Episodi

  • A San Protaso incontro Francesco Vassani e la moglie Chiara Mutti, che gestiscono l'azienda agricola Landini a conduzione familiare. Filiera cortissima e autonoma, qui si produce e si coltiva la canapa, dalla rotazione dell'agricoltura al marketing. La canapa ha un alto profilo nutrizionale, contiene proteine, aminoacidi e fibre naturali; a completare questo patrimonio si aggiungono Omega 3 e antiossidanti. Mentre passeggio nei campi dell'azienda sono attratta dal tintinnio del lino, provocato dall'uomo per comprendere se è giunto il tempo della maturazione.Mi rendo conto di quanto il tempo profumi e di quanto siamo fortunati a mangiare quei profumi che la natura ci regala. Ma prima di partire ho una grande sorpresa, il canafè nato dall'utilizzo di semi di canapa non tostati a cui si miscela del caffè a bassa tostatura. Che energia!

  • Passeggiare per le vie di Arquà Petrarca, in provincia di Padova, sui Colli Euganei, è una vera esperienza culturale. A patto che lo si faccia con il desiderio di conoscere un luogo ricco di storia, di colori, di leggende come quella della gatta nera della casa del Petrarca. La conoscete? Avrebbe intenerito il cuore del poeta negli ultimi giorni della sua vita. Qui, alla ricerca dell’eccellenza dell’ingrediente, si può conoscere la giuggiola, in dialetto veneto “zisoa“, e il brodo di giuggiole della la Società Agricola Scarpon. La famiglia Callegaro, da oltre trent’anni si dedica alla coltivazione di cereali e uva, più di recente, alla trasformazione di diversi prodotti agricoli e alla raccolta di erbe spontanee e frutta selvatica del Parco dei Colli Euganei. Giuggiole, sparasine, cipolle selvatiche, germogli di pungitopo sono solo alcune delle proposte offerte a chi vuole proporre una cucina autenticamente regionale e gourmet. Ma che cosa è il brodo di giuggiole? E’ un liquore, dalle origini antichissime, dal sapore dolce, dal colore rosso e dal profumo intenso, che si ottiene dall’infusione della giuggiola. Nell’Enciclopedia della Crusca del 1600, se ne parla raccontando che la frutta utilizzata è quella autunnale: giuggiole (l’ingrediente principale), mele cotogne, uva, melograni messi in infusione nell’alcool per almeno qualche mese. Successivamente il composto viene filtrato, e, dopo aver portato il grado alcolico a 24 °C, si imbottiglia.
    Se lo assaggiate, vedrete che andrete in brodo di giuggiole!

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  • Quante volte a Milano vi sarà capitato di passeggiare nei pressi delle Colonne di San Lorenzo? Avete mai posato lo sguardo su quella scultura seminascosta e sulla targa che recita: “Qui sorgeva un tempo la casa di Gian Giacomo Mora, ingiustamente torturato e condannato a morte come untore durante la pestilenza del 1630?" La scultura, realizzata dal Menegon nel 2005, raffigura una colonna che ricorda la Colonna Infame, che ha ispirato al Manzoni il saggio la Storia della colonna infame. Milano nell’estate del 1630 era afflitta dalla peste. Si iniziò la caccia degli untori, accusati di aggirarsi con unguenti per diffondere la peste. Lo storico Ripamonti ci narra di un anziano che, prima di sedersi su una panca della chiesa di S. Antonio, passò il mantello per pulirla. Fu ucciso senza pietà. Stessa sorte toccò anche a tre viaggiatori francesi affascinati dal Duomo, tanto da non resistere alla tentazione di toccare il marmo. Impavido gesto! Senza capire perché, furono uccisi. La mattina del 21 giugno 1630 venne trovata dell’unguento giallastro in Corso di Porta Ticinese.
    Fu accusato il commissario della Sanità, Guglielmo Piazza. Dopo essere stato torturato, confessò che l’unguento gli era stato dato da un barbiere: Gian Giacomo Mora. L’ignaro barbiere fu immediatamente arrestato e condannato a morte. Al posto della casa del barbiere fu innalzata una colonna di granito come monito per la popolazione. Solo nel 700 la colonna fu distrutta: da monito si era trasformato in onta per la giustizia.

  • Il mondo del vino non si circoscrive ad un bicchiere di vino: è cultura, tradizione, innovazione, sorprese inaspettate.
    Un modo per conoscere i piccoli borghi italiani è quello di percorrere i sentieri che ci portano a conoscere le cantine che producono ottimi vini. In Toscana, in provincia di Livorno, il piccolo borgo medievale di Suvereto è conosciuto anche per questo: dal Suvereto DOCG: Cabernet Sauvignon e Merlot, al Suvereto Sangiovese DOCG, dal Suvereto Merlot DOCG, al Suvereto Cabernet Sauvignon DOCG. Ma quali sono le caratteristiche principali dei vini di Suvereto, vini simbolo della Val di Cornia? Sono caratterizzati da un modesto tenore di acidità. Il colore è rosso, intenso, un colore che nei vini invecchiati si trasforma in granato. Il profumo è intenso, aperto ed elegante. Il gusto è asciutto, tannico, con note speziate e nei vini invecchiati si sente il legno.
    La cantina Bulichella di Hideyuki Miyakawa ha una particolarità : rappresenta l’incontro della cultura occidentale con quella orientale. Qui si può anche dormire: il biologico Agriturismo Tenuta Vitivinicola Bulichella è un punto di partenza ideale per visitare i borghi medievali e i siti archeologici della zona. Nei dintorni il complesso termale del Calidario, le spiagge del Golfo di Baratti, di San Vincenzo di Carbonifera e di Rimigliano. Il borgo medievale di Suvereto fa parte della percorribile “Strada del Vino Costa degli Etruschi”, strada che porta nella Val di Cornia, a Terratico di Bibbona, a Montescudaio, a Bolgheri fino all’ isola d’Elba. E per mangiare? Il ristorante la “Locanda delle Stelle”, il regno dello chef Gian Maria Margelli, esperto di enologia. Che cosa si può degustare? Piatti tipici della cucina toscana, rivisitati in chiave moderna.

  • Il 2020 è una data importante per il San Domenico di Imola, il monumento della cucina italiana: compie 50 anni. Per capirne la storia vi dobbiamo raccontare chi è Nino Bergese. Nei primi anni del 900, in un’epoca in cui non esistevano i ristoranti, Nino entrava nelle cucine dei nobili e dei ricchi che avevano bisogno di personale per  organizzare ricevimenti. La Seconda Guerra Mondiale spazza via tutto. L’intuizione di dare vita al moderno ristorante è proprio di Bergese che apre a Genova, La Santa, dove porta in tavola la sua esperienza acquisita nelle case nobili: una cucina con ingredienti italiani, ma con influenza francese. Ed è subito successo. Qui arrivano intellettuali, artisti, buone forchette – gli attuali gourmet – tanto che Giangiacomo Feltrinelli gli chiede di scrivere un libro di ricette. Nel 1969 conquista due stelle Michelin.
    Nino incontra il San Domenico negli anni 70, quando Gianluigi Morini, cultore d’arte, appassionato di cibo e cultura, oltre che di vini, è alla disperata ricerca di un cuoco e l’amico Luigi Veronelli gli consiglia proprio Nino Bergese. Morini vuole una cucina che rappresenti l’Italia, capace di competere con la blasonata cucina francese. Nasce così il primo ristorante italiano che impone la cucina italiana in tutto il mondo. I piatti proposti oggi vanno dalla tradizione all’innovazione, dalla Torta Fiorentina, preparata per la prima volta nel 1926 per festeggiare il compleanno del principe Umberto di Savoia, all’iconico uovo in raviolo “San Domenico” burro di malga, parmigiano dolce e tartufo bianco, fino ai tortellini fritti alla spuma di patate affumicate e caviale. E per confermare che cibo è cultura si mangia fra opere d’arte di Alberto Burri, Mario Schifano e Giuseppe Capogrossi.

  • Quante volte siete passati a Milano in Largo Augusto? Quanti di voi si sono accorti della momentanea assenza per i lavori della M4 della Colonna del Verziere? Eretta nel 1580, per fare cessare un’epidemia di peste che mieteva migliaia di vittime,  subì due crolli, tanto che fu terminata quasi cento anni dopo il suo inizio. Nel 1673 si aggiunse sulla sommità della colonna la statua del Cristo Redentore, realizzata dall’architetto Francesco Maria Richini e da Giovanni Battista Vismara. Usata, durante la pestilenza anche come altare per celebrare la messa, ebbe una vita travagliata. Superate le pestilenze, nel 1860, le venne consegnato il compito di ricordare i caduti delle Cinque Giornate. Ancora oggi, sui lati del basamento, sono visibili i loro nomi. Qui un tempo, quando la via non aspirava all’eleganza, si svolgeva il mercato, da cui il monumento prende il nome. Nello slargo cittadino, circondato da edifici del 600 e del 700, i venditori di cibi pronti, di formaggi, di frutta e di verdura vivacizzavano un luogo assai affollato e frequentato anche da perditempo e piccoli criminali. Poteva mancare una figura popolare a rallegrare il mercato? No di certo. Ecco allora la Ninetta del Verzee, il più grande personaggio creato dalla penna di Carlo Porta. Ninetta è un’ex venditrice di pesce al mercato Verziere che, dopo una travagliata storia d’amore, è costretta a prostituirsi. Un’esistenza difficile quella dell’orfana Ninetta, crescita dalla zia pescivendola. Si innamora del Pepp, figlio del pasticciere, con cui la zia ha una relazione, ma, dopo un primo momento di felicità, il giovane amante si dimostra un cinico calcolatore che le estorce somme di denaro fino a costringere Ninetta alla fame e alla prostituzione per sopravvivere.

  • Nella dannunziana Pescara, in via Cesare Battisti, c’è il primo vero cocktail bar della città, La Nuova Lavanderia, nato dalla passione per la mixology di Alessandro di Fabrizio. Qui viene servito “8 e 1/2”, il cocktail ispirato al capolavoro di Federico Fellini. Il film è un susseguirsi di flashback e parti oniriche, incubi che sembrano strade senza uscita, sogni megalomani, voglia di purezza e di fuga. Un omaggio alla romanità, che il carattere del gin porta con fierezza mixandosi tra assenzio, camomilla, cardamomo, genziana, tonica al melograno e succo di mandarino e di limone. Perché un cocktail dedicato a Fellini? Perché il cibo non manca nei suoi film. Il cibo è nostalgia, ma anche tentazione, peccato. In 8 e ½ una procace Sandra Milo divora un pollo, aiutandosi con le mani, in modo sensuale, in Boccaccio 70 il latte si trasforma in una vera ossessione per il Dottor Antonio che lo associa alla prosperosa Anita Ekberg che in un manifesto pubblicitario ricorda di berlo in nome del benessere. In Satyricon, tratto dal libro di Petronio, il cibo paradossalmente assume forme grottesche: teste di toro o bulbi oculari serviti in grandi piatti, un maiale svuotato dalle interiora tra convinti applausi, donne che si pettinano con seppie. In Roma le vie, che accolgono il provinciale Fellini, vestito di bianco, sono trasformate in ristoranti all’aria aperta. I camerieri servono lumache, fettuccine alle vongole e scampi alle acciughe. Il giovane si unisce ai commensali e un vicino di tavolo, estraendo una lumaca dal guscio gli ricorda: “Sei quello che mangi”.

  • Se Grottaglie oggi è conosciuta nel mondo lo deve molto all’arte delle ceramiche e agli artigiani che hanno creato uno stile. Che cosa è di più elegante che arredare una casa o apparecchiare una tavola con i "bianchi di Grottaglie" che esaltano la forma, o con la quadrocromia - verde marcio, giallo ocra, blu e manganese – che celebrano il colore? E allora perdiamoci nel quartiere delle ceramiche, in dialetto "Camenn'ri", cioè "camini", presso la gravina di S. Giorgio, ai piedi del castello di Grottaglie. La particolarità di Grottaglie, diventata l'atelier delle ceramiche, sta tutta nell'aver trasformato un'arte contadina -ruagnara o arte faenzara - in ceramica decorativa destinata ai salotti borghesi. Le ceramiche più tradizionali? Il piatto con il galletto, la ciaria, un vaso a due anse, e il capasone per la conservazione del vino. Ma quelle che attirano maggiormente l’attenzione sono le strane anfore dal corpo di donna...ma con evidenti baffi! La loro origine ricorda il medievale "ius primae noctis" e un'antica leggenda. Nel 700 una fanciulla di Grottaglie sposò un vignaiolo di Martina Franca. Il signorotto del luogo, come voleva la tradizione, pretese che la giovane trascorresse la sua prima notte di nozze con lui. Il marito deciso ad evitarlo si travestì da donna per sostituirsi alla moglie. Ma commise un errore: si dimenticò i baffi. Il feudatario in un primo momento lo condannò a morte, poi trasformò la condanna nell'obbligo di consegnargli il vino che produceva in anfore che riproducessero le fattezze del travestito.

  • Ti piace la carne? A Milano "Il Baguttino", nel quadrilatero della moda di Milano, propone un format dedicato alla carne di qualità. Qui puoi degustare un menu gourmet, dove l’alta cucina incontra la semplicità, ma anche assaporare la cultura. Infatti il locale ridà vita alla storica trattoria Bagutta, lì dove è nato l’omonimo premio letterario nel 1926. Un premio nato dall’idea di un eccentrico gruppo d’intellettuali: due giornalisti, due pittori, un avvocato, un commediografo, tre letterati e un dandy. Un premio prestigioso, che conobbe un’unica sospensione durante il fascismo. Chissà se un giorno, il Baguttino riconquisterà un ruolo nella sua organizzazione ? Un’apertura all’insegna del claim: meat n’ meet. Un gioco di parole che ci svela subito che qui la protagonista è la carne, la carne di qualità. Il successo del locale risiede: nella location, nella qualità del cibo e nella passione di chi ha creduto nel progetto di ridare vita a un luogo della vecchia Milano. Il Baguttino-Alta Carne punta sulla proposta di hamburger di qualità, carne alla griglia, ma anche su alcune proposte della cucina della tradizione piemontese come agnolotti, plin e tajarin. La qualità della carne è assicurata dalla scelta di aver selezionato un’azienda che“coltiva la carne” nel rispetto dell’ambiente, dell’uomo e degli animali.

  • Di piatti siciliani ce ne sono tantissimi. Decine di proposte con pesce e verdure, altrettante che provengono da un mix di cultura gastronomica mediterranea. Un’identità del gusto costruita dalla ricchezza di ingredienti,  spezie, erbe, ricette che provengono da altre culture. Molti i piatti Made in Italy siciliani famosi in tutto il mondo: dalla caponata alle panelle fino alla cassata. Ma come si può assaporare l’autentica cucina siciliana se sei a Milano? Una soluzione azzeccata è varcare la porta del nuovo ristorante Terrammare a Milano, dove troverete una proposta mediterranea e creativa. Lo chef  Peppe Barone ha voluto portare nel capoluogo lombardo una cucina siciliana contemporanea, al passo con i cambiamenti, fatta di tanto pesce azzurro, nel rispetto della sostenibilità del Mediterraneo, creando un’ideale unione tra terra e mare. Qui trovi la cucina siciliana saporita e perfetta come la puoi mangiare solo in Sicilia, in particolare a Modica e a Scicli.

  • Il ristorante Particolare è una vera casa gourmet voluta dallo chef Andrea Cutillo, dal maitre e sommelier Luca Beretta e da Mino Traversi, F&B manager di catene di hotel. Nel cuore di Milano, a Porta Romana, il ristorante propone una cucina creativa e mediterranea. Un locale ispirato all’eleganza milanese degli anni ’50 e ’60. Potrete divertirvi a riconoscere nell’arredamento del locale traccia delle più belle idee del design del 900. Le prospettive specchiate, le textures a rombi, gli accostamenti cromatici, le linee degli arredi, le lampade dorate sono la testimonianza che cibo è cultura. L’ambiente evoca l’amore per la tradizione del design milanese e il desiderio di osare del contemporaneo. Anche una location ideale per gustare piatti originali, delicati e creativi, testimoni di una cucina fatta con passione, sincerità e autenticità, dove i protagonisti sono gli ingredienti capaci di raccontare l’evoluzione di un piatto. Lo chef Andrea Cutillo propone una cucina itinerante che va da Napoli a Milano passando per l’Asia. Un viaggio raccontato , ad esempio, dal piatto che meglio lo rappresenta: il raviolo di ossobuco. La cultura gastronomica partenopea è rappresentata dalla forma del raviolo che richiama nella forma il calzone; la suggestione nipponica sta tutta nell’impasto fatto con la pasta di riso. E Milano? È rappresentata non solo dall’ossobuco ma anche dall’acqua di chiusura del raviolo con l’aggiunta di zafferano che richiama il risotto alla milanese.

  • L’Italia è una repubblica fondata sulle cucine regionali. E così a Milano ha aperto un ristorante che propone una cucina ingiustamente poco conosciuta, la cucina calabrese. Parliamo del ristorante Le Saie. Lo chef, Rocco Iannì, allievo di Gualtiero Marchesi, ha deciso di raddoppiare. Infatti, oltre a gestire il ristorante La Saie a Bagnara Calabra, ha deciso di aprire nel capoluogo milanese un locale con l’obiettivo di fare conoscere la cucina calabrese tradizionale, senza rinunciare ad una rivisitazione attenta all’esaltazione della bellezza e dell’eccellenza della materia prima. Inutile dirvi che il protagonista è il pesce di altissima qualità, freschissimo. Da assaggiare assolutamente la parmigiana di pesce spada. “Le Saie” è un ristorante che racconta la storia della Calabria. Il nome ricorda le ampie gonne con cui vestivano le bagnarote, mogli e madri dei pescatori di Bagnara Calabra, le infaticabili camminatrici che percorrevano i paesi della provincia per vendere il pesce fresco. Nella memoria popolare vengono ricordate come donne forti, audaci, spesso ritratte con pesanti gerle sulla testa. In  tempi di fame e carestia, contrabbandavano il sale sapientemente nascosto laddove nessuno avrebbe osato perquisirle: sotto le ampie sottane. Tutto per non pagare il dazio considerato un sopruso. Sulle pareti de “Le Saie” si ricorda proprio la forza delle bagnarote, rappresentate mentre con energia tirano le reti al rientro delle palamatare dalla pesca.

  • Ti piace peccare? Almeno cadere nei peccati di gola? A Milano, a Porta Romana, in via Orti, come cantava Nanni Svampa, c’erano le case di tolleranza e allora come non essere incuriositi da un ristorante dal nome El Pecà. Qui si possono provare alcuni piatti di ispirazione marittima a gradazione alcolica. Infatti i protagonisti della cucina sono due: il mare e i drink. I piatti creati dallo chef Romeo Poltronieri, formatosi nelle cucine di Carlo Cracco e del ristorante Marconi, sono creati con ingredienti di stagione e di qualità scelti dal titolare del locale il figlio di Cesare Cadeo, Filippo,già protagonista delle aperture del format That's Vapore. Se lo chef offre piatti con pesce fresco cucinato in modo originale, Gabriel Garcia propone una serie di deliziosi cocktail da sorseggiare famelicamente. L’elegante arredamento contribuisce a creare un'atmosfera leggermente retrò, in cui si è ben disposti a chiacchierare. Il piatto da ordinare? Nessun dubbio: senz’osso, la milanese di tonno, una cotoletta di mare con maionese di bottarga.

  • Il miglior ristorante cinese dove andare a Milano per un appuntamento con il marito, l’amante o l’amica del cuore è Bon Wei. Che cosa ordinare? Sicuramente i lamian, tagliolini della regione cinese dello Shandong fatti a mano e conditi con carne di maiale saltata nel wok insieme a funghi cinesi e cipollotti, serviti con cetrioli freschi tagliati a julienne. Ora è possibile scegliere altre 4 varianti, di cui tre Lamian saltati con gamberi, carne e verdura e una in brodo con frutti di mare. Un’avvertenza: è possibile ordinare Lamian solo a mezzogiorno. I piatti della regione dello Shandong, l’ultima regione introdotta nei menu regionali cinesi del ristorante, sono soprattutto a base di pescato e di frutti di mare proposti con ingredienti dell’entroterra della regione del Nord-Est della Cina, da cui proviene anche il grano utilizzato per fare Lamian. Un vero spettacolo vederli fare, soprattutto quando i cuochi uiguri formano un lungo spaghetto, che può arrivare a una lunghezza di tre metri! Questo viene poi arrotolato sul braccio come se fosse una matassa di lana da sbattere con energia sul tavolo. La tradizione lo vuole come un piatto per le grandi occasioni, soprattutto anniversari e compleanni. Sono considerati di buon auspicio, capaci di assicurare lunga vita. Altre ottime proposte sono i Dim Sum, ravioli con ripieni diversi, o una squisita anatra alla pechinese laccata in casa, assolutamente da assaggiare e sempre disponibile senza prenotazione.

  • Ci sono luoghi fuori dal tempo, che non troverai mai negli itinerari più consueti. Sono “terre per intenditori”; sono i “posti del cuore”, risparmiati dalle luci della ribalta, ignorati dai grandi tour operator. I Monti Dauni sono questo. In particolare Troia è una dolce sorpresa. Tutti conoscono la pasticceria di Lucia Casoli, la pasticciera che ha inventato la Passionata, un dolce bello da vedere, buono da gustare, per dirla alla maniera della sua creatrice “un messaggio d’amore, racchiuso in uno strato di pasta di mandorle.” Ed è proprio da qui, dalla Pasticceria Casoli, che può partire la visita al borgo. Adiacente al locale sorge la Concattedrale di Santa Maria Assunta fondata tra il 1093 ed il 1106. La facciata è dominata da un rosone unico al mondo: ha 11 spicchi e non 6 o 12 come accade di solito. Il numero 11 ha un significato simbolico: è il numero degli apostoli senza Giuda Iscariota, scelta fatta per sottolineare che chi pecca è fuori dalla comunità cristiana. Vicino alla concattedrale sorge il Museo diocesano, la cui struttura è ricavata nell’ex convento di San Benedetto. Tra i tanti reperti archeologici, paramenti liturgici, quadri, marmi e lapidi, spiccano il capitello delle Quattro razze, di età federiciana, e le statue di arte sacra realizzate in cartapesta di scuola napoletana del 1700. La visita continua con il Museo Civico allestito all’interno di Palazzo D’Avalos, che accoglie reperti di diverse epoche.

  • Il Castello di San Pietro in Cerro si trova in un piccolo paese a pochi chilometri da Piacenza. Costruito da Bartolomeo Barattieri, risale al 1460 ed è conosciuto, oltre che per la bellezza dei suoi interni conservati e mantenuti in un eccellente stato, per i guerrieri di Xi’an.
    La vera sorpresa del castello sono proprio loro. Te li trovi schierati all’improvviso nei sotterranei del maniero. Dopo essere scesi per una ripida scala di pietra, sei spinto ad andare oltre da una flebile luce che si intravede dietro ad un muro ad angolo. All’improvviso ti trovi catapultato in uno spazio con soffitta a volta. E qui sorpresa! Un esercito schierato ti si para di fronte, composto da una cinquantina di uomini in terracotta pronti a marciare. Superata la sorpresa iniziale, inizi ad apprezzarne i particolari. Distingui il magistrato dai portatori, i generali dai soldati semplici, tutti in misura reale che imbracciano le loro armi. Ognuno ha la sua espressione ed è inevitabile lo stupore negli occhi e il pensiero che si forma nella mente: “mai vista un’opera del genere!”. Franco Spaggiari, proprietario del castello ci racconta:“Ho meditato a lungo per la paura di cadere nel kitsch o nell’incompreso, ma poi ho riflettuto sull’importanza del poter ammirare da vicino queste statue, meglio qui che in Cina, dove le puoi vedere solo da lontano”.

  • In un mondo veloce, spesso fatto di cemento, chi non sogna un ritorno ai ritmi lenti della natura con quei colori e profumi spesso solo trasformati in ricordo? E allora, per una fuga dalla città, vi suggeriamo un’esperienza davvero emozionante presso il Parco dei Paduli, vicino a Botrugno, in provincia di Lecce. Prima di scalare montagne o solcare mari, si può iniziare a vivere l’esperienza di dormire piacevolmente cullati in un “nido” sospeso tra secolari ulivi. Di notte, potete ammirare le stelle e, se siete capaci, farvi sussurrare dal vento storie incredibili! Nel cuore del Salento, dove un tempo prosperava il Bosco Belvedere, il Parco Agricolo dei Paduli si estende per ettari di uliveti, tra piccoli borghi rurali, torri di avvistamento e masserie, casini di caccia, frantoi ipogei, chiese, dolmen e menhir, serre, canali e canneti, boschetti di querce imponenti e laghetti temporanei. Simbolo del Parco Agricolo è l’Uliveto pubblico, luogo che è un esempio di “multifunzionalità in agricoltura”, tra produzione di olio d’oliva Terre dei Paduli di alta qualità nel rispetto dell’ecosistema, attività didattiche ed esempi di land art del progetto “Nidificare i Paduli” legati all’abitare sostenibile. Abitare i Paduli sperimenta una fruizione dei luoghi multidimensionale, dove l’idea di “Abitare” sottintende una reale empatia con il territorio, che va attraversato con il fisico e la fantasia, educando tutti i sensi.

  • Il cornetto materano, detto anche pane alto, risale all’epoca del Regno di Napoli. In origine, prevedeva l’utilizzo della semola di grano duro e una lunga lavorazione, che iniziava la notte prima. Il lievito (“u lvet), lo si passava di famiglia in famiglia, come un bene prezioso. Il garzone del forno girava nei paesi con un fischietto(“u fjscharjl”), raccogliendo le prenotazioni per l’utilizzo del forno. L’impasto, messo su un tavoliere di legno massello (“tavljr”), era caratterizzato dal movimento delle mani a pugno chiuso (“trmbè“). Ogni pezzatura era lavorata di nuovo e poi tagliata con un coltello con incisioni trasversali e incrociate. Ogni famiglia lo marcava con uno stampo di una figura in legno alla cui base erano impresse le iniziali del capo famiglia. Era dato in dote alla figlia che si sposava o, in alcuni paesi dell’entroterra, alla nuora dalla suocera, che così simbolicamente consegnava il figlio ad un’altra donna. Oggi il cornetto materano è prodotto soprattutto a Matera. Nei paesi della bassa provincia materana si preferisce produrre un pane rotondo. Il pane di Matera, che ha ottenuto nel 2004 l’IGP, è fatto esclusivamente con la semola rimacinata di grano duro, ottenuta dalla miscelazione di varietà di frumento coltivato sulla collina materana e sull’altopiano della Murgia barese.

  • Orsara è un bel borgo dei Monti Dauni, ma è soprattutto una tappa enogastronomica d’eccellenza. Imperdibile l’antico forno a paglia risalente al 1500. Superando l’insegna Pane e Salute scopri un locale molto particolare, non solo nella tipologia della struttura, ma anche nella gestione e nella proposta gastronomica. Il Patron Angelo Di Biccari ti accoglie con le mani sporche di farina, pronte ad impastare, come facevano i suoi avi che gli hanno consegnato un’attività antica di 500 anni di storia, fatta di cinque generazioni. Ma, dopo la visita alla bellissima chiesa di Orsara e ai suoi sotterranei, puoi anche fare tappa al Ristorante Donna Cecilia, un ristorante con una storia singolare. Donna Cecilia era una signora che esercitava la professione che Fabrizio de André definiva “pubblica moglie”, con una particolarità. Il suo tariffario era determinato dalla condizione sociale del cliente! Ultima tappa enogastronomica è da Beppe Zullo. Villa Jamele e Nuova Sala Paradiso sono le sue creazioni, luoghi di cucina, di corsi per amanti del cibo e di cerimonie di classe. Prima tappa è Villa Jamele. L'edificio principale è un’antica villa padronale inserita in una campagna tra vigne, frutteti e boschi. Le distese di orti che si allungano davanti alla struttura producono prodotti della terra che troveranno collocazione nelle cucine, elaborati ed interpretati con creatività e saggezza culinaria, per una cucina a centimetro zero che puoi degustare presso il ristorante Nuova Sala Paradiso.

  • Se ti piace fare un viaggio attraverso i costumi sardi merita una visita il Meoc, “Museo Etnografico Oliva Carta Cannas”, che si trova vicino alla settecentesca chiesa del Rosario. Potrai soffermarti ad ammirare arredi, oggetti d’uso quotidiano e intraprendere un percorso attraverso le attività dell’economia domestica e della produzione alimentare. Non solo: sono ricostruiti gli antichi mestieri, dalla lavorazione del sughero e del granito, fino all’opera del fabbro, del calzolaio e del falegname.