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  • Il borgo di Ofena sorge su un colle al limite della Valle del Tirino. Grazie a un microclima molto particolare, secco e caratterizzato da temperature mediterranee, è definito “forno d’Abruzzo”. Questa condizione rende il paesaggio brullo, ma favorisce una produzione vitivinicola di pregio, soprattutto di Montepulciano d’Abruzzo.

    È probabile che Ofena derivi dall’antica Aufinum, città dei Vestini e poi dei Romani situata nei pressi dell’attuale Capestrano. Dal sito originario, dove è stata rinvenuta la statua del Guerriero di Capestrano, la popolazione avrebbe cercato rifugio nella posizione attuale per sfuggire alle invasioni barbariche e controllare il valico di Forca di Penne.

    Visitando il borgo, restiamo colpiti dal pregevole portale in pietra di Palazzo Cataldi-Madonna. Notevoli anche la Chiesa di San Nicola, risalente al XII secolo ma modificata nell’interno in stile barocco intorno al 1700, e la Chiesa di San Pietro in Criptys. Questa è situata poco fuori dal borgo e risale al XII secolo. Al suo interno possiamo ammirare affreschi del 1400, da poco restaurati.

    Vale la pena fare un’escursione nelle vicinanze per raggiungere la Grotta delle Marmitte e le Pagliare di Ofena.

    La prima si trova a 750 metri d’altezza sul Monte La Serra, ed è formata da una serie di particolari cavità circolari scavate da mulinelli d’acqua torrenziale milioni di anni fa, quando la montagna non si era ancora sollevata. Il nome della grotta deriva dalla sua forma, ma tradizionalmente è conosciuta come Grotta del Romito, poiché abitata nei secoli passati da eremiti e ancora prima da seguaci del culto della Madre Terra.

    Le Pagliare invece rappresentano un villaggio fantasma, abbandonato da tempo dai contadini che lo abitavano. Al di là dell’aria spettrale delle stradine deserte, è un’affascinante testimonianza della vita dei pastori e degli agricoltori stagionali.

  • Il piccolo borgo di Carpineto della Nora si trova alle pendici del Monte Fiore, alto 1.472 metri, in un luogo panoramico nei pressi del fiume Nora. Oltre che dal corso d’acqua, il suo nome deriverebbe dall’albero del carpino che cresceva in zona.

    È famoso per l’Abbazia di San Bartolomeo, monumento nazionale, fondata nell’anno 962. Del complesso monastico restano poche tracce, ma la chiesa, perfettamente restaurata, rappresenta una delle opere più pregevoli e meglio conservate dell’arte medievale dei monaci benedettini cistercensi. Attualmente la parte più antica della chiesa è la facciata del XII secolo, affiancata da un torrione quadrato. Presenta un portico con due fornici arcuati disposti in modo asimmetrico e un campanile a vento sul tetto.

    Nei pressi dell’abbazia troviamo anche la Grotta Pietra Rossa, posta su una parete rocciosa che presenta diverse cavità con pitture rupestri dell’età del ferro. È detto anche Eremo di Pietra Rossa, perché alcuni ruderi di mura fanno pensare alla presenza di monaci eremiti, probabilmente legati alla vicina abbazia.

    Carpineto è un’ottima base per visitare la Riserva Naturale Regionale Voltigno e Valle D’Angri, estesa tra il versante aquilano e quello pescarese del Gran Sasso e compresa nel Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga. È formata dalla conca carsica del Voltigno, circondata da ampie faggete, sulla quale si trovano inghiottitoi e doline ma anche ambienti umidi di particolare interesse per la vegetazione e le specie di fiori presenti.

    Dopo la visita, vale la pena di provare i ravioli locali con porcini e tartufo.

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  • Il borgo di Civitaquana è posto su una collina che domina la vallata del fiume Nora, in un contesto naturale notevole. È stato fondato nell’XI secolo, ma le due cisterne Romane e gli altri reperti trovati nella zona del Colle Quinzio avvalorano l’ipotesi che in precedenza fosse un insediamento romano ricco di acque, incanalate attraverso opere idrauliche. Il suo nome deriverebbe quindi da “città dell’acqua”.

    Da non perdere nel centro storico la Chiesa di S. Maria delle Grazie, monumento nazionale, fondata dai Benedettini nel XII secolo e affiancata da un campanile del 1464. L’edificio è costruito in laterizio in stile romanico di matrice lombarda. Poche monofore fanno penetrare la luce in modo molto misurato, conferendo alla chiesa un aspetto serio e raccolto. Al suo interno troviamo una immagine del Cristo assiso in trono, un affresco su San Martino e la cappella di San Rocco.

    Tra le architetture civili possiamo invece ammirare il Palazzo Leognani Castriota - Leognani Fieramosca, originario del Settecento.

  • Il territorio del borgo di Catignano è abitato fin dal Neolitico. In località Ponte Rosso sono state infatti trovate tracce di un villaggio che testimoniano come era organizzata la vita in quel periodo. Possiamo vederle nell’importante sito archeologico di Catignano – Ponte Rosso, a pochi chilometri dal centro. Sono inoltre venuti alla luce reperti del VI – V millennio a.C., primissime forme di artigianato artistico come vasi decorati, idoli e oggetti d’uso quotidiano, oggi esposti in vari musei della regione.

    In paese, invece, molto interessante è la Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, restaurata nel XVIII secolo ma risalente al 1795. L’interno ha una navata unica e la volta è coperta di affreschi sulla vita del santo. Pur essendo di stile barocco, ha una struttura molto sobria che riesce a sfruttare bene il poco spazio disponibile e ad apparire comunque monumentale.

    Altra tappa da non mancare è il Convento di Santa Irene e della Natività, realizzato dai monaci benedettini tra l’XI e il XII secolo e molto ben conservato. Presenta una facciata con rosone, un portale con lunetta e tre absidi sul retro, oltre a un campanile separato dalla chiesa.
    La chiesa custodisce le reliquie di Santa Irene, martirizzata tra il III e IV secolo e sepolta precedentemente nelle catacombe di Priscilla a Roma. I resti furono donati ai monaci di Catignano e qui traslati nella seconda metà del 1800.

  • La città di Chieti vanta origini antichissime che si mescolano alla leggenda. Sarebbe infatti stata fondata nel 1181 a.C. dall’eroe omerico Achille, che la chiamò Teate in onore della madre Teti. Mitologia a parte, molti parlano di origini greche.

    In seguito fu un importante centro dei Marrucini e poi un grande municipio romano. Aveva oltre 60.000 abitanti ed era dotata di un teatro da cinquemila posti, oltre che di acquedotto e terme. Troviamo quindi un gran numero di aree archeologiche da visitare.

    Possiamo iniziare dal notevole anfiteatro da quattromila posti trovato vicino alla collina della Civitella, restaurato e ancora utilizzabile. Dei tanti templi presenti sono ben visibili quelli di Giove, Giunone e Minerva, probabilmente costruiti su luoghi di culto più antichi per romanizzare la città.

    A Chieti inoltre troviamo il Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo di Villa Frigerj, che conserva importanti reperti provenienti da tutta la regione, tra i quali la colossale statua di Ercole Epitrapezios trovata ad Alba Fucens e il famoso Guerriero di Capestrano del VI secolo a.C.

    La città è davvero ricca di notevoli architetture civili e religiose. Il suo cuore, nonché luogo del tradizionale passeggio, è Corso Marrucino. Questo costeggia Piazza Gian Battista Vico, sulla quale si affacciano la Chiesa di San Domenico, Palazzo Croce, Palazzo Fasoli e il particolarissimo Palazzo della Camera di Commercio (un tempo palazzetto delle corporazioni) realizzato mescolando vari stili.

    La Cattedrale di San Giustino, principale luogo di culto, è stata costruita nel X secolo, ma potrebbe avere origini ancora più antiche ed essere stata edificata sopra un tempio pagano.

    Per il camper è presente un punto sosta gratuito con carico e scarico lungo la Strada Madonna della Vittoria, in Località Piano Vincolato, presso i campi da tennis. Oppure possiamo fermarci nell’area di servizio dell’A25 Pescara-Torano Brecciarola Nord, con possibilità di scarico acque reflue e carico acqua pulita.

  • Fatto di casette arroccate l’una sull’altra, scale tortuose, vicoli suggestivi, strettissimi e intrecciati, il comune di Pretoro sembra quasi il proseguimento naturale della roccia su cui è adagiato, sul versante orientale della Majella. Edificato intorno al 1600 dopo la distruzione del castello locale, conserva intatte le atmosfere antiche ed è inserito nel circuito dei Borghi più Belli d’Italia.

    Pretoro ci offre un panorama straordinario di montagne e boschi. Nel suo territorio troviamo l’Area Faunistica del Lupo Appenninico, con una zona dedicata al ripopolamento, e l’incontaminata Riserva Naturale Valle del Foro, che costituisce il primo nucleo del Parco Nazionale della Majella.

    Dal borgo partono molti sentieri per escursioni nei paraggi, all’interno del Parco o verso l’antica Grotta dell’Eremita, luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo ma abitato da tempi remoti. Oppure possiamo scendere lungo le rive del fiume Foro e raggiungere la zona dei Mulini Rupestri.

    Quando c’è la neve teniamo sempre sul camper sci, ciaspole e slittini, perché le piste del comprensorio Passo Lanciano – Majelletta distano solo pochi chilometri.

    Nel borgo, dove è fiorente l’artigianato del legno per la produzione di fusi per la lana, possiamo invece visitare il Centro museale San Domenico per la divulgazione degli aspetti culturali e naturali sul lupo, i serpenti e la storia di Pretoro.

    Molto bella e particolare è la chiesa di San Nicola, dove è venerato anche San Domenico per gli antichi riti legati al lupo e ai “Serpari”, cioè i manipolatori di serpenti.

    Da visitare anche l’Eremo della Madonna della Mazza, chiamato così perché la Madonna in trono è raffigurata con uno scettro. La chiesa principale però è quella dedicata a Sant’Andrea Apostolo, posta sulla parte più alta del borgo. È caratterizzata da un pavimento irregolare per adattarsi alla roccia sottostante.

    Con il camper possiamo fermarci nel parcheggio dell’Hotel Mamma Rosa, anche per il pernottamento, oppure alla Majelletta in località Passo Lanciano.

  • La Riserva Naturale Orientata Feudo Ugni, attraversata dal fiume Avello, si estende per 1.563 ettari all’interno del Parco Nazionale della Majella, nei territori dei comuni di Pennapiedimonte e Palombaro. L’area presenta un incredibile dislivello: si passa infatti dai 450 metri di altitudine ai 2.600 circa della Cima delle Murelle.

    Lo spettacolo offerto dalla riserva non può che lasciarci senza fiato: profonde vallate tra pareti calcaree alte fino a 300 metri interrompono vasti altopiani, rocce antichissime modellate da imponenti fenomeni di erosione carsica e glaciale, tante grotte con incredibili concrezioni.

    Per non parlare della fauna e della flora. Possiamo trovare addirittura 1.700 specie di fiori come le soldanelle della Majella, le varianti appenniniche della stella alpina e del genepì, l’androsace della principessa Matilde e il giglio martagone, oltre a pinguicole, peonie e ben 50 tipi di orchidee rare.

    Tra i rami di pino mugo, ginepro, faggio, tiglio, frassino maggiore e olmo montano trovano rifugio tanti uccelli e rapaci come aquila reale, falco pellegrino, lanario, Sparviero, Gracchio corallino, Codirosso e Ciuffolotto. Tantissimi anche i mammiferi come il cervo, il lupo appenninico, il gatto selvatico, la martora, la puzzola e molti altri ancora. Ma la Riserva Feudo d’Ugni è l’ideale soprattutto per l’avvistamento dei camosci: un vero paradiso per gli appassionati di escursioni!

    Molto interessanti anche le cavità, in particolare la Grotta Nera, caratterizzata da stalattiti e rocce coperte da una particolare sostanza color panna che si forma per la presenza di ossidi naturali e che appare molliccia al tatto: il latte di monte o latte di luna.

    Possiamo sostare in camper vicino a Pennapiedimonte, all’agricampeggio Il Feudo oppure nel parcheggio panoramico situato sulla strada per il Balzolo, l’arco roccioso che domina il borgo.

  • A Guardiagrele, roccaforte dell’artigianato artistico, possiamo visitare antiche botteghe per la lavorazione di ceramica, pietra, legno, coperte e costumi abruzzesi, tombolo, ma soprattutto ferro, rame e oro. Qui infatti è nata la Presentosa, il gioiello locale delle grandi occasioni. Fiorente anche la pasticceria, legata alle “Sise delle Monache”, dolce tradizionale detto anche “Tre Monti”. Il nome deriverebbe dal tentativo delle clarisse di mascherare il seno con una protuberanza sul petto, oppure dai tre gruppi montuosi abruzzesi: Gran Sasso, Sirente-Velino e Majella. Quest’ultima, chiamata “montagna madre”, si erge maestosa alle spalle di Guardiagrele, che ospita anche la sede del Parco Nazionale.

    La necropoli nella frazione di Comino dimostra che la zona è abitata dall’epoca protostorica. Il borgo ha origini molto antiche, italiche e poi romane, e le origini del nome sono ancora incerte.

    Gabriele D’Annunzio definiva Guardiagrele “la città di pietra”: nel centro storico infatti notiamo l’alternanza di mattoni e pietra della Majella, e possiamo ammirare diversi edifici notevoli, fontane, porte e torri, come il Torrione Orsini o Torrione Longobardo, simbolo del borgo.

    Da visitare la Collegiata di Santa Maria Maggiore, con facciata in pietra della Majella, che custodisce una croce processionale di Nicola da Guardiagrele, tra i più grandi artisti del Quattrocento italiano. Ha una struttura composita, dovuta a diversi rifacimenti, ed è del XIII secolo, anche se forse costruita su un tempio pagano.

    Del XIII secolo anche la Chiesa di San Francesco, un tempo parte di un complesso conventuale che ora ospita il municipio, il Museo Archeologico, il Museo del costume e della tradizione contadina e l’Antiquarium Medievale. Nella chiesa sono conservate le spoglie di San Nicola Greco. Notevole anche il Palazzo Vitacolonna.

    Da Guardiagrele partono itinerari di trekking per escursioni in luoghi dal panorama mozzafiato, tra torrenti, boschi, canyon e grotte. I sentieri sono ben segnalati. Per informazioni ci possiamo rivolgere alla sede del Club Alpino Italiano.

    Nei dintorni troviamo la Cascata di San Giovanni, con un salto di 35 metri, e il Sacrario Militare di Andrea Bafile. Se cerchiamo adrenalina e divertimento possiamo raggiungere il Parco Avventura Majella.

    Per la sosta troviamo un parcheggio vicino al centro, in Via Discesa del Torrione, con presa per l’acqua potabile.

  • La Riserva Naturale Orientata Statale Fara San Martino e Palombaro, estesa per 4.202 ettari sul territorio dei due comuni, nel Parco Nazionale della Majella, è caratterizzata da un alto valore naturalistico. Al suo interno possiamo ammirare diversi esemplari di leccio, corbezzolo, terebinto, pino nero laricio e pino mugo, oltre a grandi faggete.

    Questo ambiente protegge numerose specie di uccelli come il falco pellegrino e l’aquila reale, il picchio muraiolo e il lanario, oltre alla coturnice, uccello simbolo della Riserva che presenta un piumaggio dal disegno davvero particolare. L’area offre inoltre rifugio per cervi e caprioli, oltre che per lupi e orsi marsicani.

    La Riserva è caratterizzata dalla presenza dell’enorme canyon lungo quattordici chilometri su un dislivello di ben duemilaquattrocento metri, che parte dalle sommità della Majella e scende fino a Fara San Martino, in parte scavato dal fiume Verde. La forra è divisa in tre gole: il Vallone di Santo Spirito, Macchia Lunga e Valle cannella. Parallelo al canyon corre inoltre il Vallone del Fossato.

    Tutta la zona è caratterizzata da un gran numero di grotte, nelle quali la presenza umana è attestata fino dall’Età del Bronzo. Nel corso dei secoli sono state di volta in volta rifugio per pastori, briganti o monaci eremiti, che ne hanno fatto luoghi di culto.

    Tra le gole troviamo infatti non solo i resti dell’antico monastero benedettino di San Martino in Valle, fondato intorno al VII secolo vicino all’attuale Fara San Martino, ma anche l’eremo di Sant'Angelo, costruito presumibilmente intorno all’XI secolo in una grotta in località Sant’Agata d’Ugno, nel comune di Palombaro.

    Nella Riserva è consentita attività agricola e pastorale, purché non interferisca con la conservazione dell’ambiente naturale.

  • Il comune di Fara San Martino, inserito nel circuito dei comuni Bandiera Arancione, è una meta imperdibile per appassionati di trekking, escursioni ed arrampicate. Costituisce infatti una porta d’ingresso per il Parco Nazionale della Majella, ed è situato proprio ai piedi della montagna, allo sbocco del vallone di Santo Spirito o Valle di Fara, uno dei canyon più lunghi d’Italia con i suoi quattordici chilometri.

    Tra queste gole imponenti e suggestive, che la leggenda narra siano state aperte da San Martino per far passare i pastori, i benedettini costruirono il monastero di San Martino in Valle. Il borgo prende nome proprio dal santo, mentre Fara è un termine longobardo che indica uno stanziamento. Ci sono tracce del nucleo originario del monastero dall’anno 829. I suoi resti sono una tappa da non mancare, ma è meglio portare l’attrezzatura idonea: scarpe da trekking con suola scolpita e caschetto di sicurezza.

    Altre aree da visitare sono la vicina Riserva Naturale Orientata Fara San Martino Palombaro e le sorgenti del fiume Verde, affluente dell’Aventino, dove possiamo fare un bel pic-nic immersi nella natura. La presenza di queste acque incontaminate ha determinato la nascita dei pastifici De Cecco, Delverde e Cocco, che hanno reso famoso il centro come città della pasta.

    Il Centro Visita del Parco Nazionale delle Majella, situato nella piazza principale, offre informazioni, carte e guide per numerosi sentieri. Propone escursioni nei centri storici e in montagna e noleggio di mountain bike. Al suo interno inoltre troviamo il museo naturalistico.

    Anche il borgo vale una visita, in particolare il nucleo più antico, la Terravecchia, con la Porta del Sole, la chiesa di San Remigio del XIII secolo e quella di San Pietro Apostolo di fronte alle sorgenti del Verde. Da non perdere nei mesi estivi la sagra della pasta.

    Possiamo fermarci con il camper nel parcheggio su sterrato vicino al sentiero che porta alle Gole, gratuito ma senza servizi e in pendenza. Informazioni presso il Comune.

  • Il centro storico di Casoli è arroccato su un colle che domina la valle del fiume Aventino, affluente del Sangro. L’abitato è sorto intorno al Castello Ducale o Castello Masciantonio, che cinge un’antica torre di avvistamento pentagonale del IX secolo. Possiamo visitare l’edificio e la stanza dove a volte soggiornava Gabriele D’Annunzio, riempita di epigrammi e massime filosofiche dal poeta. Accanto al castello troviamo la chiesa di Santa Maria Maggiore (o chiesa parrocchiale) del 1455, nata forse come cappella dei signori del luogo.

    Continuando la visita possiamo notare resti dell’antica cinta muraria e di alcune torri d’avvistamento, diventate case-mura, ricoveri o passaggi coperti. Probabilmente Casoli era un antico insediamento della tribù sannita dei Carricini, poi diventato il municipium romano di Cluviae, i cui resti sono visibili nell’omonima area archeologica Piana Laroma.

    Negli immediati dintorni ci sono tante occasioni per rilassarsi o per fare splendide escursioni immersi nella natura. Ai piedi della collina troviamo infatti il Lago Sant’Angelo o Lago di Casoli. Anche se è nato nel 1958 per la produzione di energia elettrica tramite uno sbarramento dell’Aventino, ha assunto particolare valore naturalistico per la presenza di varie specie di uccelli acquatici. Il bacino è circondato da una folta lecceta e dominato dalla Torretta di Prata, antico avamposto longobardo. In questa zona nel X secolo si insediarono alcuni monaci eremiti di rito greco-bizantino, tra i quali i futuri santi Ilarione, Nicola Greco, Falco e Franco.

    Il fiume Aventino, che scorre ai piedi del borgo, offre diversi tratti validi per gli appassionati di rafting. Nell’area in cui il corso d’acqua si congiunge con il Sangro troviamo invece una zona più paludosa, la Riserva Naturale Regionale del Lago di Serranella, molto frequentata dagli uccelli migratori. Anche questo è un bacino artificiale, nato però per l’irrigazione. La Riserva offre numerosi percorsi, come quelli del greto, degli orti, dei fiumi, delle lanche e del torrente Gogna.

    Per la sosta breve a Casoli (e magari anche per gustare l’ottimo olio locale) possiamo fermarci all’Agriturismo Agriflorio, con possibilità di scarico e di allaccio idrico ed elettrico.

  • Non a caso è stato uno dei set del film "Il Racconto dei Racconti" di Matteo Garrone: il suggestivo castello di Roccascalegna sembra davvero uscito da una fiaba. Posto su una cresta del Monte San Pancrazio, quasi in bilico, domina il borgo omonimo dall'alto. Costruito tra XI e XII secolo come ampliamento di una torretta di guardia longobarda, è stato a lungo abbandonato, ma dopo il restauro effettuato negli anni Novanta ci consente di fare un emozionante tuffo nel Medioevo mentre attraversiamo gli ambienti irregolari, il vestibolo con pavimento di mattoni a spina di pesce, la torre sentinella, quella del carcere e quella di avvistamento, ma soprattutto il camminamento esterno che ci offre una vista mozzafiato.

    Il castello è raggiungibile solo a piedi, ma vale davvero la pena fare una bella escursione! Se invece vogliamo vivere un'esperienza davvero alternativa, possiamo anche scegliere di arrivarci a dorso di mulo. Meglio comunque procurarci abbigliamento sportivo e scarpe da trekking prima di percorrere i due itinerari disponibili. Il primo attraversa il borgo, mentre il percorso panoramico, di sicuro emozionante ma da affrontare con cautela, gira intorno al castello passando sotto lo strapiombo. Accompagnati da una guida avremo ogni risposta su come si viveva nel Medioevo, oltre a varie curiosità sulla rocca, che non manca certo di leggende, anche di carattere noir.

    Qualche esempio? Pare che la zona, dopo la fondazione del castello ad opera dei Longobardi, fosse stata rinominata Valle della Morte, a causa delle continue invasioni barbariche e delle razzie di pirati che dal mare si spingevano fin quassù. Non solo: una leggenda racconta di Corvo de Corvis, il barone che aveva ristabilito lo ius primae noctis, il diritto di giacere con le neo-spose nella prima notte di nozze. Pugnalato da una di loro (o da un marito travestito), sembra che prima di morire il barone abbia impresso la sua mano insanguinata su una roccia, crollata nel 1940, e che questa impronta continuasse a riaffiorare dopo ogni tentativo di cancellarla.
    Infine, qualcuno dice che il fantasma del barone ancora si aggiri di notte nel castello, urlando. Ma su questo... non metteremmo la mano sul fuoco!

    Da visitare anche il piccolo borgo di Roccascalegna, inserito nel circuito della Bandiera Arancione e in quello dell'Associazione Nazionale delle Città del Miele. Il suo nome potrebbe provenire da una scala a pioli un tempo usata per salire fino alla torre del castello. Anche se l'abitato è nato come avamposto longobardo contro i Bizantini, è certo che in zona fosse già presente la chiesa di San Pancrazio. L'attuale edificio risale al 1205, ma se ne hanno tracce dall'anno 829. In zona sono stati inoltre trovati reperti archeologici dell'Eneolitico (il III millennio a.C.)

    Possiamo fermarci in camper nel parcheggio in via Campo Boario, realizzato in piano su ghiaino.

  • Il Lago di Bomba è stato il primo bacino artificiale in Europa ad essere realizzato con una diga in terra battuta, nel 1962, eretta nel territorio del borgo omonimo. Lo sbarramento sul fiume Sangro ha creato un lago lungo circa 7 chilometri e largo un chilometro e mezzo, che raggiunge i 36 metri di profondità.

    Oltre a Bomba, intorno al lago troviamo i comuni di Colledimezzo, Pennadomo e Pietraferrazzana. Quest’ultimo, collocato sotto un vertiginoso sperone calcareo, è il borgo più piccolo per estensione di tutto l’Abruzzo!

    Tra il 2009 e il 2010 il lago ha conosciuto un periodo di grande afflusso turistico, è stato campo di gara ufficiale per il canottaggio, ha ospitato questa disciplina per i Giochi del Mediterraneo di Pescara ed è stato anche sede dei campionati italiani di canoa e kayak.

    Purtroppo, però, da alcuni anni a questa parte il lago versa in stato di abbandono. Non ci sono soluzioni per la sosta ed è meglio non avventurarsi lungo le vie che raggiungono il bacino, perché a causa della scarsa manutenzione del fondo stradale e della vegetazione potrebbero essere inaccessibili e rischiose, soprattutto per un veicolo come il camper.

    Vale la pena però visitare il borgo di Bomba, che offre scorci suggestivi e un bellissimo panorama sulla vallata. Su richiesta possiamo visitare un Museo Etnografico ricco di testimonianze e, chiedendo del parroco, anche la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria del Popolo, in stile settecentesco tardobarocco con interno a croce greca. Se passiamo in estate, inoltre, è d’obbligo un bel bagno nella piscina comunale all’aperto.

    Bomba ospita la fondazione dedicata ai due noti patrioti del Risorgimento e intellettuali locali Bertrando e Silvio Spaventa. Sembra che mentre Silvio sosteneva in Parlamento la necessità di opere pubbliche nel suo paese natio, gli altri parlamentari cercassero di distrarlo, e lui per non perdere il filo abbia detto più volte: “Torniamo a Bomba”. Forse questo modo di dire è nato proprio così.

  • Entrando nel borgo di Villa Santa Maria, affacciato sul fiume Sangro, restiamo impressionati dall'imponente costone roccioso in arenaria, calcare e argilla che sovrasta il paese. Secondo la leggenda l'enorme contrafforte, chiamato Penna dagli abitanti, incuteva timore agli invasori. Per questo nel XIII secolo gran parte della popolazione si arroccò sotto il baluardo. Ha destato scalpore il restauro della scritta DUX sulla Penna, incisa a caratteri cubitali durante il Fascismo e poi erosa dagli agenti atmosferici, dopo esser costata la vita a un partigiano nel tentativo di cancellarla.

    Nel panorama del borgo spiccano due edifici religiosi. La Chiesa della Madonna del Rosario (o Chiesa della Congrega) che domina dall'alto di uno sperone roccioso e la Chiesa di San Nicola di Bari con l'inconfondibile campanile. Da vedere assolutamente anche la Chiesa della Madonna in Basilica, che ha origini antichissime: è già citata in documenti dell'anno 703.

    Villa Santa Maria contende alla vicina Roio del Sangro il primato di "paese del cuochi", per la straordinaria e radicata tradizione culinaria, testimoniata dal grandissimo numero di chef del posto che hanno girato e girano il mondo per lavorare nelle più importanti cucine. Tradizione, in effetti, diffusa in diversi piccoli centri del medio Sangro. I cuochi abruzzesi che emigravano per lavorare nelle cucine di nobili e regnanti si facevano chiamare "monzù", dal francese Monsieur, appellativo che spettava al capocuoco nelle case degli aristocratici napoletani e siciliani. A Villa Santa Maria ha sede una fiorente scuola professionale di avviamento alberghiero, che ha realizzato il Museo dei Cuochi. Anche qui, come a Roio, troviamo un monumento dedicato al cuoco.

    Dalla nobile famiglia napoletana dei Caracciolo, signori del borgo, nel 1563 a Villa Santa Maria nacque Ascanio. Guarito miracolosamente dalla lebbra, prese i voti con un altro nome, fondò l'ordine dei Chierici Regolari Minori e per le sue opere venne canonizzato. Stiamo parlando di San Francesco Caracciolo: non poteva che nascere qui il santo patrono dei cuochi! A lui è dedicato un museo, situato accanto a Casa Caracciolo, il palazzo di famiglia. All'interno di quest'ultimo, ancora in parte abitato, troviamo la cappella di San Francesco e il Museo dei Cuochi.

    Oltre alla buona tavola, altra tradizione locale è la produzione di liquori, dall'amaro villese al Centerbe, dal liquore alla genziana a quello alla liquirizia fino al Punch Abruzzese, che pare sia stato inventato proprio a Villa Santa Maria nel 1888 da Francesco Jannamico.

  • Se l'Italia è la nazione della buona cucina, in Abruzzo troviamo il paese dei cuochi: Roio del Sangro! Il piccolissimo borgo situato alle pendici del Monte Lupara, in provincia di Chieti, deve questo primato alla sua storica e affermata tradizione culinaria.

    L'abitato conta poco più di novanta anime, ma sono diverse centinaia i cittadini emigrati nel corso degli anni per lavorare come cuochi in case private e ambasciate, per grandi industriali, per nobili, principi e reali, come documentato da un enorme database consultabile su internet.

    All'inizio semplici assistenti in cucina, hanno appreso i segreti del mestiere da grandi chef e li hanno tramandati di generazione in generazione, chiamando a loro volta come assistenti figli, nipoti e parenti.

    Fino a qualche anno fa questi artisti dei fornelli tornavano in paese ad agosto e si mettevano alla prova in una grande manifestazione gastronomica.

    La tradizione culinaria di Roio è testimoniata dal monumento dedicato alla figura del cuoco che campeggia all'ingresso del borgo. L'iscrizione alla sua base recita: "La cucina è storia. Il popolo di Roio questo monumento eresse a colui che di essa ha fatto un'arte: il cuoco". L’arte della buona cucina, tuttavia, è tramandata anche nei paesi vicini, in particolare a Villa Santa Maria, che contende a Roio il titolo di paese dei cuochi.

    Roio del Sangro è anche un borgo dalla storia misteriosa e intrigante e dalle origini oscure. Alcuni documenti non accertati parlano di mura romane e di un tempio di Marte. Sulle origini del nome, poi, sono state prodotte le più varie, fantasiose e spesso inattendibili ipotesi, come quelle che lo fanno risalire allo spagnolo rojo, cioè rosso, per via di un'invasione di formiche rosse nel XVII secolo, oppure per un sanguinoso assalto di briganti o di altri popoli. Ma è più probabile che il termine derivi da Podium e poi Rodium.

    Grazie alla sua posizione, Roio è un balcone naturale dal quale possiamo ammirare un panorama mozzafiato, che si estende dal Massiccio della Majella fino al mare, comprendendo la Val di Sangro da Villa Santa Maria al Lago di Bomba fino alla costa.

    Da visitare la chiesa di Santa Maria Maggiore, con interno barocco, e quella di San Nicola di Bari, risalente al Cinquecento (anche se la reale data di costruzione resta incerta).

  • Con poco più di duecento metri d’altezza divisi in tre salti, le cascate del fiume Rio Verde, affluente del Sangro, sono le più alte dell’Appennino. Sono tutelate nell’Omonima Riserva Naturale Regionale e Oasi WWF, situata nel comune di Borrello, a pochi chilometri dall’altrettanto bella Abetina di Rosello.

    Il flusso d’acqua varia a seconda delle stagioni. Anche se la portata massima non è enorme, le cascate offrono uno spettacolo davvero suggestivo. Lascia senza fiato la bellezza incontaminata dell’area, fatta di verde, bastioni di roccia, pareti a strapiombo e pinnacoli calcarei.

    Le Cascate del Rio Verde hanno anche importante valore scientifico per il loro microclima, che offre rifugio a numerose specie animali e vegetali. Troviamo granchi e gamberi di fiume, pesci come la trota fario, diversi tipi di rane e tanti rapaci, dallo sparviero al nibbio reale al falco pellegrino.

    Pagando un biglietto dal costo molto contenuto possiamo percorrere più itinerari. Dopo circa cento metri troviamo un bivio: il percorso a sinistra porta direttamente alla Cascata, ma per salire al punto panoramico, tra primo e secondo salto, dobbiamo salire circa duecento gradini di legno. Il sentiero di destra porta invece al centro visite, con il punto ristoro e la terrazza panoramica. Proseguendo possiamo arrivare al fiume e visitare i ruderi di un vecchio mulino.

    L’ingresso all’Oasi è ben segnalato lungo la Strada Provinciale Sangritana, vicino all’abitato di Borrello. Possiamo fermarci con il camper nel parcheggio gratuito situato all’ingresso, vicino a un chioschetto. Qui troviamo anche una piccola area giochi per i bambini e una zona attrezzata per fare un bel barbecue o un pic-nic.

  • Percorrendo la Strada Statale 84 Frentana e deviando nei pressi della stazione ferroviaria di Palena, possiamo raggiungere la Riserva naturale orientata Quarto Santa Chiara, sull’omonimo altopiano, nel Parco Nazionale della Majella. La riserva è visitabile solo a piedi, lungo i sentieri segnalati, accompagnati dal personale addetto.

    Si tratta di un grande altopiano di origine carsica, circondato da montagne e coperto per circa i due terzi da boschi e per il resto da prati e pascoli. Si estende tra i 1073 metri di altezza di Fosso Grottignano e i 1.729 di Serra Molione. È solcato dal torrente La Vera, che finisce nell’inghiottitoio di Capo La Vera, nei pressi del Valico della Forchetta.

    L’area è di grande importanza naturalistica e ospita orsi bruni marsicani e cinghiali, volpi e lepri, martore e scoiattoli. E poi numerosi rapaci, dal gufo alla civetta fino al barbagianni, dalla poiana allo sparviero fino all’astore. Ma, tra tutte le specie, qui ha trovato rifugio in modo particolare il lupo appenninico, nella vegetazione fatta di faggi, carpini bianchi e aceri alternati a pascoli.

    La particolarità della riserva è che, durante i periodi di maggiori precipitazioni piovane, l’inghiottitoio non riesce a defluire l’intera portata dell’acqua. Quasi tutto il prato si trasforma così in un lago temporaneo, destinato a scomparire presto e tornare nella stagione successiva, ma visitato anche da uccelli migratori come la cicogna, la gru e l’oca selvatica.

  • La storica linea ferroviaria Sulmona – Isernia dal 2012 effettua esclusivamente corse turistiche con il nome di Ferrovia del Parco, perché attraversa parte del Parco Nazionale della Majella. Tuttavia, per la bellezza suggestiva del suo tracciato spesso ricoperto di neve, che si inerpica tra le montagne dall’Abruzzo al Molise, è chiamata affettuosamente anche “Transiberiana d’Italia”. Un’emozione che unisce il fascino del paesaggio con quello della storia e che regge il confronto con molti tracciati famosi delle Alpi.

    Inaugurata nel 1897, la linea misura 129 chilometri e include oltre cento tra ponti e viadotti e ben cinquantaquattro gallerie. La più lunga, ai piedi del Monte Porrara, misura 2.486 metri e permette ai treni di viaggiare anche quando la strada è chiusa per il pericolo di valanghe.

    È un vero capolavoro di ingegneria, se pensiamo alle opere che sono state necessarie per portare il treno dai 400 metri di altezza della stazione di Sulmona ai 1.262 di quella di Rivisondoli-Pescocostanzo, la più alta dell’appennino e la seconda in Italia dopo il Brennero, per poi scendere di nuovo ai 423 metri di Isernia.

    Ai primi del Novecento è stata fondamentale per lo sviluppo turistico di Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo, che trovavano così un migliore collegamento con Roma. Dopo essere stata dismessa dal traffico regolare nel 2011, grazie ad alcune associazioni locali è rinata come linea turistica il 4 marzo del 2012: al primo viaggio ha coinvolto ben novecento appassionati, e continua a registrare il tutto esaurito!
    Con il tempo al posto delle classiche automotrici chiamate “littorine” sono tornati in servizio i vecchi vagoni in legno di terza classe. Tra le varie fermate, il convoglio collega Sulmona a Campo di Giove, Palena, Rivisondoli-Pescocostanzo, Roccaraso, Castel di Sangro, Carpinone e Isernia.

    A volte durante le soste sono previsti spettacoli musicali e tappe gastronomiche. Ma può capitare che vengano improvvisate anche simpatiche battaglie di neve!

  • Situato a 1.400 metri di altitudine nel Parco Nazionale della Majella, lo splendido borgo di Pescocostanzo domina il Quarto Grande, uno dei maggiori altipiani carsici d’Abruzzo. Percorrendo la strada statale 84 Frentana raggiungiamo il paese situato alle pendici del Monte Calvario (alto 1.743 metri), dove troviamo anche la stazione sciistica di Vallefura, dotata di piste di sci da discesa, uno snowpark illuminato, linee di freeride, itinerari per sci alpinismo e ciaspole. Per gli amanti del trekking, inoltre, una piacevole strada pedonale di 3 chilometri unisce il borgo alla vicina Rivisondoli.

    Pescocostanzo è davvero un piccolo tesoro, grazie alle opere architettoniche di grande pregio artistico in ottimo stato di conservazione. Dopo il terremoto del 1456 il borgo è stato ricostruito con il supporto dei migliori artigiani, artisti e architetti lombardi dell’epoca. Una piccola colonia alla quale si devono il rito ambrosiano ancora officiato nella basilica quattrocentesca di Santa Maria del Colle (o dell’Assunta) e la maestria nel fine artigianato artistico, tramandata per secoli.

    La località è famosa per il ferro battuto e l’oreficeria, la filigrana in particolare. Nelle botteghe ammiriamo fantastici gioielli realizzati sia con questa tecnica che con la cannatora, la collana di sfere d’oro cave cesellate a sbalzo nei minimi dettagli. Anche nelle botteghe del ferro battuto si resta incantati di fronte ai capolavori creati. Senza contare il merletto a tombolo, a cui sono dedicati il museo e la scuola con sede a Palazzo Fanzago.

    Su Piazza Umberto I troviamo il Palazzo Municipale, il Palazzo del Governatore e l’ex monastero di Santa Scolastica. Il quartiere Varrata, poco più in alto, ospita i palazzi patrizi delle famiglie Cocco, Grilli-De Capite e Ricciardelli. Fuori paese troviamo l’eremo rupestre di San Michele Arcangelo. Ma la bellezza non si ferma qui: tra chiese, palazzi, botteghe, fontane e strade a lastroni in pietra, Pescocostanzo è tutta da scoprire.

    Per la sosta in camper possiamo fermarci presso l’Azienda Agricola Agrituristica Giuliana.

  • Rivisondoli si trova nel Parco Nazionale della Majella, a 1.300 metri di quota, e domina sull’altopiano del Prato. Grazie alle piste e agli impianti di risalita del Monte Pratello, è inserita nel rinomato comprensorio sciistico dell’Alto Sangro. Al pari delle vicine Roccaraso e Pescocostanzo, si è affermata come importante stazione sciistica in inverno e centro turistico in estate.

    Il circondario visse a lungo di pastorizia. Il turismo si è affermato in tempi relativamente recenti, anche grazie al completamento della ferrovia Sulmona – Isernia, che migliorò il collegamento con Roma. Perfino re Vittorio Emanuele e la sua famiglia nel 1913 furono ospitati nell’Albergo degli Appennini, ora conosciuto come residenza reale. La visita del sovrano rese nota Rivisondoli a un numero sempre maggiore di turisti. La ferrovia oggi è una tratta turistica nota come La Transiberiana d’Italia, e la stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo è la più alta dell’Appennino e la seconda in Italia dopo quella del Brennero.

    Gli impianti sciistici di Rivisondoli – Monte Pratello, estesi dai 1.390 metri della base ai 2.056 metri della montagna, offrono 35 km di piste, tra le quali l’emozionante pista nera Monte Pratello – Direttissima. Per lo sci di fondo ci sono molti itinerari lungo il Piano delle Cinquemiglia. Gli impianti sono integrati nel comprensorio con quelli dei centri limitrofi e quindi fruibili con un unico skipass.

    Vale la pena visitare anche il borgo, riedificato dopo diverse catastrofi naturali, e magari assaggiare la scamorza locale. Spicca la Chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari, il patrono: è di recente costruzione ma conserva opere del ‘600 e del ‘700. Del 1589 invece il Santuario Romitorio di Maria Santissima della Portella, eretto nel luogo in cui, secondo la leggenda, una effigie della Vergine che veniva trasportata divenne così pesante da non poter essere più mossa.

    Nel borgo è molto viva la tradizione del presepe, sia per l’annuale rappresentazione vivente che per la presenza di una ricca collezione di presepi artistici, pitture e sculture a tema nel museo dedicato.

    Se visitiamo Rivisondoli nelle stagioni più fredde è meglio avere un buon sistema di riscaldamento sul camper: nell’abitato sono state registrate temperature tra le più basse d’Italia!

    Troviamo un punto sosta ai piedi del paese, vicino alla stazione ferroviaria, con fontanella ma senza scarico.