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  • L’insoddisfazione è qualcosa che non esiste in natura, ma solo nella nostra mente.

    L’insoddisfazione non è qualcosa di naturale, ma è una caratteristica prettamente umana.

    L’insoddisfazione gira intorno a tre pilastri:

    1) Confronto: siamo portati a paragonarci costantemente a qualcuno o al nostro se ideale. E in questi paragoni, ne usciamo spesso perdenti.

    2) Paura: la paura generata dalla mente è la madre della sofferenza. E ci sono due tipi di paure che nell’insoddisfazione giocano un ruolo importante: la paura di non essere abbastanza e la paura di non avere abbastanza e di perdere.

    3) Perfezionismo: è uno dei mostri che provoca tanta della nostra sofferenza, che ci spinge alla competizione e non ammette l’errore. A causa del perfezionismo non riusciamo a reggere le piccole e grandi frustrazioni che viviamo nelle nostre esperienze.

    Questo schema è utile a capire quale polo è più presente in noi.

    L’insoddisfazione può essere considerata anche come stimolo e può funzionare da sprono al cambiamento, se però impariamo a gestirla.

    E tu, che relazione hai con l’insoddisfazione?

  • "Non si può piacere a tutti" è un'affermazione tanto vera, quanto dolorosa.
    Perchè?
    Perchè spesso leghiamo il naturale bisogno di amore, che ognuno di noi ha, all'approvazione degli altri. E questo ci provoca sofferenza.

    Uno dei passaggi fondamentali quando ci interroghiamo sul tema del bisogno di approvazione è imparare ad ascoltarsi: cosa succede dentro di noi nel momento in cui pensiamo di non piacere agli altri? Nel corpo cosa sentiamo e dove lo sentiamo?

    Il passo successivo è imparare a starci dentro. Quando abbiamo paura di non piacere diventiamo ipersensibili all’attenzione degli altri.

    Spesso viviamo valutandoci e valutando gli altri come un prodotto, sulle prestazioni.

    Piacere a se stessi, invece, vuol dire vedersi per come si è. Ed accogliersi ed accettarsi, per imparare ad amarsi davvero.

    Tante cose noi le facciamo per mendicare un po’ di amore, mettiamo delle condizioni alle relazioni, cerchiamo di essere perfetti per avere amore, per paura di non ricevere amore.

    Quello che dobbiamo fare è cercare di compiacere meno. Più mettiamo maschere e meno piacciamo veramente.

    Dietro c’è il bisogno di essere accettati e anche una parte narcisista, che vuole piacere a tutti i costi.
    Qual è il bisogno dietro il bisogno di approvazione?

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  • Ti è mai capitato di incastrarti in un vero e proprio tormento legato all'approvazione degli altri? Il primo passo da fare in questi casi è imparare a gestire il nostro bisogno di approvazione partendo dall'accettazione di noi stessi. Il bisogno di approvazione spesso sfocia nel desiderio di avere l’approvazione di tutti. Anche a livello inconscio. Il bisogno di amore è un bisogno primario dell’essere umano e ci accomuna tutti. Spesso leghiamo questo bisogno di amore all’approvazione da parte degli altri.

    Noi soffriamo quando non piacciamo, ma dimentichiamo che a noi non tutti piacciono.
    Perché non lo accettiamo? Quando non mi piace qualcuno io mando dei segnali che questa persona non mi piace e l’altro li riceve. E questo è molto frequente.

    Che succede quando non piacciamo?

    Ognuno di noi quando non piace all’altro ha delle reazioni perché questo tocca delle parti di noi. Possiamo chiederci cosa si muove dentro di noi quando non siamo accolti? Succede sicuramente qualcosa a livello corporeo (qualcuno sente mal di pancia, qualcuno si irrita, qualcuno se ne va), ma anche a livello emotivo. Spesso il bisogno di approvazione parte da un giudizio nei propri confronti. Il corpo e la reazione ci danno la traccia del nostro adattamento e delle nostre ferite, che poi diventano i punti di partenza per lavorare su noi stessi. Spesso anche la compiacenza è il risultato di una reazione. Quindi bisogna partire da cosa viene toccato. Un’altra domanda utile può essere: qual è la dimensione ricorrente su cui io scivolo? Dietro il bisogno di piacere, inoltre, potrebbe esserci un forte senso di insicurezza, che deriva dal non conoscersi profondamente.

    Cosa fare?

    I passaggi che dobbiamo fare sono legati a queste domande: che cosa provo, dove lo sento e cosa sono portato a fare? Quale bisogno di me viene profondamente evocato? Io cosa provo quando mi sento rifiutato? Cosa sento quando mi accorgo che non piaccio a qualcuno? La prima domanda: realmente non sto piacendo? O mi aspetto che l’altro si debba comportare come io immagino?

  • In una recente intervista Luigi Corvaglia, psicologo e psicoterapeuta, membro della Federazione europea dei centri di ricerca e di informazione sulle sette, ha parlato di un allarmante aumento dei fenomeni settari in Italia, soprattutto dopo la Pandemia.
    “Ci sono 500 sette in Italia, con 4 milioni di italiani coinvolti” ha detto Corvaglia, aggiungendo: “La forte paura causata dall’incontro con l’ignoto ha generato un grande bisogno di certezze”.

    Ma che prezzo si paga quando si è una persona fragile, in cerca di risposte, e si entra in collettivi spirituali non sani?

    Tutte le esperienze comunitarie di tipo spirituale sono da bollare come sospette, o è possibile operare un giusto discernimento?

    Come è possibile operarlo, con quali concreti strumenti?

    Ne parliamo con il dottor Antonio Quaglietta, psicologo, counselor e formatore, esperto di dinamiche relazionali e fondatore dell’Accademia Italiana di Counseling Strategico Relazionale, un esempio virtuoso di come sia possibile aggregare persone con proposte e modalità sane, proponendo percorsi che, radicati nella scienza terapeutica, si aprono al nutrimento che arriva dalle grandi sapienze spirituali di tutta l’umanità.

    Giacomo Meingati: Scrittore. Lavora come operatore umanitario con Italia Solidale Mondo Solidale ETS sul territorio romano e in India, nelle missioni del Karnataka.

    Dottor Stefano Lalle: Psicoanalista e psicoterapeuta junghiano.






  • Conoscere se stessi è uno dei passi necessari per poter accrescere il proprio benessere.

    Perché?

    Come avviene la liberazione interiore? Perché se porto a coscienza il mio inconscio mi libero?

    Noi commettiamo alcuni errori quando vogliamo conoscerci e spesso ci incastriamo in questi errori.

    Tra questi errori possiamo inserire il fatto che, quando cerchiamo di approfondire la conoscenza di noi stessi, non riusciamo ad accettare tutte le cose che vanno a toccare la visione che abbiamo di noi stessi.
    Per questo ci è richiesto coraggio quando avanziamo nella comprensione di noi stessi: avere coraggio vuol dire riuscire a vedere (ed accogliere) anche quelle parti che non riusciamo accettare di noi.

    Tutto quello che riusciamo a portare a coscienza, noi possiamo gestirlo; quello che non conosciamo, al contrario ci gestisce.

  • Cosa vuol dire conoscere se stessi? Cosa vuol dire comprendere se stessi?
    La conoscenza è ricerca attiva della verità e la verità ci rende liberi.

    Finché non ci conosciamo noi siamo schiavi dei nostri condizionamenti e delle nostre reattività.
    Spesso noi subiamo noi stessi. Cioè subiamo ciò che è al di fuori del nostro controllo e della nostra volontà.

    Come ci si libera dai condizionamenti? Attraverso la conoscenza di noi stessi. Perché possiamo essere padroni solo di ciò che conosciamo.

    Per questo è fondamentale conoscere se stessi. Ma nella conoscenza di noi, spesso facciamo degli errori:

    1) Avere uno schema teorico: a noi piace l’intrattenimento, non ci piace lo sforzo, ci piace più trastullarci mentalmente. Sappiamo che “funzioniamo” attraverso impulsi, desideri, bisogni ed intenzioni che danno luogo a pensieri ed emozioni che a loro volta determinano azioni e attività. Ma noi siamo ben oltre questo schema teorico di funzionamento.
    2) Paura di vedere: crediamo che facendo introspezione possiamo trovare mostri, qualcosa di inaccettabile per noi e quindi abbiamo paura di cosa potremmo trovare.
    3) Ricerca mirata: crediamo che conoscere se stessi significa andare a caccia di ciò che conosciamo già, battere i sentieri già noti; ma conoscere vuol dire svelare, andando oltre le conferme di cui abbiamo bisogno.
    4) Giudizio riepilogativo: abbiamo bisogno di una storia da raccontarci su noi stessi, che ci identifichi in qualche modo. Però in questo modo ci sfugge la nostra complessità.
    5) Esame di ipotesi o la fuga dal reale: vuol dire parlare in modo ipotetico di ciò che potrebbe essere.

    Ma nella pratica come si conosce se stessi?

    1) L’introspezione deve essere pratica: bisogna superare gli schemi teorici ed andare nel profondo delle nostre motivazioni che ci spingono all’azione, vedendole e sentendole.

    2) Coraggio e sincerità: vuol dire che nella nostra ricerca interiore bisogna riconoscere i giochi dell’ego ed essere sinceri con noi stessi.

    3) Curiosità e apertura: vuol dire avere la curiosità di battere sentieri nuovi.

    4) Rimanere nel quotidiano: senza ipotesi sul futuro, sui se e sui ma.

    5) Rimanere nel presente: solo il presente esiste.

    Quanto conosci te stesso?

  • Spesso siamo abituati ad essere concentrati solo su noi stessi. Come possiamo superare questo egocentrismo con la meditazione? La pratica può aiutarci ad uscire da noi stessi. In particolare con le pratiche sugli incommensurabili è possibile uscire da noi stessi.

    Ne parliamo in questo video con Fabrizio Giuliani, maestro di meditazione.
    Anziché osservare solamente i nostri stati, come accade nella meditazione vipassana, con la meditazione sugli incommensurabili possiamo andare oltre l’ossessione verso noi stessi.

    Questi stati sono definiti da Bhudda gli incommensurabili, poiché sono senza fine. Sono gli stati mentali che sono i pilastri dell’universo. In particolare questi stati sono la metta, benevolenza e fratellanza; karuna, che è la compassione (soffrire con l’altro senza voler risolvere la sofferenza dell’altro); mudita, la gioia per la gioia degli altri; upekkha, l’equanimità, la qualità mentale che è in grado di abbracciare tutto, essendo in armonia con tutto, gioie e dolori.

    Sono pratiche di concentrazione che hanno lo scopo di coltivare questi stati mentali ripetendo delle frasi. Tutte queste pratiche ci portano fuori da noi stessi, ci aiutano a comprendere che noi non siamo al centro dell’universo. In questo senso ci fanno superare l’egocentrismo.

    Come coltivare degli stati mentali specifici?

  • Le nostre abitudini hanno un forte impatto nella vita quotidiana. Ma cosa sono le abitudini?

    L’abitudine è un comportamento che viene prima scelto, poi rafforzato con la ripetizione e poi da consapevole e volontario diventa inconsapevole e involontario. Le abitudini hanno dei vantaggi e degli svantaggi. Quali sono?

    Quali sono i vantaggi delle abitudini?
    • Poco sforzo: ogni cosa fatta per abitudine richiede poco sforzo
    • Efficienza: impiega il minimo di risorse e da la massima resa.
    • Obiettivi a lungo termine: quando dedichi tempo per raggiungere dei obiettivi le abitudini aiutano a facilitare il raggiungimento.
    • Ci danno struttura: ci aiutano a strutturare il nostro tempo.
    • Sicurezza emotiva: ci dà sicurezza perché dando struttura al tempo, ci aiutano a sentirci in un ambiente più sicuro.

    Ma quali sono gli svantaggi delle abitudini?
    • Monotonia
    • Resistenza al cambiamento
    • Limitazione della creatività: noi siamo essere creativi e abbiamo bisogno di fare esperienze ed apprendere per crescere ed evolvere
    • Dipendenza dalla comforte zone: poiché abbiamo resistenza al cambiamento e non siamo creativi, non abbiamo idee nuove, abbiamo energia bassa, diventiamo apatici e dipendenti, senza stimoli e novità. Più mi chiudo e più tendo a chiudermi.
    • Cecità alle opportunità: chiuso in me stesso, non riesco a vedere le opportunità che mi si presentano.

    Quali sono le nostre abitudini? Quanto ne siamo dipendenti?

  • Cosa vuol dire crescere? Come possiamo crescere e conoscerci meglio?

    Una domanda fondamentale da cui partire è: Voglio crescere o voglio odiarmi?
    Se rispondiamo “voglio crescere” allora dobbiamo capire quali sono gli impedimenti alla nostra crescita. Spesso Inconsciamente noi siamo gli unici nemici della nostra crescita. Ma la crescita e il cambiamento partono da una scelta: voglio crescere davvero? Ci sono dei passi fondamentali da fare per poter crescere e attivare il cambiamento. Quali sono?

    • Primo passo: passare dalla condanna alla compassione. La nostra cultura ci insegna che con la condanna noi cresciamo. Quando sbagliamo noi tendiamo a condannarci provocando dentro di noi una serie di emozioni negative. Questo impedisce un cambiamento. Infatti quando arriviamo alla compassione e ci prendiamo cura di noi possiamo crescere davvero.

    • Secondo passo: curiosità e comprensione: quando passiamo dalla condanna di noi stessi alla compassione, possiamo approcciarci a noi stessi con curiosità, con la voglia di comprendere e di analizzare i nostri comportamenti.

    • Terzo passo: Feedback costruttivo. Il linguaggio può essere usato in due modi: in modo giudicante o come feedback. Il feedback è derivato dall’esperienza che genera apprendimento. Il giudizio colpisce sempre l’identità. Il giudizio crea una equivalenza tra ciò che facciamo, diciamo e pensiamo e ciò che siamo. Il feedback si chiede: cosa posso fare di diverso? Il feedback serve a creare uno scenario diverso. Le domande da farsi sono: cosa concretamente posso fare di diverso? Cosa, invece, posso mantenere?

    • Quarto passo: accettare i cicli. Uno degli errori più grandi che facciamo è la nostra idea perfezionista della vita che ci genera sofferenza, perché guardiamo alla vita non per come è ma per come pretendiamo debba essere. Così, noi pretendiamo che il cambiamento sia lineare e non vediamo che invece avviene per cicli.

    • Quinto passo: sorridi e ridi di te. Si tratta di togliere la seriosità agli eventi, la pesantezza a ciò che accade. La risata è l’antidoto più forte all’ego e alle sue caratteristiche. Quando noi ridiamo di cuore si sgonfia l’ego. E cresce il sé, il vero sé.

    Su quale di questi passi senti di voler lavorare maggiormente?

  • In questa diretta, insieme a Chantal Dejean, abbiamo continuato a parlare della delicata relazione tra genitori e figli. Cosa vuol dire che siamo noi che “scegliamo la nostra famiglia”? Perché ci “capitano” questi genitori, questi figli e quelle situazioni che viviamo? Nel nostro piano di incarnazione abbiamo fatto scelte che ci hanno portato a vivere la vita che stiamo vivendo. Compresa la relazione con i nostri figli. Curare questa relazione è una sfida urgente in questi tempi in cui spesso i giovani sono allo sbando dal punto di vista educativo. Cosa possiamo fare per custodire questa relazione?

  • La magia di dire grazie.

    Gratitudine e speranza sono i due sentimenti che maggiormente dobbiamo imparare a coltivare. Perché ci fanno un gran bene. La gratitudine è uno stato di apprezzamento per qualcosa di interno o di esterno a noi. Quando siamo nella gratitudine noi apprezziamo ciò che siamo, ciò che abbiamo, ciò che l’altro fa per noi. Quando spostiamo il focus sulla gratitudine cambia il nostro stato psicofisico, mentale, spirituale. E ci sono tante ricerche che ne testimoniano i benefici. Ma nonostante i tanti benefici noi la pratichiamo poco. Perché?

    Perché? Perché diamo troppe cose per scontato. Viviamo come assuefatti a ciò che proviamo. Ci sono 3 tipi di gratitudine e gli effetti che si possono avere cambiano a seconda del tipo a: • Essere grati a se stessi: questo tipo di gratitudine può essere considerato un vero e proprio antidoto per l’autogiudice, per il giudice interno; • Essere grati agli altri: questo tipo di gratitudine cambia il clima relazionale • Essere grati a Dio e alla Vita: questo tipo di gratitudine genera accettazione, diminuisce la rabbia e il senso di ingiustizia e quindi stiamo meglio. Essere grati ci fa essere meno nel confronto con gli altri. La gratitudine è consapevolezza. Quando non siamo grati siamo in uno stato di inconsapevolezza. Ricorda: se vuoi essere beato impara ad essere grato. Quali sono i tuoi motivi di gratitudine?

  • Curare le ferite dell'infanzia.

    Scopri i passi necessari per la guarigione interiore Nella scorsa diretta ( • Le ferite dell'infanzia: perché facc... ) abbiamo parlato delle ferite dell'infanzia e di quanto inconsapevolmente soffriamo a causa di esse. In questo video abbiamo parlato di come riuscire a curare queste ferite e guarire nel profondo. Quali sono i passaggi fondamentali per curare le ferite dell'infanzia?

    Il passaggio primario è essere consapevole di dover fare un viaggio di attraversamento del dolore e di ricerca della verità. Il primo punto fondamentale per capire bene che c’è qualcosa della nostra infanzia che dobbiamo rivedere è il disagio (cioè dobbiamo prestare attenzione a quelle situazioni di disagio che viviamo) Il secondo step è chiedersi quel disagio quale emozione ci fa provare? Bisogna ascoltare il proprio corpo e vedere che emozioni sentiamo. Il terzo passo è imparare a riconoscere i nostri trigger, gli stimoli, le situazioni, che ci tirano dentro a quel disagio e alle emozioni correlate. Il passo successivo è individuare i ricordi in famiglia che hanno provocato disagio, emozioni e sofferenza, generando le nostre ferite. L’ obiettivo ultimo è togliere il velo all’immagine idealizzata che abbiamo costruito dei nostri genitori, disposti a vedere anche le parti “negative” nei nostri genitori.

  • Le ferite dell'infanzia: perché facciamo sempre gli stessi errori?

    Tante volte, quando abbiamo dei problemi, non riusciamo a risolverli e restiamo attaccati al nostro passato, mettendo in atto alcuni comportamenti senza sapere il perché. Spesso questo è frutto di alcune ferite e di conflitti che abbiamo vissuto nell'infanzia.

    Quando abbiamo un problema ci sono tre livelli di consapevolezza con cui siamo nella situazione:
    • Un livello coscio, consapevole, che gestisco; è il livello del ragionamento.
    • Un livello preconscio, quello di una parziale consapevolezza, di “vedo e non vedo” la realtà della situazione.
    • Un livello inconscio, inaccessibile alla mia coscienza.

    Il primo livello, quello conscio, di analisi prevede le nostre difese. Accusiamo l’altro, iniziamo a trovare scuse per il nostro comportamento e ad accusare l’esterno per quello che ci accade.

    Nel secondo livello, succede che proviamo rabbia, tristezza e frustrazione.

    C’è un altro livello, quello inconscio, dove nascono le vere cause dei problemi attuali: è il livello dei bisogni, conflitti e problemi infantili. Dei conflitti infantili noi non ricordiamo nulla. Ci raccontiamo una storia sul nostro passato. Il bambino sviluppa un falso sé, poiché deve creare un sé adatto a ciò che i genitori vogliono. Per non perdere l’amore dei genitori. Il falso sé si alimenta di tutti i sentimenti che non abbiamo potuto esprimere nell’infanzia.

    Cosa possiamo fare? Ne abbiamo parlato nel video.


    Lezione 73 del Sentiero di Eva Pierrakos: https://www.bibliotecadelsentiero.org...
    Libro consigliato: Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Alice Miller


  • In questo video Paola Giovetti, giornalista e scrittrice, ha raccontato la sua storia, condividendo con noi il suo viaggio personale. Una vita normale, tranquilla di insegnante, madre e moglie, diventa una vita diversa dopo un incidente. Comincia quindi una profonda riflessione sulla vita oltre la vita.

    La condivisione arricchisce e ispira creando connessioni tra le persone. Condividere, sia che si tratti di esperienze, conoscenze, emozioni o risorse, ha un impatto profondo su noi stessi e sugli altri. In questo video Paola Giovetti, giornalista e scrittrice, ha raccontato la sua storia, condividendo con noi il suo viaggio personale. Una vita normale, tranquilla di insegnante, madre e moglie, diventa una vita diversa dopo un incidente. Comincia quindi una profonda riflessione sulla vita oltre la vita. Inizia ad approfondire questo argomento ed avvia una nuova pagina della sua vita. Dall’ insegnamento si butta poi nel giornalismo. Da qui inizia tutta la carriera di giornalista e scrittrice. E cresce il suo interesse per l’ambito spirituale, della parapsicologia e dell’esoterismo, di cui diventa esperta.
    Quanto desideriamo spingerci oltre nella ricerca?

  • La cronaca ci nutre quotidianamente di notizie di violenza, di morte e di dolore. In particolare, queste notizie riguardano le donne.

    Cosa possiamo fare per evitare che la violenza vinca sempre?
    Come possono le donne imparare a riconoscere questa violenza e a difendersi?

    Il femminicidio è la conseguenza di un modo completamente sballato, disfunzionale e malato di vivere le relazioni.
    Come possiamo imparare a distinguere e riconoscere i segnali di una relazione è sbagliata?

    Eccone alcuni:
    * Controllo eccessivo: in una relazione, il controllo non è mai un segno di cura e di amore.
    * Gelosia estrema: la gelosia non è amore e non è un segnale di amore.
    * Umore imprevedibile: le persone instabili non riescono a gestire le loro emozioni e non sanno essere pertinenti al contesto nelle loro reazioni emotive.
    * Isolamento: c'è il tentativo di isolare dalle relazioni importanti, iniziando dalle amicizie per arrivare alla famiglia e alle relazioni più strette.
    * Umiliazione e disprezzo: non devono far parte sostanziale di una relazione, la violenza verbale può essere il preludio della violenza fisica.

    Cosa possiamo fare per proteggersi?
    Parlare della relazione: è necessario come antidoto dell'isolamento; cercare confronto con l'esterno sulla propria relazione.Consultare professionisti: se abbiamo dubbi e preoccupazione, è necessario parlare con professionistiDocumentare gli episodi: prendere appunti sul comportamento del partner ci aiuta a fare un quadro della situazione e ad avere dati di realtà con cui confrontarsi e accrescere la propria consapevolezza. Far percepire la rete: dare conoscenza del fatto che ci sono persone pronte a sostenermi e che non sono isolata. Ascoltare la propria paura: non si deve zittire la paura che sentiamo in coppia; non è sano sentire paura in coppia. Impariamo a difenderci. Basta femminicidio.
    Impariamo a difenderci. Basta femminicidio.




  • Cos'è il Karma? E come funziona?

    Con il dott. Enrico Ruggini, psicologo e psicoterapeuta, abbiamo parlato di karma e delle sue leggi.

    Il karma non è una legge di punizione, ma può essere considerato un vero e proprio principio guida per vivere una vita più consapevole e responsabile.

    Il Karma oggi a noi è giunto come qualcosa del tipo se ti comporti male, poi verrai punito. In una successiva incarnazione sconterai i tuoi errori e sbagli. Ma questo è un travisamento.
    Karma significa azione.
    Inserito in una visione evoluzionistica dell’uomo, ha un significato diverso. Vuol dire raggiungere una tale maturazione di coscienza che ci porta a vivere più per gli altri che per noi stessi. Le azioni per arrivare a questo sono azioni collegate ai fili karmici che hanno una funzione educativa e non punitiva. Quindi karma è anche apprendimento, attraverso atti e azioni che hanno determinati effetti. È la legge del causa-effetto: qualsiasi azione ha un effetto. Gli effetti ci stimolano ad agire o reagire in un determinato modo. In questo processo del karma avviene la maturazione della coscienza. E la crescita. Per mancanza di coscienza compio determinati atti dei quali apprenderò insegnamenti nel corso di tutta l’esistenza.

    Quali sono le 7 leggi del karma?
    1. Ogni attività reca con sé un effetto
    2. Questo vale per ogni categoria (pensieri, sensazioni, etc.)
    3. L’effetto è della stessa natura della causa
    4. Si creano cause volontariamente ed involontariamente
    5. L’effetto ricade su chi ha mosso la causa
    6. L’effetto ricade per dare coscienza al soggetto
    7. L’effetto ricade quando il soggetto è pronto a comprendere.

  • Le storie sono molto più di semplici narrazioni. Sono strumenti potenti che hanno il potere di trasformarci e plasmare il nostro modo di vedere il mondo. Le storie ci modificano e possiamo sfruttare questo potere per il nostro apprendimento e sviluppo personale.

    E' molto importante scrivere la propria storia sotto forma di fiaba.
    Scrivere la fiaba della propria vita significa passare da un livello di lettura della propria storia superficiale ad una nuova consapevolezza: creare personaggi e simboli vuol dire aprire un mondo infinito.
    Si smuove dentro di noi un mondo.

    Come si scrive una fiaba?

    Il primo elemento da tenere in considerazione è che non ci devono essere persone, ma simboli. Animali, personaggi inventati, oggetti, qualcosa che non esiste, qualcosa che racchiuda dei significati.
    Quindi il resto viene automaticamente.

    Scrivere una fiaba vuol dire dialogare con l’inconscio (si parla per immagini, l’inconscio in questo modo evoca ricordi e immagini in modo diretto, senza la parte razionale).

    Superare le difese: quando scrivo la mia fiaba bypasso la razionalizzazione e le difese. Vuol dire andare oltre tutto ciò che il nostro inconscio considera “troppo” per noi.

    Accrescere identificazione e proiezione: mi identifico maggiormente nei personaggi e nei simboli che creo, acquisendo consapevolezza di nuovi punti di vista.

    Proiezione, invece, vuol dire che io posso proiettare nei vari personaggi tutte le parti di me. Attraverso la proiezione mettiamo ordine.

    Elaborazione emotiva: elaboro un livello emotivo molto più forte e più vero di quello che mi racconto e tirando fuori le mie emozioni posso elaborarle.

    Cosa accade?

    • C’è un distanziamento emotivo: riesco a raccontare la mia storia con una maggiore distanza emotiva.
    • Ristrutturazione narrativa: quando narriamo diamo una nuova cornice di riferimento a ciò che abbiamo vissuto.
    • Rafforzamento dell’identità: non siamo più vittima del racconto razionale della nostra storia che prima ci facevamo.
    • Creatività e flessibilità: quando scriviamo attiviamo la nostra parte creativa e diventiamo più flessibili perché cambia la nostra visione.

  • La pace possibile: costruisci la tua pace per portarla nel mondo

    Nel mondo in cui viviamo e nel modo in cui viviamo spesso la pace interiore può sembrare un miraggio lontano.

    Qual è la via della pace? Come possiamo costruire la pace?

    Spesso il conflitto nasce dalle barriere, nasce dall’invidia e genera emozioni negative; il dialogo senza dubbio è una via di pace. La vita interiore plasma la realtà che ci circonda e se c’è la pace è frutto di una interiorità che riesce a esprimersi bene. Quando vediamo la guerra è un orrore, ma è come i sintomi di una malattia, c’è sempre un problema sotto. Bisogna curare ed occuparsi di ciò che c’è nel profondo, a livello sociale, ma anche personale. La malattia è una malattia che nasce dal conflitto interno. E la guerra che abbiamo dentro è uno specchio di quello che poi portiamo fuori, nelle nostre relazioni.

    Finchè ci sono conflitti interni, ci saranno sempre conflitti esterni.

    Per poter iniziare a risolvere i conflitti esterni è necessario partire da quelli interni.

    Fino a che punto è possibile pacificarsi per portare pace?
    Il cammino per la pace è un cammino sempre attivo, ma è un cammino lento che riguarda la capacità di convivere con quello che si è.
    La pace richiede la capacità di lasciarsi bucare anche dalle spine, ovvero dalle proprie sofferenze, accettando ciò che siamo, cercando di non far male agli altri e accettando che anche gli altri possano avere le loro sofferenze.
    Per portare la pace dobbiamo guardare quando non siamo pacifici, capire dove andare a lavorare con noi stessi.

    Costruire la pace parte proprio dall’accettazione di noi stessi e degli altri. La pace a cui arrivare è più un educare. Non può essere pace come assenza di guerra perché impongo il mio dominio (il nostro ego vuole imporre il suo potere-dominio), ma è la pace come “porgere l’altra guancia”, non è sottomettersi, ma è semplicemente non ripiegarsi su se stessi e non pretendere la ragione.

    I passi della maturità spirituale partono dalle regole e arrivano ai valori e quindi ad incarnare questi valori.

    Qual è il cammino per progredire sul cammino della pace? Silenzio, preghiera e meditazione sono strumenti importanti e imprescindibili. Questo vuol dire auto-osservarsi. Più osservo me stesso e meno cado in dinamiche di guerra.

    Un altro passo importante è iniziare a praticare la compassione.

  • Con un ospite speciale, Chantal Dejean, abbiamo affrontato il tema della relazione genitori-figli.
    La relazione genitori-figli è una delle relazioni fondamentali nella vita di ognuno. In questa relazione si cresce, ci si struttura e ci si trasforma.

    Il primo passo è strutturare la relazione con se stesso e la relazione di coppia. Poi possiamo entrare nella relazione con i propri figli. Quando possiamo dire che queste relazioni sono relazioni d’Amore?

    Le relazioni d’Amore sono quelle in cui si promuove la crescita, il rispetto delle libertà dell’ altro. Le relazioni di Amore sono funzionali all’apprendimento. Il vero amore, infatti, non è a servizio dell’ego. La nostra anima vuole relazioni che la spingano a crescere, a far emergere le virtù e i talenti. Quindi le relazioni sono una palestra. Le relazioni d’Amore sono faticose perché ci insegnano e sono piene di attriti costruttivi che fanno crescere ed evolvere. Sono relazioni che spingono a dare il meglio di noi.

    Quando abbiamo una buona relazione di coppia, allora possiamo costruire una buona relazione con i nostri figli. Le relazioni adulte però sono poche. Noi crediamo che l’altro debba rispondere ai nostri bisogni, riempire i nostri vuoti. La nostra sofferenza è legata a noi stessi e a quello che noi pretendiamo dall’altro. Una relazione disfunzionale è quando io tolgo libertà all’altro e l’altro a me.

    Nella relazione con i figli quello che è importante è riconoscere il figlio come qualcuno di esterno a noi e rispettare la sua libertà e dare l’esempio di ciò che desideriamo che loro siano e ciò che loro possano essere. I figli spesso vengono vissuti come una risoluzione delle nostre problematiche. Per questo si ribellano.


    E' importante imparare a dare libertà e darsi libertà. È importante chiedersi se come genitori siamo a servizio dell’ego o dell’anima e puntare sempre alla crescita e all’evoluzione dei nostri figli.

  • Chi comanda i nostri pensieri? Scopri come gestire i pensieri

    Come possiamo gestire i nostri pensieri?

    La nostra sofferenza è quasi sempre creata dai nostri pensieri. Nel momento in cui impariamo a gestire i nostri pensieri, gran parte della nostra sofferenza si dissolve.
    Spesso siamo in balìa dei nostri pensieri perchè non siamo in grado di gestirli. I pensieri influenzano le nostre azioni e emozioni. Ed è quindi di fondamentale importanza imparare a gestirli.

    Come fare?

    Il primo passo consiste nell’ ascoltare il pensiero e comprendere quale parte di noi è al comando. Quando ci arriva un pensiero dobbiamo ascoltare il pensiero e chiederci cosa la mente sta producendo. Ascoltare il pensiero vuol dire fare silenzio, sentire e trascrivere cosa sta accadendo. Una volta che l’abbiamo ascoltato possiamo riconoscerlo come qualcosa di diverso da noi: noi non siamo i nostri pensieri.

    Il passo successivo è chiederci: dove nasce questo pensiero? Bisogna individuare le emozioni che ci sono dietro al pensiero e comprendere se il pensiero nasce dalla parte animica, dal sé superiore o dall’ego, la parte impaurita, chiusa, che gioca in difesa.

    Il terzo passo è chiederci: cosa porta questo pensiero? Emozioni piacevoli? Un contributo costruttivo per me e l’altro oppure rabbia, tristezza, distruzione?

    Il quarto passo è chiederci: dove conduce? Dove ci porta questo pensiero?

    Il quinto passo è chiedersi: sa aspettare? Questo pensiero sa aspettare? Per distinguere se un pensiero fa bene o fa male bisogna osservare e vedere se il pensiero è frettoloso, non è presente, ma se sa aspettare.

    Chi è al comando della tua nave?