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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8019
IL NATALE DEI REGALI LO HA INVENTATO DIO di Don Stefano Bimbi
L'arrivo del Natale è imminente e, come sempre, dobbiamo prepararci ad ascoltare le stesse critiche moralistiche contro il consumismo che inquinerebbe lo "spirito natalizio". È un cliché fastidioso che si può ascoltare nelle conversazioni tra amici come, purtroppo, anche nelle omelie dei sacerdoti. Sui giornali più diffusi si potranno leggere articoli che rimproverano l'aspetto "pagano" della frenesia dei regali a Natale, mentre paradossalmente questi stessi giornali dipendono dalla pubblicità e i loro editori traggono profitto dai consumi.
Per non parlare delle pressioni degli ecologisti e le loro periodiche campagne di sensibilizzazione per la riduzione del consumo di energia con iniziative ridicole come "M'illumino di meno" che coinvolge amministrazioni pubbliche per spengere l'illuminazione di monumenti ed edifici pubblici. Spegnere la luce diventerà quindi uno stile di vita sostenibile da imporre al popolo per salvare il pianeta?
Almeno noi cristiani a Natale dovremmo invece concentrarci su Gesù, il nostro Salvatore e la gioia della nostra vita, non certo adeguarci alle chiacchiere sui doni scambiati in questo periodo. Chi si lamenta del consumismo natalizio, dei negozi sempre aperti, dello sfarzo delle luci nelle strade, dei pranzi interminabili in famiglia, probabilmente non ha niente di significativo da dire su Gesù e sul fascino della sua venuta nel mondo. Questo accade a chi ha perso lo stupore dei fanciulli di fronte alle luci, ai regali e a Gesù bambino nella mangiatoia di Betlemme.
Molti cristiani di oggi somigliano a quei farisei i quali, di fronte a Gesù che guarisce l’uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6; Lc 6,6-11), iniziano a polemizzare perché lo ha fatto di sabato. Passa così in secondo piano quanto compiuto dal falegname di Nazareth. Essi non si lasciano stupire o interrogare nemmeno da un miracolo straordinario compiuto da una persona così umile.
LA NOTIZIA PIÙ GRANDE DI TUTTI I TEMPI
Noi cristiani abbiamo la responsabilità di condividere con i familiari, i parenti, gli amici e tutti quelli che incontriamo la notizia più grande di tutti i tempi, la più emozionante e consolante: Dio si è fatto uomo ed è venuto a vivere tra noi per guarirci e per salvarci. In questo periodo abbiamo la speciale opportunità di proclamare che niente sarà più triste e disperato come prima. Invece di criticare il consumismo, abbiamo l'obbligo di proclamare la gioia e l'amore che questo evento porta con sé.
In effetti, il primo Natale dei regali fu quello di duemila anni fa, quando i Re Magi portarono a Gesù dei doni. Il Vangelo sottolinea con favore questa spontanea generosità, poiché perfino l'oro era una risposta modesta a un dono immenso come il Bambino nato per noi. A pensarci bene, Dio stesso ha inaugurato il "Natale dei regali" già all'inizio dei tempi quando ci donò l'intero universo con tutte le sue meraviglie. Nessuno ha mai dato così con tanta abbondanza e generosità come Dio. Egli infatti non si è limitato a creare la terra, la luna e il sole, ma l'intero sistema solare. Non solo, ma ha creato anche molti pianeti e stelle, anzi galassie intere, in tal numero che che possiamo alzare lo sguardo verso il cielo e dire: "Che Dio sprecone, bastava anche meno!". Non scherziamo. Proprio questo "spreco" di aver creato mondi lontanissimi, che sono per noi solo delle piccole luci nel cielo, indica quanto è grande l'amore di Dio nei nostri confronti. Avrebbe potuto creare solo mucche e capre, polli e maiali per sfamarci e invece ha fatto il colibrì, il delfino, l'ippopotamo e la coccinella, insieme a miriadi di animali, vegetali e minerali che compongono il giardino nel quale viviamo.
UN DIO "SPRECONE"
Insomma questo Dio "sprecone", che ci ama così tanto, a un certo punto della storia si è perfino fatto carne per abitare in mezzo a noi. Anziché lamentarci del consumismo, dobbiamo impegnarci a donare ancora di più, non solo a parenti e amici, ma anche a coloro che sono meno fortunati, ai poveri e ai sofferenti, affinché anche loro possano partecipare alla gioia del Natale. Anche donare il proprio tempo a chi è solo e abbandonato è un regalo prezioso. Insomma il Natale ci invita a non fermarci ai regali materiali, che pure contribuiscono a vivere con gioia questa grande solennità dell’anno liturgico, ma ad andare oltre, donando noi stessi e condividendo con gli altri l'amicizia di Cristo, il regalo più grande di tutti.
A questo punto potremmo chiederci: "Come possiamo rimanere in silenzio di fronte a coloro che pensano solo ai regali, ai dolci e alle luci, ma si vedono in chiesa solo il giorno di Natale?". Innanzitutto potremmo complimentarci con loro per aver scelto di venire in chiesa per una festa importantissima che ricorda l'incarnazione del Figlio di Dio. Un evento così importante che ha diviso la storia in un prima e un dopo, come ci ricorda il conteggio degli anni. Da qui può partire una riflessione sul vero senso dei regali, delle luci, dei dolci per poi arrivare a Gesù, il vero regalo, la vera luce del mondo, il vero sapore delle cose.
"E che dire di chi non viene alla Messa nemmeno a Natale e magari preferisce una vacanza esotica?". A coloro che si accontentano di piccole gioie terrene, come una settimana alle Maldive o a sciare sulle Dolomiti, diciamo che possono avere molto di più. A Natale ci viene donato il Figlio stesso di Dio che contiene tutte le bellezze del mondo, l'amore, l'amicizia, la gioia e il significato della vita.
In conclusione: anziché criticare il consumismo che esplode a Natale sarebbe bene che noi cristiani recuperassimo il vero senso di questa festa, approfittando di questo stupendo periodo per far percepire ad una umanità allo sbando un raggio di quella luce che è venuta per essere accolta, perché chi la accoglie ha il potere di diventare figlio di Dio, mica Greta Thunberg. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8012
RICONOSCIUTO IL 71° MIRACOLO A LOURDES di Paola Belletti
La Chiesa di solito non ha fretta. [...] Ce lo mostra [...] la storia di un soldato britannico, John Traynor, e del 71° miracolo riconosciuto a Lourdes. Nato a Liverpool da madre irlandese, nel 1883 si arruolò nella Royal Navy all'inizio della Grande guerra. Il primo conflitto mondiale è famigerato per la sanguinosità delle battaglie e il costo spropositano in termini di vite umane strappate e di quelle segnate da ferite gravi e mutilazioni, al punto che molte opere sorsero per dare sollievo proprio a chi si era salvato dalla morte immediata, ma se l'era in qualche modo portata a casa sotto forma di menomazioni, malattie e dolori indicibili. Dieci milioni i soldati caduti sul campo di battaglia, venti i feriti.
John è uno di quelli: rimase ferito per la prima volta l'8 ottobre del 1914 vicino ad Anversa, durante l'attacco tedesco al Belgio che contava sulla città fortificata come roccaforte inespugnabile. Negli scontri John Taylor venne ferito per la prima volta, l'8 ottobre del 1914; una seconda avvenne nella battaglia di Gallipoli (attuale Turchia) quando fu raggiunto da colpi di mitragliatrice, l'8 maggio dell'anno successivo, il secondo del conflitto. Da quel momento iniziò il calvario di sofferenze per il giovane soldato, come leggiamo sul sito del santuario mariano: «Numerosi interventi chirurgici fallirono. Perse l'uso del braccio destro, ma rifiutò l'amputazione e soffrì di gravi crisi epilettiche. Nel 1920, un chirurgo di Liverpool tentò di curare l'epilessia con la trapanazione, che causò una paralisi parziale di entrambe le gambe. Le sue condizioni erano tali che all'inizio dell'estate del 1923, "fu destinato all'hospice des incurables, dove sarebbe entrato il 24 luglio 1923" (procès verbal de guérison du Bureau des Constatations Médicales, firmato dal presidente, Docteur Auguste Vallet, 2 ottobre 1926)».
Quando le possibilità solo umane si avviavano all'esaurimento, seppure in un accompagnamento pietoso, John decise di bussare alla porta di Maria SS: nel luglio del 1923 partecipò al primo pellegrinaggio dell'arcidiocesi di Liverpool al santuario di Lourdes. Il 25 luglio, dopo essere stato immerso nelle piscine e aver partecipato alla processione eucaristica e alla benedizione degli ammalati, si trovò perfettamente guarito. «Lo stesso giorno, i medici che accompagnavano il pellegrinaggio confermarono le sue condizioni. Lasciò Lourdes il giorno seguente. Si recò al Bureau des Constatations Médicales il 7 luglio 1926 per dichiarare la sua guarigione. John Traynor tornò a Lourdes ogni anno come barelliere, fino al 1939. È membro della Liverpool Brancardier Association. Si dice nel Regno Unito che sia stato il primo cattolico britannico a essere guarito a Lourdes. Morì l'8 dicembre 1943 per una malattia completamente diversa».
RICONOSCIUTO IL MIRACOLO DEL 1923
Un secolo e un anno dopo il Santuario di Lourdes accoglie la proclamazione ufficiale post-mortem del 71° miracolo di Lourdes, da parte di Mons. Malcolm McMahon, arcivescovo di Liverpool. Ridotta a cronaca asciutta di uno degli innumerevoli miracoli avvenuti per intercessione di Maria nei pressi della grotta di Massabielle, la storia del corpulento, sano e vivace John, non emerge in tutta la sua bellezza. Chi lo ha conosciuto anni dopo la guarigione ce ne lascia un affresco vivido e consolante. Così ce lo tratteggia un testimone oculare: «Lo vidi per la prima volta mentre camminavo lungo la banchina con la mia valigia e lo vidi in attesa di salire sulla carrozza in cui speravo di viaggiare. Un uomo di corporatura robusta, alto circa cinque piedi e dieci, con un viso forte, sano e rubicondo, vestito con un abito grigio piuttosto sgualcito, che portava la sua borsa da viaggio, si distingueva dalla folla circostante. Con lui c'erano due dei suoi bambini piccoli e otto o dieci pellegrini irlandesi e inglesi che tornavano a casa da Lourdes. Ora, John Traynor era un miracolo perché, secondo tutte le leggi della natura, non avrebbe dovuto essere lì in piedi, robusto e sano. Avrebbe dovuto essere, se fosse stato vivo, paralizzato, epilettico, una massa di piaghe, rattrappito, con un braccio destro raggrinzito e inutile e un buco spalancato nel cranio. Questo era quello che era stato. Questo era il modo in cui l'abilità medica aveva dovuto lasciarlo, dopo aver fatto del suo meglio. Questo era il modo in cui la scienza medica aveva certificato che doveva rimanere». Di lui ricorda con gratitudine la fede virile, senza eccessi, la personalità naturale e modesta, un'intelligenza pulita arricchita proprio dalla fede senza aver potuto forgiarla con un'istruzione superiore.
LA FEDE CATTOLICA
Rimase orfano in giovane età ma della madre ricorda la grande devozione alla santa Messa e alla Comunione insieme alla solida fiducia nella Santa Madre di Dio. John ricorda che si accostava all'Eucarestia quotidianamente quando la pratica era assai poco diffusa. Quando venne ferito la prima volta stava svolgendo il suo dovere di soldato con coraggio e dedizione: la scheggia che gli arrivò nel cranio lo sorprese mentre stava portando in salvo uno dei suoi ufficiali. «Non riprese conoscenza fino a cinque settimane dopo, quando si svegliò dopo un'operazione in un ospedale marittimo in Inghilterra. Si riprese rapidamente e tornò in servizio». Anche nella spedizione in Egitto e sui Dardanelli continuò a distinguersi per abnegazione e forza in condizioni asperrime e disastrose per le forze alleate. La risposta dei Turchi fu così violenta che le operazioni furono sospese per diverse ore; tutti gli ufficiali erano stati uccisi e per questo Traynor si ritrovò a capo di 100 uomini. Anche il cappellano cattolico, padre Finn, venne ucciso e finì in acqua ma John e alcuni compagni recuperarono il corpo e lo seppellirono sulla riva. Continuava ad essere virtuoso, a perseguire il bene possibile in ogni circostanza. Resistette incolume fino all'8 maggio quando fu crivellato da una serie di colpi che segnarono l'inizio della sua dolorosa "carriera" di invalido e paziente sottoposto a numerose operazioni inefficaci e anzi portatrici di altra sofferenza.
Persino la storia del pellegrinaggio ha del miracoloso per tutti gli ostacoli che dovette superare, a causa della ferma e anche ragionevole opposizione di medici e sacerdoti e per tutti i fondati pronostici di morte che in molti gli fecero. John non desistette mai, l'obiezione che sarebbe potuto morire a Lourdes o già durante il viaggio la vinceva rispondendo che sarebbero stati un buon posto e una buona causa per cui morire. Nemmeno la guarigione arrivò al primo tentativo ma, racconta egli stesso, volle partecipare a tutte le devozioni e a tutte le immersioni nelle piscine che poteva.
Nel frattempo soffriva terribilmente perché gli standard di cura sia sui treni dei malati sia all'Asile dove sostavano gli infermi gravi al santuario non erano affatto come sono ora. Le ferite peggiorarono, le crisi epilettiche si acuirono, ma ogni volta, invitato con forza a desistere da quasi tutti, John ribadiva la sua ferma intenzione a restare. Dopo la decima immersione nelle piscine, uscì e non ebbe più crisi epilettiche. Nelle ore e i giorni successivi la sua guarigione divenne totale. Per non allarmare (o forse perché anche se non c'era Whatsapp gli uomini tendevano a comunicare così, con meno del minimo indispensabile), mandò un breve telegramma alla moglie: «Sto meglio, Jack». -
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TUTTO IL MONDO A NOTRE DAME, MALGRADO IL NUOVO LOOK di Stefano Chiappalone
1500 persone all'interno e 4mila all'esterno, 170 vescovi non solo francesi, due cardinali dall'estero (il newyorkese Timothy Dolan e il libanese Béchara Raï) e 40 capi di Stato: l'attenzione mondiale per la riapertura di Notre Dame la sera di sabato 7 dicembre è stata pari all'universale sconcerto del 2019, quando nel rogo dell'edificio rischiava di sparire un simbolo caro non solo ai parigini. Mantenuta la promessa quasi messianica di ricostruire il tempio - ma con l'accortezza di aver indicato «cinque anni» al posto degli evangelici «tre giorni» - il presidente Emmanuel Macron si è goduto un momento di indiscutibile grandeur proprio grazie a un simbolo di quell'Europa che fu cristiana, con buona pace della laicité.
Macron bagnato, Macron fortunato: la pioggia di sabato sera ha fatto sì che il suo discorso si tenesse all'interno del tempio invece che all'esterno, come inizialmente previsto. Così che a tratti gli officianti sembravano due, il presidente e l'arcivescovo Laurent Ulrich, sin dall'esterno della cattedrale dove Macron ha accolto la "processione" dei leader mondiali, tra cui - limitandoci solo a qualche nome - Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, il principe William del Galles, il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj, la first lady USA Jill Biden e il neoeletto Donald Trump, nonché un ritardatario Elon Musk. Calorosamente accolto da Macron e seduto tra lui e la première dame Brigitte, Trump è stato inoltre coinvolto in un mini-vertice all'Eliseo con Zelens'kyj. All'esterno, secondo il rituale, l'arcivescovo di Parigi ha battuto per tre volte alla porta chiusa della cattedrale e per tre volte il coro ha risposto intonando il salmo 121. La prima voce risuonata dalla cattedrale è stata quella di un altro "Emmanuel": la grande campana seicentesca che, ironia della sorte, ha lo stesso nome del presidente francese.
IL GRANDE ASSENTE
Grande assente il Papa, che ha inviato un messaggio letto dal nunzio apostolico mons. Celestino Migliore. All'Angelus di ieri neanche un cenno. Tra una settimana Francesco sarà in Corsica, ma per sabato invece di andare a Notre Dame aveva programmato il concistoro per la creazione di nuovi cardinali, passato in secondo piano, quasi un evento ecclesiale di routine. L'attenzione mediatica era tutta su Parigi, dove in fin dei conti l'assenza del Pontefice non ha tolto nulla all'impatto dello storico evento. Un altro segno di quanto fosse effimero quell'"effetto Bergoglio" di cui si favoleggiava agli albori del pontificato. «Il danno di immagine» semmai è per Francesco, commenta il vaticanista Luis Badilla: «Il Papa poteva almeno evitare di umiliare Parigi e i tanti francesi che non capiscono il Pontefice. In Francia, così si vive il "no" a Notre-Dame a prescindere di quale sia vero pensiero del Pontefice».
Ieri mattina la prima Messa con la consacrazione del discusso nuovo altare ciotoliforme. L'arcivescovo Ulrich vi ha deposto le reliquie di Santa Marie Eugénie Milleret, Santa Madeleine Sophie Barat, Santa Catherine Labouré, SanCharles de Foucauld e il beato Vladimir Ghika. Quindi ne ha unto la mensa, partendo dalle cinque croci agli angoli e al centro per poi cospargere l'intera superficie. Poco prima nell'omelia aveva elogiato il manufatto, opera (così come cattedra, battistero, tabernacolo e altri arredi) del designer Guillaume Bardet, a partire dal materiale: «il bronzo, entra in un dialogo franco con l'edificio in pietra, è la prima scossa che ci coglie». Esso «forma con l'ambone, in uno scambio senza confusione, la mensa della Parola e quella dell'Eucaristia. Per quanto riguarda le linee di entrambi i mobili, la loro purezza, la loro semplicità, sono estremamente accessibili».
E qui finisce la gloria della "rinnovata" Notre Dame. Perché la «scossa» evocata da mons. Ulrich effettivamente «ci coglie», ma per tutt'altre ragioni. Non che fosse tanto meglio il distrutto altare moderno di Jean Touret del 1989. Laddove il gotico funge da finestra proiettata al di là, il modernariato di ieri e l'ingombrante minimal di oggi finiscono per fare da schermo che ci rinchiude al di qua. E oscura anche il gruppo scultoreo dell'antico altar maggiore del 1723, la cui Pietà oggi appare quasi un compianto sugli arredi liturgici appena inaugurati. Paradossalmente c'è anche un altare di foggia classica: è incluso nel nuovo reliquiario della corona di spine realizzato da Sylvain Dubuisson, ma servirà solo per appoggiarvi le candele. Il Santissimo Sacramento dovrà invece accontentarsi del ciotolone e del tabernacolo di Bardet.
LE POLEMICHE
Il restauro di Notre Dame è stato accompagnato da polemiche sulla "pazza voglia" di dare un taglio al passato che ha unito il presidente Macron e l'arcivescovo Ulrich - e lanciata a suo tempo dal predecessore mons. Michel Aupetit, il primo a proporre arredi dal taglio moderno e nuove vetrate. A queste ultime si è opposta la Commission nationale du patrimoine et de l'architecture (facente capo al Ministero della Cultura), tanto più che quelle ottocentesche di Eugène Viollet-le-Duc sono scampate all'incendio. Un anno fa Didier Rynkner, fondatore de La Tribune de l'Art, ha lanciato una petizione sottoscritta ad oggi da oltre 242mila persone, per evitare che vengano destinate al museo e rimpiazzate. Ma Ulrich e Macron proseguono per la loro strada e il 21 novembre si è riunita la commissione incaricata di valutare i progetti per le nuove vetrate. [...]
In attesa di conoscere il vincitore "godiamoci" i paramenti realizzati per l'occasione, su cui spiccava il piviale multicolore indossato sabato sera da mons. Ulrich, che qualcuno ha già ribattezzato il piviale della Lidl. Più precisamente si tratta di paramenti in stile Benetton, e non per modo di dire: l'artefice è infatti lo stilista Jean-Charles de Castelbajac, già direttore artistico proprio del colosso dell'abbigliamento (e già arruolato dall'arcidiocesi per la Gmg parigina del 1997). Tra i segni distintivi di Castelbajac c'è «l'amore per il pop e per l'arcobaleno» nonché una predilezione per la street-art. Almeno i paramenti non si potevano affidare alle care "vecchie" suore? Si sono invece scomodati e a caro prezzo designer e stilisti, il che sa tanto di grandeur ecclesiastica più che della «nobile semplicità» rivendicata da mons. Ulrich.
Ma gli occhi di tutti erano giustamente concentrati su Notre Dame rinata dalle fiamme, non certo sui "capolavori" di Bardet e Castelbajac. Sono quelle sacre e imponenti vestigia di una civiltà che fu cristiana ad aver radunato i grandi della terra, che non avrebbero mai preso un aereo per vedere il nuovo altare-ciotolone e gli altri immancabili tributi al "culto" della contemporaneità.
Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "La nuova Notre Dame celebra la Francia che rinnega sé stessa" parla della cattedrale di Parigi "reinventata" dopo l'incendio del 2019. L'altare è un'enorme ciotola che in perfetto stile woke soffoca il mistero cristiano e il gotico francese. Di sacro resta solo la laicité.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 dicembre 2024:
Cinque anni dopo l'incendio che rischiò di cancellarla durante la Settimana Santa del 2019, la cattedrale di Notre Dame riaprirà le sue porte. La struttura ricostruita e la guglia che ha ripreso il suo posto nel cielo di Parigi: chapeau!
Il 7 dicembre è previsto l'evento di riapertura. [...] E Dio in tutto questo? È certamente il grande assente. Un accessorio. Ridotto a utile pretesto di uno spettacolo in cui, che si tratti di una cattedrale, nessuno più lo ricorda. Malgrado sia il principale luogo di culto cattolico di Parigi, chiesa madre dell'arcidiocesi, nel cuore della capitale della nazione che fu la "figlia primogenita della Chiesa". [...]
Sono 846 i milioni di euro raccolti e utilizzati per la ricostruzione in un atto mondiale di filantropia. Ed è già polemica per la cifra pazzesca se si pensa all'impoverimento gravissimo delle altre cattedrali e chiese francesi. La corsa alle donazioni arrivò con la promessa che la cattedrale sarebbe stata ricreata esattamente com'era, il che non era affatto scontato. Infatti tutto è stato smentito.
Per un presidente ossessionato dalla questione della legittimità e dal rapporto tra la nazione e le sacralità che le ruotano attorno - laica e storica, meno spesso religiosa -, Notre Dame da ricostruire e reinventare è diventata materiale per essere ricordato dai posteri, come Mitterrand con la Piramide al Louvre, e Pompidou con il Centro che porta il suo nome.
Infatti, solo una manciata di giorni dopo, con la cenere ancora calda ed Édouard Philippe ancora primo ministro, si annunciò una cattedrale che sarebbe stata «porta del nostro tempo». Macron e i suoi vennero presi in parola e fu un profluvio di pazze idee: un progetto proponeva di sostituire il tetto con un serra ariosa, un altro con una piscina, un altro ancora prevedeva il tetto sostituito con una serra, e poi la cappella ecologica e le pareti rivestite di canapa.
Una collezione di tentativi per trasformare la cattedrale in uno show-room sperimentale, una cosa che non s'è mai vista prima. Un po' come se Disney, i profeti wokisti, e i discepoli di Greta dovessero entrare tutti insieme a Notre Dame. Qualcuno è entrato. Qualcun altro è rimasto fuori.
E mentre la controversia sull'opportunità di installare vetrate moderne in sei grandi campate della cattedrale non è ancora finita, nel senso che no -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977
IL VANGELO NON AMMETTE NEUTRALITA' O COMPROMESSId i Roberto Marchesini
Per diversi anni ho riflettuto su un atteggiamento ecclesiastico che possiamo definire con due slogan: «Cercare ciò che unisce e non ciò che divide» e «costruire ponti e non muri». Traduco: si può dialogare con la modernità; il Mondo non è pregiudizialmente ostile ai cattolici; gran parte della cultura contemporanea è neutrale, rispetto al Vangelo. C'è quindi la possibilità, se non di evangelizzare il secolo, per lo meno di dialogarci.
Con il passare del tempo mi sono convinto che questo atteggiamento sia eccessivamente ottimista e, forse, un po' ingenuo. E mi sono accorto che la soluzione del problema era già data in una lapidaria affermazione evangelica: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23).
Parlando con alcuni amici, scettici riguardo alla mia risoluzione, mi è stato fatto notare che nel Vangelo di Marco la frase era diversa: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9, 40). C'è, dunque, chi non è contro di noi, la neutralità nei confronti del Vangelo è possibile. Non solo: San Paolo afferma che possiamo trovare qualcosa di buono dappertutto: «Vagliate tutto e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Purtroppo queste citazioni non permettono di sostenere la costruzione di ponti. Partiamo dalla prima. Essa è semplicemente una riproposizione della frase di Matteo e di Luca: non ammette una neutralità. Anche per Marco è necessario schierarsi: con Cristo o contro di Lui. Chi non è con Cristo non è neutro: è contro di lui; chi non è contro Cristo non è neutro, è con lui. Cristo divide, chiede di prendere posizione, non ammette neutralità.
La stessa cosa vale per san Paolo, il quale invita a vagliare tutto e a tenere ciò che è buono, integralmente buono; non ciò che ha una parte buona. Ricordiamo, infatti, che l'errore ha sempre una parte di verità; e che l'eresia non consiste nel rigetto totale della Verità, ma solo di una sua parte.
Ammettere una possibile neutralità nei confronti del Vangelo, inoltre, significa sminuirne l'importanza. L'incarnazione di Cristo ha diviso la storia in prima (a. C.) e un dopo (d. C.); allo stesso modo, ha diviso in due l'umanità e la cultura. È stato un avvenimento così importante che necessariamente richiede che si prenda posizione nei suoi confronti.
Sono confortato, nella mia posizione, da due importanti santi della Chiesa che hanno messo in evidenza il significato meta-storico dell'affermazione evangelica. In quella breve frase, infatti, è condensato un intero trattato di teologia della storia e la chiave di lettura per capire il rapporto tra Vangelo e modernità. Partiamo da san Giovanni Bosco, che ha scritto: «L'unica vera lotta nella storia è quella pro o contro la Chiesa di Cristo». È questa lotta che permette di capire tutta la storia dell'umanità, perlomeno degli ultimi cinquecento anni; ed è la storia del conflitto tra la Chiesa di Cristo e il Mondo.
Anche Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, ha dato una lettura meta-storica del conflitto tra la luce di Cristo e le tenebre. Nei brani che seguono, il papa polacco sottolinea le implicazioni per la difesa della vita di questo scontro; ma non manca uno sguardo più profondo: «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ci troviamo non solo "di fronte", ma necessariamente "in mezzo" a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (§ 28). [...] Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, "il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel mezzo" (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana (§ 50). [...] Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (§ 104)». Giovanni Paolo II scrive di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la luce e le tenebre; e della «l'ineludibile responsabilità» di schierarsi dalla parte del bene e della luce. Chi non prende posizione, semplicemente, permette che il male accada e si diffonda; quindi, nuovamente, chi non è per Cristo è inevitabilmente contro di Lui.
C'è poco da illudersi, siamo in guerra. È una guerra totale, senza quartiere, nella quale non ci sono neutrali o indifferenti. Abbandoniamo le ingenuità e le favole disneyane, accettiamo la realtà. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7958
IL PAPA CREERA' 21 NUOVI CARDINALI... MA COS'E UN CARDINALE? di Roberto de Mattei
L'8 dicembre la Chiesa Cattolica avrà 21 nuovi cardinali. Il Sacro Collegio conterà quindi 256 membri, di cui 141 con diritto di voto nel prossimo conclave. L'annuncio della creazione dei nuovi cardinali è stato dato il 6 ottobre da Papa Francesco, che il giorno dell'Immacolata imporrà loro la berretta color porpora, segno della disponibilità a versare il sangue, pronunciando la solenne formula: "A lode di Dio onnipotente e a decoro della Sede Apostolica ricevete la berretta rossa come segno della dignità del Cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all'effusione del sangue, per l'incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa."
Questa solenne formula non è solo un modo di dire: indica la responsabilità dei cardinali, che sono i più diretti collaboratori e consiglieri del Papa e formano una sorta di Senato della Chiesa. Per comprendere questa altissima missione dei cardinali è illuminante un episodio che traggo dal bel libro di don Charles T. Murr, L'anima segreta del Vaticano. Il profondo legame tra Pio XII e suor Pascalina, pubblicato nel 2024 dalle Edizioni Fede e Cultura di Verona (pp. 84-88).
IL PRIMO CARDINALE CINESE
La storia dunque è questa. Nel 1946 il Papa Pio XII elevò alla dignità di cardinale l'arcivescovo di Pechino Thomas Tien Ken-Sin (1880-1967), dando alla Chiesa cattolica il primo porporato cinese.
Nel 1949 la Cina cadde sotto il controllo del rivoluzionario marxista-leninista Mao Zedong, uno dei più feroci dittatori comunisti, che tenne il potere fino alla sua morte, nel 1976. In coerenza con i princìpi del marx-leninismo, Mao intendeva eliminare ogni presenza religiosa dalla nuova Repubblica popolare cinese. Tra tutte le religioni non gradite in Cina, il cattolicesimo romano era particolarmente odiato da Mao, che non solo detestava la dottrina della Chiesa, ma aveva timore della sua organizzazione a livello nazionale e internazionale. Tutti i vescovi e i preti cinesi furono invitati a rinnegare la loro fede per contribuire all'edificazione dello Stato socialista. Morte, prigionia, rieducazione nei campi di lavoro attendevano coloro che avessero voluto rimanere fedeli alla Chiesa di Roma.
Quando il cardinale arcivescovo di Pechino Tien Ken-Sin apprese che il presidente Mao aveva intenzione di accusarlo di tradimento e di farlo arrestare, riuscì a fuggire nottetempo e a raggiungere la città di Roma.
Una mattina il cardinale si presentò al portone di bronzo della Città del Vaticano, con le insegne cardinalizie, vestito di rosso dalla testa ai piedi. Si aspettava forse una calorosa accoglienza da parte del Papa, ma non fu così.
È a questo punto che interviene la testimonianza di Suor Pascalina, che era una fedelissima collaboratrice di papa Pacelli e al giovane don Murr, che la frequentava negli anni Settanta, raccontò: "Il Santo Padre mi chiamò nel suo ufficio quella mattina e mi disse che alla porta c'era un visitatore di eccezione. Poiché monsignor Tardini aveva in precedenza informato Sua Santità che il cardinale Tien era fuggito dalla Cina per salvarsi la vita, l'arrivo del cardinale alla soglia del Santo Padre non era stata una completa sorpresa. "Ad ogni modo - continua suor Pascalina - il Santo Padre non ne era affatto contento" e diede alla suora precise istruzioni per trasmettere un messaggio all'illustre porporato cinese . "Riferito da una donna - aggiunse il Papa - sarà più chiaro e la nostra rabbia sarà meno evidente".
PERCHÉ I CARDINALI VESTONO DI ROSSO
Suor Pascalina, alquanto nervosa, si presentò al cardinale Tien, che attendeva notizie in segreteria di Stato e, vincendo la sua ritrosia, gli disse: "Vostra Eminenza, il Santo Padre non può riceverla oggi, né in nessun giorno nel prossimo futuro".
"Ma io devo parlare a Sua Santità personalmente", protestò il cardinale. "Temo che non sarà possibile", rispose la suora. "Qualunque cosa desidera dire al Santo Padre, può dirla a monsignor Tardini appena rientrerà. Il Santo Padre mi ha chiesto però di porle una questione che lo lascia perplesso. Il Santo Padre desidera sapere a che cosa ha pensato quando ha accettato la berretta rossa. Vorrebbe anche chiederle perché pensa che i cardinali di Santa Romana Chiesa vestano di rosso. Se pensava che significasse qualcosa di diverso dalla disponibilità a versare il proprio sangue per Cristo e la sua Chiesa, allora qual'era per lei il significato di quel colore?".
Il cardinale non rispose e chiuse gli occhi rimanendo in silenzio. Suor Pascalina, prima di allontanarsi dalla stanza, diede un ultimo consiglio al cardinale. Gli disse che il Santo Padre era estremamente rattristato che avesse abbandonato il suo gregge nel momento in cui il suo popolo aveva più bisogno di lui. Avrebbe dovuto restare al posto che gli era stato assegnato. Se questo avesse significato la prigione o la morte, allora sarebbe dovuto ritornare in Cina, correndo tali rischi, invece di starsene seduto nella Città del Vaticano vestito di rosso. "Se decide di non tornare in Cina - aggiunse - credo che dovrebbe rassegnare le dimissioni al Santo Padre e lasciare la tonaca a qualcuno che sappia perché è rossa".
Il cardinale non si dimise e si ritirò a Chicago. Si può immaginare quanto severo fu il giudizio di Pio XII nei suoi confronti. Ma che avrebbe detto Pio XII sapendo che oggi il Vaticano collabora apertamente con gli eredi dei persecutori comunisti di allora? Eredi che non rinnegano, ma anzi rivendicano con orgoglio, il lascito di Mao Zedong e l'ideologia comunista del loro paese.
Intanto consiglio vivamente di leggere il libro di don Charles Murr, un sacerdote americano che, tra il 1971 e il 1979, ha passato la sua vita a Roma. Don Murr ha già pubblicato nel 2023, sempre per le edizioni Fede e Cultura, un importante libro dedicato a Massoneria vaticana. Logge, denaro e poteri occulti nell'inchiesta Gagnon.
Il nuovo libro è ricco di molti altri episodi e aneddoti che ci aiutano a leggere la storia della Chiesa dall'interno. Il pregio delle due opere di don Murr è che sono scritte con stile brillante, serietà storica e soprattutto vero amore alla Chiesa. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7947
LA SINDONE TRA RAGGI X E INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Emanuela Marinelli
All'improvviso, in modo del tutto inaspettato, subito dopo Ferragosto è esplosa in Gran Bretagna una notizia sulla Sindone, subito ripresa dai mass media di altri Paesi, persino da Al Jazeera: il venerato lino è stato datato al I secolo d.C. con un nuovo metodo di analisi che utilizza i raggi X.
Tutto è partito da un articolo apparso su Mail Online Science del Daily Mail Online il 19 agosto a firma di Stacy Liberatore, che annunciava una ricerca resa nota... due anni fa. La giornalista non ha spiegato come mai solo ora è venuta a conoscenza di questo testo pubblicato nel 2022 su Heritage. Ma non importa: meglio tardi che mai!
Gli autori della ricerca, il fisico Liberato De Caro insieme ad altri, avevano già pubblicato su Heritage nel 2019 un precedente articolo riguardante questo nuovo metodo WAXS (Wide Angle X-ray Scattering) che utilizza i raggi X a grande angolo per valutare la degradazione strutturale che un antico tessuto di lino subisce nel tempo, in modo da attribuirgli un'età. Il metodo non è distruttivo e si può applicare anche a un piccolo campione di filo di mezzo millimetro.
La notizia contenuta nell'articolo di Heritage del 2022, rilanciata dal Daily Mail Online, è la datazione di un filo di Sindone con il metodo WAXS: il confronto con fili di epoche diverse ha permesso di collocare l'origine della Sindone all'epoca di Cristo, perché le misure ottenute sono paragonabili a quelle di un campione di lino, risalente al 55-74 d.C., che proviene dal sito archeolgico di Masada, in Israele.
Nei mass media che hanno ripreso la notizia c'è stato anche il parere del fisico Paolo Di Lazzaro, che ha avanzato qualche perplessità su questo nuovo metodo di indagine, come sempre accade nel dibattito scientifico. Ma il successo del primo articolo, che ha fatto balzare la Sindone fra i primi dieci argomenti più cercati su Google in inglese, ha incoraggiato il Daily Mail Online a pubblicarne altri nei giorni successivi: così il 20 agosto Stacy Liberatore ha parlato di David Rolfe, il regista ateo che si è convertito studiando la Sindone per un documentario che stava realizzando, il Silent Witness, mentre, sempre il 20 agosto, William Hunter ha trattato vari temi sindonologici interessanti, tra i quali la ricerca fatta dall'archeologo William Meacham su alcuni fili della Sindone presso lo Stable Isotopes Laboratory di Hong Kong. Secondo questo esame degli isotopi, il lino usato per confezionare la Sindone è cresciuto nel Medio Oriente. Fra gli argomenti presi in esame, Hunter però ripropone anche l'esperimento dell'antropologo forense Matteo Borrini e del chimico Luigi Garlaschelli, che volevano dimostrare come falsi i rivoli di sangue presenti sulla Sindone. Esperimento ampiamente smentito.
SMENTITA DEFINITIVAMENTE LA BUFALA DEL RADIOCARBONIO
Di nuovo Stacy Liberatore il 22 agosto ha scritto un articolo sulla Sindone, questa volta per parlare delle nuove ricerche dell'ingegnere Giulio Fanti, che fra l'altro afferma di aver riscontrato in alcune particelle di sangue la presenza di creatinina, prova dei traumi subiti dall'Uomo della Sindone.
Visto l'interesse via via crescente, Stacy Liberatore il 23 agosto ha fatto uscire un ulteriore articolo nel quale sono stata intervistata con il ricercatore francese Tristan Casabianca in merito alla ricerca che abbiamo pubblicato su Archaeometry insieme agli statistici Benedetto Torrisi e Giuseppe Pernagallo. Si tratta dell'analisi dei dati grezzi ottenuti dai laboratori che datarono la Sindone al Medioevo nel 1988. Questa analisi statistica ha permesso di smentire definitivamente la validità del test del 1988, perché fu condotto su un campione non rappresentativo dell'intero lenzuolo (clicca qui!). https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5643&testo_ricerca=Tucson
Il 28 agosto il Daily Mail Online ritorna ancora sull'argomento con un articolo di Ellyn Lapointe, che presenta altre ricerche di Liberato De Caro e di nuovo torna a parlare dell'analisi statistica presentata su Archaeometry.
Anche il 30 agosto appare sul Daily Mail Online un nuovo articolo, questa volta di Rob Waugh, per presentare un libro di tre anni fa che ricostruisce l'ipotetica storia della Sindone nei primi secoli.
Le altre testate rincorrono le notizie man mano pubblicate dal Daily Mail. Il sito francese del CIELT (Centre International d'Études su le Linceul de Turin) nella sua rassegna stampa di agosto elenca 170 articoli - di cui fornisce il link - che in quel mese hanno parlato della Sindone in vari giornali del mondo. Ma ancora una volta è il Daily Mail ad essere trainante il 2 settembre con un nuovo pezzo a firma di Rob Waugh, che mette in campo altre reliquie relative alla Passione di Cristo: il Sudario di Oviedo, la Tunica di Argenteuil, la Veronica del Vaticano.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Questo susseguirsi di notizie, anche datate, fa riflettere sull'interesse che la Sindone suscita nella gente e sul conseguente coinvolgimento dei mass media che ne parlano anche per avere visualizzazioni sui propri siti internet. Gli articoli sono seguiti sotto da centinaia di commenti contrastanti, nel turbine dei like o not like, pollici su o pollici giù.
Tra le varie curiosità suscitate dalla Sindone, c'è pure quella sull'aspetto di Gesù, soprattutto sul suo volto. Ecco allora che il Daily Mail Online ha interrogato l'intelligenza artificiale Merlin chiedendo: “Puoi generare un'immagine realistica di Gesù Cristo basata sul volto che si trova sulla Sindone di Torino”? Il 22 agosto Jonathan Chadwick ha pubblicato il risultato (nell'immagine, a sinistra).
Il giorno prima, 21 agosto, anche il Daily Express si era rivolto all'intelligenza artificiale, ma usando un diverso programma: Midjourney. Il risultato (nell'immagine, a destra) è stato pubblicato da Michael Moran come “il vero volto di Gesù”. Ma se questo è il vero volto di Gesù, come mai è diverso dall'altro? Eppure sono entrambi generati dall'intelligenza artificiale! La risposta è semplice: sono due programmi diversi, che evidentemente usano informazioni diverse.
In definitiva l'intelligenza artificiale non fa altro che elaborare i dati che sono stati inseriti.
Una terza elaborazione del volto di Cristo ottenuta con l'intelligenza artificiale partendo dalla Sindone è quella che si trova nell'articolo di Stacy Liberatore del 23 agosto sul Daily Mail Online. È un lavoro del disegnatore grafico Otangelo Grasso.
Dunque, risultati diversi che possono piacere di più o di meno a seconda del proprio gusto estetico, ma nessuno paragonabile davvero all'inimitabile originale: il volto sindonico! -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7944
L'ORATORIO COME DIO COMANDA (IN 4 PUNTI) di don Armando Bosani
A partire dalla mia esperienza da ragazzo, ho imparato a vivere un'equazione: oratorio uguale a domenica, una domenica con tanti ragazzi alla Santa Messa del mattino, il catechismo, il gioco, la preghiera; e la presenza di adulti debitamente coinvolti in questo ambiente umano ed ecclesiale. È proprio questa la parola vincente per la trasmissione della fede, e che rende l'oratorio una strategia ancora vincente: ambiente.
Ma si deve trattare di vero oratorio, perché purtroppo, con il passare degli anni, esso è divenuto una mera esperienza ludica, a volte sportiva, senza alcuna connessione con la vita sacramentale, spesso disattesa, né con il catechismo, incastrato da qualche parte nei giorni feriali. E per lo più facoltativo.
Non mi sono mai rassegnato a questa metamorfosi dell'oratorio: volevo a tutti i costi rivitalizzare l'oratorio domenicale che vedevo chiaramente come la condizione indispensabile perché i ragazzi facessero un'esperienza positiva della vita cristiana e continuassero quindi a frequentare anche dopo la cresima, divenuta ovunque il sacramento dell'addio.
L'educazione cristiana non può fare a meno di un'esperienza significativa e coinvolgente, ben più ampia della semplice ora di catechismo, e ben più cristiana di una partita di calcio.
Ho così riscoperto e riproposto con energia quel circolo virtuoso catechesi-liturgia-animazione, in cui il legame organico fra le tre componenti mi pare costituisca il nucleo, l'essenza della tradizione oratoriana ambrosiana. Se si pensa infatti la catechesi fuori dalla vita dell'oratorio, la Santa Messa staccata dalla catechesi, l'oratorio staccato da entrambe, non si realizza quell'ambiente in cui il ragazzo viene educato "per immersione".
LA MIA ESPERIENZA
I risultati di questa impostazione, che cerco di realizzare ormai da oltre quarant'anni? Positivi, sia per la frequenza alla Messa e la possibilità di educare ad una partecipazione corretta alla liturgia, sia per l'effettivo inserimento nella vita della parrocchia, sia per la percentuale di presenze nel dopo cresima, sia per l'alto coinvolgimento dei genitori che, dopo un primo momento di perplessità, scoprivano la bellezza di rimanere nel proprio paese, di partecipare a qualche momento comunitario con i figli, di stare insieme, senza essere imbottigliati in chilometri di coda per inseguire il mito del week-end.
Nella mia esperienza è stato ed è fondamentale stabilire alcuni punti fermi che si ispirano a questa tradizione e che - è bene dirlo - mantengono l'identità dell'oratorio, tenendolo lontano dall'essere uno strumento della "pastorale del muretto", ossia uno strumento di recupero: l'oratorio ha ben altra funzione, che, se correttamente attuata, saprà svolgere anche - indirettamente - questa funzione. Come scriveva ormai trent'anni fa l'indimenticabile don Gioacchino Barzaghi, salesiano, «l'oratorio, per sua natura, è prima di tutto preventivo, e poi di recupero. Se fosse quasi esclusivamente di recupero avrebbe in sé una pericolosa contraddizione in termini, cui lo stesso don Bosco ad un certo punto della sua azione si trovò costretto a porre dei correttivi. Questo per far tacere per un momento la troppa retorica spesa al riguardo. Sono tutte affermazioni che mi sentirei di provare puntualmente, se ne avessi lo spazio».
PUNTI FERMI
Dunque, veniamo a questi punti fermi.
1. La conservazione del valore sacro della domenica come giorno del Signore, e non giorno della privacy familiare o del week-end. Si tratta del terzo comandamento e non credo si possano facilmente trascurare i diritti di Dio in nome dei diritti dell'uomo. Non ribadirlo con forza mi sembra un cedimento alla mentalità materialistica del nostro tempo e una pessima testimonianza di fronte alla radicalità con cui altre religioni vivono il loro giorno sacro.
2. La convinzione che una catechesi che non realizzi un inserimento del ragazzo (e quindi della famiglia) nella vita della parrocchia è solo un'infarinatura superficiale, che non può aspirare alla realizzazione di una vera formazione cristiana. E come la farina, viene portata via da un semplice vento leggero.
3. Non si possono sostituire la catechesi e l'istruzione religiosa con altre attività di animazione. Non possiamo permetterci di creare confusioni con attività parascolastiche e di annacquare l'immagine dell'oratorio. Che deve essere diverso dalle altre attività: come si può esigere con rigore la presenza dei ragazzi per attività che possono benissimo essere vissute (forse meglio) anche in altri ambienti e istituzioni?
4. La vita cristiana è caratterizzata anche dalla gioia, dalla fraternità e dalla condivisione, che il ragazzo deve poter sperimentare concretamente. E dove, se non in un ambiente in cui può trovare concretamente la comunità cristiana (adulti, giovani, coetanei) e non solo un gruppetto o la classe di catechismo? E quando, se non la domenica, il giorno del Signore?
L'oratorio, in un tempo di profonda e diffusa crisi educativa, non ha semplicemente ancora qualcosa da dire: ha una soluzione. L'oratorio oggi non lascia: raddoppia. Perché è chiaro che di fronte all'offensiva anti-educativa, la Chiesa deve avere sul piano educativo una offerta altra, una proposta qualitativamente distintiva, forte e integrale. Se l'oratorio si limitasse ad essere un posto per evitare che i ragazzi frequentino cattive compagnie, e, per questa ragione, facesse proposte banali, oppure - che non è affatto meglio - aspirasse a diventare il luogo di divertimento "della concorrenza", avrà il suo triste destino segnato. Ma è possibile, realistico e necessario puntare più in alto, con un po' più di fiducia in una "formula" che non proviene da improvvisati gruppi di esperti, ma poggia sull'esperienza secolare della Chiesa ambrosiana. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7931
LE RELIGIONI NON SONO TUTTE UGUALI, NEMMENO SE LO DICESSE IL PAPA di Roberto de Mattei
Tra i più gravi errori oggi diffusi, anche negli ambienti cattolici, c'è quello secondo cui tutte le religioni si equivalgono perché adorano tutte un unico Dio. Quest'errore è gravissimo perché nega, alla radice, l'intrinseca verità della Chiesa cattolica. Purtroppo le dichiarazioni di papa Francesco al Catholic Junior College di Singapore, lo scorso 13 settembre 2024, sono su questa linea e, con tutto il rispetto che si deve al Papa, sono oggettivamente scandalose.
Il resoconto ufficiale del Vaticano riporta testualmente queste frasi di Francesco: "Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono - faccio un paragone - come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. "Ma il mio Dio è più importante del tuo!". È vero questo? C'è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?" Capito?
La nostra risposta è immediata: no, Santo Padre, non abbiamo capito e non possiamo capire. La nostra religione e anche la storia della Compagnia di Gesù alla quale Lei appartiene, ci insegna tutt'altro.
La diocesi di Singapore, dove Lei ha fatto queste dichiarazioni, ha un illustre fondatore gesuita, san Francesco Saverio, che arrivò in Malacca, l'antico nome della zona, nel 1545. Nel 1558 il territorio venne elevato a diocesi, suffraganea di Goa, in India.
IL GESUITA SAN FRANCESCO SAVERIO
Francesco Saverio nato da nobili genitori nel 1506 in Navarra, studiò all'università di Parigi, dove ebbe come compagno di camera Ignazio di Loyola, che trasformò il giovane da studente modello a campione del Vangelo. Il 24 giugno 1537 fu ordinato sacerdote e nella primavera del 1539 fu tra i primi fondatori della Compagnia di Gesù. L'anno dopo, quando il re Giovanni III del Portogallo, chiese missionari per le colonie portoghesi, fu inviato in India dal Papa con il titolo di "Nunzio apostolico".
Giunto a Goa nel 1542, dopo un lungo e travagliato viaggio, passò per due anni di villaggio in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni. esposto a mille pericoli, battezzando, fondando chiese e scuole, convertendo migliaia di abitanti, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Nel 1549 lasciò Goa per il Giappone, dove piantò i semi della fede cattolica. Il 17 aprile 1552, s'imbarcò per realizzare il suo ultimo progetto: portare il Vangelo in Cina. Nel corso dell'avventuroso viaggio approdò sull'isola di Sanciano, rifugio di pirati e contrabbandieri, dove si ammalò di polmonite, e privo com'era di ogni cura morì in una capanna il 3 dicembre dello stesso anno, dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!".
Il suo corpo, due anni dopo, fu trasportato integro, prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù. La Chiesa del Gesù a Roma ne conserva un braccio, amputato per essere venerato accanto alla tomba di sant'Ignazio. Fu beatificato nel 1619 da Paolo V e canonizzato nel 1622 da Gregorio XV. La Chiesa ne ha fissato la festa liturgica il 3 dicembre e lo ha proclamato patrono delle Missioni.
San Francesco Saverio tradusse in cristianesimo vissuto le parole rivolte da Gesù agli Apostoli: "Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà, sarà condannato" (Mt. 16, 16). Le parole di Nostro Signore sono chiare: non c'è, ordinariamente salvezza, al di fuori del nome di Cristo. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 40.000 pagani, aprendo loro le porte del Paradiso.
LA LETTERA E L'ATTO DI FEDE
In una celebre lettera del 15 gennaio 1544, san Francesco Saverio scrive da Goa: "Da quando arrivai qua non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l'ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il Regno dei cieli (...) moltissimi in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: ahimé quale gran numero d'anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato nell'inferno! Oh! Se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: Signore eccomi; che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, magari anche in India".
San Francesco Saverio ci ha anche lasciato un "Atto di fede" che merita di essere recitato in ginocchio e profondamente meditato in questi tempi di confusione:
"Credo, con tutto il mio cuore, tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, mi ordina di credere di Voi, o mio Dio! Dio unico in tre persone.
Credo tutto ciò che la Chiesa crede ed insegna del Figlio eterno del Padre, Dio come Lui, e che, per me, si è fatto uomo, ha sofferto, è morto, è risuscitato e regna nel cielo con il Padre e lo Spirito Santo.
Credo infine tutto ciò che la Chiesa santa, la nostra madre, mi ordina di credere. Ho la volontà ferma di perdere tutto, di soffrire tutto, di dare il mio sangue e la mia vita, piuttosto che di rinunciare a un solo punto della mia fede, nella quale voglio vivere e morire.
Quando verrà la mia ultima ora, la mia bocca fredda non potrà forse rinnovare l'espressione della mia fede; ma confesso, fin d'ora, per il momento della mia morte, che vi riconosco, o Gesù Salvatore! come Figlio di Dio. Credo in Voi, vi dedico il mio cuore, la mia anima, la mia vita, tutto me stesso. Amen". -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7882
LA SCOMUNICA, UNA PENA MEDICINALE CHE AFFONDA LE RADICI NEL VANGELO
La scomunica consiste nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione con la Chiesa (per stimolare il ravvedimento del colpevole)
di Giuseppe Comotti
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II, in molti ambienti ecclesiali era stato messo in discussione il sistema penale canonico, vale a dire la previsione da parte della Chiesa di "pene" da infliggere ai fedeli colpevoli di comportamenti particolarmente gravi, non qualificabili solamente come peccati sul piano morale, bensì come delitti sul piano giuridico, per via della loro rilevanza per l'intera comunità cristiana, analogamente a quanto avviene nell'ambito del diritto penale degli Stati. Tale sistema era infatti avvertito come espressione di un modello ecclesiale sorpassato, troppo simile a quello statuale e soprattutto antitetico al messaggio evangelico.
In quegli anni era in corso la revisione del Codice di diritto canonico: nel testo alla fine promulgato da san Giovanni Paolo II nel 1983, frutto della consultazione con l'episcopato mondiale, l'intero Libro VI era dedicato alla disciplina penale della Chiesa, che vide così confermata la compatibilità ed anzi l'intima connessione con la natura e la storia della comunità cristiana; nel nuovo Codice, peraltro, il ricorso all'inflizione di pene canoniche veniva presentato come extrema ratio, rimessa in sostanza alla valutazione dei singoli vescovi diocesani o dei superiori maggiori degli istituti di vita consacrata, quando avessero potuto constatare l'inutilità di altri strumenti suggeriti dalla sollecitudine pastorale per raggiungere quelli che nella Chiesa sono i fini propri della pena: la riparazione dello scandalo suscitato tra i fedeli dal comportamento delittuoso di un membro della comunità, il ristabilimento della giustizia violata, il ravvedimento del colpevole (cfr. can. 1341).
In realtà, nonostante la conferma teorica nel Codice del 1983, l'esercizio della funzione punitiva da parte dell'autorità ecclesiastica si fece sempre più raro nella pratica, almeno fino a quando, all'inizio degli anni 2000, la drammatica emersione del terribile fenomeno degli abusi del clero sui minori e l'incalzante attenzione ad esso riservata dall'opinione pubblica hanno suscitato un rinnovato interesse per il diritto penale canonico, facendo percepire quanto dannosi fossero stati per la Chiesa l'erronea e fuorviante contrapposizione tra giustizia e carità e il sostanziale abbandono del ricorso alle pene canoniche da parte dei pastori.
LA PENA DELLA SCOMUNICA
Fu così che san Giovanni Paolo II, nel 2001, riservò alla competenza esclusiva della Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede la trattazione di alcuni gravi delitti (tra cui l'abuso sessuale dei chierici sui minori); Benedetto XVI avviò poi nel 2007 una revisione della disciplina penale canonica, che è stata portata a termine da Francesco con la promulgazione del nuovo Libro VI del Codice, avvenuta il 23 maggio 2021 mediante la costituzione apostolica Pascite gregem Dei.
Nel nuovo testo normativo continua ad essere prevista per alcuni gravi delitti la scomunica, la pena canonica più grave e peculiare del diritto della Chiesa, che affonda le proprie radici nell'epoca apostolica. La scomunica consiste, come dice il termine stesso, nell'esclusione dell'autore di un delitto canonico dalla comunione ecclesiastica, cioè dalla partecipazione attiva alla vita della Chiesa: lo scomunicato non può celebrare né ricevere i sacramenti, né può celebrare i sacramentali o compiere altre cerimonie del culto liturgico; gli è inoltre proibito esercitare uffici, incarichi ministeri o altre funzioni ecclesiastiche (can. 1331 §1).
La pena della scomunica riguarda ovviamente solo i cattolici e non si applica quindi ai fedeli di altre confessioni cristiane; come per ogni delitto canonico, l'applicazione della scomunica presuppone che il colpevole abbia compiuto 16 anni e che il comportamento delittuoso sia a lui gravemente imputabile per dolo, che cioè egli lo abbia commesso con piena consapevolezza e libera volontà. Attualmente non è prevista la scomunica per delitti colposi, commessi cioè per negligenza o superficialità.
Una peculiarità del sistema penale canonico è che non sempre l'applicazione della scomunica richiede una previa pronuncia di condanna da parte della competente autorità (si parla in tal caso di scomunica ferendae sententiae), ma nelle ipotesi espressamente previste dalla legge ecclesiastica vi si può incorrere automaticamente (latae sententiae), per il semplice fatto di avere commesso il delitto. In tal caso, la pronuncia di condanna da parte dell'autorità competente è solo eventuale e semplicemente dichiarativa del fatto che un fedele è già incorso nella scomunica; agli effetti pratici, peraltro, in assenza di una pronuncia espressa dell'autorità ecclesiastica, chi è incorso nella scomunica latae sententiae è chiamato in coscienza ad "autoapplicarsi" la pena, specie nel caso in cui il delitto sia occulto, cioè non conosciuto dalla comunità.
Questo aspetto della scomunica ne evidenzia la peculiare natura di pena medicinale, volta cioè principalmente non tanto a punire, bensì a "curare" il colpevole, facendogli percepire - nel suo stesso interesse - l'estrema gravità del proprio comportamento ed indurlo in tal modo a desistere dallo stesso ed a convertirsi.
In ragione di tale finalità, la pena della scomunica non è per sua natura perpetua né è mai stabilita per un periodo predeterminato, ma a tempo indefinito, venendo meno una volta raggiunto lo scopo, cioè il pentimento ed il fattivo ravvedimento del colpevole.
SCOMUNICA E PENE ESPIATORIE
In questo la scomunica si distingue dalle cosiddette pene "espiatorie", nelle quali è più evidente la finalità di riparare lo scandalo provocato e ristabilire la giustizia violata, indipendentemente dal fatto che il colpevole si sia nel frattempo sinceramente pentito. Ad esempio, per il delitto di atti sessuali compiuti da un membro del clero con persone minori non è prevista la scomunica, ma - nei casi più gravi - la dimissione dallo stato clericale: è una pena espiatoria, che comporta la privazione in perpetuo dei diritti e doveri discendenti dall'ordine sacro; se anche il colpevole manifestasse un sincero pentimento, la sua esclusione definitiva dall'esercizio del ministero sacerdotale può infatti rivelarsi l'unico strumento adatto a riparare lo scandalo suscitato nella comunità cristiana e ristabilire la giustizia, soprattutto nei confronti delle vittime.
Il Codice di diritto canonico, pur lasciando spazio alla previsione di altri casi di scomunica da parte dei vescovi diocesani con proprie leggi, espressamente stabilisce la scomunica latae sententiae per i più gravi delitti contro la fede e l'unità della Chiesa (can. 1364 §1), che sono - sin dall'antichità - l'apostasia (cioè il ripudio totale della fede cristiana), l'eresia (l'ostinata negazione di una verità di fede), lo scisma (il deliberato rifiuto di riconoscere l'autorità del Romano Pontefice). Tra i delitti contro le autorità ecclesiastiche, l'unico per il quale si incorre nella scomunica latae sententiae è quello commesso da chi usa violenza fisica nei confronti della persona del Papa (can. 1370 §1).
Diversi sono invece i casi riguardanti i delitti contro i sacramenti: la profanazione delle specie eucaristiche (can. 1382 §1); l'assoluzione da parte del confessore di chi è stato suo complice in un peccato contro il sesto comandamento (can. 1384); la violazione diretta da parte del confessore del sigillo sacramentale (can. 1386 §1): la consacrazione di un vescovo senza mandato pontificio (can. 1387) nonché l'attentato conferimento dell'ordine sacro ad una donna (can. 1379 §3).
Tutti questi delitti sono riservati alla Sede Apostolica, per cui la remissione della scomunica spetta unicamente ad essa (normalmente al Dicastero per la Dottrina della Fede o alla Penitenzieria Apostolica, salvo che intervenga direttamente il Pontefice).
SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE
Tra i delitti contro la vita, il Codice prevede la scomunica latae sententiae per chi procura volontariamente l'aborto (can. 1397 §2); nel 2016 papa Francesco, a conclusione del Giubileo della Misericordia, ha concesso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno commesso questo delitto, in precedenza attribuita solo al vescovo diocesano.
Mentre in articulo mortis ogni sacerdote può rimettere qualsiasi tipo di censura, compresa la scomunica, normalmente (salvo i casi riservati alla Santa Sede) la remissione spetta all'ordinario che ha promosso il giudizio penale o all'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato, qualora la scomunica sia stata pronunciata con sentenza; se si tratta invece di scomunica latae sententiae non ancora dichiarata, essa può essere rimessa dall'ordinario ai propri sudditi (cioè dal vescovo diocesano oppure dal vicario generale ai fedeli della propria diocesi) o dall'ordinario del luogo in cui si trova lo scomunicato. Qualsiasi vescovo in sede di confessione sacramentale può rimettere una scomunica non ancora dichiarata, purché non riservata alla Santa Sede.
Ovviamente, la scomunica raggiunge il suo scopo se ad essa consegue il ravvedimento del colpevole, che è dunque la condizione imprescindibile affinché tale pena possa essere rimessa ed ogni pentimento, se è sincero, non può escludere la disponibilità effettiva a fare il possibile per riparare lo scandalo provocato ed a risarcire i danni causati.
In tali finalità intrinsecamente connesse trova ragione ultima l'intero sistema penale canonico, che, come incisivamente ha sottolineato papa Francesco nella già citata costituzione apostolica Pascite -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7869
IN GERMANIA 500.000 PERSONE IN UN ANNO HANNO LASCIATO LA CHIESA di Federica di Vito
Quasi mezzo milione di persone hanno lasciato la chiesa in Germania nell'ultimo anno. Non è certo questa la notizia, visto che è una tendenza in corso ormai da anni. Il dato di fatto da cui partire è che proprio laddove si è maggiormente annacquato il messaggio di Gesù Cristo perdendosi dietro a un annuncio indefinito e sempre più vicino al mainstream i fedeli scappano. E nessuno di quei "lontani" a cui sembrano indirizzarsi tutti gli sforzi di evangelizzazione si avvicina.
Lo scrittore tedesco Veit Etzold, CEO coach e consulente di strategia e storytelling per aziende con esperienza nel settore bancario, assicurativo, della consulenza strategica e della formazione dei dirigenti, professore presso l'Università di Aalen scrive: «Una volta Gesù Cristo disse a Pietro: "Pietro, qual è la tua professione?". E Pietro rispose: "Sono un pescatore". Gesù allora disse: "D'ora in poi sarai un pescatore di uomini. Su di te costruirò la mia Chiesa". Essere pescatori di uomini significa ispirare il maggior numero di persone possibile. Un chiaro compito di vendita per il direttore commerciale Pietro. Oggi, invece, "vendere" per le chiese significa "allontanare" il maggior numero possibile di persone. Non lo si fa se si perde meno di mezzo milione di "clienti" all'anno. Qualsiasi direttore delle vendite responsabile di cifre così disastrose sarebbe stato licenziato tre volte nel mondo degli affari».
La sua visione, seppur riferita soprattutto alla situazione della Chiesa in Germania, può tranquillamente essere allargata all'intera situazione della Chiesa in Occidente. «La gente non se ne va perché la Chiesa non è abbastanza contemporanea», spiega Etzold, «al contrario: la Chiesa sta cercando di ingraziarsi il mainstream verde-sinistro fino al punto di ottenere un auto-abbandono. I congressi della Chiesa si stanno trasformando in eventi politici e la Chiesa sta cercando di essere attraente per le persone che non hanno altro che disprezzo per la religione e non vanno mai in chiesa. In questo modo, la Chiesa si rivolge a un gruppo target che non esiste nemmeno, allontanando allo stesso tempo i suoi fedeli abituali».
Tanto più in un momento storico in cui l'uomo non sa che volto dare a Dio, è importante che sia la Chiesa ad annunciare che quel volto è lo stesso di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Seppur va riconosciuta la buona fede, la tendenza di molti vescovi sembra essere quella di creare una rappresentazione indefinita e rispondente ad aspettative umane di misericordia a basso costo e garantita a priori. Vano sarà l'annuncio di salvezza di Gesù Cristo se teniamo solo i «molti chiamati» e tagliamo fuori la parte sui «pochi eletti». Che la Chiesa possa riscoprire «l'essenza del suo marchio», per usare le parole del professor Etzold, caratterizzato dalla provvidenziale missione di annunciare la verità evangelica con zelo e amore. Solo così fioriranno credenti che potranno essere a loro volta santi e martiri. -
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IL CATECHISMO INIZIA A CASA CON I GENITORI di Don Stefano Bimbi
Quando ero bambino mia nonna non mi chiedeva se fossi stato al catechismo, ma alla dottrina. All'epoca pensavo che fosse semplicemente una parola desueta e che mia nonna parlasse così perché era di un'altra generazione. Nel tempo ho dovuto però scoprire che dietro alla parola dottrina c'era un mondo: il mondo delle verità della fede cattolica. Forse oggi si preferisce la parola catechismo al posto di dottrina perché non si ha il coraggio di dire che vogliamo indottrinare. Anzi questa parola è scomparsa perché considerata negativamente come se indicasse la volontà di inculcare con la forza concetti astratti e calati dall'alto. Si dovrebbe invece, dicono i moderni catechisti, fare una esperienza di fede, comunicare la gioia del cristianesimo, camminare insieme a una comunità. Tutte cose molto belle, ma c'è da chiedersi se questi discorsi buonisti, omettendo di insegnare la dottrina, possano reggere agli urti della vita. Se torniamo a cento anni fa, quando nelle parrocchie si insegnava il catechismo di San Pio X con le sue domande semplici e le relative illuminanti risposte, in molte parrocchie si facevano delle gare tra i ragazzi per imparare a memoria le cose più importanti: i dieci comandamenti, i novissimi (morte, giudizio, paradiso, inferno), i precetti generali della Chiesa, le opere di misericordia corporale e spirituale, le virtù cardinali e teologali, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, i vizi capitali, i peccati contro lo Spirito Santo. Ovviamente queste cose non venivano solo imparate a memoria, ma spiegate con esempi pratici tratti dall'imperdibile commento di padre Carlo Dragone (tuttora in commercio).
LA SITUAZIONE ODIERNA
Quale è oggi invece la situazione? Al catechismo si parla di tutto eccetto che di dottrina cristiana. Cartelloni e disegni, canti e balli, discussioni su argomenti di attualità o tratti dal telegiornale... tutto pur di non apparire scolastici, salvo poi scoprire che il Mondo non perde tempo e insegna ai bambini la sua dottrina, non solo con le scuole dello Stato, ma anche con la televisione e internet.
Purtroppo il genitore medio si affida alla parrocchia più vicina salvo poi scoprire che la dottrina cristiana non è stata insegnata, ma che addirittura i catechisti espongono argomenti che sono il contrario di quanto insegna la Chiesa o addirittura vivono situazioni in contrasto con tale insegnamento. Eppure il catechista non può parlare a nome proprio, ma deve insegnare a nome della Chiesa e infatti non può autonominarsi catechista, né dire diversamente da quanto insegna la Chiesa. La scelta dei catechisti e la loro formazione è un compito del parroco in quanto responsabile della corretta trasmissione della fede nella sua parrocchia. Ma a volte il problema è già il parroco che non insegna correttamente la dottrina cristiana.
COME COMPORTARSI CON I PROPRI FIGLI?
Come fare allora? Innanzitutto chiariamo che non c'è alcun obbligo di frequentare la parrocchia del proprio territorio. Ognuno è libero di scegliere dove compiere il proprio cammino spirituale (come abbiamo ricordato nel numero di marzo su La Bussola Mensile). Pertanto se uno è fortunato ad avere quello che cerca nella parrocchia a dieci minuti di distanza va benissimo, così come sarebbe accettabile se fossero ne necessari trenta o più. È uno sforzo che sempre più spesso dobbiamo essere disposti a fare se desideriamo garantire a noi stessi e ai nostri figli un'educazione cristiana e umana appropriata. Ovviamente ci si può chiedere se i ragazzi avranno problemi di socializzazione, ma lo scopo del catechismo è l’apprendimento della dottrina cristiana, mentre per socializzare si possono invitare gli amici dei figli a casa. Ma se nemmeno facendo un po' di chilometri si riesce a trovare una parrocchia adatta? Non si può certo andare tutte le settimane in un'altra regione, ma prima di far frequentare inutilmente un ambiente ostile alla dottrina cristiana si può fare la scelta di insegnarla direttamente ai propri figli. Non è una cosa strana, ma la realizzazione di un dovere molto importante. Ogni genitore deve ricordarsi delle promesse fatte il giorno del matrimonio, quando il sacerdote chiede: «Siete disposti ad accogliere con amore, i figli, che Dio vorrà donarvi e educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?» Ebbene, i genitori si sono impegnati a educarli non secondo la Costituzione italiana e l'agenda 2030, ma secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa. Di Cristo. E della sua Chiesa. Se si lascia frequentare ai figli una parrocchia che insegna secondo il Mondo, come si può avere la coscienza tranquilla?
I SACRAMENTI
E i sacramenti come si fa ad averli? Per la cresima basta trovare un parroco che comprenda il problema. Ne conosceremo almeno uno in tutta Italia! Poi occorre essere disposti a fare diversi chilometri per ricevere il sacramento che farà dei figli dei soldati di Cristo. Per quanto riguarda la prima comunione e la prima confessione è ancora più semplice. Si può cercare appunto una parrocchia disposta a celebrare con dignità questo sacramento, come per la cresima. Oppure si può anche far fare al figlio la prima comunione in maniera non solenne in una qualunque chiesa durante una normale Messa. Ovviamente in tal caso va preparato bene dal genitore soprattutto con il suo stesso esempio nel vivere la fede. Tornando poi nella parrocchia dove si frequenta normalmente la Messa il figlio può fare tranquillamente la comunione e la confessione. Nessun sacerdote può negare i sacramenti a chi non ha fatto la prima comunione o la prima confessione nella sua parrocchia.
Come si vede è finita la fede automatica o a chilometro zero. Chi si è impegnato il giorno del matrimonio ad educare i figli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa e poi non ha fatto la fatica di realizzare quanto promesso cosa risponderà al cospetto di Dio nel giorno del giudizio? -
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L'IMPORTANZA DELL'INGINOCCHIARSI NELLA PREGHIERA di Andrea Zambrano
Il primo segnale fu la sostituzione dei vecchi banchi con nuove panche sprovviste di inginocchiatoio. Bisognava capirlo fin da subito che l'arredamento liturgico era una spia che qualcosa stava cambiando. E fu così che tante chiese, dopo la riforma liturgica, si adeguarono al nuovo corso: per pregare basta stare in piedi, via con queste anticaglie preconciliari! E fu così che, lentamente, lo stare in ginocchio come atto di adorazione di fronte a Dio è stato sostituito dal più comodo e pratico stare in piedi. "Da risorti", si tende a dire, perché questo è l'atteggiamento che si deve tenere a Messa: semmai è una comoda scusa.
Oggi sempre meno fedeli pregano stando in ginocchio durante i momenti salienti della Preghiera eucaristica e sempre meno, quasi nessuno, si inginocchia per ricevere la Santa Comunione. Fedeli tutti affetti da gonalgia? E che dire dei sacerdoti che non si inginocchiano durante la consacrazione? Anche per loro un improvviso dolore alle gambe, da curare stando in piedi? O forse non è piuttosto che nel tempo si è persa la funzione principale dell'inginocchiarsi di fronte a Dio: quella dell'adorazione, che gli antichi chiamavano "proskynesis" e che stava a simboleggiare l'atto di sottomissione di fronte a Dio e poi al sovrano. La parola deriva dal greco "proskyneo" che significa sì sottomettersi, ma anche adorare. Dunque, inginocchiarsi significa adorare. Non farlo suscita il terribile sospetto che non ci sia più la consapevolezza di questa adorazione dovuta a Dio.
Pigrizia? Perdita di conoscenza? O non è forse piuttosto un atto di totale rifiuto del sacro dell'Eucarestia come presenza reale di Dio?
Eppure, tanto la Scrittura quanto la vita dei santi raccomandano di stare in ginocchio quando si prega.
L'ESEMPIO DI GESÙ
A cominciare proprio da Gesù, sommo exemplum non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti, che nell'Orto degli Ulivi, ossia nel momento della sua vita terrena in cui la preghiera al Padre si concretizzava nell'offerta del suo corpo e del suo sangue, pregava in ginocchio. «Ed egli (Gesù) si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava» (Lc 22,41). Il testo greco non lascia spazio ad ambiguità. «Thèis tà gònata», letteralmente «si poneva sulle ginocchia».
Nell'antica Grecia, soprattutto in Omero, i verbi di posizione associati agli dei e alle ginocchia esprimono il significato figurato di stare sulle ginocchia degli dei, ossia nel volere degli dei. Ne consegue che la preghiera in ginocchio non esprime soltanto il senso di adorazione, ma anche quello di mettersi sulle ginocchia di Dio, proprio come un bambino, che sulle ginocchia del babbo, è protetto e consolato.
Non che Gesù abbia inventato alcunché. La Scrittura è piena zeppa di personaggi che pregano in questo modo. Elia e Daniele servono Dio pregando in ginocchio: «...Gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia» (1 Re 18,42) e «...Daniele (...) tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchi, pregava e rendeva grazie al suo Dio» (Dan 6,10). Uomini del tempo che furono, si dirà, che ancora avevano ben impresso nella memoria il comando che Dio stesso diede tramite Isaia: «Ogni ginocchio si piegherà davanti a me», da cui poi San Paolo dirà «affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra» (Fil 2,10). Infatti, quella di stare in ginocchio era una pratica che i primi cristiani adottarono subito senza grossi problemi, e con cotanti "maestri" non era difficile. A cominciare da Stefano che nel momento del martirio si mise in ginocchio (At 7,60). E come lui anche Pietro (At 9,40) e Paolo (At 20,36).
DA PAPA BENEDETTO XVI AL CARDINAL SARAH
Insomma, siamo arrivati a oggi rifiutando lo stare alla presenza di Dio? Eppure, di consigli ne abbiamo avuti. Da Benedetto XVI, ad esempio, che riprese a comunicare personalmente e pubblicamente i fedeli in ginocchio durante le Messe papali a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, quando ricordò "quasi scandalosamente" che «inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento». Basterebbe questo. Ma se non bastasse potrebbe venire in soccorso anche il magistero.
L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, al numero 65, ricorda che una manifestazione di riverenza verso l'Eucaristia è «l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica», mentre l'istruzione Redemptionis Sacramentum ricorda - e ribadisce, visti i tempi - che «i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi» salvo poi che «quando però si comunicano in piedi, si raccomanda che facciano la debita riverenza». E, quasi precorrendo i tempi e certi plateali rifiuti che oggi umiliano molti fedeli «non è lecito negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione che egli vuole ricevere l'Eucaristia in ginocchio».
Del resto, pochi cardinali come Robert Sarah hanno insistito più volte nella loro predicazione pubblica proprio su questi aspetti. E lo hanno fatto ponendo come esempio grandi santi contemporanei, proprio per mostrare l'attualità necessaria di questa postura. «L'intera vita di Karol Wojtyła - dice Sarah nella prefazione al libro di don Federico Bortoli La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali (Cantagalli, Siena 2018) - è stata segnata da un profondo rispetto per la Santa Eucaristia. Malgrado fosse estenuato e senza forze si è sempre imposto di inginocchiarsi davanti al Santissimo».
E che dire di Santa Madre Teresa di Calcutta? «Si asteneva dal toccare il Corpo transustanziato del Cristo; piuttosto ella lo adorava e lo contemplava, rimaneva per lungo tempo in ginocchio, prostrata davanti a Gesù Eucaristia». E ancora: «Riceveva la Comunione nella sua bocca, come un piccolo bambino che si lasciava umilmente nutrire dal suo Dio». -
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LO SPIRITO ROMANO DELLA CHIESA CATTOLICA di Roberto de Mattei
Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città, ma di un Impero: non l'Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta - non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) - proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l'opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Lo "spirito romano" non si studia sui libri, ma si respira in quell'atmosfera impalpabile che il grande polemista cattolico Louis Veuillot (1813-1883) chiamava «le parfum de Rome»: un profumo naturale e soprannaturale che emana da ogni pietra e memoria raccolta nel lembo di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro. Roma è allo stesso tempo uno spazio sacro e una sacra memoria, una "patria dell'anima" come la definiva un contemporaneo di Veuillot, lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol, che visse a Roma, a via Sistina, tra il 1837 e il 1846.
LA CITTÀ CHE OSPITA LE TOMBE DEI SANTI DI DUE MILLENNI
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant'Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell'Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant'Elena, l'imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant'Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell'846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l'epidemia di colera del 1837 e l'influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell'Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.
COSA FARE OGGI
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell'uomo giusto e forte, che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l'uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l'uomo che rimane impavido, anche se l'universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l'edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell'uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: "Regina Coeli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!". San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l'armonia che ancora risuona da un capo all'altro dell'orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un'immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili. -
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TUTTI HANNO BISOGNO DI UN PADRE SPIRITUALE di Don Stefano Bimbi
Per progredire nella vita cristiana è necessario un padre spirituale che possa guidarci nel cammino. Se dobbiamo andare per i sentieri di una montagna a noi ignota, sarà buona norma avere una guida esperta in modo da non perderci. Analogamente nella vita spirituale abbiamo bisogno di chi abbia percorso prima di noi i sentieri dello spirito. Non possiamo fare da soli perché siamo coinvolti emotivamente nelle nostre vicende. Non siamo obiettivi quando giudichiamo noi stessi poiché l'amor proprio ci annebbia la vista e siamo propensi a scegliere ciò che è più comodo o che ci piace di più. Insomma abbiamo bisogno di un punto di vista oggettivo al di fuori di noi.
Chi è dunque il padre spirituale? È un sacerdote a cui apriamo il nostro cuore affinché diventi il nostro maestro, il medico che ci cura, il riferimento per tutto ciò che riguarda Dio nella nostra vita. Egli ci mostrerà i vizi che ci impediscono di progredire, le mete che sono alla nostra portata e i mezzi per raggiungere tali traguardi. Potrà incoraggiarci quando siamo sfiduciati, sgridarci quando siamo tiepidi, consolarci quando siamo afflitti. È davvero una grazia speciale poter contare su di lui, ma non soltanto come uomo, bensì come strumento che ci porta a Cristo.
Nel Signore degli Anelli, quando si riuniscono i principali rappresentanti dei popoli per prendere l'importante decisione su cosa fare dell'anello del potere, Frodo afferma con coraggio che sarà lui a prenderlo, per compiere l'impresa di distruggerlo, però aggiunge umilmente: «ma non conosco la strada». Anche noi dobbiamo sinceramente riconoscere che non conosciamo la strada per progredire nella vita spirituale. Questo è confermato dal fatto che tutti i santi hanno avuto bisogno del padre spirituale. San Paolo ha avuto Anania a guidarlo nei primi passi della fede. Avrebbe potuto dire: «Non ho bisogno di una guida spirituale dal momento che Gesù Cristo in persona mi ha parlato sulla via di Damasco», eppure non l'ha detto. Santa Caterina da Siena ha avuto come padre spirituale il beato Raimondo da Capua. Avrebbe potuto dire: «Gesù mi parla direttamente, sono la sua sposa e non ho bisogno di intermediari», eppure non l'ha detto.
CHI SCEGLIERE COME PADRE SPIRITUALE
Chiarito quindi che abbiamo bisogno di un padre spirituale si pone adesso la domanda su chi scegliere. Innanzitutto è preferibile che sia un sacerdote. Nella storia ci sono state delle eccezioni come, ad esempio, San Francesco d'Assisi. In rari casi sono state perfino delle donne come Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d'Avila. Si tratta comunque di rarissime eccezioni. La regola è un sacerdote perché, in quanto tale, ha la grazia di stato, in virtù della sua ordinazione. Purtroppo oggi con il femminismo imperante e la parità di genere esaltata come un bene, capita di sentir dire: «Ho una madre spirituale». Ma visto che poiché scarseggiano le sante come Caterina e Teresa, bisogna ricordare che Santa Faustina Kowalska ha scritto che non trovava l'aiuto che poi avrebbe ricevuto dal suo padre spirituale, finché lo cercava nella superiora del convento. Costanza Miriano, autrice del libro Sposati e sii sottomessa, ha scritto: «mi conosco abbastanza da sapere che non mi devo sempre totalmente fidare di me stessa, delle mie emozioni, delle mie intuizioni, ed è per questo che ho una guida spirituale. Che non è solo una persona intelligente, è anche un sacerdote».
Occorre dunque chiedere nella preghiera il dono di un buon padre spirituale e bisogna aver chiaro che nella vita spirituale è il contrario di quello che succede quando si nasce. Infatti siccome la madre è sempre certa, o almeno lo era prima della fecondazione artificiale e dell'utero in affitto, il padre deve riconoscere il figlio registrandolo all'anagrafe e confermando la sua paternità il giorno del battesimo. Invece nella vita spirituale non è il padre che riconosce il figlio, ma il contrario. È il figlio che riconosce il padre. Lo stima, si sente capito, lo vede come un esempio di fede. Bisogna quindi diffidare di un sacerdote che dicesse che ci vuole guidare spiritualmente. È il fedele che deve chiedere al sacerdote di fargli da padre spirituale. E nessuno può essere costretto ad avere un padre spirituale che non ha scelto. Nemmeno un seminarista può essere costretto a prendere come padre spirituale il sacerdote che confessa i seminaristi, ma può mantenere quello che aveva prima di entrare in seminario. Un consiglio pratico per trovare il padre spirituale: dopo averlo chiesto nella preghiera, ci si confessa da più sacerdoti per poi scegliere quello che ci ispira più fiducia, che deve essere un uomo di preghiera e senza ombra di dubbio fedele alla Chiesa. Se invece ha opinioni contrarie all'insegnamento di sempre della Chiesa, se parla male della Chiesa come istituzione, se non riconosce il Papa come Papa o infine se nega l'importanza dei sacramenti o della preghiera, allora è certo che non può essere un buon padre spirituale, e nemmeno un buon sacerdote. Pertanto non si deve pensare che tutti i sacerdoti possano fare da padre spirituale e che è solo questione di trovare quello adatto alle proprie inclinazioni. Gesù avvertiva del rischio di avere delle guide cieche. «E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14). San Francesco di Sales scriveva che Santa Teresa d'Avila diceva di scegliere il padre spirituale tra mille sacerdoti, ma «io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito» (Filotea, parte prima, cap. IV). Con questo faceva capire quanto è difficile trovare un sacerdote adatto al compito di padre spirituale. E noi che pensiamo di vivere solo oggi tempi difficili!
UN RISCHIO GRAVE
Sbagliando la scelta del padre spirituale si rischia molto. Santa Faustina Kowalska notava infatti nel suo Diario che «un confessore può essere di grande aiuto per un'anima, ma può anche procurarle molto danno». Ed è proprio così. Può capitare ad esempio che un sacerdote incoraggi alla vita religiosa ragazzi e ragazze, ma solo spinto dal desiderio di avere una vocazione tra le proprie pecorelle. Così è facile rovinare la loro vita. Oppure a una persona sposata che sia convinta di aver fatto ampiamente il suo dovere di genitore mettendo al mondo tre figli, il padre spirituale che rafforzasse tale convinzione farebbe un grave danno. Infatti il giorno del matrimonio gli sposi si impegnano solennemente con un sì alla domanda "Siete disposti ad accettare i figli che Dio vorrà donarvi?". Confermando l'erronea convinzione che siano gli sposi a decidere il numero dei figli e non piuttosto Dio, la direzione spirituale si trasformerebbe in una negazione dei doveri di stato dei coniugi e il dovere di stato del sacerdote di condurre le anime alla maggior perfezione spirituale possibile.
Ci si potrebbe chiedere se sia possibile avere più di un padre spirituale, ma bisogna rispondere negativamente. In tal caso si potrebbero avere più pareri discordanti ed allora anziché rasserenare e dare sicurezza, la direzione spirituale si rivelerebbe fonte di ansie e dubbi. Ovviamente può darsi che per questioni specifiche particolarmente difficili si possa ricorrere a pareri di altri sacerdoti competenti per quella materia e lo stesso padre spirituale potrebbe suggerire in tali casi eccezionali di sentire un altro consiglio. Ma a parte queste eccezioni la regola è che il padre spirituale sia uno e uno solo.
Non bisogna mai dimenticare che il padre spirituale aiuta il fedele a prendere le decisioni con consigli ed esortazioni, ma non si sostituisce a lui. Le decisioni le prende il fedele, non il padre spirituale, che non è un guru. Sebbene sia sostenuto dalla preghiera del padre spirituale, la fatica del cammino spirituale rimane a carico del diretto. È come nello sport, quando la fatica delle esercitazioni rimane a carico dello sportivo e non dell'allenatore. Se non ci sono progressi, prima di pensare di cambiare padre spirituale, ci si deve domandare se davvero ci stiamo impegnando al massimo. Inoltre cambiare padre spirituale quando dice cose diverse da quelle che ci si aspetta è segno che non si sta facendo direzione spirituale, ma che si cerca un sacerdote che dica quello che vogliamo noi al pari della strega di Biancaneve che, dallo specchio, voleva solo sentirsi dire che era la più bella del reame.
INCONTRO IN PRESENZA E REGOLARITÀ NEGLI INCONTRI
Sebbene esistano delle eccezioni, è chiaro che la direzione spirituale necessita di un incontro in presenza in quanto né i messaggi via mail o whatsapp, né i collegamenti via streaming, possono mai sostituire l'incontro di persona che permette di capire le sfumature che, a volte, sono determinanti.
Perché la direzione spirituale sia efficace occorre una certa regolarità negli incontri. Infatti la costanza viene sempre premiata. Lo studente e lo sportivo sanno che è la regolarità la ricetta per il successo, scolastico o sportivo che sia. Anche nelle difficoltà - per esempio: poco tempo libero per i tanti impegni, un esame scolastico vicino, un eccesso di carico lavorativo, un periodo di stanchezza fisica o mentale - è importante mantenere il ritmo dell'incontro con il padre spirituale. All'inizio del cammino sarà necessario una volta al mese, mentre in seguito sarà possibile diradare gli incontri.
Il padre spirituale non è un "prete per chiacchierar..." come cantava Celentano nella canzone Azzurro. Se si chiede un consiglio al padre spirituale su una determinata questione, poi si è obbligati in coscienza a tenere conto de -
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SEI MIRACOLI SORPRENDENTI DEL SANTO ROSARIO di Manuela Antonacci
Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, san Giovanni Paolo II ha espresso in modo eloquente il suo pensiero riguardo la bella e santa devozione del Rosario. «Il Rosario, pur distinguendosi per il suo carattere mariano, è una preghiera cristocentrica», aggiungendo anche che «attraverso il Rosario il credente ottiene grazie abbondanti, come se le ricevesse dalle mani stesse della Madre del Redentore». Ovviamente si tratta di Grazie che hanno come fine quello di avvicinarci a Dio: benedizioni personali che cambiano la nostra vita e quella degli altri.
La straordinaria potenza del Rosario ha ottenuto anche molti grandi miracoli che hanno cambiato le sorti del mondo. Alcuni sono documentati. Christine Galeone, dal portale Beliefnet, presenta alcuni sei sorprendenti miracoli associati al Rosario. Il primo è quello che riguarda san Domenico e gli Albigesi. Siamo in Francia, tra il 1100 e il 1200, periodo in cui imperversava la setta eretica degli albigesi che convinsero molti cattolici a suicidarsi per poter essere liberati dai loro corpi, considerati fonte di male. Fu così che intorno al 1214, la Beata Vergine donò il rosario a San Domenico per sconfiggere quelle terribili menzogne. E così avvenne. San Domenico, inoltre, da quel momento, si prodigò nella diffusione della devozione mariana.
Ne Il segreto del Rosario, san Luigi Maria Grignion de Montfort racconta proprio la devozione mariana di san Domenico: «Come ricompensa ricevette da lei [la Madonna N.d.R.] innumerevoli grazie. Esercitando il suo grande potere di Regina del Cielo, coronò le sue fatiche con molti miracoli e prodigi. Dio Onnipotente gli ha sempre concesso ciò che chiedeva tramite la Madonna. L'onore più grande di tutti è stato quello di averlo aiutato a schiacciare l'eresia albigese e di averlo reso il fondatore di un grande ordine religioso».
IL MIRACOLO DEL SOLE A FATIMA
Ma facciamo un salto in avanti nella storia e veniamo al miracolo del sole a Fatima, nel 1917, quando la Madonna apparve ai tre pastorelli: Giacinta, Francesco e Lucia, nella Cova da Iría, a Fátima. Nell'arco di alcuni mesi, tra il 13 maggio e il 13 ottobre del 1917, la Beata Vergine apparve ai bambini sei volte. Non solo chiese loro di pregare il Rosario ogni giorno per portare la pace nel mondo e porre fine alla Prima Guerra Mondiale, ma si presentò come "Nostra Signora del Rosario" tenendo tra le mani un Rosario radioso.
Il 13 ottobre 1917, poi compì, poi, un grande miracolo, mantenendo la promessa che aveva fatto a Lucia, perché nessuno più dubitasse delle apparizioni: circa 70.000 persone osservarono il sole che girava in cielo, compiendo una specie di danza, andando poi quasi a lanciarsi tra la folla, asciugando loro tutto il fango e gli indumenti inzuppati di pioggia, prima di riprendere il suo volo. Alcune persone furono guarite dalle malattie, molti altri si convertirono. Il messaggio della Madonna di Fatima ha avuto un ruolo molto importante anche in un altro miracolo associato al Rosario, che si colloca agli inizi degli anni ‘60, in Brasile, quando il presidente Joao Goulart si preparava a diffondere il comunismo in tutto il paese.
Sembrava un destino ormai inesorabile, proprio come era successo a Cuba. Tuttavia non tutti erano disposti ad arrendersi: il cardinale de Barros Camara invitò il popolo brasiliano a fare penitenza, secondo le indicazioni date dalla Madonna a Fatima, per poter scongiurare il pericolo ormai all'orizzonte. Fu così che il presidente del Brasile e convinto comunista Joao Goulart venne rovesciato dopo la cosiddetta "Marcia della famiglia con Dio verso la libertà", formata da più di 600.000 donne che leggevano libri di preghiere e sgranavano rosari mentre marciavano con striscioni anticomunisti.
LA BOMBA ATOMICA
Dal rovesciamento di un potenziale regime dittatoriale, alla salvezza di un re, anche questo ha ottenuto la preghiera del rosario. Parliamo di Alfonso, re di León e della Galizia che portava costantemente un grande rosario legato alla cintura per ispirare gli altri a pregarlo e onorare la Madonna, anche se non lo pregava lui stesso. Un giorno, dopo essersi ammalato così tanto che si pensava non sarebbe vissuto a lungo, ebbe una visione in cui veniva giudicato e stava per essere gettato all'inferno, quando la Madonna intercedette per lui.
San Luigi Maria Grignion de Montfort descrisse ciò che accadde dopo. Ne Il segreto del Rosario scrive: «Lei chiese una scala e su una scala mise i suoi peccati, mentre sull'altra mise il rosario che lui aveva sempre usato, insieme a tutti i rosari che aveva detto. Si scoprì che i rosari superavano i suoi peccati». Così guardandolo con grande benevolenza, la Vergine gli disse che la sua vita era stata allungata di alcuni anni e preservata dall'inferno, per aver diffuso la devozione del rosario. Un'altra guarigione importante venne ottenuta, tramite la recita de rosario, dal sacerdote Patrick Peyton, a cui nel 1938 fu diagnosticata una tubercolosi avanzata, all'epoca incurabile
Dopo che la sorella gli suggerì di pregare la Beata Vergine, si consacrò a Maria e cominciò a pregare devotamente il Rosario. Con stupore dei suoi medici, guarì completamente e miracolosamente, e promise alla Beata Vergine che avrebbe passato la vita a promuovere il Rosario. La scamparono bella, invece, durante la grande tragedia di Hiroshima, dei sacerdoti gesuiti che vivevano in una casa parrocchiale ad un miglio e mezzo dalla città dove venne sganciata la bomba atomica.
Mentre la chiesa accanto alla canonica fu completamente distrutta e migliaia di persone morirono e altre migliaia soffrirono tremendamente per l'esposizione alle radiazioni, la casa dei gesuiti rimase in piedi e i religiosi devoti del rosario, non furono colpiti né dalla bomba e nemmeno dalle radiazioni Negli anni successivi all'esplosione furono visitati molte volte e vissero ancora per molti anni. E quando i religiosi sono stati intervistati, hanno ripetutamente spiegato il motivo per cui credevano di essere sopravvissuti: lo attribuivano al fatto di vivere fedelmente il messaggio di Fatima, dedicandosi alla recita quotidiana del santo rosario. -
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NON SI PUO' RIDURRE IL PAPA A UN RUOLO PURAMENTE ONORIFICO sdi Roberto de Mattei
Di fronte allo sfacelo della situazione ecclesiastica contemporanea non manca nel mondo tradizionalista chi arriva a mettere in dubbio le stesse istituzioni della Chiesa, a cominciare dal Papato. C'è chi sostiene, ad esempio, la necessità di rafforzare il potere dei vescovi, spogliando il Papa delle prerogative che ne farebbero un autocrate; una tesi non molto lontana da quella progressista della Chiesa sinodale, che vorrebbe ridurre il ruolo del Pontefice a un primato puramente onorifico. Altri sostengono l'abolizione dello Stato della Città del Vaticano, altri ancora vorrebbero abolire ogni forma di potere giuridico ed economico del Papato, ricordando le parole del Vangelo "non prendete borsa, né bisaccia, né denaro, né sandali, né due tuniche" (Lc 10,4). Così, il mito della Chiesa "primitiva" opposta a quella "costantiniana", un tempo cavallo di battaglia di protestanti e modernisti, si fa strada oggi tra i cattolici fedeli alla Tradizione. La frattura con la Tradizione della Chiesa, all'origine del disastro attuale, risalirebbe non al Concilio Vaticano II, ma all'Imperatore Costantino.
La confusione è grande e vorremo ricordare alcune verità tratte dal Magistero perenne della Chiesa. Dobbiamo conoscere e amare la Chiesa per come è stata voluta da Gesù Cristo e non per come noi vorremmo che fosse.
La Chiesa fondata da Gesù Cristo è una realtà che nasce e vive nella storia ed è allo stesso tempo umana e divina: umana per le membra di cui si compone, soprannaturale e divina per la sua origine, per il suo fine, per i suoi mezzi.
Come società umana, la Chiesa è un corpo visibile, composto da persone non necessariamente sante o in stato di grazia, ma unite dalla stessa fede sotto un medesimo governo. Questo governo, per volere del suo Fondatore è monarchico e gerarchico, ed è dotato di tutti i mezzi per esistere ed operare. Quali sono questi mezzi? Il primo è l'esistenza di leggi. La Chiesa è una società nel suo ambito perfetta, che non solo insegna, ma governa. Perciò ha anche il diritto di formulare delle leggi ed infliggere delle pene proporzionate alla gravità delle loro violazioni.
UN'ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE E GERARCHICA
Essendo la Chiesa governata da vescovi in unione con il Papa, è necessaria poi un'organizzazione territoriale. Per questo le sue diocesi sono configurate e distribuite secondo zone geografiche distinte.
La Chiesa può anche disporre di beni temporali, tratti dai liberi contributi sia dei fedeli che dello Stato, e di chiunque sia convinto dell'importanza della sua missione e sia desideroso di favorirla. E' questa l'origine del patrimonio della Chiesa, riconosciuto dagli imperatori Costantino e Licinio, fin dal 313 dopo Cristo.
Alla fine del V secolo, in un periodo in cui mancava un'amministrazione imperiale continuativa ed efficiente, il Papa san Gregorio Magno (590-604) volle assicurare una vigorosa amministrazione dei beni della Chiesa (patrimonium Petri), perché essa iniziava ad assumersi responsabilità pubbliche che esigevano ingenti mezzi materiali. Paolo Diacono, biografo di Gregorio, ci offre un resoconto dettagliato dei patrimoni di cui il Papa fu abile amministratore. I viaggi e il mantenimento dei missionari nei diversi paesi; le ambascerie presso l'imperatore e quelle dei legati straordinari, che dovevano spesso intraprendere lunghi viaggi per conto del Papa; le fondazioni o le visite dei monasteri; l'esercizio della giustizia sotto ogni forma; tutto questo comportava spese che venivano assunte dall'insieme dei beni della Chiesa denominato Patrimonio di San Pietro. Questo patrimonio non venne accumulato per esercitare un crescente potere politico, ma per garantire la piena libertà dell'azione evangelizzatrice della Chiesa e mantenere il Primato ecclesiastico di Roma in tutta la Cristianità.
Ancora oggi l'autonomia spirituale del Papa esige la sua indipendenza personale e territoriale da ogni potere civile. Un tempo questa indipendenza era realizzata dallo Stato Pontificio, oggi dallo Stato della Città del Vaticano.
Ma più in generale la missione della Chiesa esige una sua presenza, sostenuta economicamente, in tutti i campi: i suoi edifici sono costruiti da architetti e da maestranze in spazi pubblici: la sua liturgia è legata ad arredi, vesti, memorie storiche; la sua azione pastorale esige le condizioni create dalla tecnica e dal progresso. Oggi ad esempio rientrano in questa presenza pubblica anche le piattaforme web, usate da difensori e oppositori della Chiesa. Tutto questo presume il diritto di possedere della Chiesa.
LA CHIESA È UNA SOCIETÀ DI UOMINI E NON DI ANGELI
Nel discorso La vostra presenza del 4 aprile 1913 ai pellegrini della diocesi di Milano venuti a Roma per le feste del XVI centenario della Pace di Costantino, san Pio X diceva: "La Chiesa ha il diritto di possedere, perché è una società di uomini e non di angeli, ed ha bisogno dei beni materiali ad essa pervenuti dalla pietà dei fedeli, e ne conserva il legittimo possesso per l'adempimento dei suoi ministeri, per l'esercizio esteriore del culto, per la costruzione dei templi, per le opere di carità, che le sono affidate e per vivere e perpetuarsi fino alla consumazione dei secoli. E questi diritti sono così sacri che la Chiesa ha sentito sempre il dovere di sostenerli e difenderli, ben sapendo che, se cedesse per poco alle pretensioni dei suoi nemici, verrebbe meno al mandato ricevuto dal Cielo e cadrebbe nella apostasia. Perciò la storia ci segnala una serie di proteste e rivendicazioni fatte dalla Chiesa contro quanti volevano renderla schiava. La sua prima parola al Giudaismo, detta da Pietro e dagli altri Apostoli: Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini (Act. V, 29), questa sublime parola fu ripetuta sempre dai loro successori e si ripeterà fino alla fine del mondo, fosse pure per confermarla con un battesimo di sangue".
Le pratiche del culto, l'organizzazione giuridica, la stessa propagazione della fede, predicata da uomini in carne ed ossa che vivono nel mondo, è soggetta a tutte le esigenze della condizione storica. Certamente questa dimensione visibile della Chiesa è quella umana, e quindi quella più soggetta a decadenza e corruzione. La soluzione però non sta in una Rivoluzione che sfiguri i connotati della Chiesa, ma in una sua riforma interna, che si richiami all'azione invisibile e misteriosa dello Spirito Santo, che sempre la assiste. La strada da seguire, in una parola, non è quella di Lutero o dei modernisti, ma quella dei grandi riformatori come san Pier Damiani, san Carlo Borromeo o lo stesso san Pio X.
Bisogna affermarlo con fiducia nel futuro malgrado il disfacimento attuale. La Chiesa, a differenza delle società umane, non si avvia verso il declino, ma verso una pienezza di vita capace di durare in eterno. Essa è stata fondata da Gesù Cristo, Uomo-Dio, e la sua dimensione è l'eternità. -
VIDEO: Budda in fila indiana ➜ https://www.youtube.com/watch?v=f_wwWewF6Yw
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LA REINCARNAZIONE E' INCOMPATIBILE CON IL CRISTIANESIMO (E CON LA RETTA RAGIONE) di Giacomo Samek Lodovici
Uno dei pilastri del buddismo e dell'induismo è costituito dalla dottrina della reincarnazione o metempsicosi, una concezione antichissima (sostenuta anche da molti filosofi, per esempio da Platone), professata anche da diversi occidentali, persino cristiani o cattolici. In realtà, però, questa dottrina è incompatibile con quella cristiana, per vari motivi.
Per il reincarnazionismo:
1) l'anima (da intendersi come io consapevole e volontario) preesiste al corpo e discende successivamente in un corpo;
2) il soggetto coincide con la sua sola anima ed il corpo è solo un contenitore dell'anima (dualismo antropologico;
3) alla morte del corpo l'anima sopravvive e si reincarna varie volte in altri corpi;
4) solo dopo alcune reincarnazioni l'anima riceve definitivamente un premio o una punizione per come si è comportata, si libera finalmente dell'ultimo corpo e non ne assume più nessuno.
Per il cristianesimo:
1) l'anima non preesiste al corpo: nello stesso momento in cui avviene il concepimento di un nuovo corpo essa viene da Dio creata ed infusa in esso;
2) il soggetto è un'unione di anima e corpo;
3) alla morte del corpo l'anima sopravvive, ma non si reincarna in nessun corpo, bensì vive in uno stato di separazione dal corpo; solo alla fine del mondo l'anima si riunisce per sempre all'unico corpo (glorioso nel caso del beato) a cui era stata unita (resurrezione della carne;
4) alla morte del corpo l'anima riceve subito e definitivamente da Dio un premio (il Paradiso, preceduto o no dal Purgatorio) o una punizione (l'Inferno).
ALCUNE CRITICHE ALLA REINCARNAZIONE
Chiarite queste differenze, vediamo adesso alcune critiche filosofiche alla reincarnazione (altre si possono trovare nei testi citati in bibliografia).
Nel reincarnazionismo il soggetto coincide con la sua sola anima ed il corpo è solo un contenitore dell'anima. Tuttavia, se rifletto su me stesso, percepisco che il mio corpo e la mia anima sono profondamente compenetrati, interagiscono intimamente, percepisco che io sono una sintesi di anima e corpo. Vediamolo.
La mia anima agisce sul mio corpo, l'interiorità determina l'esteriorità. Ad esempio, pensiamo all'effetto placebo: se sono malato e un medico mi dà dell'acqua zuccherata, facendomi credere che mi sta somministrando una medicina, a volte io guarisco, o comunque miglioro, perché l'aspettativa e la fiducia di guarire, nutrite dalla mia anima, si riproducono sul mio corpo. Similmente, alcune malattie corporee sono una somatizzazione di fenomeni psichico-spirituali.
Il dualista antropologico può ribattere che anche un contenitore viene modificato dalle condizioni del contenuto: per esempio una bottiglia di vetro viene scaldata/ raffreddata se l'acqua che contiene è calda/fredda. Sennonché, l'anima non solo agisce sul corpo, ma altresì traspare attraverso il corpo: se sono interiormente triste, allegro, ecc., l'espressione corporea del mio viso lo manifesta, a meno che io non dissimuli. Anzi, perfino quando cerchiamo di dissimulare le nostre emozioni, alcune microespressioni facciali (che pochi sanno notare) trapelano lo stesso (cfr. K. Oatley, Breve storia delle emozioni, il Mulino 2007, p. 176). Ancora, spesso, almeno ad una certa età, i lineamenti del viso e lo sguardo manifestano se una persona è particolarmente buona/ malvagia. Ora, è vero che anche un contenitore fa trasparire le condizioni del contenuto, per esempio una bottiglia di vetro fa trasparire le condizioni dell'acqua che essa contiene, ma può farlo solo se essa è trasparente, mentre il corpo non è trasparente, bensì opaco, è un po' come una bottiglia di vetro nero.
Inoltre, il mio corpo agisce sulla mia anima: le sue condizioni si riverberano su di essa. Ad esempio, se il mio corpo è ferito o è accarezzato la mia anima ne risente. Più in generale, il corpo, che è sessuato, determina non solo l'aspetto fisico, ma anche la personalità, il carattere, l'emotività, il modo di reagire, il modo di ragionare, ecc., che negli uomini sono generalmente diversi da quelli delle donne.
Il dualista antropologico anche qui può ribattere che anche le condizioni di un contenitore incidono sul contenuto: se una bottiglia di vetro riceve calore dall'esterno lo trasmette all'acqua che c'è dentro di essa e la scalda. Ma se una bottiglia viene rigata/accarezzata l'acqua non ne risente, mentre se il mio corpo viene rigato-ferito/accarezzato la mia anima ne risente.
VARIANTI DEL REINCARNAZIONISMO
In alcune varianti del reincarnazionismo anima e corpo sono come prigione (corpo) e prigioniero (anima).
Ora, questa variante comporta di nuovo i problemi già segnalati, ed inoltre ne comporta un altro. Infatti, l'anima è capace, almeno in certi casi, di dirigere- governare il corpo: decido di alzare un braccio e lo alzo, decido di alzarmi e mi alzo, ecc. Ma, allora, come può il prigioniero dirigere e governare la prigione?
Nel reincarnazionismo l'anima perde la conoscenza delle esistenze precedenti quando scende nel corpo; ma, poi, è proprio il corpo che, attraverso l'esperienza, le fa acquisire le nuove conoscenze. In tal modo, il corpo è ciò che fa perdere la conoscenza e ciò che la fa acquisire, il che è problematico quanto l'esistenza di una matita che lascia dei segni sulla carta e che inoltre li cancella (una matita non può cancellarli in quanto matita, bensì solo se ad essa è attaccata una gomma).
In alcune versioni del reincarnazionismo l'anima umana si reincarna anche in corpi animali o vegetali o inorganici per espiare una colpa commessa nelle esistenze precedenti.
Se scendendo in tali esseri non umani l'anima perde consapevolezza, insorge un nuovo problema. Infatti, l'espiazione richiede afflizione, ma non ci può essere afflizione se non c'è consapevolezza: io non espio alcunché se qualcuno mi commina una punizione che non mi accorgo affatto di scontare.
Se invece scendendo nei corpi l'anima conserva la consapevolezza, il problema non c'è, ma se ne aggiunge un altro, perché è già problematico affermare che animali, vegetali e corpi inorganici hanno consapevolezza. -
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LA COMPUNZIONE, IL DOLORE CHE AVVICINA A DIO
«Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna» (Regola di San Benedetto, 72). Con queste parole San Benedetto introduce il penultimo capitolo della Regola (RB). Nel nostro sforzo di comprendere cosa sia la compunzione, potremmo semplicemente sostituire la parola "zelo" con "tristezza": proprio come c'è una cattiva tristezza, piena d'amarezza, che separa da Dio e conduce all'inferno - e la chiamiamo malinconia -, così c'è una buona tristezza che separa dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna: la compunzione. Parlando di questi due tipi di tristezza, San Paolo dice che «la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte» (2 Cor 7,10).
Come si fa a capire la differenza tra le due? Per cominciare, dovremmo riconoscere che tutta la tristezza deriva da una perdita, reale o percepita: di qualche oggetto importante, di un lavoro, di una casa o di un'auto, di un animale domestico, dell'affetto e del rispetto degli altri, di una relazione importante, dell'amore, di una persona cara. Nelle sue fasi iniziali, tutta la tristezza è moralmente neutra, ma siamo noi a guidarla verso la compunzione o la malinconia.
Ora, se la nostra disposizione fondamentale è quella della fede in Gesù Cristo, allora saremo in grado di considerare ragionevolmente se possiamo fare qualcosa per riguadagnare ciò che abbiamo perso e, in tal caso, pregheremo per avere la saggezza e la fortezza per farlo. Se, tuttavia, l'oggetto perduto non è recuperabile, vedremo che ciò che è stato perso non era così importante, come inizialmente pensavamo; oppure saremo in grado di accettare la nuova realtà con fede nell'amore provvidenziale di Dio e nella sottomissione alla sua santa volontà. Inoltre, lasceremo che Dio stesso si sostituisca a ciò che era perduto, così che si realizzino in noi le parole della Madonna: «ha ricolmato di beni gli affamati» (Lc 1,53).
LE LACRIME BUONE E QUELLE CATTIVE
«Vanno bene le lacrime, dice Sant'Ambrogio, se tu riconosci Cristo» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, X, 161), cioè se ti addolori nella verità e nell'amore di Dio. Tale dolore si trasforma felicemente in una santa compunzione. Se, invece, non si piange nella fede, ma si cerca di fare da soli, senza Dio, ne deriva la confusione mentale e si è incapaci di trovare il sentiero che conduce fuori dalla selva oscura. Al posto della rassegnazione alla volontà di Dio che dona pace, c'è una rabbia costante che rifiuta di accettare qualsiasi perdita, un'amarezza che tratta tutti come fossero una qualche sorta di nemico. Tale dolore è purtroppo diventato malinconia. La malinconia di questo tipo rifiuta di accettare la realtà e quindi non ha fine; nasce dall'orgoglio e spesso porta a un'autocommiserazione paralizzante che incolpa gli altri per le perdite subite.
La malinconia può derivare dall'orgoglio anche sotto forma di odio verso se stessi. In questo stato vediamo noi stessi come un fallimento secondo gli standard del mondo (non di Dio) e di conseguenza ci disprezziamo. Questa malinconia frutto dell'odio di sé può apparire una forma di umiltà, un santo disprezzo di sé; ma quanto sia lontano dall'umiltà è dimostrato dalla freddezza, anzi, dal disprezzo, che questa persona prova per Dio. La genuina umiltà, al contrario, è sempre legata a un profondo amore per Dio e alla sottomissione alla sua volontà: «Ci sono alcuni che piangono, ma non sono umili; piangono perché sono afflitti, tuttavia pur fra le lacrime si levano contro il prossimo e contestano le disposizioni del Creatore» (Gregorio Magno, Moralia, IX, 56).
C'è un altro tipo di malinconia, quella che desidera i beni terreni, ed è rattristata dalla loro assenza o perdita. Le persone afflitte da questa malinconia si sottomettono devotamente ai gioghi più duri della schiavitù per ottenere queste cose e, quando riescono nel loro scopo, sono ancora più infelici, poiché ogni bene mondano deve essere affannosamente protetto dalla perdita e vi si deve infine comunque rinunciare quando si muore.
COMPUNZIONE VS MALINCONIA
Il dolore della compunzione, tuttavia, è lontano dalla malinconia come l'Oriente lo è dall'Occidente. Chi è pervaso da compunzione non è rattristato dalla perdita delle cose temporali, ma dalla perdita di Dio. Come il Salmista, questa persona trova consolazione in Dio solo e merita la beatitudine da Lui pronunciata: «Beati coloro che piangono, perché saranno consolati» (Mt 5,5). Tali anime si considerano semplici viandanti e vedono questa vita per quello che è: un luogo di pellegrinaggio e una valle di lacrime, e sono quindi piene di quel dolore che, secondo San Gregorio Magno, è l'amarezza dei saggi (amaritudo sapientium) e il dolore del cuore degli eletti (luctus cordis electorum) (cfr. Moralia, XVIII, 66; XV, 68).
San Gregorio distingue due tipi fondamentali di compunzione: una di paura e una di amore. La prima è una purificazione dal peccato e una protezione contro di esso; l'altra è una forza del desiderio spirituale che ci trascina verso il Cielo. Due tipi e quattro motivi: «Quando ricorda le proprie colpe, considerando dov'era (ubi fuit); quando teme la sentenza del giudizio di Dio e interrogandosi pensa dove sarà (ubi erit); quando esamina seriamente i mali della vita presente, con tristezza considera dov'è (ubi est); quando contempla i beni della patria eterna che ancora non ha raggiunto, piangendo si rende conto dove non è (ubi non est)» (Moralia, XXIII, 41).
I primi due nascono dal timore di Dio, che è il primo e fondamentale dono dello Spirito Santo. Ma è soprattutto attraverso il dono della scienza che la compunzione della paura matura e cresce in noi, perché ci permette di vedere noi stessi come siamo, con i peccati che ci allontanano da Dio, ma anche creati a sua immagine e somiglianza, redenti dal sangue di suo Figlio e chiamati nell'amore ad essere santi come Lui. Vedendo la nostra peccaminosità e ingratitudine verso Dio, siamo pieni di disgusto verso noi stessi e arriviamo a odiare i nostri peccati; ma vedendo il prezzo che il Figlio di Dio ha pagato per la nostra salvezza, ci viene data la speranza di cambiare le nostre vite e diventare santi come Lui è santo.
IL TIMORE DEL SIGNORE
Così il dono del timore del Signore ci ispira a «essere sempre consapevoli di tutto ciò che Dio ha comandato» e porta i nostri pensieri a «meditare costantemente sul fuoco dell'Inferno che brucerà per i loro peccati coloro che disprezzano Dio»; e così ci protegge ogni momento «dai peccati e dai vizi». Questa santa paura ci dà la certezza che «Dio ci guarda sempre dal cielo e che le nostre azioni sono ovunque visibili agli occhi divini e vengono costantemente segnalate a Dio dagli Angeli» ; ci fa sentire «in ogni momento la colpa dei nostri peccati in modo tale che ci consideriamo già difronte al tremendo Giudizio e diciamo costantemente nel nostro cuore ciò che il pubblicano del Vangelo ha detto con gli occhi fissi sulla terra: Signore, sono un peccatore e non sono degno di alzare gli occhi al cielo» (Regola di San Benedetto, 7)
Le anime pervase da questa duplice compunzione di paura provano una profonda contrizione per i loro peccati e temono di finire con i dannati alla sinistra di Cristo. Fanno proprie le richieste del Miserere, insuperabile preghiera di pentimento e contrizione; e chiedono misericordia come se fossero già di fronte al Giudizio Universale, in sentimenti che sono perfettamente espressi nel Dies Irae, quel capolavoro poetico della Messa da Requiem. In queste preghiere, vediamo da un lato un timore servile che ha paura della punizione, dall'altro un timore filiale che rabbrividisce al pensiero di offendere Dio. Il primo diminuisce man mano che il secondo aumenta, poiché il timore filiale è espressione della carità, di «quell'amore perfetto di Dio che scaccia il timore servile» (RB 7; 1 Gv 4,18).
Con la crescita del timore filiale, entriamo nella terza compunzione: il nostro amore per Dio e il nostro desiderio di essere con Lui danno origine a una disponibilità a soffrire in questa vita per meritare la beatitudine eterna nella prossima. Una grande fonte di consolazione per chi si trova in questo stato è la bella preghiera della Salve Regina, nella quale ci rivolgiamo alla Madonna perché ci consoli tra le inevitabili afflizioni di questa vita. I nostri occhi, dal suo volto materno, ritornano di nuovo su questo mondo. E lo vedono per quello che è: un luogo di esilio e tentazione, di fatica e sofferenza, giusta penitenza per il peccato originale e per i nostri molti peccati personali. Ma Dio nella sua misericordia ci permette di considerare queste sofferenze come benedette, perché con esse «condividiamo le sofferenze di Cristo e meritiamo di avere una parte anche nel suo regno» (RB, Prologo). E così si comprende la "legge" dei santi: «quanto più in questo mondo l'anima del giusto è afflitta dalle avversità, tanto più acuta diventa la sua sete di contemplare il volto del proprio Creatore» (Moralia, XVI, 32).
Divenuti così cari a Dio per le fatiche, possiamo stabilirci nella quarta compunzione, in cui non c'è più dolore, ma solo gioia penetrante, perché sente Dio vicino e disponibile ogni volta che si prega. San Benedetto ci dice che questo può accadere anche a noi, perché «quando avrai fatto queste cose, gli occhi del n -
VIDEO: Premio Viva Maria alla Bussola Quotidiana ➜ https://www.youtube.com/watch?v=zT2AyJ4aBnA
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LA MADONNA DEL CONFORTO: LUCE IN TEMPI DI ATTACCO ALLA FEDE di Stefano Chiappalone
Durante la preghiera del Rosario che unisce ogni giorno la redazione e i lettori della Bussola, viene inquadrata una particolare immagine mariana: è la Madonna del Conforto venerata nel duomo di Arezzo in seguito a un evento miracoloso accaduto il 15 febbraio 1796. Quella presente nella nostra cappella è, naturalmente, una fedele riproduzione, ricevuta dal Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese, che nel 2014, in occasione del 6° Giorno del Timone della Toscana, volle conferire a La Nuova Bussola Quotidiana il premio "Viva Maria".
Torniamo al febbraio del 1796 ad Arezzo, nella cantina annessa all'Ospizio della Grancia, dove i camaldolesi vendevano il vino e mettevano a disposizione dei più poveri un fornello per cucinare e scaldarsi, accanto al quale si trovava proprio la nostra immagine, annerita e impolverata. Questa riproduceva a sua volta la Madonna di Provenzano, venerata a Siena (originariamente una Pietà di cui però era rimasto soltanto il busto della Vergine), accompagnata dalla scritta: «Sancta Maria ora pro nobis»). Quel mese di febbraio era iniziato male e il Carnevale era stato offuscato da decine di forti scosse di terremoto, accompagnate da bagliori e altri fenomeni inquietanti, che spinsero ben presto a volgere la baldoria carnevalesca in processioni penitenziali, anticipando la Quaresima che sarebbe iniziata ufficialmente il 10.
SI RINFRANCHI IL TUO CUORE: ECCO TUA MADRE
Il 15 febbraio nuova scossa e nuovi timori: nella notte si ritrovarono in cantina alcuni artigiani, Antonio Tanti, Giuseppe Brandini e Antonio Scarpini, confidandosi i rispettivi timori per il terremoto insieme alla cantiniera Domitilla Bianchini. Il pensiero andò ben presto ai castighi divini e alla protezione di Maria. Accesero un lume alla malconcia immagine mariana che vegliava su di loro e cominciarono a pregare, quando d'un tratto quel bassorilievo - ormai giallo e nero, che non c'era più verso di ripulire - si fece candido, emanando una luce ben diversa dagli inquietanti bagliori del terremoto, che da allora cessò. La paura del sisma lasciò spazio alla meraviglia per il prodigio in sé e anche per alcune grazie e guarigioni attribuite all'immagine mariana, che nel giro di pochi giorni fu portata in duomo, dove gli aretini realizzarono poi un'apposita cappella dedicata alla Madonna del Conforto, cui si accede attraverso una cancellata sovrastata dalla scritta: «Confortetur cor tuum: ecce Mater tua» («Si rinfranchi il tuo cuore: ecco tua Madre»).
Di lì a poco la Madonna del Conforto dovette prestare conforto agli aretini e a tutte le popolazioni toscane. In quello stesso 1796 Napoleone Bonaparte dava inizio alla Campagna d'Italia, volta ad esportare forzatamente i principi rivoluzionari nella penisola, laicizzandone le istituzioni: iniziava il cosiddetto "triennio giacobino" (1796-1799). L'invasione delle truppe napoleoniche fu accompagnata da una serie di prodigi ben ricostruiti da Vittorio Messori e Rino Cammilleri nel volume Gli occhi di Maria. Roma 1796: prodigi nell'Italia invasa da Napoleone (nuova ed. aggiornata, Edizioni Ares, Milano 2023). Da Ancona, dove si verificò il primo fenomeno il 25 giugno, a Todi, a Frosinone, passando per la Città Eterna, innumerevoli immagini mossero gli occhi o cambiarono espressione, quasi a lanciare un "allarme" celeste sulla persecuzione scatenata in nome dei "Lumi". Allarme di cui il fenomeno aretino costituisce non solo un preludio.
IL PREMIO VIVA MARIA
In Toscana i principi rivoluzionari erano già nell'aria sotto il granducato di Pietro Leopoldo (asceso poi al trono imperiale nel 1790) e il "conciliabolo" tenuto dal vescovo giansenista di Pistoia, Scipione de' Ricci. Inizialmente il Granducato si era salvato dai francesi, che nel 1796 avevano preso la sola Livorno. Nel resto della penisola avevano già avviato il forzato "cambio di paradigma": via la croce, su l'albero della libertà, proclamando repubbliche ispirate ai nuovi ideali, non senza scatenare l'insurrezione - o meglio, l'insorgenza - delle popolazioni legate alle tradizioni e alla fede dei padri. Come avvenne anche in Toscana, quando il 25 marzo 1799 Firenze fu occupata dai francesi, che il 6 aprile giunsero ad Arezzo. E la popolazione insorse, al grido di "Viva Maria!", liberando il Granducato dagli occcupanti con la guida del diplomatico inglese William Frederic Wyndham, dell'ufficiale dei dragoni Lorenzo Mari... e della Madonna del Conforto, effigiata sui loro stendardi.
Una storia e un'immagine che, pur nelle mutate circostanze, ci riguardano ancora da vicino: «Il premio», come scriveva nel 2014 don Stefano Bimbi, «è simbolicamente rappresentato da una perfetta riproduzione della Vergine del Conforto. Il motivo per cui è stato chiamato "Viva Maria!" questo premio è evidente: come ai tempi di Napoleone, è in atto un attacco alla fede cattolica. Ora come allora c'è bisogno che ci sia un forte movimento di popolo che difenda la Chiesa da questi attacchi». Quale che sia la buona battaglia (di ieri o di oggi), la Madonna del Conforto continua ad essere una luce per attraversare tempi oscuri. -
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3133
CRISTO E LA CHIESA: UN MATRIMONIO RIUSCITO di Giacomo Biffi
Quello tra il Signore Gesù e la sua Chiesa non è solo un matrimonio incontestabilmente celebrato: è altresì, per così dire, un matrimonio "riuscito". Potrà meravigliare questo insolito punto di riflessione ecclesiologica; ma va ritenuto opportuno e benefico. Anche perché è abbastanza diffuso un modo di pensare e di parlare, che non disconosce questo coniugio come atto originario costitutivo della Chiesa (diversamente si uscirebbe dalla verità cattolica), ma poi pare quasi supporre che siano intervenuti dei malintesi tra i coniugi e ormai non ci sia tra loro una grande armonia.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai molti credenti si esprimano senza simpatia nei confronti della Sposa di Cristo, e talvolta quasi col desiderio di "metterla a posto", come si sarebbe tentati di fare con la moglie troppo invadente di un amico che ci è caro.
LA "CHIESA" O LA "CHIESA"?
Ci limitiamo a segnalare, come indizio abbastanza eloquente della diffusa volontà di "ridimensionare" la Chiesa, l'abitudine (sorretta da un tenace proposito) di scriverne il nome con l'iniziale minuscola. La cosa colpisce particolarmente quando nelle stesse edizioni, nell'identica pubblicazione e addirittura nella medesima pagina si ritrovano scritte invece con la maiuscola, per esempio, Consiglio Presbiterale, Azione Cattolica, Codice di Diritto Canonico, Camera del Lavoro, Settimane Sociali, ecc. Si arriva persino a discostarsi arbitrariamente su questo punto nelle traduzioni che vengono offerte dall'uso cui si sono costantemente attenuti i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II.
ASSOLUTA O TOTALMENTE RELATIVA?
Ma non c'è forse anche il pericolo opposto, cioè quello di un'esaltazione indebita? Chi ha capito bene che cosa significhi nella sostanza che quello tra Cristo e la Chiesa sia un "matrimonio riuscito", tenuto in essere dall'amore, questo pericolo non lo corre. Egli sa che tutto nella Sposa è relativo allo Sposo; e perciò ogni entusiasmo e ogni glorificazione per la sua bellezza e per il suo valore non può che allietare il cuore del Signore crocifisso e risorto. Il pericolo caso mai è un altro; è quello di non tenere abbastanza viva e pungente la consapevolezza di quella totale relatività. «La Chiesa rifulge non della propria luce ma di quella di Cristo, e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia» (s. Ambrogio, Exameron IV,32).
Il pericolo eventuale è soltanto quello di assolutizzare, magari inconsciamente, la Chiesa come se ci fosse in essa qualcosa di apprezzabile che non sia frutto della sua affettuosa connessione con lo Sposo.
L'"ECCLESIOCENTRISMO"
Possiamo arrivare a parlare addirittura di "ecclesiocentrismo"? La parola non gode di buona fama: chi la usa, di solito, lo fa coll'intento di mettere in guardia da ogni rilevanza eccessiva assegnata alla Chiesa in epoca "preconciliare": si prendono così le distanze da una "forma" di cristianesimo tipica di alcuni ambienti cattolici del passato, che oggi è ritenuta del tutto improponibile.
Ma si tratta di un malinteso. Chi ha compreso che la "consistenza reale" della Chiesa sta nell'essere il "Cristo totale" (asserto che è il "cuore", il senso e anzi il compendio onnicomprensivo dell'intero disegno salvifico del Padre) non vede la ragione di questa allergia: è ovvio che qui non c'è nessuna insidia al primato e alla centralità di Cristo, «capo del Corpo» e Sposo dell'umanità rinnovata. Piuttosto, inteso così, l'ecclesiocentrismo è la logica integrazione e l'ultimo chiarimento del Cristo-centrismo.
Ancora una volta però va detto che una visione trascendente come quella del "Christus totus" è più accessibile ai "piccoli" che non ai "sapienti" e agli "intelligenti". Santa Giovanna d'Arco, una ragazza analfabeta non ancora ventenne, in virtù dell'acutezza della sua semplice fede, ai suoi giudici che le chiedono che idea abbia della Chiesa, dà subito una risposta sublime e ineccepibile: «Della Chiesa e di Gesù Cristo io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà».
RIFIUTO DELLA "ECCLESIOLATRÌA"
Ben diverso è il discorso a proposito di "ecclesiolatrìa". La Chiesa non va "adorata", neppure nei molti modi subdoli nei quali ci riesce talvolta di defraudare il Creatore del culto che compete solo a lui. Il che vuol dire tra l'altro: la Chiesa non può essere nemmeno lontanamente pensata come la sede indipendente e assoluta della verità; né come la causa prima o comunque prevalente della nostra salvezza; né come l'oggetto incondizionato della nostra dedizione e del nostro amore.
Curiosamente c'è un caso di "ecclesiolatrìa" che affligge talvolta i più severi censori dell'ecclesiocentrismo; ed è la "sinodolatrìa". In questa aberrazione incappano coloro che – tra i "sapienti" e gli "intelligenti" – tanto enfatizzano il Concilio Vaticano II da ritenerlo in pratica un'espressione inedita e originale della Rivelazione divina: parlano e agiscono come se fossero persuasi che unicamente da questa recente esperienza di Chiesa ci sarebbe stato finalmente restituito il cristianesimo nella sua autenticità.
I PALADINI DEL "CONCILIO VIRTUALE"
Già all'indomani dell'assise conciliare prese a serpeggiare una stravagante ermeneutica del grande avvenimento e del suo magistero. Si tratta di una specie di "distillazione ideologica", che possiamo tentare di delineare schematicamente così:
a) La prima fase sta in una lettura discriminatoria dei testi, che distingue tra quelli da accogliere e da citare e quelli da passare sotto silenzio.
b) Nella seconda fase si riconosce come provvido insegnamento sinodale non tanto quello che di fatto è stato enunciato, ma quello che la santa assemblea avrebbe potuto dire se non fosse stata intrigata dalla presenza di molti vescovi retrogradi e insensibili al soffio dello Spirito.
c) Con la terza fase si insinua che la vera dottrina del Concilio Vaticano II non è quella effettivamente votata e approvata, ma quella che avrebbe dovuto essere approvata, se i padri fossero stati più coraggiosi e più illuminati.
Con una siffatta esegesi – certo non teorizzata in modo esplicito, ma ampiamente applicata – quello che viene continuamente addotto ed esaltato non è il Concilio che è stato celebrato, ma un "Concilio virtuale" che ha un posto non nella storia della Chiesa, bensì nella storia dell'immaginazione ecclesiastica.
"CONCILIO" E "POSTCONCILIO"
Quando oggi nelle discussioni della cristianità ci si riferisce al "Concilio", bisogna appurare bene che il riferimento sia in effetti ai decreti canonicamente approvati nell'assemblea sinodale.
Bisogna in pratica saper distinguere accuratamente tra il "Concilio" e il postconcilio: il primo va accolto con fede e cordialità; il secondo chiede di essere valutato alla luce del primo; anzi, alla luce dell'insegnamento rivelato come è proposto da tutto il magistero infallibile della Chiesa lungo l'intera sua storia, perché non si presenti come autentica e vincolante anche un'ideologia postconciliare che non ha alcuna garanzia da parte dello "Spirito di verità".
UN'ANTICA ECCLESIOLOGIA
Ascoltiamo infine come si esprimeva un autore del secolo XII che ai giorni nostri non sembra molto citato (è però ricordato in una nota della Lumen gentium 64), Isacco della Stella († 1169), monaco cistercense di origine inglese ma vissuto in Francia, vicino a Poitiers: «Come tutte le cose del Padre sono del Figlio e tutte le cose del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo Sposo ha dato tutte le cose sue alla Sposa, e lo Sposo ha condiviso tutto quello che era della Sposa, che ha reso anch'essa una cosa sola con se stesso e con il Padre…
«Lo Sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e una cosa sola con la Sposa: quello che ha trovato di estraneo nella Sposa l'ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno.
«Quanto appartiene per natura alla Sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l'ha regalato alla Sposa. Insomma, egli ha annullato ciò che era del diavolo, ha assunto ciò che era dell'uomo, ha donato ciò che era di Dio. Per questo, quanto è della Sposa è anche dello Sposo» (Sermo 11 PL 194, 1728). - Show more