riferimento a una dimensione che possiamo chiamare, per capirci, di diritto naturale, sarà possibile contrastare la prevedibile ondata di pressioni per costituzionalizzare l'obbrobrio dell'aborto. Da un punto di vista culturale, questo mi sembra molto importante, perché noto come un soddisfatto appiattimento sulla decisione della Corte che non tiene conto che la lotta sarà molto dura e siamo non alla fine ma agli inizi. La chiarezza sui criteri per cui lottare è quindi molto importante.

    NON È STATO PROCLAMATO CHE IL MALE È MALE
    Quando il potere politico si mette sulla strada dell'ingiustizia legale, ossia di considerare giusto per legge quanto è invece ingiusto, non si può fermare a metà strada, non potrà lasciare aperte fessure per poter tornare indietro, dato che in questo caso il Male prende l'assolutezza del Bene. Quando lo Stato considera un diritto ciò che è invece è un torto, dovrà poi assolutizzare quel diritto, imporlo, educare i cittadini a considerarlo tale, insegnarlo ai bambini nelle scuole fin dalla tenera età, impedire che venga messo in discussione, punire come reato di opinione chi lo critica o lo contesta. Questo deve fare il Leviatano, anche nelle cosiddette democrazie liberali.
    La sentenza della Corte americana ha messo in discussione questo percorso, ma non ha portato a termine il processo di rovesciamento: non è stato proclamato che il male è male, si è detto solo che la costituzione americana non lo prescrive e non lo impone. Ma i militanti nel fronte avverso continueranno invece a dire che il male è un bene, e che se è un bene lo Stato ha il diritto di prescriverlo e di imporlo. Per non limitarsi a dire che la Costituzione non impone il male, e dire invece che il male è male e che la Costituzione lo deve impedire, bisogna andare a qualcosa che precede" la Costituzione. Questo è il compito che nell'immediato futuro devono assumersi i movimenti pro-life. La Corte americana ha riaperto i giochi, ora bisogna giocare.

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    LO SCISMA C'E', MA NON SI PUO' PIU' RICONOSCERE di Stefano Fontana
    Da quando è cominciato il Cammino sinodale tedesco, la parola "scisma", come uno spettro ibseniano, continua ad aleggiare nella Chiesa. I vescovi polacchi hanno segnalato il pericolo ai loro confratelli tedeschi. Settanta vescovi dalle varie parti del mondo hanno scritto loro una lettera aperta, mettendoli in guardia. Diversi cardinali, anche moderati come Koch, hanno segnalato il precipizio verso il quale ci si sta dirigendo. Ma né il cardinale Marx né il presidente dei vescovi della Germania Bätzing danno segni di voler accogliere gli inviti alla prudenza. Il primo ha affermato che il Catechismo non è scritto sulla pietra, il secondo ha accusato i vescovi preoccupati di voler nascondere gli abusi che invece il sinodo germanico vorrebbe affrontare e risolvere (a suo modo).
    Di fronte a questo quadro di disgregazione, ci si può chiedere se lo scisma possa essere evitato o meno. La domanda principale, a questo proposito, sembra la seguente: la Chiesa ufficiale di oggi possiede ancora le nozioni teologiche che permettano di affrontare il dirompente nodo, oppure ha perduto le categorie capaci di inquadrare il problema e mostrare la soluzione? Più di preciso: il pericolo dello scisma è ancora percepito dalla teologia della Chiesa ufficiale di oggi come un gravissimo pericolo? Su cosa sia uno scisma c'è condivisione? Sul perché bisogna evitarlo, su chi dovrebbe intervenire quando il pericolo fosse alle porte e come, c'è oggi una comunanza di visione?
    A preoccupare molti non è tanto il pericolo scisma, quanto la percezione che il quadro teologico ed ecclesiale per affrontare il problema sia sfilacciato e abbia ormai dei contorni molto imprecisi. Il che prelude alla immobilità e a lasciare che gli eventi procedano per conto loro.
    Quando il cardinale Marx sostiene, a proposito della pratica omosessuale, che il Catechismo non è scritto sulla pietra e lo si può criticare e riscrivere, altro non fa che esprimere in linguaggio giornalistico quanto i teologi ormai dicono da decenni. Ossia che il deposito della fede (e della morale) è soggetto ad un processo storico, perché la situazione da cui lo si interpreta entra a far parte a pieno diritto della sua conoscenza e formulazione. Usando questo criterio, che possiamo definire in senso lato "ermeneutico", e secondo il quale la trasmissione dei contenuti della fede e della morale non supera mai lo stato di una "interpretazione", la categoria teologica di scisma perde di consistenza, fino a scomparire. Ciò che oggi consideriamo scisma (e anche eresia), domani può diventare dottrina.
    Sul piano della Chiesa universale ci sono stati di recente tre fatti molto interessanti da questo punto di vista. Il primo è stato l'accordo tra il Vaticano e la Cina comunista. L'accordo è segreto, tuttavia si può dire che in questo caso è stata assunta nella Chiesa cattolica e romana una chiesa scismatica. Il confine tra scisma e non scisma è diventato più impreciso dopo l'accordo con Pechino.
    Il secondo è stato il cambiamento della lettera del Catechismo a proposito della pena di morte. Questo cambiamento ha diffuso l'idea che il Catechismo non fosse scritto sulla pietra, proprio come dice il cardinale di Monaco. La motivazione principale per giustificare il cambiamento è stata la presa d'atto che la sensibilità pubblica su questo punto morale era cambiata. La sensibilità pubblica, però, è solo un dato di fatto che non dice niente sul piano assiologico o dei valori. Ora, su questi presupposti come negare che anche nella Chiesa tedesca possa essere maturata una nuova sensibilità sui temi dell'omosessualità e del sacerdozio femminile? Come chiamare tutto questo "scisma", se si tratta invece dello stesso fenomeno approvato altrove?
    Il terzo esempio è l'abolizione della dottrina morale della Chiesa sugli "intrinsece mala" contenuta di fatto nell'Esortazione apostolica Amoris laetitia. Risulta molto difficile, dopo questo documento, tener fermo l'insegnamento precedente circa l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive che non si devono mai fare. Ma venendo meno questa nozione sarà ancora possibile confermare il tradizionale insegnamento della Scrittura e della Chiesa sulla pratica omosessuale?
    Sembra che la Chiesa faccia fatica a tenere per ferme alcune sue verità. Del resto, se il Catechismo non è scritto sulla pietra, allora anche la definizione di "scisma" in esso contenuta, può essere rivista e quello che ieri era considerabile come scisma ora potrebbe non esserlo più. Addirittura di scisma potrebbero essere accusati coloro che tengono ferme le verità del Catechismo come se fossero scritte sulla pietra. Negare che il Catechismo non sia scritto sulla pietra potrebbe essere considerato un pronunciamento scismatico. Nella perdita dei confini tutti i paradossi diventano possibili. Quanto detto può essere esteso anche all'eresia e all'apostasia, concetti anche questi dai dubbi confini oggi. Si pensi solo ad un fatto: il "dubbio ostinato" può essere considerato apostasia secondo il n. 2089 del Catechismo, eppure oggi si insegna ai fedeli il dubbio sistematico, invitandoli a non irrigidirsi nella dottrina.

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    ENZO BIANCHI: DALLE STELLE ALLE STALLE di Stefano Fontana
    Ogni fedele cattolico, proprio perché sa di essere purtroppo incoerente, apprezza negli organismi della Chiesa la coerenza. A proposito degli ultimissimi sviluppi del caso Enzo Bianchi questa coerenza non si è vista e a farne le spese, ancora purtroppo, sono gli organi ecclesiastici vaticani, in questo caso la Segreteria di Stato.
    Quali sono questi ultimissimi sviluppi? È venuta alla luce, in quanto pubblicata dal quotidiano il "Domani", una lettera del Segretario di Stato Pietro Parolin del gennaio 2020 nella quale si invitano i vescovi italiani a considerare se sia opportuna la presenza di Enzo Bianchi in diocesi come conferenziere o predicatore. Nella sua lettera Parolin fa riferimento ad alcune nuove "testimonianze" e "documentazioni" che sarebbero arrivate alla Segreteria di Stato dopo il decreto, risalente a due anni fa, con cui la Santa Sede estrometteva Bianchi dalla Comunità di Bose da lui fondata. La lettera non chiarisce quali siano queste novità, ma esprime una chiara insistenza affinché a Enzo Bianchi sia tolta la platea. In altre parole una messa al bando dalla Chiesa visibile.
    Non ho avuto mai simpatia per le posizioni teologiche e morali espresse in tutti questi anni da Enzo Bianchi - tutt'altro! - però non si può non notare il repentino cambio di prospettiva da parte della Chiesa ufficiale che lascia molto perplessi proprio in fatto di coerenza.

    DALLE STELLE...
    Enzo Bianchi è stato per anni osannato. La formazione del clero di Biella, la diocesi del monastero di Bose, era completamente in mano sua. Fior fiore di cardinali si recavano in pellegrinaggio a Bose per avere i suoi consigli. Non c'era convegno ecclesiale nel quale Bianchi non fosse relatore ufficiale. Si era perfino parlato di una sua ordinazione cardinalizia. Le vetrine delle librerie delle Paoline da decenni espongono soprattutto i libri di Enzo Bianchi, che per presenza in primo piano ha senz'altro battuto perfino il cardinale Ravasi, che da questo punto di vista sembrerebbe non essere secondo a nessuno. Il suo faccione barbuto ha campeggiato nella copertina dei suoi numerosissimi libri, che gli editori cattolici si contendevano, come una grande icona ecclesiale, il biglietto da visita del cattolicesimo moderno e del futuro. Il monastero da lui fondato non aveva veste giuridica ecclesiale, Bianchi non era (come non è) né religioso né sacerdote, eppure era considerato un punto di riferimento insostituibile del cattolicesimo.
    Egli collocava i suoi concetti sempre sul confine dell'eterodossia. Quando Benedetto propose i suoi principi non negoziabili, Bianchi elencò i propri, naturalmente diversi da quelli del papa. Gridò di smetterla con tutti questi discorsi contro l'omosessualità, dato che Cristo non ne aveva mai parlato. Nonostante tutto questo - anzi proprio per tutto questo - però la sua stella rimaneva in ascesa, gli inviti alle conferenze e ai convegni continuavano e nessun Segretario di Stato o Prefetto di qualche dicastero vaticano si era mai permesso di criticarlo né naturalmente di interdirne la presenza nelle diocesi. Certo, c'è stato anche chi lo ha accusato pubblicamente di dire cose sbagliate, come ha fatto senza timori reverenziali mons. Antonio Livi, ma l'opinione pubblica ecclesiale era dalla parte di Bianchi e non da quella di Livi.

    ... ALLE STALLE
    Ora, invece, gli viene interdetto di parlare in pubblico. E per di più non risulta che ciò sia dettato da motivi dottrinali. Il riferimento della lettera di Parolin a fatti che in questi ultimi anni sarebbero venuti a galla e che non ci è dato di conoscere, motivano il riserbo. Tuttavia da qualche affermazione della lettera, sembra che l'esilio sia motivato non da errori dogmatici espressi da Enzo Bianchi, ma da comportamenti scorretti dal punto di vista disciplinare e pastorale, nel campo dell'esercizio dell'autorità e delle relazioni umane. Si sarebbe capita una dichiarazione della Congregazione della Fede su gravi passaggi di alcuni suoi libri e, di conseguenza, l'invito ai vescovi a non invitarlo più in diocesi. Questo invece non si è verificato, mentre ora arriva la chiusura dei microfoni e lo spegnimento dei riflettori non per errori dottrinali del suo pensiero, ma per taluni comportamenti. Questo segno ecclesiale dei tempi di oggi lascia perplessi: un vescovo oggi viene destituito non perché insegna dottrine erronee, ma perché non collabora pastoralmente con i suoi confratelli all'interno della Conferenza episcopale. Così Enzo Bianchi è da isolarsi non perché abbia espresso una teologia inattendibile e pericolosa, ma per comportamenti inadatti (e non specificati).
    Contemporaneamente all'allontanamento di Enzo Bianchi e al suo isolamento, tantissimi altri Enzo Bianchi sono lasciati al loro posto a pontificare. La Germania di oggi è piena di teologi, professori, conferenzieri, vescovi che le dicono anche più grosse di Enzo Bianchi. Nessun podio viene interdetto al famoso gesuita James Martin. Le vetrine delle librerie delle Paoline, ora che devono togliere i libri di Enzo Bianchi, rimarranno lo stesso piene di testi problematici, inaffidabili e spesso sul crinale dell'eterodossia esplicita.

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    COSA DICE LA CHIESA A PROPOSITO DELLA GUERRA di Stefano Fontana
    La Dottrina sociale della Chiesa si è molto occupata della pace e quindi anche della guerra. In questo momento di pericolo e tragedia possiamo attingere ancora una volta ai suoi criteri di giudizio. È bene cercare di capire i fatti e i comportamenti degli attori e studiare gli antecedenti dei conflitti, Per non perdersi, però, nella complessità della casistica rimane fondamentale rifarsi ai principi. La Dottrina sociale della Chiesa dà i propri insegnamenti alla luce del diritto naturale elevato e purificato, ma mai negato o soffocato, dalla morale evangelica delle beatitudini.
    La guerra può essere di aggressione o di difesa. La guerra di aggressione è sempre da condannarsi e sempre va confermato il diritto alla legittima difesa della patria, come sempre vale il diritto alla legittima difesa della famiglia da chi la minaccia gravemente. L'uso delle armi, anche in caso di una chiara motivazione difensiva, è comunque sottoposto a limiti etici. Il danno provocato dall'aggressione deve essere "durevole, grave e certo". Si richiede inoltre che siano stati fatti senza esito tutti i passi necessari per evitare la necessità dell'uso delle armi anche per difendersi. che ci siano "fondate condizioni di successo" onde evitare il sacrificio di una interna nazione e, infine, che l'uso delle armi non provochi danni e disordini maggiori del male da evitare. I due criteri principali sono quindi quello della necessità e quello della proporzionalità. Non esiste un diritto alla guerra di aggressione, ed anche la guerra di difesa è sottoposta a criteri molto esigenti.

    LE ALLEANZE DIFENSIVE
    Il diritto delle nazioni alla difesa può permettere forme di alleanze tra Stati affinché anche i più deboli possano essere protetti. Le alleanze difensive, però, non devono trasformarsi in alleanze offensive e minacciose per la pace. Il ricorso agli armamenti per motivi difensivi non deve avvenire trascurando i doveri di cercare strenuamente accordi internazionali per il disarmo bilanciato e progressivo. Il possesso degli armamenti per la difesa non è quindi indifferente dal punto di vista morale e politico, come se la questione si ponesse solo per il loro uso. Il possesso non è una variabile indipendente, esso trova la sua legittimazione nello sforzo mai interrotto di concordare un progressivo disarmo al fine di ridurre anche i limiti del possesso. I due criteri della necessità e della proporzionalità riguardano quindi non solo l'uso delle armi ma anche il loro possesso, nell'impegno di alzare progressivamente la soglia dei due criteri. Senza questo impegno reale la corsa agli armamenti diventa colpevole. Non vale nemmeno l'accumulo di armi per scopi di deterrenza, ossia per trattenere o dissuadere gli avversari da possibili aggressioni. La deterrenza diventa uno stimolo alla rincorsa verso armamenti sempre maggiori e fa aumentare il pericolo.
    La Dottrina sociale della Chiesa ha posto limiti molto rigidi non solo all'inizio di una guerra ma anche all'uso delle armi dopo lo scoppio di una guerra, da qualsiasi parte in conflitto. Nel rispetto del diritto internazionale umanitario devono essere preservati i civili, sia da parte dell'eventuale aggressore sia da parte di chi organizza le azioni militari di difesa. L'uso di milizie civili e di resistenza civile, soprattutto l'utilizzo di donne e bambini, deve essere evitato dalle parti belligeranti. Coloro che cercano rifugio in altri Paesi per fuggire dalla guerra che ha colpito il proprio devono poter contare su corridoi riservati e sull'aiuto della comunità internazionale. In queste occasioni si deve porre particolare attenzione a non dividere le famiglie.

    L'INGERENZA UMANITARIA NON È UN DIRITTO, MA UN DOVERE
    È possibile che una minoranza sia sottoposta a gravi minacce non solo per la sua libertà, ma anche per la sua stessa sopravvivenza. In questi casi la comunità internazionale ha un dovere di ingerenza umanitaria, sulla base del quale intervenire a protezione delle vittime e per impedire violenze sistematiche che talvolta arrivano anche al genocidio. In questi gravissimi casi si può anche non rispettare la sovranità degli Stati, bisogna però porre grande attenzione perché quello all'ingerenza umanitaria non è un diritto, è un dovere. Quindi è sottoposto ai principi generali che rendono legittima la guerra già visti sopra nonché al diritto internazionale.
    Le sanzioni, soprattutto quelle economiche, possono essere assunte solo a determinate condizioni e finalità. Devono indurre alla trattativa e al dialogo, non devono gravare sulla popolazione come una punizione indiscriminata, devono essere limitate nel tempo, saggiamente monitorate affinché non facciano soffrire l'intera popolazione.
    Ogni guerra ha una storia dietro le spalle. Si è trattato di una serie di incomprensioni, violenze e ingiustizie accumulatesi e diventate poi "strutture di peccato" (Giovanni Paolo II). Le iniquità producono danni lungo il tempo e lasciano tracce che pesano sul futuro. È doveroso risalire all'indietro, riprendere il passato, chiarirlo alla luce della ragione e perdonarlo alla luce della fede. Ideologie politiche atee e disumane sono state e sono tuttora grandi cause di guerre. La verifica e purificazione del passato comporta anche di liberarsi da esse. L'Europa, in particolare, ne è ancora molto gravata e questo ha comportato e comporta ancora forme di "guerra civile" europea da superarsi.