Episodes

  • Settimane e settimane passarono prima che mi venisse il coraggio di raccontare a Graham, mio marito, che nel giro di pochi giorni, mi erano capitati due incidenti stradali con la macchina a noleggio che io avevo soprannominato Grigia.

    Cominciamo con il primo incidente: 

    Ti premetto che quando raccontai l’accaduto a Graham, invertì l’ordine di quello che era successo. La ragione è semplice. Nel secondo caso ero la vittima, ma nel primo ero stata ingenua.

    Ti racconto come sono andate le cose veramente, cioè nell’ordine giusto.

    La protagonista è una certa Suora che non abita più a Montepulciano. Chiamiamola Suor Bontà. E’ giovane e pura, energica come una pila Duracell ed ha un sorriso che illumina il cielo.

    La sua innocenza mi ispirava un grande senso di protezione.

    Un giorno la incontrai per strada proprio davanti a casa nostra. Era trepidante perche stava per prendere la patente. Devi capire che per lei il guidare non era solo una questione di libertà ma anche un punto di orgoglio personale che l’avrebbe messa al pari delle altre Suore.

    Quel triste giorno, quando ci vedemmo davanti a casa mia,  Suor Bontà tornava dalla lezione di guida, dove si era esercitata a fare il parcheggio ad S in retromarcia.

    A fine lezione, l’istruttore si era raccomandato di esercitarsi il più  possibile perchè altrimenti il giorno dell’esame avrebbe avuto paura ed ansia.

    Così come mi vide, mi supplicò, “Silvana, ti prego di lasciarmi fare un po’ di pratica con Grigia.” Per un attimo esitai perchè   la polizza assicurativa prevedeva che Grigia potesse essere guidata solo da me. Ma il desiderio di sostenerla era piu’ forte della mia incertezza.  Così, dopo un attimo, eravamo entrambe in macchina. Lei sul sedile del guidatore aggiustando lo specchietto retrovisore, io in quello del passaggero mettendomi la cintura.  

    E mentre le facevo le classiche raccomandazioni di prudenza, lei aveva già acceso il motore ed impugnato la leva del cambio. Solo che, invece di inserirla nella posizione “R” per retromarcia, con una mossa rapida e decisa inserì la prima marcia e parti di scatto in avanti, urtando il cancello di fronte.  “Accidenti.”  “ Caspita.”

    Purtroppo non era un semplice cancello, ma un importante manufatto in ferro battuto risalente alla metà del ‘600, posto all’ingresso di una delle più prestigose cantine di Montepulciano all’interno della quale riposano oggi un centinaio di botti piene del famoso vino nobile.

    Saltammo fuori di corsa  per controllare la gravità del danno sia al cofano che al cancello. Grazie a Dio,   al cancello niente, un pò di tinta tirata via, ma niente di serio. Grigia però ebbe la peggio con una bella ammaccatura.

    La povera “Suor Bontà” impallidì, ed io con lei. Ci sentimmo colpevoli entrambe.

    Con le lacrime che le scendevano lungo il suo volto angelico, mi fece giurare di non raccontare nulla né alla Madre Superiora né alle altre Suore perché l’avrebbero giudicata male e presa in giro.

    Per quanto mi riguardava, il giudizio che mi preoccupava di piu’ era quello di Graham, che una volta saputo l’accaduto, avrebbe scosso la testa guardandomi con un’aria incredula.

    Da buone cattoliche, abbiamo entrambe espiato la nostra colpa andando insieme in Chiesa a pregare. Io per non aver saputo dire di no e lei per aver approfittato della mia bontà.

    La FINE.

  • I don’t know how many times I heard it repeated when growing up in Canada: Fidarsi e’ bene. Ma non Fidarsi e’ meglio.

    It literally means “To trust is good but not to trust is better.”

    At any rate, I only began to understand this cautionary wisdom after spending time in our little apartment that we bought in Montepulciano nella bella Toscana.

    A while ago, while in Italy, I needed to fill up my rental car with gas. Fare il Pieno.

    The rental was a Fiat 500 (cinque cento) dark blue in color and that’s why I fondly baptised her Scura.

    To put gas into the car, I stopped at a gas station close to Montepulciano, where I had never been before. Today almost all the gas stations are self-service and so you need to know how to pump your own gas.

    Fine, I knew how it worked because it was hardly the first time.  Pulling into a gas station, I stopped next to the gas pump that was on the same side as the gas tank, shut off the motor and made my way to the outdoor pay machine where I inserted the 80 euros cash, the 80 euro in contanti, that I had already set aside.

    Being careful to select the right type of gas and pump, I twisted off the gas cap and lifted the nozzle, inserting it into the gas tank, then pulled on the trigger and waited for the gas to flow.

    I waited, waited and waited but niente, nothing. Nothing happened. The gas wasn’t pumping, not even a drip. No one was around so I went quickly inside for some help. There, I found the sales clerk – la commessa‒a fifty year-old-somethingwith long and frizzy hair in desperate need of a root touch up‒ her lips ,painted the color of red hot tomatoes, were glued to the telephone. It didn’t take long to understand that her son was on the other line and that his girlfriend had just broken up with him, so he was looking for a sympathetic ear, which he got from his mamma.

    The minutes passed and my problem was still unresolved because this private call between mamma e figlio was no where close to wrapping up. I kept staring at her hoping she would ask me what I needed.  My back was turned to Scura. But imagine that, she never once even looked my way.

    So the minutes passed. And the longer I waited the less empathy I felt for her son and his love life. My impatience growing and to calm me down, underneath my breathe I started to recite all of the proverbs my mom had taught us about patience.

    Patience is a Virtue of the strong… La pazienza è la virtù dei forti;”

    “Perdere la pazienza significa perdere la battaglia.” To lose patience is to lose the battle.

    “Per chi sa attendere, il tempo apre ogni porta.” All good things come to those who wait…

    And so on.

    Finally, after what seemed an eternity, the mamma put down the receiver, but before I could explain what happened she turned to me and said:

    But Signora, wake up.

    Didn’t you realize that that guy filled up his gas tank with your money. You left the car unattended and he took advantage. Are you that foolish? Did your Mother never teach you that “Fidarsi e’ bene. Ma non fidarse e’ meglio?” The End

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  • In questo episodio, racconto una storia basata su un famoso proverbio italiano.

    Buon Ascolto. Happy Listening.

    Non so quante volte ho sentito ripetere il proverbio: “Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.”  Bene.

    Per dirti la verita, ho compreso la saggezza di questo ammonimento solo dopo aver soggiornato nel nostro piccolo appartamento che abbiamo comprato a Montepulciano in Toscana.

    Qualche tempo fa, in Italia, dovevo fare il pieno alla macchina che avevo preso  a noleggio – una cinquecento di un colore blu scuro che proprio per questo avevo “ribattezzato” Scura.  Così mi fermai ad un self-service, in un paesino vicino a Montepulciano, dove non ero mai stata prima. Oggigiorno le stazioni di benzina sono quasi tutte self-service e dunque devi saper fare da sola tutte le operazioni necessarie per riempire il serbatoio.

    Ma io sapevo come funzionava perché non era certo la prima volta che lo facevo. Così accostai Scura, la mia beneamata auto, alla pompa di benzina dal lato giusto, cioè dal lato del serbatoio, spensi il motore e mi diressi sicura verso la cassa automatica per inserire gli  80 Euro in contanti che avevo già preparato. Tolsi il tappo del serbatoio , sollevai la pistola, e dopo aver selezionato il corretto numero della pompa, la misi velocemente nel serbatoio spingendola fino in fondo, schiacciai il grilletto della pistola e aspettai il flusso di benzina.

    Aspettai. Aspettai. Aspettai e niente. Non successe niente.  La benzina non usciva.  Provai più volte ma niente, neppure una goccia.  Non c’era nessuno lì vicino, così andai subito all’interno della stazione di servizio per chiedere assistenza. Trovai una commessa sui quarant’anni con i capelli lunghi e crespi e un inguardabile ricrescita grigia, il rossetto fuori dalle labbra che erano attaccate al telefono. Intuì che parlava con il figlio che era appena stato lasciato dalla ragazza e che quindi aveva bisogno del conforto della mamma. “Amore, quanto mi dispiace, non ti preoccupare, tutto andra’ bene.”

    I minuti passavano ed il mio problema non trovava soluzione perché la “telefonata consolatoria”

     non vedeva la fine. Tenevo lo sguardo fisso su di lei, dando le spalle a Scura, nell’attesa che si decidesse a chiedermi di cosa avessi bisogno. Ma figurati...nemmeno mi guardava.

    Così, col passare dei minuti, il sentimento di solidarietà umana che avevo provato per il ragazzo, all’inzio, si era trasformato in impazienza per la lunga attesa. Per calmarmi ripetevo sottovoce tutti i proverbi sulla pazienza che mi aveva insegnato mia madre.  “La pazienza è la virtù dei forti;”  “Perdere la pazienza significa perdere la battaglia.” “Per chi sa attendere, il tempo apre ogni porta.” E così via.

    Finalmente, la commessa cioe’ la mamma, riattaccò il telefono, ma prima che io potessi speigarLe l’accaduto, Lei mi disse: “Ma Signora si svegli, non si e’ accorta che quel tizio ha fatto il pieno con i soldi suoi? Ha lasciato la pistola incustodita, e quello ne ha approfittato.”

    Ma Lei non conosce il detto che “Fidarsi e’ bene. Ma non fidarsi e’ meglio.”

    La Fine..

  • This an episode about tiny little secrets. Do you have any? Have you been able keep them?

    In my case, I can’t keep anything from Graham, my husband even when it’s in my best interest like the time I had two separate car accidents, in the span of a few days, both in front of our home in Montepulciano, nella bella Toscana.

    Let’s begin with the first accident. Just so you know when I told Graham what had happened, I reversed the order of events. The reason is simple. In the second case I was a victim, (la vittima)  but in the first I was basically naïve o ingenua.

    Okay so the main character in incidente numero uno, was a certain Nun who no longer lives in Montepulciano.

    Let’s call her Sister Goodness or Suor Bontà.

    She’s young, giovane/ honest,/ onesta  and has the energy of a Duracell battery with a smile that lights up the sky.  It’s that innocence of hers that catches me off guard every time.

    One day I met Suor Bonta’ on the street right in front of our home. She was nervous because she was working on getting her driver’s licence. You need to understand that driving for her was not only a matter of freedom but a point of pride that would have put her on the same level playing field as the other sisters.

    That fateful day, when we saw each other on the street  Suor Bontà had just had a driving lesson on parallel parking in reverse.  At the end of it, her instructor told her to  practice as much as possible because on the day of the exam she would be scared and nervous. Makes sense.

    Italian instructor voice.

    So, in seeing me with Grigia, my Italian rental car, she begged me to let her work on parallel parking.

    “Silvana, ti prego di lasciarmi fare un po’ di pratica con Grigia.”

    For a split second, I hesitated because according to the insurance policy, I was the only one allowed to drive the rental.  

    Before you know it, we were both in the car.  Sister Bontà in the driver’s seat adjusting the rear-view mirror, and I’m next to her doing up my seat belt.  And just as I am about to tell her to be careful , Suor Bonta’  makes a quick and decisive move putting Grigia in first gear, not in reverse, causing her to sprint forward, not backwards,  banging into the gate in front.

    Unfortunately, it wasn’t any ole’ gate, it so really old one – meaning historical because it dates back to the 16th century made of wrought iron. Ferro battuto

     It is also an entrance to one of the most prestigious wine cellars of Montepulciano where the famous Vino Nobile is stored in hundreds of wine barrels.

    Accidenti – Dang!    Caspita ­– Yikes

    We quickly jumped out of the car, to look at the damage done to both the hood and the gate.

    Grazie a Dio there is only a little bit of paint has been pealed off the historic gate; Grigia, however, was worse off with a good dent.

    We looked at each other. Suor Bontà, became pale (palida) and so did I. And both of us feeling colpevole or guilty.

    Tearing running down her angelic face, she made me swear (giurare) to never tell the (La Madre Superiora) or the other nuns what had happened because they would never stop teasing her.

    Truth be told, with respect to me, I was more concerned about Graham who, once I would have told him, would have shaken his head and given me that  looks that says “what were you thinking…were you out of you mind.”

    And being  (buone cattoliche) good Catholics, Suro Bonta’ and I agree to meet in to Church (in Chiesa) later that day to pray and atone for our guiltly feelings.

    Me, for not knowing how to say no, and Suor Bonta’ for taking advantage of my own goodness.   (THE END)

  • Anche se non hai genitori italiani, conoscerai sicuramente la storia di Pinocchio, ti ricordi il burattino che voleva diventare un bambino ed al quale si allungava il naso quando diceva le bugie?

    Bene, per evitare le stesse gravi conseguenze, ti racconterò la verità.

    Ti confesso che ho un amante. Io amo dormire. E il sonno ama me.  Sai, è un rapporto co-dipendente, che mio marito, Graham, ha dovuto accettare da quando ci siamo sposati.

    Purtroppo, ogni volta che viaggiamo, devo abbandonare questo mio amante per un po. Perche come sai, il viaggiare è un grande ladro di sonno.  Uno contro il quale adesso devo lottare, ora che mio marito ed io abbiamo realizzato il sogno di comprare un appartamento a Montepulciano, nella bella Toscana.

    Comunque “la Perla del ‘500,” come viene chiamata Montepulciano, merita questa lotta.  Del resto, per secoli, fiorentini e senesi hanno versato sangue per la conquista di questo ricco e fertile territorio. Devi sapere che ha un’orgine etrusca, e sorge su una collina tra la Val d’Orcia e la Valdichiana. Una città dove il pregiato vino Nobile scorre come l’acqua del rubinetto.

    Fortunatamente per me, Graham, sai mio marito, si era sempre occupato di tutto.

    Da buon“capo spedizione” lui era agente di viaggio, facchino e autista.   E dopo le 18 ore di trasvolata, si metteva alla guida, con le palpebre pesanti e sbadigliando di continuo, il poverino si infilava sull’autostrada del sole, dove molti autisti italiani si sentono piloti Ferrari sulla pista di Monza.

    Ti confesso che fino a poco tempo fa ignoravo questi suoi sacrifici. Ero abituata che dopo il decollo da Vancouver sorseggiavo un calice di ottimo vino e poi mi addormentavo. Arrivati a Roma, mi risvegliavo ma solo per sistemarmi in auto continuando il pisolino. Più tardi, arrivati sani e salvi a Montepulciano, il “capo spedizione”, sfinito da tutte queste fatiche, era pronto ad infilarsi sotto le coperte, mentre io,  bella pimpante, desideravo una cena romantica.

    Tutto e’ cambiato pochi anni fa, quando dovetti arrangiarmi a fare il viaggio da sola.  Senza Graham,  la mia roccia, accanto a me,  la paura diventò la mia compagna di viaggio. Mi seguiva in aereo e me la portavo anche in macchina; figurati che a Roma avevo noleggiato una Smart nera. Un colore poco rassicurante.

    All’inizio, andava tutto bene. Ascoltavo la voce interiore positiva: “Forza Silvana, Ce la fai.” “Credi in te.”   Subito dopo però, un’altra voce sinistra e aggressiva mi ripeteva: “Ma sei pazza?” “Lascia perdere.” “Non sei capace.” 

    Addiritura, ad un certo punto ebbi un incubo: vedevo il mio corpo disteso senza vita sull’asfalto dell’autostrada, coperto di crisantemi, che come sai, sono i fiori dei morti.

    E cosi’ mentre la voce negativa e quella positiva battibeccavano tra loro, ebbi una scarica di adrenalina, che mi trasformo’ nella versione femminile di Schumacher ai tempi della Ferrari, facendomi arrivare a Montepulciano, sana e salva.

    Erano ormai le otto di sera. Saltai la cena per infilarmi sotto le coperte. E il giorno dopo mi svegliai alle 2 del pomeriggio.  Sonno, oh dolcissimo sonno, quanto mi eri mancato!!

    La fine.

  • Even if you don’t have Italian parents, you’ve probably heard the story of Pinocchio, remember the puppet who wanted to become a boy “a bambino” and every time he told lies his nose would grow longer.

    Right. To avoid the same outcome as Pinocchio, I’m going to tell you a truth. la verità.

    I confess that I have a lover. Un amante. I love sleep. Sleep loves me. It’s a co-dependent relationship. One that Graham, my husband, has had to accept since we were married.

    Unfortunately I’ve had to accept forsaking my amante when we travel. Travelling of course is a big sleep stealer. I appreciate just how much now that Graham and I bought a dream place in the town of Montepulciano nella bella Toscana.

    However, La Perla del 500, which is Montepulciano’s nickname, is worth the sacrifice (il sacrificio).  As a matter of fact, for centuries Florence and Siena spilled blood for ultimate control of this rich and fertile land. With its Etruscan origins, it stands on top of a hill, overlooking the Val d’Orcia and the Valdichiana. It’s a town where its precious wine, the vino Nobile, flows like tap water.

    In the past I was lucky because Graham always took care of everything. Like good captain and expedition leader, he was travel agent, luggage carrier and driver.

    After the 18-hour transatlantic flight, heavy eyelids and constantly yawning, the poor guy il poverino would get on the A-1 (autostrada del Sole ) where many Italian motorists morph into Ferrari race car drivers on the Monza circuit.

    I never appreciated my husband’s sacrifice/sacrificio until a while ago. I had grown accustomed to, right after taking off from Vancouver, sipping on a glass of excellent vino rosso then and falling asleep.  Once we arrived in Rome, I would wake up but only to get settled into the rental car and then continue with my nap.

    Later, when we arrived, safe and sound (sani e salvi) in Montepulciano, Captain Graham, who you can imagine, was exhausted by the trip, wanted nothing more than to crawl underneath the covers. I, however, was nicely rested, ready for a romantic dinner in the centro storico.

    That all changed, a few years ago, when I had to manage the trip by myself.

    Not having Graham, my rock next to me it was “fear” or paura, now personified who became my travelling companion who followed me  on the plane from Vancouver taking her place beside me in the  rental car in Roma.

     It was a black Smart car. The colour was hardly reassuring.

    As I set out on the autostrada every was going well at the beginning. My positive inside voice, which I had practised, cheered me on: Forza Silvana, Ce la fai.” “Credi in te.”    

    But then Fear’s more negative and aggressive voice took over.  “Ma sei pazza?” “Lascia perdere.” “Non sei capace.” 

    At a certain point my imagination runs wild and the nightmare unfolds where before my eyes, Italians are laying fresh white chrysanthemums, the customary flower of death, next to my lifeless body on the side of the A1.

    And while the negative and positive voices are fighting among themselves for supremacy in my head, a rush of adrenalin takes over. I am now a female version of Schumacher in Ferrari times, and its that  force takes me across the finish line hours later in Montepulciano.

    Too tired for dinner,  I am under the covers by 8 p.m. The next day I wake up at 2 p.m. in the afternoon.

    in the Sleep, or glorious sleep, how I have missed thee.  –End-

  • Silvana Saccomani, maggio 2021

    C’e’ solo una cosa che ognuno di noi porta con se’ sin dalla propria nascita fino al momento della nostra morte e nell’aldila’.

    Il nostro nome.

    Riguardo al mio, mi ha sempre creato problemi.

    Quando stavo per venire al mondo, i miei genitori—italiani immigrati in Canada— erano appena arrivati in questo loro nuovo paese, in cerca di una vita migliore. Infatti, il mio papa’, non era accanto alla mia mamma durante il momento del mio parto. Anzi, era in fila alla miniera dove andava tre volte al giorno in cerca di lavoro, senza vergogna.

    Trovare lavoro e sistemarsi era molto piu’ importante per loro che scegliere quel nome perfetto per la loro bambina. Sai, quello che l'avrebbe aiutata ad avere un futuro in questo nuovo mondo come una giovane ragazza, forte e indipendente.

    Sono diventata Silvana Saccomani, subito dopo il mio primo respiro.

    Al primo anno di scuola elementare, ci stabilimmo a Lethbridge nell’Alberta.

    Fu la prima volta che persone al di fuori della mia famiglia pronunciarono il mio nome in pubblico.  Non era molto bello.

    Mi facevo piccola ogni volta che un supplente di scuola doveva fare l’appello. Non capii perché non lo divisero in sillabe, come ci avevano insegnato a scrivere e leggere. Non lo fecero e dunque quello che venne fuori fu Silvia Sacomi.

    Dopo il primo giorno, i miei compagni di scuola mi battezzarono SIL— un monosillabo che non mi piacque proprio.

    Senza spiegazione da parte dei miei genitori riguardo alle origini del mio nome, usai l’enciclopedia per cercare di scoprire quanto piu’ possibile e comprendere le conseguenze per il mio futuro.

    Ecco quello che trovai.

    Negli anni 50, c'era una attrice italiana famosa chiamata Silvana Mangano.

    Quindi, anch'io sarei diventata una star?

    In latino, Silvana e’ composto da due parti: Silva significa bosco; Ana vuol dire grazia.

    Quindi, il mio destino era diventare una graziosa principessa e abitare in una villa italiana nel bosco?

    Finalmente, trovai che  Saccomani deriva in italiano da sacco o borsa a mano.

    Dunque forse,  i miei antenati erano artigiani del cuoio che in passato guadagnarono milioni

    di cui io sarei stata  l’ erede un giorno ?

    Fu pure ovvio che i datori di lavoro non fecero mai nessuna ricerca al riguardo. Quando andai per il mio primo colloquio all’eta’ di 16 anni, l’impiegato dal comune mi dette un’occhiata e poi balbetto’, “Ma tu non sei giapponese!”

    Certo che a Lethbridge, ci sono i giardini giapponesi e tante brave famiglie giapponesi, compreso i Sakamoto. Ma io non ne facevo parte.

    Tanti anni piu’tardi, mio marito ed io comprammo una seconda casa in Italia.

    Io fui molto entusiasta dell’acquisto ma non per l'idea romantica di tornare alle radici familiari.

    Fu una ragione molto piu’ semplice: seppi che almeno li’, gli italiani avrebbero pronunciato correttamente il mio nome e cognome.

    E si’, loro sapevano come pronunciarlo; io, invece, no.....

    Non importa dove andavo, in comune per il permesso di parcheggio o in banca per aprire un nuovo conto,  tutti erano disponibili a correggere i miei difetti di pronuncia. Poi c'era il discorso della pausa; a quanto pare, dovevo insistere un secondo in piu’ sulla doppia ‘c’ nel cognome e non tanto quanto sulla singola lettera ‘n’.

    Una mia amica di scuola si chiama Brenda Mass. Questo si’ che e’ un bel nome.

    FINE

  • Silvana Saccomani, aprile 2021

    Come figlia di genitori emigrati dall’Italia, dovevo avere circa 4 anni quando sentii questa parola per la prima volta. Una parola che sarebbe stata ripetuta successivamente centinaia di volte nel corso degli anni. “MISERIA”: una parola semplice con un suono armonico,  tuttavia imbottita di enorme emozione perche’ significa “la poverta’ assoluta” in inglese. I miei genitori crebbero nella miseria durante gli anni 40 in Italia.

    Mia mamma conservo’ questa parola nella loro cassetta degli attrezzi di casa su un pezzetto di carta.  E quando stavo per esprimere un mio legittimo lamento – come per esempio, il dover indossare abiti di seconda mano, condividere la bicicletta con le mie sorelle, o camminare mezzo kilometro per andare a scuola – lei, mia madre, tiro’ fuori “la Miseria” dalla cassetta e mi fece sedere per raccontarmi che cos’e’la poverta’ estrema: il suo sapore, il suo tocco e quel che fa fare alle persone.

    La Miseria ha poco sapore. Ha poca varieta’. Riguardo al menu’della cena, se una sera veniva servita la polenta prima, seguita dalle patate poi, il giorno dopo l’ordine cambiava e il pasto cominciava con le patate per primo e la polenta per secondo.  Una volta al mese c’era la carne, ovvero pollo o coniglio  – ma non emozionarti – perche’ un pollo che pesa 2 kilogrammi doveva essere diviso in almeno sei porzioni per sei anime piene di fame. Non ci furono mai doppie porzioni e dunque mai nessuna necessita’ di mettersi a dieta.

    La Miseria e’ ruvida al tatto.  Mia nonna prendeva quei sacchi di patate e li convertiva per fare la sottoveste per la mamma e le sue sorelle;  ma il tessuto le pizzicava di continuo creando delle irritazioni sulla loro pelle. Nel frattempo il nonno fece per loro delle scarpe di legno, tipo zoccoli, con la parte di sopra fatta di cartone fissato con chiodi.  Non furono esattamente della misura giusta per i suoi piedi e dunque mia madre dovette mettere delle calze doppie nella loro punta per darli spessore. Un paio per ciascuno e solo per uscire in pubblico.

    La Miseria ti rende debole e stanco. Lei non vedeva l’ora di andare alla messa quotidiana perche’ dietro il velo scuro che copriva la faccia, poteva addormentarsi in pace. Il mese di maggio era il preferito di mia madre. Maggio e’ dedicato alla Madonna, il che offriva l’occasione di andare in chiesa due volte al giorno: dunque due pisolini invece di uno. Svenire di fame, fu l’altra cosa che capito’ durante la messa e a quanto pare, mia mamma e sua gemella svennero a turno.

    La Miseria non risparmia nessuno. Persino il mulo della fattoria, Gina, era debole per la fame; e dopo una giornata faticosa in campagna in pieno calore,  la povera bestia non ce la faceva a salire l’ultima salita. Mia mamma e i suoi fratelli dovevano darle una piccola spinta, sperando che i vicini non li avrebbero visti nel dover aiutare la povera Gina.

    La Miseria fa si’che i genitori si arrabbiino facilmente. Se, per esempio, sprecavi un fiammifero, cioe’ ne usavi uno di troppo, per accendere una candela per illuminarti la strada per andare a letto nel buio, quando invece quello stesso fiammifero doveva essere conservato per l’indomani per accendere la stufa a legna, venivi castigato e andavi a letto senza la borsa dell’acqua calda che serviva per riscaldarsi sotte le coperte di lana che erano impregnante di umido.

    La Miseria costringe le persone a prendere grandi decisioni. Nel caso dei miei genitori, la Miseria gli fece  lasciar la loro patria in cerca di una vita migliore in Canada.

    Alla fine, la Miseria ha dei poteri speciali sui ragazzi:  li fa pensare due volte prima di lamentarsi e, poi, li aiuta a comprendere quanto sono fortunati.                

    FINE

  • Silvana Saccomani, April 2021

    As the child of Italian immigrants growing up in Canada I must have been about four years old when I first heard the word. One I would subsequently hear repeated hundreds of times over the years. M-I-S-E-R-I-A…a word so simple and harmonic sounding yet packed with tremendous emotion because it means “dire poverty” in English. My parents grew up in, miseria in Italy during the 1940s.

    My Mom stored that word in her parenting toolkit. And whenever I was about to launch a “legitimate complaint”—like having to wear hand-me-downs, sharing a bicycle with my sisters, or walking the ten blocks to school—she would pluck miseria out of her toolkit and sit me down for a lesson on what dire poverty means: what it tasted and felt like and what it made people do.

    Miseria, apparently, tastes bland. It has little variety. Regarding the dinner menu, if one evening polenta was served first followed by potatoes; then the next evening, potatoes would be the first course and polenta the second. Once a month, there was a meat dish, that is chicken or rabbit. But don’t get too excited: a 2 lb chicken would be divided into at least six small portions for six very hungry souls. There were never second helpings and so never a need to go on a diet.

    Miseria, apparently, is rough to the touch. My grandmother—or Nonna as we call her in Italian—would take potato sacks and repurpose them into slips for my Mom and her sisters. But the fabric was so itchy the girls developed red rashes on their skin.  My Nonno—or grandfather— meanwhile made the family’s shoes: a wooden clog sole with cardboard nailed on top for the uppers. They never came in exact sizes, so my Mom stuffed socks into the toes to make them fit. Un pair for person and only to go out in public.

    Miseria, apparently, makes you weak and tired. My mom could hardly wait to go to daily mass because behind the dark veil that covered her face, she could doze off in peace.  The month of May was my Mom’s favourite month. May is dedicated to the Blessed Virgin, offering an occasion to go to church twice a day, so two catnaps instead of the usual one. Fainting was another thing that happened during mass, and apparently, my mom and her twin took turns fainting.

    Miseria, apparently, spares no one. Even the farm’s working mule, Gina, was weak from hunger. After a hard day in the fields in the heat, the poor animal could not make it up the last hill.  My Mom and her siblings had to give her a little push, hoping none of the neighbours saw the need to help poor Gina.

    Miseria, apparently, makes parents quick to anger.  If, for example, you “wasted” a matchstick—meaning you used one too many, by lighting a candle to help make your way in the dark to bed, when that same matchstick was supposed to be saved for the next day to light the wood stove—you were disciplined: going to bed with no hot-water bottle to create warmth under the heavy damp woolen blankets.

    Miseria, apparently, forces people to make big decisions. In my parent’s case, Miseria made them leave their homeland in search of a better life in Canada.

    And finally, Miseria, apparently, has special powers over children: making them think twice before complaining and helping them understand how lucky they are.

    END

  • Silvana Saccomani, April 2021

    There is only one thing that we carry with us from birth to our death and beyond.

    It’s our name.  And in my case, it’s always caused me piccoli problemi.

    At the time of my birth, my Italian immigrant parents had just arrived in their newly adopted country of Canada, looking for a better life.  My dad, in fact, was not at my mom’s side when she was in labour. Instead, he was in a job line at the Crow’s Nest Coal company where he went every day: not once, or twice but three times a day, without pride.

    Finding work and settling in was much more important than picking that perfect baby girl’s name. You know, the one that would secure her future as a strong, independent young lady in the new world.

    I became “Silvana Saccomani,” moments after my first few breaths.

    By Grade One, we had crossed the border into Alberta, settling in Lethbridge. It was the first-time people outside the family would see and have to say my name. It wasn’t pretty.

    I cringed when substitute teachers took attendance. And I never understood why they didn’t break down my name, one syllable at a time, just the way they taught us how to read. But they didn’t. So what popped out—Silvia Sacomi— was painful to the ear.

    My classmates were smarter. After the first day, they christened me"SIL."  A monosyllabic utterance I never liked. They never asked.

    With no explanation from my parents to its origins, I turned to the encyclopedia to see what I could find out and what it meant for my future.

    Here’s what I found.

    There was a famous Italian film star in the fifties named Silvana Mangano.

    So, was I meant to be a movie star?

    Silvana in Latin is divided in two: Silva meaning forest; Ana meaning Grace.

    So, was I meant to be a princess living in an Italian villa in the forest?

    Saccomani in Italian literally means: Hand Bag or purse.

    So, were my ancestors leather artisans, making millions, that I would one day inherit?

    It was obvious potential employers never did any research. When I had my first job interview at the age of 16, the city employee took one look at me and blurted: “But you’re not Japanese.”

    Sure, there are the Japanese Gardens in the southern windy city, and lots of good hard working Japanese families, including the Sakamotos.  But I was not one of them.

    Years later, now a married adult, my husband, Graham and I bought a second home in Italy.

    The purchase thrilled me. Not for the romantic reason of going back to my family’s roots. 

    Simply because I knew Italians would know how to say my name properly.

    Turns out: They did. But I did not.

    Whether it was making opening another bank account or applying for a parking permit, Italians were always willing to help correcting my small defects in pronunciation. Then there was the issue of the pause: apparently, I needed to pause for a second longer on the double letter ‘c’ in Saccomani and less on the ‘n.’

    I grew up with a Brenda Mass. Now that’s a good name.

    END