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Gli ultimi tre concerti di Mozart vedono la luce proprio quando il suo successo come pianista a Vienna volge a un rapido declino. Da un lato le straordinarie innovazioni nella forma e nello stesso linguaggio musicale disorientavano il pubblico, dall’altro il genio teatrale di Mozart è adesso assorbito dal teatro “vero”, con l’avvio della trilogia di opere su testo di Da Ponte. Nel dicembre 1786 vede ancora la luce il Concerto n.25, K.503, ma negli ultimi cinque anni di vita del musicista nascono solo altri due concerti per pianoforte: il n.26 K.537, nel quale alcuni studiosi vedono già in nuce l’origine del nuovo modello di concerto dell’epoca Biedermeier, e il malinconico, delicatissimo n.27, K.595.
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La serie dei concerti di Mozart prosegue a ritmo serrato, arrivando a quelli che restano i suoi lavori più amati ed eseguiti. Tra questi i Concerti n.21, 23 e 24 (K.467, 488 e 491): quest’ultimo in particolare, in tonalità di do minore, si colora di una tinta più drammatica, che sembra a tratti prefigurare il mondo poetico ed espressivo di Beethoven: il quale non a caso, all’inizio della sua attività di pianista a Vienna, aveva in repertorio forse questo, e certo l’altro concerto di Mozart in tonalità minore, il n.20 K.466, in re minore.
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In conseguenza del successo a Vienna come pianista-compositore, Mozart sforna nel biennio 1784-’85 una serie di concerti pianistici in una straordinaria combinazione di quantità e qualità. Infatti nell’arco del 1784 nascono i Concerti n.14, 15, 16, 17, 18 e 19 (K.449, 450, 451, 453, 456 e 459). Anche il 1785 inizia con una composizione tra le più conosciute ed eseguite, il n.20 (K.466) – unico concerto mozartiano nella tonalità di re minore. In ognuna di queste composizioni, sempre distinte da una spiccata originalità e senza mai ombra di routine, si sviluppa e arricchisce l’idea di un vero e proprio teatro strumentale.
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Dopo i concerti salisburghesi passiamo ai primi concerti viennesi di Mozart. Nel 1781 il giovane musicista decide di lasciare l’ambiente un po’ provinciale della natia Salisburgo per lanciarsi alla conquista della grande capitale, Vienna, che lui stesso definisce “il regno del pianoforte”. L’esordio con il nuovo pubblico è affidato a tre nuovi concerti che lui stesso definisce perfettamente: « una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile; molto brillanti, gradevoli all’orecchio e naturali, ma senza cadere nella vacuità. In alcuni punti solo gli intenditori possono ricavarne diletto, ma in modo che anche i non intenditori restino contenti, pur senza sapere perché». Questi concerti segnano l’inizio del suo grande successo a Vienna come pianista-compositore.
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I concerti salisburghesi di Mozart sono al centro di questa puntata a partire dall’esordio con il Concerto K.175, che apre uno straordinario percorso. Il genere si rivela subito congeniale a Mozart per le implicite connotazioni teatrali nel rapporto, sempre più articolato, del solista con l’orchestra. Nei suoi ultimi anni salisburghesi nascono altri tre concerti per pianoforte, nonché i due curiosi quanto felici “esperimenti” di un concerto per due pianoforti e uno per tre pianoforti. Questo primo momento creativo si conclude con un capolavoro, nel quale si rivelano tutte le potenzialità di questa forma e la geniale originalità dell’autore: il Concerto in mi bemolle K.271 “Jeunhomme”.
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Nella preistoria della parabola del concerto pianistico di Mozart troviamo in primo luogo il nome e l’opera di Johann Christian Bach, per il quale il giovanissimo musicista austriaco nutre un’amicizia personale e ammirazione per la sua opera. Mozart poco più che bambino si esercita in questa forma partendo da brani di vari autori per tastiera, e poi trasformando tre sonate dell’amico in altrettanti concerti per tastiera e archi: solo dopo questo apprendistato è pronto a partire con il suo primo lavoro originale, il Concerto n.5 in re maggiore, K.175, che sarà un suo cavallo di battaglia a Salisburgo e ancora nei suoi primi anni viennesi.
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Dalla Germania dei Bach, il genere del concerto per strumento a tastiera e orchestra trova terreno fertile anche nell’Impero Austro-Ungarico. A Vienna musicisti quali Wagenseil – autore stranamente ignorato anche dalla discografia – e Schroeter adattano a questa forma i nuovi dettami di gusto dello “stile galante”, in termini analoghi e paralleli alle raccolte di concerti pubblicate negli anni ‘70 da Johann Christian Bach; ma è soprattutto Haydn che, nella sua produzione più matura, si affianca ai primi capolavori del giovane Mozart: i concerti per pianoforte e orchestra di Haydn restati in repertorio sono soprattutto tre, tra i quali spicca decisamente il Concerto in re maggiore.
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I due figli maggiori di Bach, Wilhelm Friedmann e Carl Philipp Emanuel, ebbero parte attiva, forse anche come interpreti, nella realizzazione dei Concerti destinati alle esecuzioni del Collegium Musicum di Lipsia: e in seguito coltivarono e interpretarono questa forma partendo dal modello paterno, ma per poi svilupparla in modo originale. Fu però il figlio più giovane, Johann Christian, a coltivare il genere del concerto – adesso con il fortepiano al posto del clavicembalo – e a rinnovarlo radicalmente adattandolo alla nascente forma sonata, e aprendo la strada al concerto classico e a Mozart in particolare
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Alle origini del concerto pianistico troviamo la grande figura di J.S. Bach, anche se certamente già coadiuvato dai suoi due figli maggiori Wilhelm Friedmann e Carl Philip Emanuel. In realtà questi concerti destinati al clavicembalo, ma entrati anche nel repertorio del moderno pianoforte, nascono come trascrizioni di altre precedenti composizioni per venire incontro alla pressante richiesta di musica di una società di musicofili di Lipsia, il Collegium Musicum. Anche i concerti “per organo o clavicembalo” di Haendel nascono come trascrizioni e adattamenti, anche se non sono mai entrati nel repertorio del pianoforte.