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Dopo l’uscita dei primi episodi di questa serie, abbiamo ricevuto molte segnalazioni da parte di famigliari o amici di persone che vivono condizioni simili a quelle che abbiamo descritto: chiuse dentro strutture residenziali riabilitative private o affette da disturbi psichici o alimentari, sempre più frequenti tra giovani e giovanissimi.
Su Facebook ci è arrivato anche un messaggio di apprezzamento firmato da Franco Basaglia, il nipote omonimo del protagonista della rivoluzione che portò alla chiusura nei manicomi. Con la stessa passione e la stessa lucidità che il nonno aveva negli Anni 70, oggi Basaglia jr chiede che ci sia una nuova sinergia tra politica e sanità affinché lo Stato riprenda a farsi carico dell’assistenza psichiatrica, a partire dalla psicoterapia, e garantisca a tutti il diritto alla salute.
Per tutto questo, abbiamo deciso di aggiungere questo episodio extra. Che ha anche un altro contributo speciale: quello di Simone Cristicchi, il cantautore che nel 2007 vinse il Festival di Sanremo con una canzone dedicata alla malattia mentale e chi ci ha regalato una testimonianza molto intima.
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Nel maggio 1978 la Commissione Igiene e Sanità del Senato approva, senza passare dall’Aula, la legge 180, che impedisce la creazione di nuovi manicomi, chiude quelli esistenti e affida il trattamento delle infermità psichiche ai Centri di Salute Mentale territoriali. Un’alternativa agli ospedali psichiatrici, quindi, esiste, ma va costruita. E Franco Basaglia, che era stato il principale artefice di quella legge, viene chiamato a Roma per provare a farlo in una grande realtà, ben lontana dalle esperienze-pilota di Trieste, Arezzo e Perugia.
Pochi mesi dopo, però, il 29 agosto 1980, Basaglia muore, a soli 56 anni, per un tumore cerebrale fulminante. I collaboratori che lo avevano seguito da Trieste in quella sfida romana restano letteralmente orfani, ma approfittano del disinteresse delle istituzioni nei confronti della riforma e, tra le tante iniziative, occupano in modo rocambolesco una casa di proprietà del Comune in via Baccina. Qui esiste tuttora un gruppo appartamento all’avanguardia che noi abbiamo potuto visitare, incontrando gli utenti, grazie a un permesso speciale.
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Franco Basaglia voleva che la sua riforma diventasse patrimonio universale, e decise di portarla in Africa e in America Latina. Ludovica Jona è andata a San Paolo e Rio de Janeiro per capire fino a che punto lo psichiatra italiano ha influenzato la gestione della salute mentale in Brasile. Ha incontrato Pedro Gabriel Delgado (coordinatore del settore durante il primo governo Lula), che nel 1979 organizzò le famose conferenze brasiliane di Basaglia. E si è fatta guidare da Roberto Tykanori, giovane volontario a Trieste nel 1980 e poi promotore dell’applicazione dei principi basagliani, in quello che resta della “Casa degli orrori” di Santos.
Altrettanto importante è stata l’esperienza in Grecia, dove a metà Anni 80 un gruppo di psichiatri triestini collaborò alla chiusura del manicomio-lager dell’isola di Leros. Ma realtà in qualche modo simili, sia pure in condizioni meno drammatiche, esistono ancora in molti Paesi. In Belgio, per esempio, dove una giovane psichiatra italiana partecipa alla gestione di un Centro di salute mentale ispirato alle idee di Basaglia e riconoscibile da una statua di un cavallo blu vicino all’ingresso.
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Franco Basaglia, come al solito, aveva visto lontano. Nel 1979, dopo aver contribuito a far chiudere i manicomi, coniò la definizione di “imprenditori della follia”, quando disse che certe cliniche vivono sui matti: «Più matti, più soldi». Oggi le residenze psichiatriche convenzionate assorbono più della metà del già insufficiente budget nazionale per la salute mentale: luoghi, spiega lo psichiatra Piero Cipriano, in cui il carico dei farmaci per gli utenti è sempre più pesante e dove si rischia di creare una nuova istituzionalizzazione, cioè “tanti alberghetti manicomiali diffusi”. Dietro queste strutture, peraltro, ci sono anche gruppi industriali e nomi importanti, italiani e stranieri, che considerano il settore della salute mentale una vera e propria “linea di business”.
Le alternative esistono, e siamo andate a conoscerne una a Civitavecchia, dove sessanta persone (dopo aver trascorso decenni per strada o in residenze psichiatriche) ora vivono in appartamenti comuni. Ma progetti come questo possono essere attivati solo se i Centri di Salute Mentale hanno risorse adeguate per intervenire in maniera personalizzata su ogni paziente.
Grazie alla società di produzione Videoest, per gli estratti dall’intervista a Franco Basaglia di Gianfranco Rados per Tv Koper-Telecapodistria.
Questo episodio è stato realizzato con il sostegno di Journalismfund Europe, nell’ambito del progetto di inchiesta transnazionale “The Business of Madness”. Ha contribuito il collega spagnolo Manuel Rico.
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Trieste fu l’epicentro del terremoto che cambiò per sempre il volto della psichiatria. Un processo comunque lungo e non senza resistenze, che iniziò nel 1971 con la decisione di un giovane presidente della Provincia, Michele Zanetti, di chiamare Franco Basaglia a dirigere il manicomio, e si concluse nel dicembre del ‘77 con la chiusura di quella grande istituzione sulla collina di San Giovanni dove erano internate più di mille persone e dove siamo tornati per registrare le voci di chi oggi ci vive e ci lavora.
In mezzo, una serie di iniziative davvero rivoluzionarie: cooperative fondate dai pazienti, gruppi appartamento organizzati in città, i primi Centri di salute mentale aperti 24 ore al giorno. E poi concerti (da Ornette Coleman a Gino Paoli, che qui ricorda una di quelle serate “matte”), corsi di pittura, scultura, scrittura e teatro.
«Vi do il Reparto P appena svuotato», disse Basaglia a teatranti e artisti. «Venite e inventate!». E dove una volta si distribuivano neurovaccini ed elettrochoc nacque uno dei simboli di quella straordinaria esperienza collettiva: un cavallo di cartapesta alto 4 metri costruito grazie alle idee degli ex ricoverati.
Le voci di ex pazienti e infermieri del manicomio di Trieste sono state registrate nell’ambito del progetto La Follia da Ricordare, realizzato dalla Sissa di Trieste, che ringraziamo. Grazie a Nico Pitrelli, direttore del Master in comunicazione della Scienza della Sissa, che le ha condotte, e a Michela Rondi, del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, che le ha conservate. Un grazie speciale a Federica Sgorbissa giornalista scientifica, che ci ha aiutato a recuperare questo materiale d’archivio. Grazie a Erika Rossi, per gli estratti dal suo documentario Trieste Racconta Basaglia; alla società di produzione Videoest, per gli estratti dal servizio realizzato da Gianfranco Rados per Tv Koper - Telecapodistria durante il Resau di Psichiatria che si è tenuto a Trieste nel 1977. E grazie al Corriere della Sera.
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La rivoluzione ha tempi lunghi e protagonisti inattesi. Dopo l’esperienza di Gorizia, è un assessore provinciale ai Trasporti, Mario Tommasini, a chiamare Franco Basaglia alla direzione dell’ospedale psichiatrico di Colorno. Quel piccolo Comune in provincia di Parma, già al centro di una battaglia storica del ‘68 con l’occupazione del manicomio da parte degli studenti, per pochi mesi diventa il laboratorio scientifico e sociale di idee e pratiche che anni dopo porteranno alla chiusura di quel genere di istituzioni.
E a convincere l’opinione pubblica che il cambiamento sia ormai necessario sono anche giornalisti e fotografi. Alcuni reportage-choc documentano gli orrori dei manicomi, come quello sul “Villa Azzurra” di Torino (pubblicato dall’Espresso) che il suo autore, Mauro Vallinotto, rievoca in questo episodio.
Ma a riprova che la storia non sempre ci insegna qualcosa, i dati raccolti tra le poche regioni che li hanno forniti dimostrano che ancora oggi nei reparti di neuropsichiatria infantile si continua a legare al letto. Anche se non mancano realtà virtuose, come quelle del Progetto Itaca: entriamo nella sede romana di un Club Itaca in cui si lavora con persone con disturbo psichico puntando sul loro inserimento sociale, a partire dal lavoro.
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La contenzione meccanica, cioè l’atto di legare i pazienti ai letti, riporta alla mente l’orrore dei vecchi manicomi. In realtà, è tutt’altro che superata: solo una ventina dei 318 reparti psichiatrici attivi in Italia dichiarano di non legare; gli altri, ancora oggi, legano.
Entreremo in questo mondo fatto di violenza e coercizione attraverso la testimonianza di Alice Banfi, scrittrice e artista che ha subìto più volte questa pratica sulla propria pelle, e l’esperienza di psichiatri e operatori. Ma lo faremo soprattutto grazie alla ricostruzione di quello che accadde nel manicomio di Gorizia alla fine degli Anni 60, quando Franco Basaglia decise di non praticare più la contenzione, diventando un simbolo delle contestazioni studentesche. Per curare i malati, lui doveva liberarli, non legarli, anche se questo lo esponeva a rischi e strumentalizzazioni, come nel caso, molto discusso, di un paziente che durante il reinserimento in famiglia uccise la moglie.
Grazie al Corriere della Sera; alla cooperativa “La Collina”, per gli estratti dall'audio documentario “B come Basaglia”, con la voce dell’avvocato Nereo Battello; alla società di produzione Videoest, per gli estratti dall’intervista a Franco Basaglia di Gianfranco Rados per Tv Koper - Telecapodistria.
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Camicie di forza, catene, lobotomie. Non più tardi di cinquant’anni fa questi erano i metodi terapeutici ai quali venivano sottoposti i malati psichiatrici. Curarli era considerato impossibile; pensare che la società potesse accettarli, altrettanto. L’unica soluzione era l’internamento, perché non nuocessero e non dessero “pubblico scandalo”. La rivoluzione comincia da un giovane psichiatra veneziano, Franco Basaglia: appena nominato direttore del manicomio di Gorizia, nel novembre del 1961, decide di non firmare la lista dei “matti” da legare ogni giorno. E apre laboratori di falegnameria e altre professioni.
Franco Perazza, ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Gorizia, e altri testimoni dell’epoca (psichiatri, infermieri e utenti, che ora lavorano, tra l’altro, in un progetto per il recupero dell’archivio storico dell’ex manicomio) raccontano come Basaglia abbia realizzato in meno di dieci anni la trasformazione dell'ex ospedale psichiatrico in comunità terapeutica, attirando studiosi da tutto il mondo.
Oggi a Gorizia, non ci sono strutture psichiatriche chiuse dove “mettere” i pazienti, ma un Centro di Salute Mentale ben organizzato, aperto 24 ore su 24, e operatori sempre pronti ad assistere le persone a casa, se vanno in crisi. E si scopre che il costo di questa assistenza è, per le casse pubbliche, anche minore, in proporzione, di quello pagato nel Lazio per le residenze psichiatriche private.
Grazie alla cooperativa “La Collina”, per gli estratti dell’audio-documentario “B come Basaglia”; con la voce dell’infermiere Enzo Quai; all’Archivio Audiovisivo del Movimento operaio e democratico, per l’intervista di Franco Basaglia dal documentario “La Pena immensa”, di Maurizio Rotundi. E grazie a Marco Visintin, psicologo del centro del Dipartimento di Salute Mentale di Gorizia, che ha letto la poesia “Il Principe”.
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"Tutta colpa di Basaglia" è una serie in sette episodi sull'avventura collettiva che alla fine degli Anni 70 portò alla chiusura dei manicomi in Italia, e su cosa è rimasto di una rivoluzione - tra medicina, scienza, politica e filosofia - che tuttora viene messa in discussione. Iscriviti alla serie e dall'8 marzo, ogni venerdì, ascolta il racconto di Ludovica Jona ed Elisa Storace, una bio-inchiesta tra la storia e l'attualità.
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