Episoder
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A Marò non ho mai regalato una vacanza, un viaggio, niente di niente. Io sono sempre stato in galera o latitante. Ed è per questo che voglio tornare a Palermo a parlare alle donne di mafia: perché non si perdano tutto ciò che ci siamo persi io e Marò. La mafia è morte. La vita va vissuta.
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Tra i due amori della mia vita, oltre alla pittura, c’è Santina Maria, mia moglie. La chiamavo Marò.
Sapeva chi ero. Se le davo una camicia sporca di sangue da lavare o da bruciare non faceva domande. Ma quando la mafia ha ucciso il figlio di Nino Badalamenti, ha reagito e per la prima volta mi ha affrontato: “Voi siete pazzi!”. Marò mi ha dato la forza di pentirmi.
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Manglende episoder?
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Nel 1983 sono finito nel carcere di Firenze. Ogni mattina passavo davanti alla cella di Francesco Mungo, detto l’Aragonese, e mi fermavo ad osservalo che dipingeva. Gli chiesi “Senti, Francesco, mi puoi insegnare a dipingere?”. E lui: “Per insegnarti qualcosa, devi spostarti nella mia cella”.
Mungo aveva ucciso sua moglie e i detenuti lo schifavano. Sapeva che ero un mafioso, una persona rispettata, e gli faceva comodo avermi vicino.
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Mi sono pentito perché, dopo averci pensato a lungo, mi sono convinto di dover cambiare vita e ci ho messo tutto me stesso. Anche grazie alle mie rivelazioni è stata possibile l’operazione Golden Market, che ha portato a 76 ordini di cattura per politici, imprenditori e professionisti collusi con la mafia. "Golden Market", G come Gaspare, M come Mutolo.
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Borsellino l’ho incontrato tre volte, la prima il primo luglio del ’92, l’ultima il 17, due giorni prima che saltasse in via D’Amelio. Borsellino mi ascoltava e aveva sempre con sé l’agenda rossa, quella scomparsa.
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Conoscevo il dottor Falcone da tempo. Il primo mandato di cattura me lo ha spedito nel 1982. Non fossi rimasto affascinato da Falcone, non avrei collaborato. È venuto a trovarmi nel carcere di Spoleto. “Dottore, io parto dagli infiltrati nel suo ufficio e arrivo fino in Cassazione”. Questo gli ho detto.
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I giornali scrivono che avevo palazzi, società, terreni presso la discesa di Valdesi a Mondello, una Ferrari. Con la droga guadagnavo 20 milioni al chilo. Poi c’è quella che chiamano “seconda guerra di mafia”, iniziata dai Corleonesi.
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La prima cosa che mi dissero fu: “La mafia è più forte di quel che si pensa”. Il fuoco, il giuramento, il rito celebrato insieme. C’era un’atmosfera speciale in quella stanza.
A Riina facevo soprattutto da autista. Mi voleva bene. Eseguivo i suoi ordini: estorsioni, rapimenti, omicidi.
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Non sono nato nella mafia, ma da bambino avevo un gran talento per il male. Sono stato espulso in terza elementare per il calcio in uno stinco al maestro, uno di quelli antichi, che bacchettava le mani.
Mi hanno arrestato per la prima volta nel 1960, a 20 anni. Poi nel ’65, mi portano all’Ucciardone. Nell’ottava sezione dove Totò Riina mi prese subito in simpatia.
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Cosa Nostra è morte.
Il pentito che ha sfidato Totò Riina ha parlato così della mafia a Luigi Garlando, in un'intervista esclusiva per Oggi.
Ma com'è Cosa Nostra vista da dentro? Come si arriva a percorrere la difficile via del pentimento?
In questo podcast Giulio Cavalli presta la sua voce a Gaspare Mutolo, tra crimini, famiglia e bellezza.
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