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  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • Puntata quasi totalmente al femminile, con album di artiste per il momento dalle nostre parti per lo più non ancora conosciutissime, ma Camilla Nebbia, Lina Allemano e Sakina Abdou saranno nelle prossime settimane in Italia: tutte e tre sono nel cartellone della stagione di concerti proposta dall'Associazione 4'33" di Mantova, che è molto attenta alla presenza femminile nel jazz d'avanguardia e nella musica di ricerca, Lina Allemano sarà anche a Padova per il Centro d'Arte, Sakina Abdou anche al Torino Jazz Festival; alla presenza femminile nel jazz d'avanguardia e nell'improvvisazione è molto attenta anche la Relative Pitch, l'etichetta newyorkese che ha pubblicato gli album di Nebbia, Allemano-Dorner, Abdou che presentiamo. Camilla Nebbia è una sassofonista, compositrice, e artista visiva argentina, originaria di Buenos Aires e berlinese di adozione; ha inciso Una ofrenda a la ausencia in solo, impiegando sax tenore e voce. Lina Allemano è una trombettista canadese, che si divide fra Toronto e Berlino; nell'album Aphelia è in duo col trombettista tedesco Axel Dorner, un maestro dell'improvvisazione radicale. Negli ultimi anni abbiamo visto spesso la sassofonista - ma anche flautista - francese Sakina Abdou nelle file della Desert Orchestra di Eve Risser, ma Sakina Abdou è una apprezzata specialista del solo, la dimesnione in cui, al sax alto e tenore, ha inciso Goodbye Ground. Candice Hoyes, soprano, cantante di jazz, Val Jeanty, percussioni elettroniche, giradischi, elettronica, e Mimi Jones, contrabbasso e voce, hanno formato il trio Nite Bjuti nel 2018: l'album eponimo, uscito nel 2023 per l'etichetta Whirlwind, è il loro brillante debutto discografico, difficilmente etichettabile fra esperienza afroamericana, questioni di genere, sessualità, voodoo, spiritualità, elettronica.

  • Lo scorso anno ricorrevano i sessant'anni dalla registrazione (11 e 12 gennaio 1963) e dalla pubblicazione di Terry Gibbs Plays Jewish Melodies in Jazztime ("Terry Gibbs suona melodie ebraiche a tempo di jazz"), un album pionieristico, assieme a My Son the Jazz Drummer! di Shelly Manne (sottotitolo: Modern Jazz Versions of Jewish and Israeli Songs"), registrato meno di un mese prima (fra il 17 e il 20 dicembre 1962) e pure pubblicato nel '63. L'album di Gibbs anticipa di decenni la riscoperta del klezmer nel jazz e la rivendicazione di un'identità ebraica da parte dei musicisti dell'avanguardia jazzistica della generazione di Zorn, che sono fenomeni degli anni ottanta-novanta (sulla copertina del disco di Gibbs campeggiava una stella di Davide). Intanto Terry Gibbs è entrato nel suo centesimo anno: nell'ottobre scorso è arrivato alla veneranda età di 99 anni, ed è un altro motivo per festeggiarlo riconsiderando questo album. Nato nel 1924 in una famiglia di immigrati ebrei che avevano lasciato la Russia nei primi anni venti, Gibbs comincia a lavorare come vibrafonista dopo la seconda guerra mondiale, e a New York, suonando nei locali della 52esima Strada, assorbe il nuovo linguaggio del bebop, poi negli anni cinquanta si inserisce nel jazz della West Coast, costituisce una big band e si distingue come strumentista di livello ed esuberante. Altro non trascurabile motivo di interesse di questo album è la giovane pianista Alice Hagood: nata Alice McLeaod, tutti oggi la conosciamo come Alice Coltrane (e fu proprio Gibbs a presentarle il grande sassofonista).

  • In questa puntata di Jazz Anthology accostiamo due album - usciti nell'autunno scorso - di protagonisti tra i più significativi della più avanzata scena jazzistica d'oltre Atlantico: Irreversible Entanglements e Mike Reed hanno in comune un legame forte con la lezione dell'avanguardia afroamericana, in termini di considerazione per il passato e sua costante innovazione, rielaborazione in avanti. Con lo spoken word della carismatica Moor Mother (che però in questo album usa il nome Camae Ayewa), gli Irreversible Entanglements si sono aggregati alla metà del decennio scorso in occasione di una iniziativa di protesta contro l'assassinio di un giovane nero da parte della polizia: dopo tre album di studio pubblicati dalla International Anthem, etichetta chicagoana molto importante da una decina d'anni a questa parte nella documentazione di nuove tendenze nella musica di ricerca a baricentro afroamericano e di area jazzistica, Protect Your Light è uscito per la Impulse!: un approdo all'etichetta degli album dell'ultimo Coltrane che ha tutta una risonanza simbolica, per un gruppo con il tipo di identità musicale, culturale e politica degli Irreversible. Eccellente batterista e leader sperimentato, cinqant'anni il prossimo maggio, nei decenni scorsi Mike Reed è stato una figura importante nel ricambio generazionale della AACM, la cruciale "associazione per la promozione dei musicisti creativi" di Chicago, di cui Reed intorno al 2010 è stato anche vicepresidente: realizzato con musicisti della scena creativa di Chicago, fra cui il cornettista Ben Lamar Gay, e copubblicato da We Jazz Records e Astral Spirits, The Separatist Party, in cui molteplici suggestioni - dal free al post-free al minimalismo al rock - si mescolano in una musica vitale, aperta, contemporanea, si presenta come il primo di tre capitoli destinati ad indagare il tema dell'isolamento nella nostra società.

  • Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz.

    La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

  • La puntata di questa sera di Jazz Anthology si ricollega a quella del 29 gennaio, in cui vi avevamo proposto due album con protagonista Evan Parker: il suo solo NYC 1978, pubblicato dalla Relative Pitch, e Etching The Ether, nuovo album del progetto Trance Map +, in cui figura anche il trombettista Peter Evans, fra i più notevoli talenti distintisi sulla scena dell'improvvisazione nel nuovo millennio. Ritroviamo Peter Evans nel trio Pulverize The Sound (con Tim Dahl al basso elettrico e Mike Pride a batteria e percussioni), che è arrivato al suo terzo album, Black, pubblicato proprio dalla Relative Pitch: musica in cui si sente molto il "vissuto" di tre musicisti newyorkesi che hanno avuto una quantità di esperienze di ogni genere, e che sono legati al noise, all'improvvisazione, a forme musicali estreme, senza compromessi. Ritroviamo invece Evan Parker in A Schist Story, Cd inserito in un volumetto con un testo, foto e anche una breve graphic novel, pubblicato dalla Jazz ao Centro Clube Records, etichetta che è la proiezione discografica di Jazz ao Centro Clube, associazione culturale di Coimbra che nella città portoghese organizza il festival Jazz ao Centro, nell'ottobre 2023 arrivato alla 21esima edizione. A Schist Story documenta un concerto tenuto nel 2012 da Parker con 17 improvvisatori portoghesi, come conclusione di una settimana di residenza in villaggi del Portogallo centrale (con case tradizionali costruite con lo scisto): opportunamente la nota nel libretto sottolinea che nel lavoro di Parker non c'era in gioco solo la pratica collettiva dell'improvvisazione come linguaggio, ma anche un esperimento di interazione sociale basato sui valori dell'uguaglianza e della libertà. Completiamo la puntata con Flora, album personale - pubblicato sempre da Jazz ao Centro - di uno dei musicisti della compagine raccolta intorno a Evan Parker, il chitarrista Marcelo dos Reis.

  • Due formazioni, una etiopica, la Negarit Band, e una brasiliana, Bixiga 70, che sono catalogate come "world music" ma che hanno tratti molto più jazzistici di tante proposte che al giorno d'oggi passano nei festival di jazz e che col jazz hanno poco o niente a che vedere: due formazioni che a degli appassionati di jazz hanno delle belle cose da dire, e in ogni caso molto godibili. L'album della Negarit Band è uscito nel 2023 nella collana éthioSonic, parallela alla aurea collana éthiopiques, e come éthiopiques diretta da Francis Falceto e pubblicata dalla etichetta francese Buda. Secondo Falceto, la Negarit è uno dei rari segni di risveglio della scena etiopica, che sconta ancora oggi la violenta cesura rappresentata, fra il '74 e il '91, dalla dittatura militare del Derg: guidata dal batterista Teferi Assefa, la compagine, nata nel 2012, si colloca nel solco dell'ethio-jazz, per rinfrescarlo in una chiave contemporanea, puntando su una musica strumentale e sull'improvvisazione, e distinguendosi così nettamente dalle banalità di molto pop etiopico di oggi. Al suo quinto album, pubblicato dalla Glitterbeat, Bixiga 70 è stata nell'ultima dozzina d'anni una brillante presenza sulla scena di Sao Paulo, che è da tempo una delle realtà musicali più vivaci al mondo: con un impianto da piccola big band, Bixiga ha voluto creare un ibrido in cui la presenza dell'Africa è decisiva e non solo attraverso la musica afrobrasiliana, ma anche per l'interesse di Bixiga per musiche come l'afrobeat nigeriano o appunto l'ethio-jazz; la principale novità di questo album è l'influenza di un genere come il forrò electronico.

  • Formatosi come chitarrista e dagli anni novanta affermatosi anche a livello internazionale come musicista dedito all'elettronica e alla manipolazione dei giradischi, Otomo Yoshihide è una figura di culto della scena radicale giapponese. Yoshihide è stato molto presente sulla ribalta europea, ma non negli ultimi anni, prima perché si è dato molto da fare per Fukushima, dopo la catastrofe della centrale nucleare, attivandosi per la rinascita culturale del distretto dove è avvenuto il disastro, e creando anche un festival; di mezzo poi ci si è messo anche il Covid. Ma adesso Yoshihide è in Europa con il suo New Jazz Quintet per una nutrita tournée: abbiamo ascoltato giorni fa una sua eccellente esibizione nell'ambito di Sons d'Hiver (rassegna che si svolge nel dipartimento della Marna che confina con Parigi), e in febbraio sarà in concerto a Padova per il Centro d'Arte e a Meldola per Area Sismica. E' l'occasione per ascoltare Hat and Beard, il suo più recente album con il New Jazz Quintet, pubblicato nel 2020 da FMN Sound Factory, etichetta di Kyoto: è la formazione con cui, dopo essere tornato alla chitarra elettrica, Yoshihide alla fine degli anni novanta è tornato al jazz, con una formula che non tradisce il suo sperimentalismo, ma che conserva anche un nucleo di devozione ai brani che rivisita (Ornette, Eric Dolphy, Shorter...), con attenzione ai temi, alla loro leggibilità, alla melodia.

  • Fra i pochissimi capiscuola dell'improvvisazione radicale europea ancora in attività, il 5 aprile Evan Parker compie ottant'anni: ma al di là di questo compleanno, che è un motivo in più per festeggiarlo, la sua musica, che non si è mai fermata e che ha continuato ad essere estremamente attuale, è una ragione più che sufficiente per occuparsi di lui. In questa puntata (ma presenteramo un'altra novità di Evan Parker nella puntata del 19 febbraio) ascoltiamo il sassofonista in due album molto distanti per i momenti in cui sono stati registrati e per il carattere della musica, ma entrambi di grande interesse. L'etichetta newyorkese Relative Pitch ha meritoriamente pubblicato una registrazione che, oltre ad offrirci una testimonianza in più della maestria di Parker nella dimensione del solo (sei mesi prima Parker aveva inciso in solo il suo capolavoro Monoceros), ha un grande valore storico, perché documenta la prima esibizione newyorkese di Parker, nel corso della sua prima tournée in Nord America, nell'autunno del '78. Meritorio anche che l'etichetta svizzera Intakt dia un seguito discografico al progetto Trance Map + di Evan Parker e Matthew Wright (elettronica), dopo un primo album pubblicato qualche anno fa (ce ne eravamo occupati in una puntata del novembre 2019). In tre ampie sequenze, fra improvvisazione e dimensione minimalista, i partner di Parker e Wright sono questa volta il trombettista Peter Evans e il percussionista Mark Nauseef, due fuoriclasse della scena radicale.

  • Uno degli album più segnalati tra le migliori uscite del 2023 nei consuntivi di fine anno è stato Chimaera di Sylvie Courvoisier, pianista svizzera e newyorkese di adozione molto apprezzata nell'ambito del jazz di ricerca (nella puntata del 19 giugno 2023 abbiamo presentato The Rite of Spring, l'album cointestato a lei e Cory Smythe dedicato a Stravinski). Pubblicato dalla Intakt, e inciso in sestetto con Wadada Leo Smith e Nate Wooley alle trombe, Christian Fennesz alla chitarra e all'elettronica, Drew Gress al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria e al vibrafono, Chimaera è un lavoro ispirato alla pittura di Odilon Redon e alla sua attenzione alla dimensione del sogno. Da annoverare fra i migliori album del 2023 anche Nighttime Creatures della pianista Angelica Sanchez, pubblicato dalla Pyroclastic Records. Originaria dell'Arizona, e anche lei come la Courvoisier a New York dagli anni novanta, Angelica Sanchez si è distinta accanto a figure importanti come Wadada Leo Smith, Tyshawn Sorey, Rob Mazurek, William Parker, e per il suo talento di pianista in solo o in trio, ma meriterebbe di essere valorizzata anche come leader di organici più ampi: Nighttime Creatures è stato inciso con un nonetto. Sanchez ama la dimensione orchestrale, e nell'album rende omaggio a Carla Bley, e con uno dei due brani non originali del disco, a Ellington con Lady of the Lavender, brano non scontato del Duca.

  • Il concerto del quintetto Parker-Gillespie-Powell-Mingus-Roach alla Massey Hall di Toronto del 15 maggio 1953 è entrato nella leggenda grazie ad una registrazione pubblicata già nel dicembre dello stesso anno su due Lp 10 pollici della etichetta Debut di Mingus. Furioso perché per un problema tecnico di registrazione il suo contrabbasso praticamente non si sentiva, Mingus provvide però a sovraincidere la parte del suo strumento, alterando così la realtà del concerto. Nel 2003 fu poi pubblicato Complete Jazz at Massey Hall, che presentava la registrazione senza sovraincisione, migliorata con tecniche che negli anni cinquanta non erano disponibili. A settant'anni dal concerto e dalla sua pubblicazione su disco, in novembre l'etichetta Craft Recordings ha pubblicato Hot House. The Complete Jazz at Massey Hall Recordings, che in triplo Lp o doppio Cd propone senza sovraincisione la registrazione dei brani del quintetto, ulteriormente migliorata nella resa dal trattamento assicurato da Paul Blakemore, mago della masterizzazione e del restauro audio; e assieme mette a disposizione il resto - già pubblicato in precedenza - del materiale del concerto, cioè il trio di Powell e il solo di Roach, e i brani del quintatto nella versione originariamente pubblicata con le sovraincisioni di Mingus, che mantiene il suo valore storico. Il concerto alla Massey Hall fu l'unica occasione in cui Parker, Gillespie, Powell, Mingus e Roach, figure emblematiche del jazz moderno, furono registrati tutti e cinque assieme, e fu anche l'ultima occasione documentata da una registrazione in cui Parker e Gillespie si trovarono assieme. L'album offre anche delle note da cui si ricavano interessanti informazioni su come andarono le cose in quella straordinaria ma anche complicata serata: e possiamo scoprire che Rocky Marciano, il grande pugile italoamericano che quella stessa sera saliva sul ring a Chicago, con un KO alla prima ripresa conservò il titolo di campione mondiale dei massimi, ma forse, senza saperlo, salvò anche uno dei più celebri concerti della storia del jazz.

  • Di Wes Montgomery Jazz Anthology si è occupata solo una volta, nella puntata del 11 dicembre 2017 (disponibile in podcast), dedicata alle incisioni in quartetto dei Mongomery Brothers. Ma Montgomery, nato nel 1923 e morto molto prematuramento per un attacco cardiaco nel 1968, è stato uno dei personaggi più popolari del jazz della sua epoca, e un gigante della chitarra jazz. L'etichetta Craft Recordings ha voluto celebrare il centenario della nascita di Montgomery, e assieme anche il settantesimo anniversario della nascita della Riverside, l'etichetta creata nel '53 che pubblicò l'album di Montgomery Full House, allestendo The Complete Full House Recordings, recorded 'live' at Tsubo - Berkeley, California, disponibile in triplo Lp o in doppio Cd. La carriera di Montgomery decollò nel '59, quando su suggerimento di Cannonball Adderley il produttore Orrin Keepnews lo mise sotto contratto per la Riverside. Nel '62 Keepnews lo mandò in California a realizzare un album dal vivo, appunto Full House, registrato in un club di Berekeley. Full House è un album importante, per il livello dei partner (il "piccolo - per statura fisica - gigante" Johnny Griffin al sax tenore, e Wynton Kelly al piano, Paul Chambers al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria, che negli anni precedenti erano stati la ritmica di Miles Davis), e perché ci presenta Montgomery dentro una dimensione jazzistica non ancora canalizzata nella formula - brani di successo interpretati in chiave jazz - degli album per la Verve e la A&M degli anni successivi, che avranno un grosso riscontro anche commerciale. Oltre all'album originario, The Complete Full House Recordings offre tutte le tracce alternative disponibili, e anche la traccia del brano Full House con l'assolo di Montgomery che nel Full House inserito nel disco fu invece sostituito dalla produzione con un altro assolo del chitarrista.

  • Il nostro inventario in progress del jazz legato al Natale e al periodo delle feste riprende dall'album di Stan Kenton su cui abbiamo concluso nella puntata del 25 dicembre, continua con Christmas '64 (poi ripubblicato nel '66 col titolo Christmas Cookin') di Jimmy Smith, dagli anni cinquanta popolarissimo specialista dell'organo Hammond, e si conclude con Silent Nights, album inciso nel 1986 da Chet Baker. Come racconta il libro di Jeroen De Valk, tradotto nel 2022 da EDt col titolo Chet Baker vita e musica, la seduta da cui nacque l'album è fra l'altro un esempio della capacità del trombettista di "appropriarsi rapidamente di materiale nuovo": Baker infatti non aveva mai inciso prima, e non aveva mai suonato dal vivo, nessuno dei brani, Silent Night in testa, scelti per l'album dal sassofonista Christopher Mason.

  • Nelle puntate del periodo delle feste a cavallo fra 2019 e 2020 vi avevamo proposto i più classici album natalizi di ambito più o meno strettamente jazzistico, quelli di Sinatra, della Fitzgerald, di Nat King Cole, di Vince Guaraldi e la compilation postuma di Louis Armstrong; poi nelle puntate delle feste tra 2020 e 2021 avevamo continuato con l'album natalizio di June Christy e con due album natalizi di Tony Bennett (tutte puntate che potete ritrovare in podcast). Jazz Anthology cade quest'anno il 25 dicembre e il primo gennaio, e non potevamo dunque non continuare il nostro inventario del jazz legato al Natale e al periodo delle feste. In questa puntata cominciamo con i brani natalizi incisi da Sidney Bechet nel 1958 e continuiamo con l'album Christmas Carousel della cantante Peggy Lee, uscito nel '60 (lo stesso anno degli album natalizi della Fitzgerald e di Nat King Cole), per finire con A Merry Christmas! di Stan Kenton, pubblicato nel '61.


  • Protagonista a New Orleans del jazz delle origini, Sidney Bechet è stato uno dei primi grandi solisti della vicenda del jazz, uno dei primi ambasciatori del jazz in Europa, il primo importante sassofonista della storia del jazz, il primo - e per molto tempo unico - specialista del sax soprano; ma Bechet è stato anche uno dei primi importanti protagonisti della storia del jazz a rendersi conto dell'importanza di lasciare una traccia di sé non solo con la musica, in un'epoca - gli anni cinquanta - in cui realizzare delle autobiografie per i musicisti di jazz non era ancora così scontato: Treat It Gentle, pubblicata nel 1960, l'anno successivo alla morte di Bechet, è rimasta un classico nel campo delle autobiografie di ambito jazzistico, e finalmente è stata messa a disposizione del lettore italiano grazie alla collana Chorus della Quodlibet. Leggendola, scopriamo fra l'altro che Bechet è stato un pioniere anche nel vedere la propria identità e la propria musica in rapporto con l'Africa, con grande anticipo sul momento in cui il jazz cominciò a tematizzare e rivendicare la propria relazione con il Continente Nero. Di Treat It Gentle conversiamo con Claudio Sessa, che ha scritto la prefazione all'edizione italiana.

  • Tra le più grandi protagoniste del canto jazzistico nella seconda metà del novecento e fin nel nuovo millennio, esempio di autonomia artistica, di non conformismo, di consapevolezza afroamericana, di autodeterminazione femminile, di impegno politico, Abbey Lincoln, mancata nel 2010, è decisamente meno ricordata di quanto meriterebbe. Lettura preziosa, il libro di Luigi Onori, Abbey Lincoln, una voce ribelle tra jazz e lotta politica (L'asino d'oro Edizioni, 260 pp. circa, 15 euro) è il primo che le è specificamente e interamente dedicato, ma oltre a questo merito in sé ha quelli di illuminare con importanti approfondimenti diversi aspetti della vicenda, della figura, della carriera della cantante: sul forte profilo politico-intellettuale della Lincoln, sul rilievo - quantitativo e contenutistico - del songbook originale da lei creato, sulla consistenza del suo rapporto con l'Africa. Ospite della puntata, oltre a parlarci di questo suo lavoro Onori sceglie e introduce per noi alcuni dei brani più significativi della produzione della Lincoln.
    Ad Abbey Lincoln Jazz Anthology ha dedicato una serie di dieci puntate andate in onda tra ottobre e dicembre 2020 (e disponibili in podcast).