Episoder
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[🚨 -50% su tutti gli abbonamenti a Guido, così poi ce la fai di sicuro 🚨]. Una domanda sensatissima, una domanda insopportabile, una domanda che marzullianamente si fa una domanda e poi si da una risposta: eh, ma dipende da cosa significa, farcela. Noi di sicuro non ce la facciamo, quindi ormai senza freni rispondiamo in due puntate, come gli scrittori di saghe fantasy: questa è la prima di due, e la risposta non è «dipende», anzi: ha un sinistro suono metallico.
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[🚨 A proposito di Black Friday: da oggi -50% su tutti gli abbonamenti a Guido 🚨]. Fare il Black Friday si può? Si può ma non si dovrebbe? È sostenibile? Significa svendersi? È sleale? È indispensabile? Significa svalutare il proprio lavoro? Significa turbocapitalismo ultraconsumista? Significa taaac fatturare a manetta? Significa fritelle allo scrippo d'acero, tacchini vivi e giorno del grazie? Parliamone.
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Manglende episoder?
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L'attesissmo trailer dell'attesissimissima terza stagione del podcast, in cui Enrica spiega un meme alla radio, ci mandiamo spesso reciprocamente a cagare, si minaccia il divorzio, ci si overlappa, si dicono moltissime parolacce e in generale non si capisce un beneamato ca**o.
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L'ultima puntata della seconda stagione è una lunghissima sessione di terapia, in cui capiamo finalmente cosa tiene insieme cinque anni di scelte sbagliate, ci muoviamo spaesati nel mondo degli adulti e ci identifichiamo con il nostro animale guida. Lo scarafaggio? Esatto, lo scarafaggio.
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Ti piacerebbe ascoltare consigli pratici e di valore da mettere in pratica subito per imparare a programmare la tua assenza? Sei nel posto sbagliato. Questa è la storia di un crollo lungo quattro anni, del silenzio come scelta inevitabile e presa di posizione, di uno smarrimento, di un giro lunghissimo per tornare alla fine al punto di partenza: che è un posto completamente diverso da quello da cui siamo partiti, e anche perfettamente identico.
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Faccio bene? Faccio male? Sono un cretino? Sì, perché dietro tutta questa manfrina della fiducia cieca e incondizionata c'è altro. Io, di fronte ai conflitti – a qualsiasi conflitto – me la do a gambe.
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Guido compie sei anni, tutti gli abbonamenti sono scontati oltre il 50%. Trovi tutto su conguido.it >>> In questa puntata: vomito di cane riscaldato, ex carrozzerie di trecento metri quadrati, una mano di bianco, il doppio del budget +IVA, libri un po' del cazzo, Enrica imbruttita (nel senso del famoso Milanese), Enrica nascosta in sala pose (una stanza piccola e buia), le ragioni per cui ci si abbandona e ci si dimentica di sé, e quanto brucia riconoscerlo, cinque anni dopo.
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Guido compie sei anni, tutti gli abbonamenti sono scontati oltre il 50%. Trovi tutto su conguido.it >>> Quella volta che ho lavorato per un anno intero al nostro nuovo sito, per poi scoprire – dopo un anno – che tutto il lavoro cbe avevo fatto era da buttare.
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Guido compie sei anni, tutti gli abbonamenti sono scontati oltre il 50%. Trovi tutto su conguido.it >>> Ti dicono che le cose vanno piuttosto bene, invece tu capisci che vanno male: malissimo anzi, un vero e proprio fallimento personale, da correre a nascondersi. Capita anche a te? A noi sì, e non riusciamo a farcela passare.
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Perché sono qui a lavorare di notte, all'ultimo, in diretta dall'inferno, con le bombe fuori, per un cliente che non avrei mai dovuto prendere e a cui avrei dovuto dire – da subito – di no?
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Ci hanno chiuso Instagram e non è stata colpa nostra. Ma le cose che sono successe dopo sì, lo sono. E le abbiamo pagate care – sappiamo anche dirvi esattamente quanto.
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Il trailer della seconda stagione del nostro podcast, tre anni dopo la prima, in cui non riusciamo in alcun modo a spiegare chi siamo e cosa facciamo. Ciao.
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C’è un fatto a cui Ivan ed io ripensiamo ogni tanto, tanto che ha anche un nome: il fatto di Berlino. Il fatto di Berlino si è svolto sulla Karl Marx Allee a giugno del 2017.
Era un pomeriggio di sole, il clima era mite, perfetto. Passeggiavamo sotto i grandissimi alberi del viale spingendo Cecilia sul passeggino, che finalmente si era addormentata: un momento di grandissima pace. In quel momento ci siamo trovati a parlare di lavoro. Io ero appena rientrata dalla maternità da tre mesi; in quel momento Guido era solo uno dei servizi che offrivo, la mia entrata maggiore erano i corsi in classe, sospesi per via del congedo di maternità. Dopo la mia maternità c’era un po’ di agitazione riguardo alle nostre entrate, perché il congedo e la ripartenza avevano fatto subire una battuta d’arresto alle nostre entrate. Il primo compleanno di Guido però stava per arrivare, era proprio dietro l’angolo.
Fino a quel momento Guido era stato sul mio sito, ma in occasione del primo compleanno avevamo fatto un investimento (di tempo) e avevamo deciso di crederci: volevamo pensare che Guido potesse un giorno sostenerci economicamente, se non del tutto almeno in parte. In occasione del primo compleanno avevamo quindi spostato Guido sul suo nuovo sito, e per spingerlo avevamo pensato a una promozione del -50% per qualche giorno.
Il fatto di Berlino consiste in noi che ci avviciniamo ai giorni di questa promozione in modi diametralmente opposti: io, tutta contenta perché di lì a poco le nostre casse si sarebbero rimpinguate. Ivan disperato, perché «non ci cagherà nessuno».
In questa puntata, quindi, parliamo del pessimismo. -
Quando quattro anni fa Enrica è passata dal regime dei minimi al regime ordinario come partita Iva è successa una cosa che prima non succedeva, ed è successa di colpo, tutta in una volta. Ha iniziato a dare tantissimo peso e a preoccuparsi tantissimo di quello che facevano gli altri – dove gli altri erano i suoi colleghi e i suoi concorrenti.
Improvvisamente era come se si fosse dimenticata di tutto quello che voleva fare e che aveva trascorso anche già un paio d'anni a costruire. Ad esempio Enrica aveva già deciso di voler fare soprattutto formazione, però durante quel passaggio ha ripreso a fare tantissime consulenze. Perché? Perché gli altri facevano consulenze.
Era come se si sentisse l'unica scema a fare le cose che voleva fare, l'unica a voler improntare il suo lavoro nel modo in cui piaceva a lei. Un modo diverso da quello di tutti gli altri, che però era il suo modo e che aveva già incominciato a funzionare.
In questa puntata parliamo proprio di questo: degli altri, del peso che hanno, del peso che gli diamo e del peso che dovrebbero avere -
Lo scorso novembre siamo stati una riunione con la nostra commercialista, che ci ha detto due cose: «state esagerando con i costi, dovete darvi una calmata»; e «gli investimenti vanno benissimo, ma non si fanno prendendo dal flusso di cassa». In quell'occasione abbiamo imparato che dovevamo fermarci, stimare i costi e poi chiedere un finanziamento per coprire quei costi.
Due informazioni che io ho trovato molto utili: sono uscito da quella riunione sereno, soprattutto per il fatto di avere una prospettiva delle cose da fare in futuro per avere un'attività ancora più solida. Avevo quindi voglia di condividere questa soddisfazione con Enrica, ma l'ho guardata e mi sono reso conto che la sua reazione non era di soddisfazione. Sembrava che le avessero appena sterminato la famiglia.
In questa puntata parliamo di un argomento su cui abbiamo due punti di vista opposti – il mio è quello giusto, e lo razionalmente sappiamo entrambi, ma Enrica non può fare a meno di esserne spaventata. È un argomento che riguarda il rapporto con i soldi, nostro e del contesto in cui siamo cresciuti: gli investimenti. -
Uno dei motori nella mia vita professionale è la spinta della vendita. Io amo vendere, da sempre. Quando facevo l’università lavoravo come promoter nei supermercati e dovevo vendere prodotti talvolta assurdi di cui sapevo pochissimo. lo facevo con un entusiasmo che col senno di poi definirei immotivato. Mi sentivo in una specie di gioco in scatola, in cui chi vende di più ottiene il punteggio più alto. Questa è una cosa vera tutt’ora, per fortuna però ora vendo cose che mi piacciono.
Quando ho incontrato Ivan e ho iniziato a dargli una mano con il suo piano marketing mi sono scontrata contro una realtà opposta alla mia. L’argomento di oggi ci tocca da vicino: si parla di vendere, o meglio ancora di vendersi. Una cosa che a me piace un sacco e che Ivan trova disdicevole. -
Lo scorso agosto Ivan ed io abbiamo avuto una delle discussioni più furenti da quando abbiamo preso un ufficio fuori da casa. Questa discussione è avvenuta perché abbiamo deciso di smantellare la stanza che avevamo adibito a sala pose – ci siamo accorti che non la usavamo mai – e di riarredare la stanza da cui lavoriamo Ivan ed io in modo da adibilirla anche a sala pose – un lavoro che ho preso in carico io. Un pomeriggio Ivan entra e iniziamo a discutere sul lavoro che avevo fatto fino a quel momento; una discussione che si è ingrandita sempre di più, da palla di neve è diventata valanga: alla fine del pomeriggio Ivan sosteneva che dovessimo disdire l’affitto dello SpazioFigo e traslocare da un’altra parte perché questo posto non va bene per noi.
Oggi riprendiamo in mano questa discussione per parlare di un argomento che ci sta molto a cuore, nel senso che ci litighiamo spesso: l’ideale. -
Qualche giorno fa eravamo in macchina e ho chiesto a Enrica se aveva voglia di ascoltare l’episodio di un podcast in cui intervistavano Jason Fried – CEO di Basecamp. C’è una frase che lui dice quasi subito all’inizio dell’intervista: «I don’t have routines […] I don’t have any goals, goals are not something that I pay attention to».
Il fatto che Jason dica di non avere un obiettivo, che non si ricordi di averne mai avuto uno è molto interessante perché è l’amministratore delegato di una società che esiste da vent’anni e che ha molto successo, sia economico che culturale. Ed è ancora più interessante perché non è un’impostazione di questo momento, lui dice di aver sempre gestito la sua società in questo modo: «And people are “come on, you must have some goals! Like this or that” but I really don’t remember ever having one. I try to do the best I can at any given situation». Il senso è: non ho mai avuto obiettivi, faccio quella che ritengo essere la cosa giusta da fare in quel momento.
Questo vuol dire che non ci sono planner comprati a settembre, non ci sono lavagne con scritti sopra gli obiettivi, non ci sono calendari mensili o annuali, non ci sono quaderni delle nuove idee, non ci sono buoni propositi: niente di tutto ciò. Mentre ascoltavamo Enrica a un certo punto ha messo in pausa e mi ha detto: «non sono d’accordo con niente di quello che sta dicendo».
Così è nata la nostra discussione: le abbiamo dato un nome, che è «l’obiettivo», ed è diventata la prima puntata di questo podcast. -
Benvenuti nel nostro podcast, che si chiama Piccoli non sfigati. Questa è la puntata zero: quella in cui spieghiamo chi siamo e come funziona da queste parti. È una puntata che potete tranquillamente saltare se vi interessa passare subito al sodo: la prima stagione del nostro podcast è tutta online, sono sei puntate, ognuna su un argomento diverso.