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Lo scettro del comando passa così al giovane e brillante Matteo Messina Denaro, figlio d'arte della mafia trapanese, ferreo alleato di Totò Riina e sodale nella strategia terroristica. Un boss diverso dai suoi predecessori, moderno e anticonformista, capace quando necessario di violenze spietate, attratto dai piaceri della vita, dalle belle fimmine e dalle buone letture. Ma anche uno che ha fatto propria la lezione di Provenzano sull'inabissamento di Cosa nostra. Soltanto nel gennaio 2023, dopo quasi trent'anni di latitanza, Messina Denaro viene finalmente arrestato dai carabinieri del ROS, mentre è in procinto di recarsi in una clinica privata dove è in cura per una grave forma tumorale. È una vittoria dello Stato, tardiva, che svela la rete molto vasta di connivenze di cui ha goduto l'ultimo dei Corleonesi, e chiude una stagione di terrore e di sangue durata oltre cinquant'anni.
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Con l'arresto di Bagarella e Brusca l'eredità e il progetto sanguinario di Totò Riina sembrano finiti per sempre. Benché malato, l'uomo che per oltre quarant'anni ha diviso lo scettro del comando con Riina si trova finalmente solo, in grado di determinare la nuova strategia. Non più vendetta e sangue. Cosa nostra nelle sue intenzioni deve tornare a operare sottotraccia, dedicandosi a suoi affari senza farsi notare. Per questo prosegue la sua latitanza agreste comunicando tattica e direttive attraverso messaggi in codice affidati a una rete di fidati corrieri. La sua impunità è tale che riesce persino a recarsi in Francia per operare un tumore. Una mossa obbligata, che però mette gli investigatori nella giusta direzione, passando dalle numerose tracce lasciate dai fiancheggiatori. E che porteranno alla brillante operazione del suo arresto, dopo quarantatré anni di latitanza.
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Rimane però ancora libero Giovanni Brusca, il killer di Riina, l'uomo che ha premuto il detonatore nella strage di Capaci. Come gli altri mafiosi, Brusca sconta la perdita del capo dei capi, il senso di smarrimento causato dalla mancanza di un riferimento e della protezione dei politici corrotti. Le sconfitte di Cosa nostra hanno incoraggiato sempre più pentiti a lasciare l'associazione mafiosa e a confessare i loro delitti. Tra questi c'è Santino Di Matteo, la cui collaborazione con la giustizia è pericolosissima, perché è a conoscenza dei misfatti di Brusca. In accordo con Matteo Messina Denaro e i Graviano, Brusca fa quindi rapire suo figlio Giuseppe appena dodicenne, con l'intento dichiarato di fermare l'emorragia dei pentiti e dare una lezione al padre. Il bambino sarà assassinato e sciolto nell'acido dopo oltre settecento giorni di prigionia, mentre gli uomini di Sabella, sempre più abili nella caccia ai latitanti, riescono finalmente a trarre in arresto Brusca.
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A prendere la guida di Cosa nostra dopo l'arresto di Riina è il suo fedelissimo cognato Leoluca Bagarella. È lui a insistere per un salto di livello, anche a costo di rompere con la cordata di Provenzano. La sua carriera, parallela a quella di Riina, è costellata da brutali omicidi, che diventano sempre più feroci e insensati dopo l'arresto del cognato. Gli basta un sospetto per eliminare persone innocenti. Tra le vittime collaterali c'è anche la sua amatissima moglie Vincenzina, uccisa dalla depressione, il cui cadavere viene occultato. La cattura di Bagarella diventa obiettivo primario di uno dei principali collaboratori di Caselli, Alfonso Sabella, che dopo numerosi fallimenti e incredibili sacrifici riescono a individuare il suo covo e ad arrestarlo.
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Questo nuovo delitto eccellente sembra confermare la presenza di una strategia sofisticata, che prevede la collusione con Cosa nostra di pezzi delle istituzioni. Le indagini sui peggiori crimini degli ultimi decenni mettono in luce la presenza discreta ma inquietante di un uomo il cui volto è segnato da una vistosa cicatrice, tanto da essersi guadagnato l'appellativo di “Faccia di Mostro”. È stato avvistato dovunque sia successo qualcosa di terribile, dal fallito attentato all'Addaura alla morte di poliziotti infiltrati, fino ai meeting del famigerato vicolo Pipitone (sede del clan Madonia-Galatolo). I sospetti si appuntano su Giovanni Pantaleone Aiello, ex poliziotto in odore di servizi segreti, la cui compagna potrebbe essere una delle misteriose donne avvistate prima delle stragi del 1993.
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Il tentativo di trovare un accomodamento con lo Stato a colpi di bombe non ferma intanto l'ascesa dei fratelli Graviano, fautori della strategia stragista, ansiosi di estendere la propria influenza sul loro feudo, il popolare quartiere Brancaccio di Palermo. Nel quartiere opera però una presenza disturbatrice, quella di un valente sacerdote che ai fasti di Roma ha preferito una parrocchia di periferia, don Pino Puglisi. Don Pino denuncia le ingerenze della mafia, apre un centro per aiutare i bisognosi, si impegna per restaurare la legalità. Viene fermato dai proiettili dei sicari dei Graviano, che con il delitto affermano il loro strapotere.
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A partire dal 14 maggio 1993 una serie di terribili attentati scuote l'Italia. Viene colpita la Galleria degli Uffizi a Firenze, il Museo d'arte Contemporanea di Milano e due chiese romane, provocando molto vittime innocenti. Gli attentati ottengono l'effetto di riaprire un canale di trattativa, l'obiettivo dichiarato di Riina. Un nuovo grande attentato, di proporzioni inaudite, viene preparato allo stadio Olimpico di Roma. Ma inaspettatamente, all'ultimo, non viene eseguito.
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Mentre i carabinieri di Ultimo tengono sotto sorveglianza il loro sospetto, il racconto ci riporta a qualche mese addietro, quando i Corleonesi, preso atto del fallimento di condizionare gli esiti del maxiprocesso, vanno in cerca di una nuova strategia per proteggere Cosa nostra. Riina intende alzare il livello dello scontro con lo Stato, mentre Provenzano vuole intraprendere la strada di un accordo, attraverso il canale di Vito Ciancimino. L'arresto di Riina è un colpo clamoroso a Cosa nostra, di cui parlano i media di tutto il mondo. Inspiegabilmente però la casa del boss non viene perquisita, consentendo ai famigliari di mettere in salvo preziosi documenti, che a detta di alcuni finiscono nelle mani di Matteo Messina Denaro. Intanto l'iniziativa stragista voluta dal capo non si ferma. Il primo obiettivo è il popolare giornalista Maurizio Costanzo, che dopo l'assassinio dell'imprenditore e attivista Libero Grassi ha animato importanti trasmissioni per sensibilizzare l'opinione pubblica contro la mafia. L'attentato fallisce per un soffio. Ma è soltanto il primo assaggio. Con l'obiettivo di spingere lo Stato a trattare, Cosa nostra decide di mettere nel mirino il patrimonio culturale del Belpaese.
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Picciotti è il racconto dell'ascesa del clan dei Corleonesi, la più potente associazione criminale in seno a Cosa nostra, dall'assassinio del sindacalista Placido Rizzotto agli ultimi giorni di libertà di Totò Riina. Condotto da Lirio Abbate, arricchito da testimonianze di magistrati, collaboratori di giustizia e da reali deposizioni nelle aule dei tribunali, Picciotti è un racconto che aderisce ai fatti come un saggio e affascina come un romanzo.
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Borsellino raccoglie il testimone di Giovanni Falcone ma,57 giorni dopo la morte dell’amico, il giudice viene travolto in via D’Amelio dallo stesso destino. Lo stato reagisce con il pugno di ferro: il 41 bis e la riapertura dei carceri di Pianosa e dell’Asinara per esiliare i boss. A Novara un imprevedibile testimone rivela di conoscere preziose informazioni riguardo la posizione di Riina.
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Nonostante i suoi indubbi meriti, Falcone non riceve la nomina a capo dell'ufficio istruzione, e Paolo Borsellino deve ripiegare sulla procura di Marsala. Il Maxiprocesso sembra solo un ricordo e la vita del giudice viene attentata per la prima volta con una bomba nell’isola dell’Addura. Intanto l’omicidio di Salvo Lima inaugura la nuova stagione stragista di Cosa Nostra, culminante nella terribile strage di Capaci.
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Il 29 settembre 1984 scatta il blitz di San Michele. La procura di Palermo ha appena emesso 366 mandati di cattura. Si prepara Il processo alla mafia che si terrà in un’aula bunker dalle fattezze di un’astronave. L’opinione pubblica viene però sconvolta dall’omicidio di un bambino: Claudio Domino. Un fatto avvolto nel mistero e da cui tutti sembrano voler prendere le distanze, anche i boss mafiosi che, durante il processo, utilizzano l’evento per rivendicare un codice d’onore e definirsi vittime del sistema.
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Durante la seconda guerra di mafia sono dieci i familiari di Buscetta uccisi per mano dei Corleonesi. Il boss dei due mondi decide di usare come vendetta l’arma più potente: la verità. Buscetta illustra a Falcone sia la formazione dell’uomo d’onore, dall’addestramento fino alla punciuta, sia la struttura di Cosa Nostra. Le parole di Buscetta fanno partire 366 mandati di cattura dal pool antimafia. Si istruisce il maxiprocesso.
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L'estate del 1985 è una delle più tragiche per il fronte antimafia. Nel giro di poche settimane vengono eliminati Beppe Montana, commissario della mobile di Palermo, e il suo superiore, il vicequestore Ninni Cassarà. Si sviluppa, a Trapani, una polo importante della mafia capeggiata da due importanti pupilli di Totò Riina: Mattia Messina Denaro e Giuseppe Graviano. In risposta nasce la prima impalcatura investigativa formata da carabinieri e polizia che porterà al Maxiprocesso. Dal Brasile, inoltre, è appena tornato “il boss dei due mondi” Tommaso Buscetta.
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Pio La Torre, esponente del PCI, paga con la propria vita il suo impegno contro la mafia. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è appena giunto a Palermo e intuisce il rapporto che lega quattro imprenditori, i “Cavalieri di Catania”, con Cosa Nostra. Il generale lancia un appello allo Stato che rimane inascoltato e che gli costerà la vita. Il magistrato Rocco Chinnici si concentra sui rapporti finanziari della mafia condotti dai fratelli Salvo. Nel luglio del 1983 viene ucciso da un' autobomba, ma lascia un retaggio importante: l'idea di creare un pool per contrastare Cosa nostra.
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Il 6 gennaio 1980, a Palermo, viene misteriosamente assassinato Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana. I sicari potrebbero provenire dalle fila dei neofascisti, ma il cervello dell'operazione è di Cosa nostra. Scavando sui potenziali mandanti si incontra infatti un rivale politico di Mattarella: don Vito Ciancimino. Gli omicidi di Bontade e Inzerillo per mano dei Corleonesi sanciscono l’inizio della seconda guerra di mafia, una “mattanza” cruenta e spietata che trasformerà Totò Riina ne “Il Capo dei capi”.
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L’omicidio di Giorgio Ambrosoli per ordine di Michele Sindona, banchiere e riciclatore di Denaro per Cosa Nostra, sconvolge gli anni 70’. I traffici di eroina si intensificano tra gli Stati Uniti e la Sicilia. Il capo della squadra mobile di Palermo Giorgio Boris Giuliano, dopo aver sequestrato mezzo milioni di dollari, viene ucciso. Sindona, per salvare la sua immagine pubblica, ricorre all’aiuto del boss Stefano Bontade per simulare un rapimento per mano delle Brigade Rosse. Il suo testimone, intanto, è raccolto da Roberto Calvi.
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Peppino Impastato sfida il boss Badalamenti denunciando la speculazione edilizia del porto per imbarcazioni di lusso. Totò Riina assume un ruolo sempre più importante tra i vertici di Cosa Nostra, nei quali inizia a muoversi anche Michele “il papa” Greco, noto imprenditore siciliano capace di stringere influenti rapporti e sodalizi con magistrati, politici, e investigatori. Approfittando di uno Stato sempre più concentrato sul fenomeno del terrorismo e grazie all’aiuto di Marino Mannoia, il “Walter White” di Cosa Nostra, la mafia si impone nel traffico internazionale dell’eroina eliminando chiunque provi a fermarla, come il giornalista Mario Francese.
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La strage di Viale Lazio segna l’apice della prima guerra di mafia in corso dagli anni 70’ e avvia una turbolenta stagione all’insegna della violenza. Dopo l’assassinio del procuratore Pietro Scaglione, i “viddani” scoprono nuove attività redditizie: traffico internazionale di droga e sequestri di persona. L'ascesa dei Corleonesi, però, deve ancora fare i conti con Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi.
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La “camera della morte”, l’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto e l’iniezione letale che uccise il dodicenne Giuseppe Letizia. Lirio Abbate si addentra subito nel vivo del racconto narrando la spietata ascesa criminale di Luciano Liggio, il punto di riferimento di un gruppo di giovani corleonesi: Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina. Criminali desiderosi di emergere a qualunque costo e in qualunque modo.
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