Episoder
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La Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III, aveva costruito un buon rapporto d’amicizia con Giuseppe Visconti, padre del più noto Luchino, tanto da nominarlo Gentiluomo di Corte addetto alla sua persona e fu proprio quest’ultimo a convincere la famiglia reale a realizzare, all’interno del cortile coperto della Palazzina Reale, un piccolo teatro di impronta barocca, che fu inaugurato con una rappresentazione curata da Luchino Visconti.
Il teatro, del quale sono riuscito a trovare alcuni documenti progettuali nel Fondo della Real Casa, prevedeva una capienza di circa 150 posti.
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Ancora un episodio dedicato a un cippo, del quale vi racconto le ricerche fatte che, nonostante gli sforzi profusi e al di là di alcune ipotesi fatte, non mi hanno condotto a nulla, non potendo determinare, per il cippo, né la data di posa, né il suo ruolo.
Il cippo in questione si trova a lato della Tagliata del Roccolo, il sentiero che percorre a mezzacosta l’omonimo colle, e non è facilmente visibile, sia perché spesso nascosto all’erba, ma anche per la sua fattura modesta, priva di qualsivoglia iscrizione.
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Manglende episoder?
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Sul sentiero che conduce verso Via di San Filippo Martire, a non più di cento metri dal ben nodo buco nel muro che consente l’ingresso nella villa, c’è un piccolo cippo, seminascosto dall’erba, che riporta la data 1826 e due lettere una “G” e una difficilmente determinabile a causa di una sbeccatura della pietra.
Difficile dire quale fosse il ruolo del cippo, considerando che dal Catasto Gregoriano questo appare posizionato al centro di una grande proprietà del tempo e non, come spesso accade, su una linea di confine.
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All’interno della proprietà dell’ambasciata d’Egitto, a pochi centimetri dal suo margine sul viale che porta al maneggio, è presente un piccolo cippo, probabilmente di epoca seicentesca e quasi del tutto interrato, posto per delimitare il confine tra due particelle catastali, di proprietà, rispettivamente, di Gaetano Stocchi e di Giuseppe Barigioni.
La presenza del cippo entro i confini dell’ambasciata rende purtroppo quasi impossibile procedere a un piccolo scavo, utile per riportare il cippo alla luce e poter verificare la presenza di iscrizioni o date.
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Sul muro di cinta di Villa Ada che insiste su Via Salaria, muro voluto nel 1875 da Vittorio Emanuele II, è presente, a pochi metri dall’incrocio con Via Anapo, quella che sembra la parte superiore di un arco, totalmente inglobata dal muro stesso e diventata visibile grazie al cedimento dell’intonaco, per il quale è estremamente difficile determinarne ruolo ed epoca di costruzione, anche considerando la totale assenza di documentazione che lo menzioni.
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Presso l’Archivio Storico Capitolino sono conservate, oltre a interessanti documenti, anche tre piante che riportano le operazioni di esproprio dei terreni di Monte Antenne in relazione alla costruzione del Forte, che avvenne quando la villa era di proprietà di Giuseppe Telfener, che nel 1879 aveva acquistato l’intera proprietà da Umberto I, erede di Vittorio Emanuele II, morto il 9 gennaio 1878.
Le tre piante, seppur non precise dal punto di vista topografico, sono però interessanti per gli elementi rappresentati, che consento di apprezzare molto bene come era pensata la zona del Forte e, in particolare, gli elementi al contorno, come i nomi dei proprietari delle zone confinanti, gli accessi e le strade, le protezioni e altre opere di servizio.
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In una pianta del 1839 dell’area oggi occupata da Villa Ada è già presente il toponimo “Prato della Signora”, in riferimento alla zona dove oggi sorge il ben noto quartiere.
La stessa zona, in una pianta successiva, databile intorno al 1880 e redatta in occasione dell’esproprio di alcune aree della villa in previsione della costruzione di Forte Antenne, è descritta come “Prato Puttano – Terreno argilloso”, cosa curiosa e che suggerisce un’ipotesi, forse troppo creativa, ma ritengo ragionevole, sull’origine del nome Prato della Signora.
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La villa, a volte, ci mostra cose curiose, che suscitano in noi la curiosità sulla loro origine e sul perché siano lì, come la cosiddetta “Mini Biblio degli Scoiattoli” e la “Capanna degli Angeli” o “Angeli Capanna”, due realizzazioni a opera di ignoti, che sono però perfettamente integrate con l’ambiente che le circonda.
La prima ha un ruolo preciso, quello di essere un punto di sosta, pensato per i più piccoli, dove poter leggere libri e riviste, che sono appunto ciò che è custodito all’interno della mini biblio, un contenuto lasciato alla sensibilità dei visitatori, che possono mantenerlo vivo portando libri e pubblicazioni.
La seconda, al contrario, ha una vocazione meno certa – forse un punto di gioco per i più piccoli – ma colpisce comunque per come viene mantenuta nel tempo, tanto da essere stata rapidamente ricostruita, più grande di prima, dopo che il crollo di un grosso tronco l’aveva di fatto abbattuta.
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Presso l’Archivio Centrale dello Stato ho scovato un disegno, datato 3 aprile 1937, che evidenzia la presenza di un campo da tennis attiguo alla palazzina reale, campo quasi sicuramente realizzato da Vittorio Emanuele III, per i momenti di svago.
Il disegno, peraltro, consente anche di evidenziare altri piccoli elementi di interessi, alcuni dei quali sono in parte rintracciabili anche oggi, come ad esempio una piccola vasca con i pesci che abbelliva l’area, area che oggi coincide con il parcheggio dell’Ambasciata d’Egitto.
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Grazie a una pianta trovata nel Fondo della Real Casa, custodito presso l’Archivio Centrale dello Stato, ho potuto avere finalmente conferma della posizione delle casette dei giochi che Vittorio Emanuele III costruì per le sue quattro figlie
La loro posizione era già stata ipotizzata e ne avevo parlato in un precedente episodio, ma ora la pianta dissipa ogni dubbio residuo.
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Vittorio Emanuele III, durante il periodo in cui visse nella villa, avvio alcuni lavori, volti più che altro ad ampliare o a rivedere la destinazione d’uso di quanto aveva fatto, circa trent’anni prima, Vittorio Emanuele II, tra i quali adibire Villa Elena a caserma dei Regi Carabinieri, ai quali era affidata la protezione del Re.
La caserma, oltre agli alloggi, includeva anche un canile e la relativa infermeria e, sorprendentemente, anche un pollaio e un’uccelliera.
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Da me cercato a lungo, ma ahimè nel posto sbagliato, è stato invece ritrovato durante i lavori di riqualificazione della vegetazione, in una zona completamente diversa, sulla sommità del bosco della Regina Elena, piuttosto che, come si pensava, alla sua base.
Il cippo fu voluto da Vittorio Emanuele III in occasione della festa degli alberi del primo aprile 1902, che vide anche l’inaugurazione del bosco della Regina Elena, al quale la stele fa appunto riferimento.
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Oltre al più noto Bunker, inaugurato dai Savoia nel 1942, Vittorio Emanuele III aveva fatto realizzare un altro rifugio, in parte situato sotto la Palazzina Reale, con uno sviluppo che si estendeva in direzione delle Scuderie Reali.
Di questo rifugio, e grazie alla disponibilità del personale dell’Archivio Centrale dello Stato, ho recentemente trovato i progetti originali, datati 18 ottobre 1940, che fanno parte dell’ampio Fondo della Real Casa custodito presso l’archivio, dai quali si può evincere la complessa articolazione del rifugio.
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La Chiesetta del Divino Amore, conosciuta anche come cappella Mengarini, dal nome degli ultimi proprietari prima del passaggio ai Savoia, affonda le sue radici nel corso del tempo e ha un’impronta architettonica neoclassica, che si può far risalire ai primi decenni del XIX secolo.
L'esistenza della chiesetta è tuttavia testimoniata già alla metà del XVIII secolo, essendo una delle tante che sorgevano lungo la Via Salaria e che facevano parte di un insieme di cappelle dedicate alla pratica della Via Crucis.
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Forse pochi sanno che un tempo, all’interno di Villa Ada e probabilmente voluta dalla Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III, c’era una vaccheria, distribuita su due edifici distinti e che includeva, oltre al classico uso come ricovero delle mucche, anche un laboratorio per la produzione del latte.
La vaccheria era ospitata in due edifici, che oggi ospitano, rispettivamente, la sede del servizio giardini e alcune abitazioni private.
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Sul versante del Colle del Roccolo che scende verso Via Panama sono presenti i resti di quello che, con molta probabilità, era un edificio costruito dai Savoia e il cui ruolo era quello di essere al servizio di una piccola vigna, oramai scomparsa, ma rilevabile da alcune foto aeree del tempo e, soprattutto, menzionata anche da Enrico D’Assia nel suo libro “Il lampadario di cristallo”.
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Dopo la scoperta di un primo cippo di confine, risalente a un periodo compreso tra la fine del 500 e l’inizio del 600 e posto dalla Confraternita del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, ne è emerso un altro, grazie alla segnalazione di un amico della pagina Facebook, che rafforza l’ipotesi che tutti e due i cippi fossero stati posti per delimitare il confine della proprietà della confraternita.
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Il Casino Pallavicini, chiamato anche Villa Maria, nome attribuitogli da Vittorio Emanuele II dopo l’acquisto della villa dai Principi Potenziani, che a loro volta l’avevano acquistata dal Principe Luigi Pallavicini, è un casino nobile, o "casino di delizia", che in origine apparteneva alla vigna Calzamiglia, acquistata nel 1785 da Luigi Pallavicini, congiuntamente alle vigne Saliceti e Capocaccia.
Il Casino Pallavicini non fu incluso nel passaggio della villa al Comune di Roma ed è tutt’ora una proprietà privata dei Borbone Parma eredi di Maria di Savoia.
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Villa Ada, con tutti i suoi beni, è stata nel tempo oggetto di molti passaggi di proprietà, ma forse meno nota è la storia legata alla morte di Vittorio Emanuele III e al suo asse ereditario, che per una questione di pochi giorni vanificò in parte quanto era stato previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana e comportò la necessità di azioni successive, che tuttavia non permisero la totale trasformazione in bene pubblico di tutto ciò che nella villa era ed è tutt’ora presente.
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Palazzina Reale (o Casino Nobile) fu voluto da vittorio Emanuele II, che non riteneva all’altezza di una famiglia reale il Casino Pallavicini, che al tempo era l’edificio più elegante della villa.
L'edificio fu costruito tra il 1873 e il 1874 e ulteriormente abbellito da Vittorio Emanuele III, tra gli 193 e il 1940, che realizzò un giardino all’italiana, detto anche giardino segreto, connesso alla villa con un sistema di scalinate e decorato con fontane e statue.
Dal 1997 la palazzina è una proprietà privata della Repubblica d’Egitto, che l’acquistò per 25 miliardi di lire, senza che né lo Stato né il Comune di Roma esercitassero il previsto diritto di prelazione.
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