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Arrivare ad avere un vaccino in poco più di dieci mesi è stato un miracolo. Ma l’accesso ad esso ha messo in evidenza le disparità sociali dentro e fuori i confini nazionali. Ecco che anche tra i Paesi occidentali l'approvvigionamento del vaccino è diventato una questione di geopolitica. Ma c'è una lezione fondamentale che questa vicenda ci insegna, e cioè che - come dice David Quammen - che quando suona la campana, suona per tutti.
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Pandemia è un vocabolo entrato prepotentemente nella nostra vita quotidiana, ma che da solo non basta a spiegare quello che stiamo vivendo. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo sottovalutato diversi fattori interconnessi tra di loro e che ci hanno reso più vulnerabili all’irruzione del Covid-19, che ha colpito soprattutto le categorie più svantaggiate. Sono questi punti deboli del tessuto economico e sociale a rendere la situazione attuale una sindemia.
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Sindemia è una parola giovane, un neologismo, coniata trent’anni fa da un antropologo americano, Merril Singer. Letteralmente è l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di una o più malattie trasmissibili, caratterizzata da ripercussioni sulle fasce di popolazione più svantaggiate. Proprio quelle che avrebbero avuto bisogno di maggiori tutele, dimostrando le crepe di una società già colpita da disuguaglianze.
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Il virus è democratico, ha colpito senza guardare in faccia nessuno, ma il virus non è una livella, ha colpito molto più duramente gli strati più deboli della popolazione: anziani, malati, poveri, donne, migranti, minoranze, portatori di handicap. Proprio quelli che avrebbero avuto bisogno di più tutele, a dimostrazione che questa società era già malata da prima dello scoppio della pandemia.