Episodios
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Le specialità della gastronomia meneghina sono tutte da scoprire. Tra gli indirizzi da provare, per assaporare il gusto della tradizione, ecco la Trattoria Masuelli San Marco, Bottega storica di Milano e Lombardia alla terza generazione, dove il risotto giallo all’onda è un must, così come la polenta. Per una fuga fuori regione, poi, qui si trovano anche portate di ispirazione piemontese, a partire dai ravioli del plin. Oppure c’è l’Antica Trattoria della Pesa, fondata nel 1880, che non si fa mancare piatti tipici come la cassoeula, da assaggiare in un ambiente d’epoca, che accoglie tra boiserie in legno e bottiglie a vista. Il Ratanà, in Porta Nuova, è un nuovo classico dove il risotto con l’ossobuco si trova in menu tutto l’anno, mentre alla Trattoria del Nuovo Macello si va per assaporare l’autentica costoletta di vitello alla milanese, preparata a regola d’arte, alta e con l’osso. Chi ama l’atmosfera delle vecchie osterie e cerca un indirizzo centrale, può andare alla Trattoria Milanese dal 1933, per mangiare mondeghili (tipiche polpette di carne e pane), nervetti e risotto. Per una scorpacciata di cucina casalinga immersi in un’atmosfera semplice e informale, c’è la Trattoria Madonnina, perfetta per mangiare bolliti con salsa verde, zuppe, stracotti e brasati. Per respirare l’atmosfera rustica di campagna, pur restando in città? Si va Al Garghet dove l’ambiente è caldo e accogliente, oppure alla Trattoria Al Laghett, per gustare riso al salto e salumi sotto un pergolato di glicine.
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Tra le ultime tendenze a Milano? La colazione o il brunch in pasticceria o in bakery e caffetterie di nuova generazione. Il risveglio del mattino si fa sempre più ricercato e nuovi must si affacciano all’orizzonte. Da non perdere, tra le ultime aperture, Alain Locatelli Colazioni & Gelato. Prende nome dal pasticciere e lievitista di origini svizzere che qui prepara impeccabili pain au chocolat, nodi al caramello e croissant in pieno stile francese. Gli amanti dei sapori d’Oltralpe in cerca di baguette e viennoiserie possono andare da Egalité, ispirata alle classiche boulangerie. Mentre alla Pasticceria Gelsomina si fa colazione con l’iconico maritozzo, nel nuovo gusto cioccolato e pere, oppure si sperimenta il brunch, tra pizzette, toast, pane ai grani antichi con avocado e uova strapazzate, quiche, brioche col tuppo e cannoli. Da provare anche il brunch della storica pasticceria Clivati, negli ultimi anni rinata con una giovane gestione, che propone una bella scelta di brioche, pancake alla frutta con sciroppo d’acero e croissant salati, ma anche uova declinate in tanti modi. In zona NoLo, tra le ultime aperture c’è Fòla, pasticceria, gastronomia e bottega di quartiere che prende per la gola con specialità dolci e non solo, a partire dalla tea cake alle mandorle con mirtilli e limone. E ancora, Loste Cafè è un tempio goloso dove provare speciality coffee, hamburger, focacce, oltre a danesi con frutta e creazioni come Quella alla crema, con crema al limone. Si fa il brunch tutto il giorno e si sorseggiano miscele ricercate di speciality coffee al Nowhere Cafè, uno spazio in zona S.Ambrogio che si ispira alla caffetterie australiane, aperto dal trentenne Andrea Prayer.
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¿Faltan episodios?
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Tra gli indirizzi di ultima generazione sorti in tempi recenti, nuovi spazi si candidano a diventare dei punti di riferimento. Tra questi, sui Navigli, c’è Oro Secret Room, che si definisce una “cocktail society”: un salotto segreto, dove si accede solo su prenotazione, ispirato agli speakeasy, i bar nascosti nati negli Stati Uniti durante il Proibizionismo. L’ingresso? Si trova all’interno di un altro locale, la Sacrestia Farmacia Alcolica: un telefono nero con un numero da comporre consente di accedere al piano inferiore, dove si sviluppa il mondo di Terry Monroe, la bartender alchimista, esperta di essenze e selezionatrice di aromi, che è alla regia. L’atmosfera è rétro e permette di immergersi in un’altra dimensione, dopo aver varcato una grande tenda rossa. “Ho voluto creare diversi ambienti, con sedute, poltroncine, tavoli, oggetti e persino calici di antiquariato, capaci di trasportare in città e epoche diverse”, illustra la bartender. “Si spazia dall’angolo che richiama il quartiere di Pigalle a Parigi alla Londra dei gin, alla New York dei whisky”. I drink vengono preparati su misura, a seconda dei gusti dell’ospite, con l’aggiunta di acque profumate fatte in casa. All’ora dell’aperitivo, un vassoio di finger food con assaggi misti accompagna le creazioni liquide. Si è inventato una formula inedita che è piaciuta sin da subito ai milanesi Ca-ri-co, il “casual risto cocktail” inaugurato a ridosso del primo confinamento dal bartender Domenico Carella con l’imprenditore Lorenzo Ferraboschi, in via Savona, nel cuore del design district. Il format è quello del cocktail bistrot che propone un vero e proprio menu degustazione con piccoli piatti studiati accuratamente dallo chef Leonardo D'Ingeo, per un percorso di abbinamento con i drink. Da qualche mese ha introdotto uno spazio inedito al suo interno, la Martini Room, dove si vive un’esperienza scandita dalle tante declinazioni del Martini, con sottofondo musicale che va dalle note funky all’elettronica. Qui si acquista “a tempo”, in base a tre formule: 30, 60 o 90 minuti, con piatti in uscita ogni 15 minuti. Si accede su prenotazione: c’è un solo tavolo circolare che accoglie al massimo sette persone..
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Anche il rito milanese per eccellenza evolve, tra locali storici e nuovi indirizzi che propongono formule divertenti e alternative per la liturgia del pre-cena. Il trend? Un ritorno alle origini che si traduce in bere bene e accompagnare i drink con pochi assaggi di qualità, studiati per abbinamenti ad hoc. Insomma, sono lontani i tempi in cui l’apericena era ritmato da buffet e calici anonimi. Il mitico Bar Basso, in zona Città Studi dal 1947, ha gettato i semi di una cultura della miscelazione di respiro internazionale, inventando nel 1972 il famoso cocktail Sbagliato, una variazione sul Negroni, più leggera e beverina, preparata con lo spumante al posto del gin.
Tra i luoghi che hanno fatto la storia dell’aperitivo in Italia, poi, c’è Camparino in Galleria, dal 1915 affacciato in Galleria Vittorio Emanuele II, con il suo dehors. Nel 2019 il longevo locale ha riaperto dopo un restyling a cura dello Studio Lissoni Associati, che ha conservato dettagli d’epoca Art Nouveau come mosaici, lampadari e boiserie originali, tornati a splendere dopo il restauro. Al piano terra si fa ancora l’aperitivo come una volta, bevendo classici come il Campari Seltz e assaggiando stuzzichini quali macaron salati e sfoglie fatte in casa. Al piano superiore, invece, la Sala Spiritello rappresenta l’anima contemporanea della location: lo spazio è stato riletto con dettagli di design, che riflettono la più recente proposta. Si può assaporare il Pan’cot dello chef stellato Davide Oldani, un pane ricotto a forma di ciambella, che accoglie carne, pesce, vegetali o dolci. E si bevono i signature cocktail di Tommaso Cecca: creazioni di ricerca, che nel 2021 hanno fatto entrare il luogo simbolo dell’aperitivo milanese al 27 posto nella prestigiosa lista dei migliori cocktail bar del mondo, la World's 50 Best Bars.
In tema di rituali preserali, ci sono anche indirizzi di culto che continuano a rinnovarsi e a rimanere sulla cresta dell’onda. “Il mio obiettivo sin dall’inizio è stato offrire una miscelazione di qualità”, spiega Edoardo Nono, bartender che nel 2002 ha fondato il Rita sui Navigli, contribuendo a cambiare la percezione dell’aperitivo. Giovane, curato e vivace, continua ad essere uno dei luoghi preferiti dai milanesi di ogni età. Qui l’aperitivo si fa dalle 18 alle 22. Dopo le 21 si sforna la focaccia calda fatta in casa con la mortadella. Nono, però, non si è fermato: a pochi metri di distanza, nel 2019, ha aperto il Rita’s Tiki Room, che si rifà all’omonimo còncept di bar nati negli States nel corso degli anni ’30, con la fine del Proibizionismo, ispirati ai sapori fusion, tra cultura caraibica, cinese e oceanica. Tra i nuovi indirizzi di riferimento, in Porta Romana c’è The Spirit: un locale dallo stile elegante, che accoglie tra specchi e velluti. Qui il bartender Ivan Filippelli ha ideato la carta Shades of The Spirit. Il consiglio è quello di affidarsi all’aperitivo “rinforzato”, con taglieri di salumi e formaggi e il Not a Club Sandwich, preparato con il fragrante pane sfornato da Crosta, apprezzata pizzeria e panetteria, con tartare, salmone o in versione vegan. -
Nel foyer e nella sala Café Rouge del Teatro Franco Parenti, in Porta Romana, a novembre 2021 ha inaugurato il Parenti Bistrot by Gūd, con la cucina dello chef Stefano Cerveni. Pensato come luogo di incontro prima o dopo gli spettacoli, è aperto a tutti: uno spazio che dà continuità al servizio estivo di Gūd Bagni Misteriosi, il locale open air aperto la scorsa estate all’interno dell’omonima piscina. “La scelta di un menu milanese, semplice e diretto, è un omaggio ad André Ruth Shammah, direttore del teatro, che ha fatto tanto per la città: un progetto culturale di cui facciamo parte, con grande orgoglio”, afferma lo chef. In carta c’è il risotto alla milanese con gremolata, ma anche la fassona alla plancia, con porcini e purea di sedano rapa. Il nuovo bar-ristorante è stato concepito anche per l’aperitivo con buffet, che viene servito secondo le regole Covid: un calice di vino o un cocktail classico, accompagnati da piattini che spaziano dall’hummus di ceci con carote croccanti all’insalata di polpo e patate.
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Roberto Cattaneo, in pochi mesi, ha trasformato una gastronomia di quartiere in zona San Siro in un nuovo tempio della cucina casalinga meneghina. Ex consulente, appassionato di food, durante il confinamento ha scoperto la formula che gli ha fatto cambiare vita. “Volevo provare a preparare il panettone”, racconta, “e facendo ricerche, ho scovato la ricetta di quello che nell’800 si chiamava panattonin, con l’aggiunta di zucca e miele”. Ecco quindi l’idea di un panino realizzato con l’antico impasto del panettone, da farcire con le specialità della tradizione. Il risultato? Delizioso, tanto che ha deciso di rilevare una gastronomia e riaprirla col nome di Panattonin, completamente rinnovata, nel settembre 2021. L'inedito cibo di strada ne è diventato il protagonista e, in poco tempo, lo spazio, piccolo e informale, con dettagli di design contemporaneo, ha richiamato gente da ogni dove. L’originale panino meneghino viene farcito in tanti modi. Da provare, la versione con riso al salto e ossobuco, oppure con la cotoletta.
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Gli indirizzi interessanti si trovano anche in zone residenziali o meno centrali, dove un nuovo senso di comunità si impone sempre più. Ne è un esempio Uovodiseppia Milano, il bistrot che lo chef siciliano Pino Cuttaia ha aperto alla fine del 2021 all’interno di Ariosto Social Club, spazio poliedrico che racchiude appartamenti, Spa, palestra e boutique, sorto in un ex hotel in zona Conciliazione, in una palazzina Liberty dei primi anni del ‘900. Il cuoco, due stelle Michelin al ristorante La Madia di Licata, qui propone una cucina siciliana casalinga, che si rifà ai sapori della memoria familiare. Certo, il suo tocco non manca, ma è declinato in versione comfort.
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Ha alle spalle un profondo valore etico la proposta di Contrada Govinda, un indirizzo rinato nell’autunno 2021 come panificio, caffetteria e ristorante di cucina vegetale. Un luogo storico, riaperto dopo la lunga chiusura per pandemia, con una nuova veste. “È stato uno dei primi locali vegetariani di Milano, grazie alla comunità Hare Krishna che lo ha avviato e ha iniziato a servire la sua cucina qui”, ricorda lo chef scrittore Tommaso Melilli, socio di questa nuova avventura con il noto panificatore Davide Longoni. Ai fornelli c’è la cuoca di origini georgiane Nata Qatibashvili che si fa interprete di sapori che rispettano i dettami alimentari degli Hare Krishna. “Non serviamo alcolici, carne, pesce, aglio e cipolla”, precisa Melilli, “perché vogliamo dare continuità alla storia di questo posto”. Qui, in pieno centro, si bevono cocktail analcolici senza zucchero e si mangiano specialità che conquistano il palato tra frutta e verdura: piatti vegetali, per niente punitivi. Da non perdere? Il ripieno dei tortelli di zucca, una zucca mantovana arrosto con fonduta di Parmigiano, armelline e mostarda di mandarini, o i Finocchi brasati alla puttanesca, conditi con pomodoro, olive, capperi fritti e crostini.
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Nella vivacissima Porta Venezia, che di fatto rappresenta un distretto gastronomico ricco di indirizzi interessanti, ha aperto i battenti alla fine del 2021 Immorale Osè, nuovo avamposto di Luca Leone Zampa. Lo chef, già molto amato con il suo bistrot Immorale, poco distante, qui alza l’asticella e propone una cucina che gioca con consistenze e abbinamenti insoliti, in un ambiente elegante, dove continua il lavoro di ricerca sugli ingredienti, selezionati con criteri sostenibili. Da provare i percorsi degustazione: si va da Vorrei ma la mamma non vuole, cinque portate vegetariane, tra cui il risotto al siero di latte affumicato, carota e liquirizia, a Mangiatelo Tutto, un menu di 12 corse che stuzzica con piatti come la tartare di gamberi rossi, trota, pecora ed emulsione di ricci.
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L'imprenditore Khattabi è tra i soci di un altro luogo che in poco tempo ha conquistato i milanesi: l’Osteria alla Concorrenza. Inaugurata nella primavera 2021 nel cuore di Porta Venezia, vede coinvolti lo chef Diego Rossi, già alla regia di un'altra insegna di culto meneghina, la Trattoria Trippa, ed Enricomaria Porta, oste di casa che accoglie gli ospiti con il sorriso, pronto a dispensare consigli sul vino da provare. Un locale vecchio stile, che pare uscito dal set di un film d'altri tempi: pavimento a scacchi, boiserie in legno, specchi e antichi manifesti alle pareti, tavoli e bottigliere in noce. “Volevamo ricreare l'ambiente delle osterie di una volta, con una proposta adeguata che ruota attorno al vino", raccontano.
Poco distante, un'altra novità porta il palato ad accomodarsi idealmente sul divano di casa, tra proposte contemporanee che valorizzano materie prime genuine, prodotti agricoli e ingredienti vegetali: è Remulass, il bistrot nato da un'idea di Federica Fabi e Cesare Battisti, rispettivamente sommelier e chef del ristorante Ratanà, punto di riferimento per i sapori della tradizione regionale. In questa "piccola cucina con radici", come la definiscono, assieme alla socia e chef Laura Santosuosso, coadiuvata ai fornelli da Anna Sarcletti, propongono vini naturali e piatti con ingredienti scelti tra i piccoli produttori che non dimenticano il fattore umano che ruota attorno al cibo. -
Ricettiva, aperta, vivace. Milano è la città dove nascono e si concentrano tendenze gastronomiche da tutto il mondo. Un’attitudine che negli ultimi anni l’ha trasformata in una destinazione food per i palati più curiosi. Qualcosa, però, sta cambiando: lo spirito internazionale che caratterizza la metropoli convive sempre più con una dimensione locale. Se da un lato, per esempio, la cucina orientale e fusion ha trovato terreno fertile, con indirizzi stellati quali lo storico Iyo Experience e il più recente Aalto, dove lo chef di origini nipponiche Takeshi Iwai fonde istanze asiatiche ed europee, o ancora con il nuovissimo Ronin, nel cuore della Chinatown milanese, quattro piani in un palazzo neoliberty per sentirsi come a Tokyo, dall’altro i ristoranti di quartiere e i nuovi distretti urbani, con menu essenziali e piatti che comunicano il comfort dei sapori di casa, rappresentano l’ultima frontiera del food.
“Più che mai oggi la gente ha bisogno di rilassarsi e di stare bene”, racconta Sandra Ciciriello, sommelier, esperta selezionatrice ittica, maître e patron dell’accogliente 142 Restaurant, a due passi da Porta Genova. Il nome definisce al meglio l’identità del locale che ha inaugurato a settembre 2019 con i giovani chef Nello Barbieri, la sous chef Chiara Orrù e il pastry chef Alessandro Montanari, dopo l’esperienza stellata al fianco di Viviana Varese, nome noto della ristorazione milanese, alla regia di Viva. Un luogo aperto da mattina a sera, dove la cura del dettaglio sposa l’informalità. Qui, tra elementi di design, librerie e lampadari vintage, riviste e caramelle, neon e specchi dalle linee rétro, si assaporano piatti che si rifanno alla tradizione, interpretata in chiave scanzonata e creativa. Così, pane, burro e acciughe si trasforma in Omaggio a Lucio Fontana, una tela in ceramica con le alici del Cantàbrico, a rievocare i famosi tagli sui quadri dell’artista, mentre Oro Mio, uno spaghetto mantecato con emulsione di olio e bottarga di muggine, avvolge il palato in tutta la sua semplicità.
Non solo è aperta con i fuochi a vista, ma dà il benvenuto all’ingresso del locale la cucina di Frangente, nuova dimora di Federico Sisti, chef surfista di origini romagnole, che negli ultimi anni ha messo radici a Milano, diventando un interprete d’eccezione della tradizione locale. È stato notato da Forbes, che lo ha segnalato tra i dieci ristoranti più cool del mondo in cui mangiare nel 2022. Per un'esperienza immediata, ci si può sedere al grande bancone e mangiare osservando i gesti della brigata, oppure accomodarsi a uno dei dieci tavoli, tra panche e cuscini a righe, a ricordo degli ombrelloni di Riccione. E assaporare piatti come le lasagne di pasta verde, farcite con il ragù fatto in casa come una volta, il risotto carnaroli con asparagi e limone, l’agnello con i carciofi e la cotoletta alta di vitello alla milanese con purè di patate. -
Sull’onda del recupero di aree dismesse decentrate sono nati altri luoghi-chiave delle notti live milanesi come Santeria Toscana, una grande piazza creativa sorta al posto di un vecchio concessionario d’auto in piena circonvallazione esterna, dove tra atelier, laboratori e sale riunioni, si può sostare al bar con cucina nell’attesa di assistere ai concerti indipendenti (e sempre esauriti) nel teatro; o come Mare culturale urbano, il centro di produzione culturale che ha trasformato la seicentesca cascina Torrette in un punto di riferimento vivacissimo nella zona più popolare di San Siro, dove oggi è possibile fermarsi sia per gustare l’ottima cucina e le birre artigianali, sia per partecipare agli innumerevoli eventi e corsi di formazione. Anche Base, polo creativo di respiro internazionale con residenze artistiche, spazi di coworking e bar, ha saputo dare nuova vita a un immenso spazio di architettura industriale dei primi anni del Novecento (passato all’Ansaldo negli anni 60) trasformandolo in un luogo d’incontro intergenerazionale, in piena zona Tortona, cuore della Milano Design Week. Tre esempi di grandi progetti collettivi culturali che hanno vinto bandi comunali per rigenerare la città “dal basso”, promuovendo l’innovazione, l’apprendimento continuo e la creatività. Ma non mancano luoghi ancora più “nascosti” e defilati, come Masada, che ha trasformato una vecchia tipografia in un salotto accogliente dove sentirsi come a casa propria, per assaporare un drink e un concerto di musica elettronica, jazz o classica di qualità, tra soci tesserati.
Se si traccia una mappa notturna della città, si scopre che tutto ciò che conta davvero accade fuori dal centro storico, proprio in quei quartieri dove il desiderio di rinascita ha trovato risposte concrete nei bandi pubblici o in quelle forme associative che, attraverso il tesseramento, hanno superato le tante difficoltà burocratiche e amministrative. Capiscuola di questa formula sono stati i circoli Arci, tra i quali spiccano il Bellezza e La Scighera (in dialetto milanese indica quella nebbia umida invernale che talvolta ricopre ogni cosa), realtà storiche che animano la città e stanno vivendo una seconda giovinezza, tra serate di musica live indipendente, corsi di formazione, presentazioni e incontri pubblici in un contesto rimasto immutato nel tempo, osteria compresa, unicamente per i soci. A Milano, in questi curiosi anni Venti post-pandemia, fare la tessera per entrare in un locale non solo è diventata la normalità, ma è garanzia di qualità e sicurezza, persino per una serata al Cinemino, spazio culturale che valorizza il cinema d’autore e organizza incontri con attori e registi, o per un concerto jazz o blues al Bonaventura Music Club, a Buccinasco, non lontano dal Naviglio Grande, dove buona parte dei migliori musicisti della scena milanese si alterna su un grande palco, protagonista della sala e della serata.
Tra i nomi più noti del sempre fertile panorama musicale indipendente della città spiccano due artisti fuoriclasse che sono diventati protagonisti indiscussi delle notti milanesi, entrambi in grado di catalizzare un pubblico trasversale che li segue ovunque suonino ed entrambi irrimediabilmente innamorati di Milano: il primo è Folco Orselli, il cantastorie bluesman che racconta la città attraverso le sue ballate e ha ideato il progetto itinerante Blues in Mi coinvolgendo i giovani talenti musicali più interessanti dei nove municipi, nella convinzione che “i quartieri incarnino la vera identità della città”; il secondo è Raffaele Kohler, trombettista e autore, figura stra lunata pronta a suonare ovunque, in un locale, ma anche su una barca che solca il Naviglio o sotto una finestra per una serenata, da solo o con la swing band. -
Teatro dell’Elfo, fondato nel 1972 da Gabriele Salvatores, Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, ha scelto come palcoscenico dei suoi primi vent’anni i centri sociali e altri locali alternativi, prediligendo una messa in scena essenziale di testi inediti che ha aperto la strada a nuove compagnie e nuovi registi, pronti a raccontare il nostro tempo con lucidità e spirito critico. Tra questi, ATIR Teatro Ringhiera, fondato da Serena Sinigaglia nel 1996 e oggi itinerante, in attesa del ripristino della sede originale al Gratosoglio, si è distinto per produzioni originali fuori dagli schemi e sempre attente ai temi più sociali. La stessa regista, ora alla direzione artistica del Teatro Carcano con Lella Costa, ricorda così la scintilla creativa iniziale: “La nostra Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca è nata con lo scopo di raccontare storie e di usare il teatro come strumento di inclusione e di incidenza profonda nel reale e nella società. Vogliamo parlare dell'oggi con più persone possibili, condividendo un'esperienza intensa di incontro”.
E forse è proprio dal profondo legame dei milanesi con i propri luoghi della cultura, siano essi celebri e storici come il Teatro alla Scala, tempio mondiale della lirica e del balletto da oltre duecento anni, e il Piccolo, primo teatro stabile italiano, o sperimentali come Campo Teatrale, recente “snodo creativo” di formazione e produzione, che è nato questo rinnovato bisogno di “tuffarsi” nella notte per vivere emozioni dal vivo, possibilmente irripetibili. Una necessità divenuta ancora più urgente nel dopo-pandemia, proprio come accadeva nel dopoguerra, per sentirsi ancora vivi e provare a ripartire insieme. -
Se si vuole entrare in contatto con la vera anima della città, il segreto è vivere le notti milanesi lontano dai luoghi comuni. Tra teatri storici e sperimentali, “cinemini” e spazi rigenerati, ogni sera un nuovo spettacolo ha inizio. Su il sipario!“Per capire Milano bisogna tuffarvisi dentro. Tuffarvisi, non guardarla come un’opera d’arte”, così scriveva Guido Piovene nel suo celebre Viaggio in Italia, nell’ormai lontano 1957. E così è ancora. Soprattutto di notte, quando la città produttiva cede il posto a quella più autentica e creativa. Accadeva negli anni Cinquanta, quando al Jamaica - il bar che ancora oggi resiste nel cuore di Brera - si ritrovavano tutti gli artisti del momento, da Lucio Fontana a Emilio Tadini, con i fotoreporter dell’epoca, Ugo Mulas in testa, mentre i giovanissimi Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e Adriano Celentano muovevano i primi passi sul piccolo palco del Santa Tecla. Ma era così anche negli anni Sessanta e Settanta quando al Derby nasceva il cabaret milanese tra improvvisazione e genialità; al Capolinea, primo capannone recuperato sul Naviglio Grande, suonavano tutti i grandi del jazz e del blues di passaggio in città, Chet Baker e Gerry Mulligan compresi, e alla Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia, Dario Fo e Franca Rame aprivano al pubblico il loro laboratorio teatrale, ribelle per vocazione. Tre decenni in cui, tra nuovi spazi, movimenti artistici e culturali, tendenze musicali e caffè letterari, le notti milanesi erano diventate il centro del mondo. Con la “Milano da bere” degli anni Ottanta e Novanta sembrava che tutto questo fermento fosse finito in un bicchiere, senza più un’anima. In realtà, alcuni tentativi di creare locali innovativi, in bilico tra il centro sociale berlinese e il lounge bar parigino, il teatro off newyorkese e il club londinese, si sono avvicendati nei decenni per accelerare il processo evolutivo della città più internazionale d’Italia e accontentare tutte le tribù (dai punk ai new wave, dai dark ai metallari fino agli hipster), sempre in cerca di nuovi indirizzi da vivere e “consumare” in velocità.Nel frattempo, però, alcuni esperimenti si sono innestati nella storia della città sopravvivendo a tutte le mode e le crisi: da Zelig, il cabaret di viale Monza 140, ancora oggi fucina dei nuovi talenti comici della stand-up comedy, nato nel 1986 da un gruppo di amici del mondo teatrale capitanati da Giancarlo Bozzo con gli autori Gino & Michele, fino ai nuovi modi di fare teatro contemporaneo, a partire dall’esperienza della compagnia dell’Elfo (oggi Elfo Puccini) a cui lo stesso gruppo di Zelig era, ed è, strettamente collegato.
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Ha senso scoprire una città partendo da un cimitero? Nel caso del Monumentale certamente sì, perché qui riposano, fra le raffinatissime tombe del Famedio, i personaggi che hanno reso grande Milano e l’Italia: da Alessandro Manzoni a Luca Beltrami, da Carlo Cattaneo a Bruno Munari, Alda Merini, Dario Fo con Franca Rame, Enzo Jannacci, Carla Fracci. Visitarlo è come entrare in un museo a cielo aperto: nel compresso, realizzato nella seconda metà dell’Ottocento da Carlo Maciachini, le statue e le lapidi realizzate per le grandi famiglie meneghine portano la firma di scultori e architetti blasonati come Manzù, Fontana, BBPR. Sia chiaro, questo cimitero non è per tutti. Se in origine era destinato a tutti i cittadini, “a tutte le forme e tutte le fortune”, la volontà municipale di farlo diventare un monumento della milanesità ha presto preso il sopravvento. Lungo i viali, all’ombra dei cipressi curatissimi, si scoprono molte curiosità. Come la tomba, oggetto di ex voto, dove riposa un prete “stregone” che secondo la leggenda faceva miracoli: si chiamava Don Giuseppe Gervasini, ed era soprannominato il prete del Ratanà. Se volete conoscere a fondo la storia chiedete a Cesare Battisti, dell’omonimo ristorante all’Isola: sarà felice di raccontarla.
Il cimitero si visita individualmente (dal martedì alla domenica, dalle 8 alle 18) o prenotando una delle visite guidate di un’ora e mezza organizzate gratuitamente -
A Nord dell’Isola, costeggiando Viale Sarca si arriva al quartiere della Bicocca: una “città nella città”, sede dell’omonima Università progettata da Vittorio Gregotti, e un tempo terra di grandi industrie come Pirelli e Falck, Marelli e Breda, che una colossale opera di maquillage sta convertendo in poli scientifici e artistici. Eclatante il caso dell’Hangar Bicocca: ex sede delle acciaierie Breda, è diventata il più importante spazio milanese dedicato all’arte contemporanea (insieme alla più recente Fondazione Prada), annunciato da una scultura in ferro di Fausto Melotti e da un giardino contemporaneo spettinato dal vento (Via Chiese 2). Poco lontano, al 222 di Viale Sarca, l’Archivio Storico della Pirelli, dichiarato di interesse storico dal Ministero dei Beni Culturali e visitabile su appuntamento, ripercorre un secolo e mezzo di storia del gruppo, tra fotografie, disegni, audiovisivi, riviste, splendidi poster dalla grafica accattivante. Anche il vicino Parco Nord, il più grande fra i parchi pubblici milanesi, rivendica un legame con la storia industriale della città (e dei Comuni limitrofi). Sorto su parte delle aree che un tempo ospitavano gli impianti della Breda, è un luogo molto amato dai milanesi, dalle famiglie con bambini agli sportivi che lì fanno jogging, giocano a calcio o corrono in bicicletta nel velodromo, fra prati, boschi, aree agricole, resti di cascine e specchi d’acqua.
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Il quartiere Isola è l’anima bohémien di questo spicchio vivace di città. Il nome non è casuale, erano “isole” le aree delle cascine circondate dai canali per l’irrigazione, finché nella seconda metà dell’Ottocento, con l’arrivo delle fabbriche e lo sviluppo della ferrovia, andò delineandosi un nuovo spartiacque fra il quartiere e la città, le case popolari degli operai e gli eleganti palazzi del centro. Dalla Fonderia Napoleonica Eugenia in un cortile in Via Thaon di Revel, partivano le campane in bronzo destinate alle chiese, e statue monumentali come quella di Vittorio Emanuele II che svetta ancora in Piazza Duomo. Questo luogo della memoria oggi è uno spazio-eventi, ma negli antichi ambienti di lavoro magicamente restaurati si può visitare il piccolo museo, denso di documenti e fotografie, che ne ripercorre la storia. Accanto, la chiesa di Santa Maria alla Fontana è l’equivalente meneghino del Duomo di Napoli: sono entrambi testimoni di “miracoli”, ma se quello partenopeo del sangue di San Gennaro è leggendario, questo non lo conosce quasi nessuno. Eppure sotto la chiesa sgorga un’acqua “benedetta” alla quale, secondo la leggenda, aveva bevuto perfino Carlo II d’Amboise, governatore della città nel XVI secolo, guarendo da una malattia. Potete farlo anche voi, scendendo la scalinata sul lato destro del santuario, fino al sacello dove si trova la vasca con i rubinetti, attraversando suggestioni fiabesche e incantevoli chiostri affrescati dalla scuola di Bernardino Luini.
Storie poetiche, in apparente contrasto con la gentrificazione alla quale è andata incontro l’area, fra locali hipster e osterie popolari, i condomini ecologici di nuova generazione a un passo dai vecchi muri delabrè ora ricoperti da murales artistici. Attorno a Piazzale Carlo Archinto si affacciano le vetrine di negozi come Ambroeus, «regno di accessori e abiti vintage pubblicato anche sul New York Times», rivela con orgoglio la giovane titolare Giorgia dell’Orto. Sul celebre quotidiano newyorchese è finito anche Giulio Guazzoni, patron di Numero 9, forse il negozio di fiori più bello di Milano, piccolo ma di un’eleganza straordinaria. Impossibile uscire da lì senza aver comprato almeno un’orchidea o un fiore di stagione, prima di perdersi nel dedalo di stradine dove cominciano i ponti e si aprono i sottopassi che sbucano al di là della ferrovia: trait d’union fra l’Isola Felix e la città dei grattacieli. -
Fra Porta Nuova e Corso Como i monumenti antichi si contano sulle dita di una mano. Qualcuno però c’è, proprio a un passo da Eataly e dalla Fondazione Feltrinelli. È il complesso di Santa Maria Incoronata, chiesa-capolavoro del Quattrocento lombardo con due facciate gemelle, quella originale di età comunale a sinistra, e quella voluta da Maria Bianca Visconti per suggellare la sua fedeltà al marito, Francesco Sforza, che proprio lì era stato incoronato Duca di Milano. Fuori dominano i mattoni a vista, dentro è un regno di penombre denso di meraviglie: il chiostro grande, una Biblioteca Umanistica, resti di affreschi, un raro crocifisso ligneo del XV secolo con il Cristo senza braccia. Il complesso confina con un’altra icona meneghina, l’Anteo Palazzo del Cinema, non una semplice multisala ma un luogo trasversale di cultura e bien-vivre che ospita una biblioteca, un’osteria per una pausa gourmand, un caffè letterario e un giardino segreto trasformato in estate in location per la proiezione di film muti. Poi il fermento culturale continua nella dirimpettaia Via Solferino, anzi, Solferino Alta, parte finale della lunga arteria (più le due “diramazioni” di via Marsala e via Castelfidardo) creata nella seconda metà del XIX secolo come collegamento fra il quartiere di Brera e i Bastioni di Porta Garibaldi. È stato durante il lockdown, a saracinesche abbassate, che i titolari di ristoranti, bar, pizzerie, hanno pensato a un nuovo modo per accogliere i clienti una volta riaperti, promuovendo una movida raffinata (e regolamentata, con chiusura entro le 2 di notte per non disturbare i residenti) in un’ottica di buon vicinato: si beve un Martini cocktail da Suzy, si cena al ristorante pugliese, per il caffè ci si sposta nella vicina torrefazione. E con la primavera arriveranno anche eventi pomeridiani e serali aperti a tutti, come le mostre d’arte diffusa fuori e dentro i locali.
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A Porta Nuova sono molte le architetture che catturano l’attenzione: il padiglione in legno progettato da Matteo De Lucchi a forma di seme, le torri Diamante e Gioia 22 (soprannominata “scheggia di vetro”), Solaria, che con i suoi 143 metri è il condominio più alto d’Italia. Alla fine del 2022 verrà inaugurato il bussolotto vetrato a firma Mario Cucinella, futura sede UnipolSai, con in cima la serra bioclimatica e suggestivi spazi per eventi culturali. Gareggerà in appeal (ma non in altitudine) con la Torre Unicredit, concepita dall’argentino César Pelli come un collage di tre edifici di diverse altezze, più la guglia di 80 metri visibile fino a 10 chilometri di distanza che le regala il primato di grattacielo più alto di Milano, bellissima soprattutto di notte, quando si accende di luci colorate. Ci si cammina attorno rapiti dall’elegante silhouette verticale. Oppure la si ammira dalle panchine di piazza Gae Aulenti, un’agorà contemporanea lastricata in ardesia, sopraelevata di una decina di metri dalla strada, con i negozi alla moda, i ristoranti affacciati sulle fontane a sfioro, i giochi d’acqua e, a uno degli ingressi, la prima opera urbana permanente dell’artista Alberto Garutti: 23 trombe in metallo cromato ottone che scendono lungo un cavèdio vuoto, creato per portare aria, luce e suggestione ai parcheggi nei piani sottostanti. La guglia Unicredit svetta anche sul pedonale Corso Como, dove le case di ringhiera dal sapore “vecchia Milano” – oggi restaurate e vendute a prezzi carissimi – sono state negli anni colonizzate dai bar con dehor e atelier alla moda, in un’atmosfera in perenne fermento. Attorno, un dedalo di vie è lo scrigno urbano di gallerie d’arte, fioristi, barberie, eleganti negozi di design d’autore come l’Officina Antiquaria, dove Luca Vitali, il proprietario, seleziona personalmente i mobili e le lampade che andranno ad arredare le case più belle di Milano. Le sue vetrine affacciate su Via Maroncelli catturano l’attenzione, ma questa è anche una zona di cortili segreti, con i vecchi magazzini trasformati in eleganti spazi per eventi e startup, oppure showroom cresciuti insieme al quartiere come quello della famiglia Girotto, nessuna insegna, solo un campanello e una porticina che quasi non si nota. Dentro però è un’apoteosi di cornici antiche o riproduzioni fedeli di pezzi d’alto antiquariato, «soprattutto Sette e Ottocento, più qualche esemplare originale degli anni Cinquanta che va a ruba fra gli architetti», rivela il titolare Paolo Girotto. Accanto comincia il cavalcavia Bussa con la pista ciclabile che sorpassa i binari della stazione alla volta dell’Isola. Dirigendosi invece nella direzione opposta si giunge in Piazza XXV Aprile, con la facciata monumentale di Eataly in quello che un tempo era il Teatro Smeraldo, operazione ancora oggi criticata dai nostalgici del quartiere. Per una pausa relax all’insegna della cultura, la silhouette vetrata della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, del duo svizzero Herzog & de Meuron, ospita la libreria, il bar-ristorante, spazi destinati ad happening, mostre, workshop e una suggestiva sala lettura al quinto piano affacciata sui tetti del quartiere, in tempi di Covid accessibile solo su prenotazione.
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I cantieri sono durati anni, poi un giorno, in tempo per Expo, i milanesi hanno aperto gli occhi su un nuovo skyline, iconico e luccicante, come mai se ne erano visti fino ad allora. I neonati grattacieli di Porta Nuova (visibili anche dall’aereo) hanno portato la modernità accanto alle case di ringhiera dell’Isola e i binari della stazione Garibaldi, trasformando questo spicchio di città in una Manhattan in miniatura, vivace e fruibile a tutti. La riqualificazione dell’area, premiata come uno dei più grandi progetti di rigenerazione urbana al mondo, ha creato anche vie pedonali incorniciate da aiuole contemporanee, ponti/passerelle e in mezzo un prato, anzi un parco, quello della BAM-Biblioteca degli Alberi: 10 ettari di specie botaniche, aree relax, spazi fitness – e spiagge di sabbia e ombrelloni in estate – che fanno da sfondo a un calendario di programmi culturali gratuiti, dai concerti ai reading di poesie, «concepiti per coinvolgere i cittadini attraverso proposte inclusive nel verde, come un teatro a cielo aperto», puntualizza il Direttore Generale Kelly Russell Catella.
La scoperta del distretto Isola-Garibaldi-Porta Nuova parte da lì, da quel prato che unisce e allo stesso tempo divide, ma soprattutto cattura, invita a entrare, a camminare su e giù per i vialetti curatissimi, incorniciati dal mosaico di architetture futuristiche, alla ricerca dell’inquadratura migliore per fotografarle. Adesso che le piante sono cresciute, il Bosco Verticale di Stefano Boeri sembra davvero una foresta urbana, con gli alberi e le 15.000 specie perenni che avvolgono i balconi dei due palazzi residenziali di 80 e 112 metri d’altezza, dove tutto è calcolato (e curato) da un team di giardinieri e biologi. Alle spalle, un minuscolo prato fa sfondo agli uffici di Google e la Casa della Memoria, voluta dal Comune per esprimere quei valori di cui Milano è sempre stata portatrice: la lotta contro il nazifascismo, le vittime del terrorismo e delle stragi, la Resistenza, qui ricordati grazie a un calendario di mostre e conferenze aperte alla città. Non è lontana dall’ex deposito ferroviario in stile Liberty che ospita la già citata Fondazione Catella e Ratanà, ristorante di cucina milanese reinterpretata in chiave healthy, limitando l’utilizzo di grassi, dallo chef-patron Cesare Battisti. Ascoltare i suoi racconti nei rari momenti in cui non è ai fornelli, è il miglior modo per lasciarsi trasportare nell’anima intima e segreta del locale, e del quartiere: «Quando abbiamo aperto, nel 2009, attorno non c’era niente, solo ettari di fango delle ex Varesine (il vecchio luna park, ndr) e la Stazione Garibaldi dei treni. Abbiamo realizzato i mobili fondendo il ferro dei binari, con l’aiuto di un bronzista della Scala di Milano. Il marmo Candoglia del bancone del bar invece proviene dagli “scarti” della fabbrica del Duomo». A fare da collante fra l’anima creativa dell’Isola e la città del futuro che le è sorta accanto, il parallelepipedo della Stecca 3.0., progettato sempre da Boeri, ospita attività fra il commerciale e il sociale: al piano terra l’officina per la riparazione di biciclette e una falegnameria alla quale tutti possono iscriversi, partecipando gratuitamente a corsi e workshop; sopra, uno spazio eventi con vista sui grattacieli e gli orti della BAM. - Mostrar más