Episodes
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Un filo blu racconta due secoli della nostra storia, dal diciannovesimo secolo fino ai giorni nostri, attraverso il rapporto che prima artisti e letterati, e poi scienziati e medici hanno avuto con la tubercolosi. La malattia che più di ogni altra cosa ha plasmato il nostro immaginario, segnando la rivoluzione industriale al pari di macchine e vapore e fabbriche. Prima di scomparire dai nostri radar pur restando la seconda causa di morte per malattie infettiva al mondo, seconda solo al covid.
Da Thomas Mann a Charles Bukowsky, fino al medico Mario Raviglione e l’attivista zambiana Carol Nawina, il podcast svela il filo blu, le relazioni inaspettate che legano le esperienze di queste persone apparentemente molto lontane. -
Quando Grace Ngulube capisce di avere l’Hiv ha solo 11 anni. Nessuno glielo dice chiaramente, almeno non subito, ma l’atteggiamento degli adulti attorno a lei cambia e il suo cuore va in pezzi. In Africa la sua non è una tragedia isolata, ma la storia di molti ragazzi che, come lei, sono stati contagiati già nel grembo materno. Don Dante Carraro di Cuamm lavora proprio al fianco degli adolescenti africani, le categorie più a rischio nel continente. Dalla sua prospettiva, aiutare i giovani a conoscere ed evitare il rischio di contrarre l’Hiv è fondamentale. È una sfida che dobbiamo vincere anche in Occidente, dove, come ci ricorda Jonathan Bazzi, la paura del virus ci spinge a una sorta di negazione. Nonostante i progressi, però, lo scoglio culturale non è ancora l’ultimo: la sfida politica per diffondere test e terapie è ancora aperta.
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Missing episodes?
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Nel ‘91 Magic Johnson lascia i Lakers per aver scoperto di essere sieropositivo. All’epoca è ormai chiaro che l'Hiv è un problema di tutti, ma di Aids si muore ancora e i pregiudizi non sono scomparsi. Si aprono però delle brecce: è proprio allora che il mondo della ricerca, dell’attivismo e del cinema piantano alcuni dei semi che daranno vita ai successi degli anni a venire contro la malattia e lo stigma. Mauro Guarinieri ci parla della sua lotta per i diritti di sieropositivi e tossicodipendenti, oltre che delle prime, faticosissime terapie contro l’Aids; Peter Sands ci riporta ai tragici giorni del G8 di Genova, dove nasce il Fondo Globale contro l’Aids, la Tb e la Malaria, che attualmente dirige; la dottoressa Noorjehan Abdul Magid ci accompagna in Mozambico, dove ogni giorno aiuta le mamme che vivono con l’Hiv.
Ep.4: fuori il 18 dicembre -
Fin da subito è chiaro che l’Aids non è una malattia come le altre. Avere il virus in quei primi anni non significa solo ricevere una sentenza di morte, ma anche essere licenziati, discriminati, allontanati da amici e familiari. Succede perché a essere colpite sono le categorie più deboli, quelle che sono già minoranze, ma anche perché non esiste ancora una cura, e il virus fa paura. Lo ricorda bene Rosaria Iardino, che scopre di essere sieropositiva a 19 anni e che, dopo aver preso consapevolezza delle discriminazioni subite, decide di diventare attivista per i diritti delle persone con Hiv. Ma anche Don Luigi Ciotti, che con il Gruppo Abele si batte da subito per garantire accoglienza e supporto a quei malati che non vuole nessuno, anche andando contro ai principi della sua stessa Chiesa.
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Quando negli Stati Uniti viene dato per la prima volta un nome all’Aids, il virus che la causa ha già fatto il giro del mondo. Arriva al Policlinico Umberto Primo di Roma, dove Stefano Vella è un giovane specializzando che vede per la prima volta un paziente sieropositivo; entra nella vita di Dominique Corti e di sua mamma, un chirurgo in zone di guerra che contrae il virus sul tavolo operatorio; si diffonde nella comunità per tossicodipendenti di San Patrignano, dove Fabio Cantelli scopre di essere sieropositivo insieme a decine di altri ospiti. Grazie a queste e altre testimonianze ricostruiamo il viaggio dell’Hiv: un virus silenzioso, paziente, che dall’Africa di inizio ‘900 viaggia per decenni senza che nessuno se ne accorga.