エピソード
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Maria Stella Madonia e Giovanna Santoro. Si potrebbero definire donne eccellenti e per il carisma e per la capacità di tenere in mano, per un periodo, la rotta di comando dentro cosa nostra nissena. La prima è la sorella e la seconda la moglie di Giuseppe Madonia, condannato all'ergastolo nel 2006 per le stragi di Capaci e di via D'Amelio. La sentenza divenne definitiva nel 2008. Con il dottor Marco Garofalo, direttore della Prima divisione del Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, racconteremo queste figure femminili, legate tra loro non solo da vincoli parentali, accomunate sì dalla stagione stragista di cosa nostra, ma ancor di più simboli di quella gestione del potere che ha tra i suoi punti cardinali il concetto di fedeltà e la seguente fidelizzazione. Un binomio che ha permesso loro non solo di essere rispettate ma anche ascoltate all'interno del groviglio criminale siciliano dove erano gli uomini i primi e soli a comandare. Una scriverà a Bernardo Provenzano per favorire all'interno di alcuni appalti un uomo di fiducia, l'altra si avvierà in tempi ancora non matura agli affari illeciti nelle scommesse. Entrambe commenteranno omicidi, come quello di Lorenzo Vaccaro, non solo per parlarne ma dando prova di essere non solo a conoscenza di quello che accadeva dentro cosa nostra ma di indirizzarne in un certo senso anche le sorti
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La chiamavano così, mamma o nonna eroina, Maria Serraino morta nel 2017 all'età di 86 anni. Gran parte della sua vita l'ha trascorsa a Milano, foraggiando una delle principali piazze di spaccio con quella che era la droga del momento, dunque l'eroina, ma cambiando poi, come ha fatto la città che è diventata la “Milano da bere”, e sostituendo all'eroina la cocaina. Aveva messo su un impero e ai suoi piedi aveva un esercito di gente che spacciava e filava dritto. In strada ci aveva messo pure i ragazzini e questo lo vedremo nel corso della puntata le creò non pochi problemi. Antesignana anche delle consegne a domicilio, la Serraino faceva recapitare la droga in ogni dove, a tutti quelli che la chiedevano. E ci era partita da un piccolo comune di appena 1.300 abitanti che non si trova senza una cartina geografica a portata di mano: Cardeto, nella provincia di Reggio Calabria. Dunque eccola Mamma eroina e poi mamma cocaina raccontata oggi dal Tenente colonnello Andrea Leo, del servizio centrale del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei carabinieri.
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Da picciridda Maria Angela Di Trapani avrebbe voluto studiare, crearsi un futuro affrancandosi da quella famiglia che già negli anni ottanta comandava in una zona di Palermo. Lo dirà il fratello in una delle tante intercettazioni captate in carcere: "Maria Angela era brava poi però ci ha dovuto seguire" perché sia lui che il padre erano latitanti. E questo non fa di lei una persona "nobile" ma una persona debole. La Di Trapani, nata a Cinisi nell'aprile del 1968, sposerà poi uno degli appartenenti alla famiglia Madonia che nel quartiere di Resuttana aveva, alla stregua dei Di Trapani, il proprio peso. Da lì inizierà il suo percorso che la vedrà non solo "messaggera" prediletta del volere dei capi mandamento rinchiusi al 41 bis e il territorio ma anche abile e credibile interlocutrice all'interno di cosa nostra. La racconta in questa nuova puntata di Donne di Mala, il tenente colonnello Antonello Parasiliti, a capo del reparto anticrimine del Ros - il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei carabinieri - di Palermo. Maria Angela Di Trapani prenderà parte alle decisioni che contano, come l'eliminazione di un capo mandamento quale Giovanni Bonanno. La Di Trapani parlerà per conto della propria famiglia con i vertici di cosa nostra, gestirà le risorse economiche della famiglia e non si pentirà. Nell'ultimo arresto datato 2017, uscirà di casa, con le manette ai polsi, il volto scoperto e lo sguardo alto. Quello di chi crede di essere nel giusto.
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Nelle aule dei tribunali, dove si presentava in qualità di imputata, entrava sempre prima degli avvocati che la difendevano. A testa alta, con lo sguardo puntato dritto alla corte quasi in segno di sfida. Si chiama Teresa Gallico, attualmente al 41bis dopo esser stata condannata per associazione mafiosa. Si trova nel carcere di massima sicurezza de L'Aquila. Da qui uscirà - salvo ulteriori condanne al termine di altri processi che pure la riguardano - quando avrà ormai 80 anni ma fin da quando era una ragazza si è sporcata le mani, deliberatamente e senza mai esitazione, con gli affari sporchi dell'omonima famiglia. Tutt'altro che clan secondario, quello dei Gallico: attiva fin dagli anni Settanta del secolo scorso questa 'ndrina ha conquistato il potere imponendosi su altre famiglie nel territorio di Palmi, in Calabria. Tolti i "capi" Domenico e Giuseppe che pure condannati all'ergastolo hanno sempre impartito ordini, Teresa Gallico è stata la vera reggente della cosca per anni. Ha gestito gli affari e le estorsioni, rappresentando un modello "unico" di donna di mala sullo scenario criminale calabrese, come racconta, in questa nuova puntata, Alfonso Iadevaia, oggi dirigente della Squadra Mobile di Reggio Calabria. "La Gallico - dice - va oltre le regole della 'ndrangheta stessa".
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Paola, in provincia di Cosenza, è una piccola cittadina che si affaccia sul mar Tirreno. Qui, per un reiterato errore storico, si crede che la 'ndrangheta non abbia messo radici ma la storia di Nella Serpa racconta tutt'altro. Chi la conosceva prima ancora che decidesse di scalare l'omonima cosca mettendo da parte cugini e parenti, non avrebbe scommesso su di lei. La chiamavano la "bionda" per via dei suoi capelli chiari e per il colorito della carnagione. Docile all'apparenza riuscì, animata da una sete di vendetta, a diventare l'unico capo della cosca. Strinse alleanze con famiglie criminali di Cosenza, coprì latitanze e foraggiò l'acquisto di armi al fine solo di avere poi le spalle coperte. E quando le ammazzarono il fratello, decise di vendicarsi e ci riuscì: il mandante di quell'omicidio fu crivellato di colpi mentre si trovava in un ristorante su quella statale che da Scalea costeggia tutta la costa, uno degli esecutori fu fatto a pezzi e buttato in una porcilaia. Nella Serpa voleva "firmare" quegli omicidi ma dovette "accontentarsi" di restare a guardare: non è bene, in certi contesti, che i capi si sporchino le mani. La sua storia la raccontiamo con il Tenente Colonnello Giovanni Migliavacca a capo del Ros - il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri - di Catanzaro. Nella Serpa tuttavia anche per quegli omicidi nonché per i reati di estorsione e associazione mafiosa è stata condannata all'ergastolo. Non si è mai pentita. E' tuttora detenuta al 41bis nel carcere di massima sicurezza de L'Aquila.
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Donna minuta e pure aggraziata con lo sguardo vitreo, lo sguardo di chi non conosce sentimenti. Uno dei suoi soprannomi più celebri sarà appunto "occhi di ghiaccio" anche se Maria Licciardi, nata nella primavera del 1951, passerà alla storia come la mamma della camorra. A raccontare il carattere e la caratura criminale saranno, in questa nuova puntata di "Donne di mala" la dottoressa Nunzia Brancati a capo della Divisione Anticrimine della Questura di Napoli e il tenente colonnello Andrea Manti, comandante del reparto Anticrimine del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei carabinieri di Napoli. Ambiziosa, decisa a vedersi riconoscere un ruolo non marginale all'interno del clan. Aiutata in questo anche dal marito, quel principe consorte come spiegava la dottoressa Brancati che proprio per il ruolo e la posizione che decise di assumere permise alla moglie di emergere. E donna poi intraprendente, quasi spavalda, a tal punto che alla fine degli anni Novanta fu fermata casualmente durante un controllo in auto con una delle sorelle: trasportava quasi 300 milioni delle vecchie lire. Nasce così: come donna che pensava a mantenere le famiglie dei detenuti, a impartire gli ordini che arrivavano dal fratello, fino ad arrivare poi all'apice dell'alleanza di Secondigliano.
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"Due donne minute, curate, di bell'aspetto, spigliate del tutto lontane da quello stereotipo di ragazze cresciute in un piccolo paese della Locride, come San Luca". Con queste parole il dottor Alfonso Iadevaia, dirigente della Squadra Mobile di Reggio Calabria descrive le sorelle Strangio. Teresa ed Angela sono due dei cinque figli di Antonio Strangio. Di lui più che le personali vicende criminali si ricorderà solo questo: il nome della sua famiglia che con i figli al comando identificherà una delle cosche più pericolose di 'ndrangheta. Quella che poi firmerà la strage di Duisburg. Tra questi figli ce ne sono due che, apparentemente irrilevanti dal punto di vista criminale, si riveleranno invece due astute, fedeli e convinte servitrici della cosca. Crescono all'ombra dei fratelli ma giovanissime sposeranno due uomini che ben presto le trascineranno o quantomeno le coinvolgeranno in attività illecite. Teresa Strangio nasce il 21 dicembre 1976 a Locri, la sorella, Angela, è di qualche anno più piccola, classe 1980.
Nell'informativa della Squadra Mobile di Reggio Calabria del 29 settembre 2009 sulla strage del 15 agosto 2007 diverse pagine sono dedicate a queste due sorelle all'interno di una riflessione più ampia sul ruolo della donna in contesti 'ndranghetisti. Nelle carte si legge: "Esse, ovvero le donne di 'ndrangheta, non sono solamente consapevoli, ma condividono appieno le strategie criminali del clan, partecipando alla realizzazione di quei programmi; sono madri, mogli, figlie, sorelle e cognate che si adoperano per trasferire i latitanti, per trattare l’acquisto di armi, per gli ingenti flussi di denaro, ricavi delle attività illecita. La moglie di un boss latitante è di fatto il suo alter ego, colei che rappresenta quel potere fondato sul riconoscimento di un rispetto indiscutibile". E Le sorelle Strangio raffigurano tutto ciò che è stato descritto: abili strateghe di metodi gestionali della famiglia e laeder indiscusse nel dare ausilio ai propri uomini nel compimento dello loro attività criminali. -
Si potrebbe definire un alter ego perfetto, la figura che per anni ha vestito gli abiti di quel fantasma, ancora ricercato, a cui tutti dentro cosa nostra hanno dato ascolto, almeno nella compagine del nucleo mafioso trapanese. La sua figura e il ruolo poi ricoperto non è stato mai contrastato o criticato. Le si è sempre riconosciuta l'importanza che in certi ambienti si deve ai capi. Lei è stata un capo, al posto e per voce del fratello. Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del superlatitante, nata a Castelvetrano il 18 settembre 1970. Ha controllato gli affari di famiglia, governato le estorsioni, è stata il megafono del fratello, l'unica a poterlo trovare e contattare per ricevere ordini da impartire alla base.
Alla sua storia criminale si affianca quella giudiziaria. Nel 2014 di fronte alla corte del tribunale di marsala la denaro disse: “Non faccio parte di Cosa nostra. Io pago per il cognome che porto, ma di cui sono orgogliosa. Da vent'anni non ho contatti con mio fratello Matteo". Condannata in via definitiva per mafia sta scontando la sua pena in carcere. -
Maria Mesi è nata a Palermo, l'11 novembre 1965. Per alcuni anni è stata la compagna del superlatitante Matteo Messina Denaro. Verrà processata con l'accusa di favoreggiamento proprio perché a metà degli anni novanta aiutò Denaro a nascondersi. Che ci fosse un legame tra lei e il ricercato, emerse anche da alcune lettere che la donna scrisse al Denaro in cui, oltre all'amore, traspariva il suo interesse nel fare in modo che all'uomo non mancasse nulla, compresi i viveri.
Nella sentenza della Corte di Appello di Palermo si legge anche come la donna avesse messo a disposizione del latitante altri due appartamenti che si trovavano a Bagheria, in via Puglisi 10 e in via Mattarella 65. I contratti di fornitura dell'Enel che poi furono chiusi nel 1995 e nel 1996 erano stati formalmente intestati a Graziella Ferrara, un'amica della Mesi, senza che quest'ultima abitasse di fatto in questi immobili. La difesa della Mesi provò a smontare le accuse, partendo dal fatto che in nessuna occasione fu accertata la presenza del latitante in questi appartamenti.
I legali della donna provarono anche a sconfessare che le lettere d'amore trovate nel groviglio dei pizzini fossero state scritte dalla loro assistita ma furono svolte delle perizie che consentirono di verificare una concordanza delle caratteristiche generali, come la pressione, la dimensione, i rapporti proporzionali , la spaziatura. Insomma le lettere non potevano avere altri autori, poi ci furono le testimonianze di alcuni collaboratori fino a La Corte d'Appello confermò la sentenza del tribunale di Palermo emessa il 29 marzo 2001. Attualmente, dopo aver pagato il suo conto con la giustizia, è una donna libera. Non ha mai confessato il legame con il superlatitante. -
Donna di fredda determinazione, sanguinaria, capace di commettere qualsiasi azione criminosa. Dotata di una elevata capacità a delinquere, nonché di sapere organizzare e dirigere le folte fila dell’organizzazione camorristica della nuova camorra organizzata. Viene descritta così Rosa Domenica o Rosetta Cutolo in un'informativa dei carabinieri di Torre Annunziata. E' il 1984 ma la Cutolo fa già parlare di sé. Sarà lei a fare le veci del capo clan, il fratello Raffaele, "o professore” deceduto il 17 febbraio 2021 mentre scontava vari ergastoli in regime di 41Bis per i molteplici e gravissimi reati (omicidi, associazione per delinquere, violazione della normativa sulle armi e degli stupefacenti) commessi per lo più tra gli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso. A tracciare il profilo umano e criminale di questa donna di mala è la dottoressa Nunzia Brancati, dirigente della divisione Anticrimine della Questura di Napoli.
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Nel contesto malavitoso calabrese la ricordano ancora come la "marescialla" ma si chiama Aurora Spanò. Lei, donna minuta ma donna di mala, è stata capace di tenere per anni le fila di una delle più note e potenti cosche di 'ndrangheta.
Nata a Rosarno il 25 gennaio 1947 diventa infermiera e presta servizio nel piccolo ospedale di Polistena, cittadina di neanche 10 mila anime nell'entroterra calabrese. Poi però scala la vetta della famiglia Bellocco, che a suon di estorsioni, narcotraffico, usura ha imposto il suo controllo non solo nella piana di Gioia Tauro. Ramificazioni se ne sono contate in giro per l'Italia ed anche all'estero – dal Libano alla Grecia - e solo il 13 dicembre 2022 un'altra grande operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ha portato il gip a emettere contro la cosca 63 ordinanze: 47 persone sono finite in carcere, 16 ai domiciliari mentre per altre due è stato disposto l'obbligo di dimora. Altre 13 misure cautelari sono state emesse su richiesta della Procura di Brescia che ha coordinato un'indagine collegata a quella calabrese.
Ormai settantenne, Aurora Spanò è stata comunque un personaggio di primo piano della cosca. Nel piccolo paese di San Ferdinando nulla si muoveva senza che lei fosse d'accordo. Che si trattasse di aprire un locale o prendere in affitto un appartamento: era Aurora che dava o meno il via libera. Di mano dura anche nella riscossione dei crediti da parte dei debitori, si fece "recapitare" a casa la sorella di alcuni imprenditori taglieggiati e le fece capire, a suo modo, che i fratelli dovevano rientrare altrimenti ci sarebbero stati dei problemi.
La Spanò entra nella cosca dei Bellocco unendosi, dopo un primo matrimonio a Giulio Bellocco, al vertice della consorteria. Non lo sposerà mai però e si vendicherà anche di chi proverà a deridere la sua condizione in un contesto sociale dove la "compagna" di un uomo non merita il "rispetto" che si deve solo alle mogli. E comanderà anche dentro il carcere, con la stessa forza e arroganza proprie dei boss costringendo compagne di cella a servirle il pranzo o a pulire i sanitari. Questo e molto altro è raccontato dal Maggiore Diego Berlingieri, a capo del Ros – il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri – di Reggio Calabria. -
Che volto ha il male, quello che si perpetra nella convinzione di essere nel giusto? Quello che si tramanda e si difende? Non sono solo gli uomini a tenere le redini di clan di camorra e cosche di 'ndrangheta. A volte al loro posto - perché arrestati o condannati oppure perché latitanti - arrivano le donne. In alcuni casi con sguardi docili e lineamenti gentili in altri con la ferocia di cui neanche gli uomini più violenti sono capaci, hanno comandato punizioni e omicidi, portando avanti gli affari criminali e soprattutto impartendo ai loro figli quei disvalori che fanno delle associazioni mafiose italiane un "unicum" mondiale. Perché sono loro il "nocciolo duro" di decine di famiglie mafiose, sono loro l'architrave su si cui reggono intere consorterie. Custodiscono il male, quello che non si rifugge né si rinnega neanche quando arrivano gli arresti e poi le condanne definitive che le vedono colpevoli di associazione mafiosa e per questo sottoposte al carcere duro.
In questo primo podcast di "Donne di Mala" con il contributo di Marco Garofalo, direttore della prima Divisione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, e del colonnello Lucio Arcidiacono, a capo del I Reparto investigativo Servizio Centrale del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri, parleremo delle profonde analogie ma anche delle differenze che legano dodici figure femminili che per anni hanno governato clan, famiglie e organizzazioni mafiose al posto degli uomini. Dalla Calabria alla Sicilia fino alla Campania. Tratti comportamentali unici e ricorrenti posti alla base di azioni criminose alcune sfociate poi anche in condanne all'ergastolo. E quella difesa imperterrita dell'omertà che lega e unisce queste dodici figure, nessuna delle quali ha mai mostrato pentitismo.
Nelle prossime settimane racconteremo tra le altre Aurora Spanò, la "marescialla" dei Bellocco, una delle più note cosche di 'ndrangheta che per anni ha tenuto in mano e fatto affari d'oro non solo nella piana di Gioia Tauro, racconteremo Maria Serraino, meglio conosciuta come "mamma eroina" che sempre dalla Calabria arrivò in Lombardia e creò a Milano una delle più note organizzazioni criminali legate al traffico degli stupefacenti. E poi ancora Rosetta Cutolo a capo della nuova camorra organizzata, Cinzia Lipari, la "messaggera" di Bernardo Provenzano. Ci sarà tempo per raccontare le donne del super latitante Matteo Messina Denaro - la sorella Patrizia, la prima fidanzata Maria Mesi - le sorelle Angela e Teresa Strangio che coprirono e aiutarono la latitanza di chi firmò la "strage di Duisburg". Ci sarà tempo per raccontare la ferocia di Nella Serpia, altra donna di 'ndrangheta, che mossa dalla sete di vendetta fece trucidare il responsabile dell'omicidio del fratello sotto ai suoi occhi.
Dodici come gli apostoli, dodici come il numero che simboleggia l'unità, dodici figure femminili che non hanno mai combattuto l'abisso. -
Maria Licciardi, Aurora Spanò, Patrizia Messina Denaro, Angela Di Trapani, Rosetta Cutolo, Cinzia Lipari, Angela e Teresa Strangio, sono solo alcune delle Donne di mala che per anni hanno governato o aiutato alcune delle più note organizzazioni mafiose italiane. Donne che hanno cresciuto ed allevato i figli inculcando loro quei disvalori che fanno delle associazioni criminali italiane un unicum mondiale. Perché come nelle famiglie, sono loro il “nocciolo” duro dell'organizzazione. Dalla 'ndrangheta alla camorra, fino a cosa nostra. Donne al vertice che prendono il posto di mariti, padri, fratelli e compagni carcerati e mandano avanti gli affari dei clan, le estorsioni, lo spaccio. Dodici puntate, ognuna dedicata a una donna di mala, raccontate da Camilla Mozzetti con l'Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato