エピソード

  • Indipendentemente che si leggano romanzi o saggi, quando si legge per il piacere di leggere, i benefici che se ne traggono sono numerosi, a partire da quello psicologico, visto che la lettura aiuta a rilassare la mente e il corpo. Leggendo si allentano le tensioni muscolari, rallenta il ritmo cardiaco, si abbassano notevolmente i livelli distress, quindi migliora l’umore e si facilitano il riposo e il sonno. Inoltre secondo varie ricerche scientifiche la lettura porta a rallentare il normale processo di invecchiamento cognitivo, perché leggere implica utilizzare, e quindi allenare, la memoria, l’attenzione e la concentrazione, abilità logiche inferenziali e di collegamento tra informazioni, aumenta il bagaglio di conoscenze personali e stimola la riflessione e la comprensione di situazioni, fatti e persone. Questo implica un miglioramento nella relazione con gli altri perché sviluppa l’empatia. Un altro vantaggio ancora è quello linguistico: la lettura non solo allarga il ventaglio lessicale permettendo di imparare nuovi vocaboli, ma aiuta anche a migliorare le competenze grammaticali, ad assimilare strutture sintattiche che siamo poco abituati a sentire e ad usare, porta a utilizzare il linguaggio in modo più fluido e flessibile, permettendoci diesprimere i nostri pensieri e le nostre emozioni in modo più chiaro e più preciso e di riconoscere ed esprimere quelle sfumature di significato che fanno assumere al messaggio un significato diverso. Per quanto riguarda i bambini, i benefici sono addirittura maggiori e influenzano le loro intere vite. L’amore per la lettura inizia dalmomento in cui il bambino sente la mamma che gli parla mentre lo tiene in braccio, accoccolati insieme, stimolando la sua percezione uditiva grazie alla sua voce, la percezione tattile grazie al contatto dei corpi, la percezione visiva grazie allo sguardo condiviso e all’osservazione del libro… Diventa un momento magico in cui il bambino si abbandona alla madre sentendosi sicuro. È un momento di condivisione speciale in cui si crea un’intimità che fa sentire il piccolo sostenuto, accolto e amato, quindi in grado di esplorare il mondo, sia quello esterno, sia il suo mondo interiore fatto di emozioni e pensieri che ancora non sa riconoscere, verbalizzare ed esprimere. È un momento in cui il legame tra i due si rafforza e il tempo condiviso diventa preziosoper entrambi…

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  • Di per sé il termine “giudicare” non ha un’accezione negativa. Non è necessariamente sinonimo di "criticare", come spesso si pensa. In effetti è praticamente impossibile non giudicare: siamo biologicamente predisposti per farlo, abbiamo delle aree del cervello deputate a questo, e lo facciamo fin da piccoli. Giudicare ci serve per sopravvivere.Prova ne sia il fatto che la maggior parte dei giudizi che diamo sono inconsapevoli e immediati: ogni giorno ognuno di noi compie infinite scelte per muoversi nell’ambiente in cui vive e per rapportarsi con il mondo esterno. Queste scelte derivano necessariamente dal giudizio che diamo alla situazione che stiamo vivendo, cioè da una valutazione che ci consente di categorizzare gli elementi che la contraddistinguono e quindi di prendere decisioni rapide e più efficienti possibile.

    La tendenza a giudicare una persona o una situazione assume una connotazione negativa quando non si tratta più di discernimento e categorizzazione, ma di valore negativo che attribuiamo loro sulla base delle nostre aspettative e delle nostre opinioni rispetto a come dovrebbero essere. Il giudizio negativo scatta quando non riusciamo a considerare che quella situazione, quella parola, quell'azione che non ci è piaciuta va presa per quello che è e non per quello che suscita dentro di noi: quando una persona fa o dice una cosa che non ci piace, tendiamo a giudicare l’intera persona inveceche quel singolo comportamento o quella singola parola, dando per scontato chese l’ha fatto una volta lo farà abitualmente. Sostanzialmente si tende a mescolare le proprie opinioni con i fatti, a confondere quello che sembra con quello che è, a sostituire nel nostro linguaggio interno il verbo sembrare con il verbo essere.

    Usare strumenti come l’osservazione, l’ascolto e il confronto significa cominciare a togliersi dagli occhi un po’ di quei filtri che agiscono come lenti deformanti della realtà che vogliamo giudicare. In fin dei conti, quando giudichiamo senza usare comprensione ed empatia, il più delle volte facciamo del male sia a noi stessi che all’altra persona.

    Che perdite enormi può causare il giudizio! Nelle relazioni tra parenti, nei rapporti di coppia, tra amici… Purtroppo anche tra genitori e figli.

    Partendo dal presupposto che lo sviluppo psicologico ed emotivo di un bambino, e quindi anche la percezione di sé e la sua autostima, vengono grandemente influenzati dai messaggi che riceve dai suoi genitori e dagli altri adulti di riferimento, compresi nonni, insegnanti e babysitter vari, un bambino che si senta giudicato e criticato daisuoi punti di riferimento adulti può arrivare facilmente e velocemente a perdere fiducia in se stesso e nelle proprie abilità… Quali soluzioni educative adottare per evitarlo?

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  • “Ancora qualche minuto e poi lo faccio”, “Da domani sono a dieta”, “Non sono dell’umore giusto, non posso farlo adesso”, “Aspetta, prima devo fare un’altra cosa!”. Queste sono le frasi tipiche di chi cerca di procrastinare, ovvero di rimandare a un secondo momento l’esecuzione di un compito che ci sembra troppo grande o troppo brutto o troppo difficile da affrontare. Sembra che alla base di questo comportamento ci siano caratteristiche cognitive ed emotive: da un lato, una difficoltà nella gestione degli aspetti attentivi e organizzativi, oltre che dell’abilità di attivazione e delle risposte inibitorie; dall’altro una difficoltà nella gestione delle emozioni negative. Stress e paura di fallire ci tirano da una parte, il senso di colpa perché non stiamo facendo il nostro dovere ci tira dalla parte opposta. Il compromesso che la nostra mente escogita è quello del “Lo faccio, ma lo faccio dopo (o domani)”, con il risultato che ci resta costantemente vivo il pensiero di quello che dovremmo fare ma non stiamo facendo –quindi percepiamo una continua e subdola forma di tensione dietro le quinte- e allo stesso tempo evitiamo di guardare in faccia le nostre insicurezze, o paure, e quelli che percepiamo come limiti. Questo significa che evitiamo di dare ascolto alle nostre emozioni negative legate a quel compito ecosì non impariamo a gestirle. Che la tendenza a procrastinare appartenga a un adulto, a un ragazzo o a un bambino, si tratta comunque di un comportamento appreso e quindi modificabile nel tempo o addirittura contenibile o evitabile.

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  • Quando si compie un gesto d’amore o di amicizia verso qualcuno, soprattutto quando costa una certa fatica, lo si fa perché si vuole far stare bene l’altra persona. Dare un contributo più o meno importante al suo benessere è il premio che si riceve per quel gesto. Quando questo si trasforma in sacrificio? Cos’è l’autosacrificio e cosa lo innesca? A volte dietro un gesto apparentemente altruistico si nasconde una forma di egoismo, mentre un egoismo “sano” può addirittura essere altruista!

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  • Ogni nostra azione ci ritorna indietro moltiplicata. Ce lo dice la scienza.

    Sono tante le culture, le correnti di pensiero, le religioni e i presupposti scientifici che parlano di questo. In particolare la meccanica quantistica ci parla di ”correlazione quantistica”, ovvero quel fenomeno per cui due particelle che hanno proprietà correlate si influenzano istantaneamente e reciprocamente come se fossero un unico oggetto anche se si trovano a grande distanza l’una dall’altra; e la fisica ci spiega il fenomeno della Risonanza per cui due pendoli disposti sulla stessa parete tendono a sintonizzare il proprio movimento oscillatorio sulla stessafrequenza, così come un diapason che produca onde a una certa frequenza, seposto vicino a un diapason statico, innesca la vibrazione di questo ultimo… Il fenomeno di risonanza generalmente provoca un aumento significativodell’ampiezza delle oscillazioni e questo vale non solo per gli oggetti ma anche per le persone.

    Albert Einstein disse: ”Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. SINTONIZZATI ALLA FREQUENZA DELLA REALTÀ CHE DESIDERI E NON POTRAI FARE A MENO DI OTTENERE QUELLA REALTÀ. Non c’è altra via. Questa non è filosofia. Questa è fisica”.

    Quindi, secondo numerosi principi, noi emaniamo una certa energia attraverso pensieri, emozioni, parole e azioni e attraiamo a noi persone e situazioni che vibrano alla stessa frequenza dell’energia che emaniamo. I nostri pensieri sono delle potenziali realtà, infinite possibili realtà, delle quali si manifesta e si realizza solo quella che è più in risonanza con l’energia che emaniamo in ogni preciso momento della nostra vita.

    È scomodo da ammettere, ma di fatto questo significa che noi siamo responsabili di ciò che ci accade.

    Quindi, io non ho dubbi: per noi, per i nostri bambini, per le persone a cui vogliamo bene e anche per tutte quelle che non conosciamo, entriamo nell’ottica di emanare amore e positività. Sono sufficienti piccoli accorgimenti quotidiani…

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  • Questo è un episodio importante per me, perché un anno fa è uscito il primo episodio di questo podcast. Per festeggiare l'anniversario ho deciso di presentare un libro che considero molto speciale, commovente e pieno di spunti di riflessione. Per questo motivo oggi non affronto un solo argomento, ma diversi, in parte già trattati in precedenza, ma pur sempre importanti e utili da ricordare, in parte nuovi, eventualmente da approfondire nei prossimi episodi. Tra i temi toccati ci sono: i modelli di riferimento che ci scegliamo, la capacità di ascoltare,l’accettazione e il non attaccamento, la gratitudine, lo spirito di sacrificio,l’identificazione con le etichette che ci vengono affibbiate e il ritrovare noistessi…

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  • EPISODIO 36. IN EQUILIBRIO TRA TROPPO E NIENTE

    Mi sono chiesta quali siano le principali condizioni di vita che fanno sentire le persone appagate o, al contrario, cosa manchi a chi invece non è soddisfatto. Mi sono venuti in mente tre tipi di ricchezza:

    1. Quella che si quantifica con il patrimonio personale e il conto in banca;

    2. Quella di chi, come sig. Pieno, ha una vita piena di impegni e obiettivi: lavoro, famiglia, progetti, viaggi, amicizie, sport, passatempi di tutti i tipi, quindi anche cultura, idee, sensazioni, novità…. Tutto. Ogni giorno è un’occasione per vivere pieni di stimoli e senza freni;

    3. La ricchezza di chi, come sig. Vuoto, sente di bastare a se stesso, cerca di non possedere niente di materiale e di non prendersi responsabilità a lungo termine che lo vincolino e lo imbriglino in pensieri scomodi e preoccupazioni inutili. Oppure cerca di non legarsi a nessuno, pensando che senza relazioni stabili sarà più libero di vivere la vita a modo suo.

    Gli antichi ci hanno insegnato che “in medio stat virtus”. Quindi probabilmente la vera ricchezza interiore si raggiunge proprio quando si trova un equilibrio tra le ultime due condizioni, affinché il tanto non diventi troppo e la leggerezza non venga sostituita dalla superficialità.

    Uso la parola equilibrio non come sinonimo di stabilità e saldezza, ma di armonia e di bilanciamento tra interno ed esterno: un equilibrio dinamico e fluttuante, un continuo adattamento di forze per mantenere la connessione tra dentro e fuori, senza scivolare verso l’uno o l’altro estremo. A metà tra la polarità del pieno e la polarità delvuoto c’è la consapevolezza: come raggiungere l’equilibrio interiore dipende solo da noi, da quanto impegno e costanza mettiamo nell’allenare la nostra consapevolezza per riuscire a stare bene con noi stessi in ogni circostanza,attraverso la gratitudine, il non attaccamento, la positività e la scelta di obiettivi in linea con noi stessi…

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  • Siamo abituati a classificare le emozioni come positive e negative, a seconda di come ci fanno sentire e delle reazioni che ci provocano. Questa distinzione però non ci porta a considerareche ogni emozione è utile perché tutte hanno un ruolo e un messaggio da darci, soprattutto quelle che ci creano disagio e dalle quali, tendenzialmente, cerchiamo di fuggire.

    Qualsiasi sia il motivo individuale per cui vengono represse e non espresse, loro ci sono e noi abbiamo il dovere di considerarle edi imparare a gestirle: prima di tutto per noi stessi e per il nostroequilibrio psicologico; in secondo luogo, perché il modo in cui ci percepiamo e in cui affrontiamo le situazioni influenza tantissimo i rapporti interpersonali e quindi il benessere nostro e di chi ha a che fare con noi. È fondamentale imparare a riconoscere le proprie emozioni e quindi a gestirle per poterle poi esternare in modo funzionale, evitando scontri, fraintendimenti e ferite emotive. Infatti, se si riesce a comunicare con equilibrio erispetto i propri stati d’animo provocati da determinate dinamiche che coinvolgono anche un’altra persona, o più di una, si può instaurare con l’altro un dialogo costruttivo, un confronto che possa portare alla comprensione reciproca e al superamento delle difficoltà.

    Inoltre, riuscendo a gestire bene le nostre emozioni, più facilmente riusciamo ad essere dei bravi allenatori emotivi per inostri bambini.

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  • “Fai sempre in modo che la tua casa sia piccola e leggera da portare” è l’insegnamento del racconto di oggi: togliere il superfluo, che ci rende schiavi del giudizio altrui o della pauradi non avere abbastanza. Non solo, quindi, evitare di accumulare oggetti materiali con l’illusione che questi possano compensare un’insoddisfazione interiore, ma evitare anche tutti quegli atteggiamenti e quei pensieri che non ci fanno vivere in linea con le nostre potenzialità. Accettarci per come siamo significa renderci conto che andiamo già bene così e qualsiasi cambiamento decidiamo di fare in noi stessi dobbiamo farlo per la consapevolezza che possiamo migliorarci, non per il desiderio di farci vedere migliori agli occhi delle persone che ci circondano.

    Fare questo implica altre due cose: da un lato smettere di confrontarci con gli altri e di sentirci inferiori e contemporaneamente smettere di temere il giudizio degli altri; dall’altro riconoscere i nostri punti di forza e di debolezza e poi sfruttare i primi per esprimerci pienamente in linea con le nostre potenzialità e provare a superare i secondi, facendo in modo che non diventino una scusa per fermarci quando ci manca la motivazione per andare avanti nel nostro percorso individuale.

    Se agiamo sentendoci liberi di essere noi stessi, senza paura di non valere, sarà molto più semplice rimanere nei nostri panni e quindi sentirci a nostro agio nonostante i dubbi su noi stessi, il timore di non sapere come comportarci ecc.

    Casa non è un luogo, è uno stato d’animo.

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  • È importante distinguere e bilanciare quello che è urgente e quello che è importante, quello che porta a produrre e a possedere da quello che porta a sentire e ad essere, dando il giusto peso a entrambe gli aspetti. Spesso non è tanto facile mettere a fuoco i due concetti perché possono non essere del tutto distinti. Così diventa più difficile rimanere obiettivi. Quando il senso del dovere, l’abitudine e la razionalità prendono il sopravvento, ci fanno credere che ci sia un unico modo per affrontare le situazioni stressanti, ovvero non fermarsi mai, rendendoci nervosi e preoccupati e portandoci a sacrificare il tempo che vorremmo dedicare alla famiglia, agli affetti, alle attività che ci fanno stare bene, a noi stessi.

    Siamo abituati ad essere costantemente indaffarati, pieni di impegni con scadenze stabilite da qualcun altro, problemi da risolvere, affari da concludere, abilità da dimostrare prima che qualcun altro volga lo sguardo altrove… Così perdiamo di vista l’enorme paradosso che si nasconde dietro questa abitudine, cioè il fatto che troppo spesso abbiamo la sensazione di non avere tempo e contemporaneamente viviamo come se la nostra vita non dovesse finire mai. Facciamo di gran corsa tutto quello che percepiamo come urgente e rimandiamo costantemente quello che consideriamo importante, raccontandoci che lo faremo appena possibile, in un futuro non ben definito e neanche troppo prossimo…

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  • Sembra che le radici di un comportamento da bullo affondino in un disagio vissuto nel contesto familiare e, parallelamente, che l’ambiente in cui più frequentemente venga messo in atto questo tipo di comportamento sia la scuola.

    È anche vero che a qualsiasi età, quotidianamente, siamo tutti esposti a episodi di prevaricazione e prepotenza. Li respiriamo senza neanche accorgercene: sono immagini di aggressività che vengono fatte passare come “normalità” perché superano i confini dell’ambiente domestico privato e si diffondono in così tante sfere della quotidianità pubblica che non ci stupiscono più.

    Secondo gli psicologi, le due parole chiave per prevenire il bullismo sono assertività ed empatia, la quale implica il saper riconoscere e comprendere le emozioni dell’altro e quindi, prima, l’essere in grado di guardarsi dentro e riconoscere le proprie.

    Nell’episodio di oggi vengono presi come punti cardine questi tre aspetti (riconoscimento delle emozioni, assertività ed empatia) e vengono delineati gli elementi e i comportamenti a cui è utile prestare attenzione, sia per noi adulti che per i bambini e i ragazzi di cui siamo responsabili.

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  • Cosa ci porta a pensare e a dire di non poter cambiare un’abitudine consolidata che a volte ci fa fare o dire qualcosa che non ci piace? Cosa ci spinge a dare per scontato di essere fatti in un determinato modo, rigido e destinato a rimanere così nel tempo? Le cose stanno davvero così?

    Abbiamo il potere di cambiare qualsiasi vecchia abitudine che non ci corrisponda più e abbiamo la possibilità di dare un messaggio importante ai nostri bambini: si può crescere molto più serenamente imparando a vivere senza idee limitanti e sminuenti.

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  • In linea di massima siamo tutti abbastanza impulsivi e frettolosi nel parlare. Ci basta essere chiari, educati e gentili. Nessuno ci ha mai abituati a considerare le nostre parole come “creatrici” di qualcosa che poi resta anche a distanza di tanto tempo.

    Se feriamo o offendiamo una persona adulta, questa in linea di massima si rende conto che abbiamo urtato la sua sensibilità, se vuole ce lo può comunicare -se non ce ne accorgiamo da soli- e così possiamo avere con lei un confronto, possiamo chiarire, spiegare cosa intendevamo dire, al limite chiedere scusa… Mase il messaggio che diamo è diretto a un bambino o a un ragazzino ancora “disarmato” nella relazione con noi, che cosa andiamo a colpire? Con che intensità? E soprattutto con quali conseguenze per lo sviluppo della sua personalità? E se ci abituiamo a parlare male a noi stessi, cosa succede?

    “La parola può entrare nella mente e cambiare le nostre credenze in meglio o in peggio. […] Ogni volta che udiamo un’opinione e la crediamo vera, la rendiamo parte del nostro sistema di credenze” (Don Miguel Ruiz).

    Ormai è stato dimostrato che il linguaggio è in grado di agire sull’inconscio e sul pensiero influenzando i nostri stati d’animo, le nostre azioni e quindi la nostra quotidianità. Se parliamo bene a noi stessi, con parole positive e amorevoli invece che con critiche e giudizio, ci facciamo del bene e giorno dopo giorno miglioreremo la nostra percezione di noi stessi e i nostri statid’animo. Allo stesso modo, se parliamo agli altri con parole ponderate e positive, trasmetteremo positività anche a noi stessi perché le stesse parole che rivolgiamo agli altri risuonano anchedentro di noi. E infine rivolgere parole positive, incoraggianti e accoglienti ai bambini, invece di rimproverarli e di sottolineare gli aspetti che non ci vanno di loro o il disappunto che ci procurano, potrà -oltre che fare bene a noi stessi- anche insegnare ai bambini a rivolgersi a loro stessi in modo positivo. Li abituerà a fare pensieri edificanti verso loro stessi e quindi a crescere come individui più sereni e con più risorse.

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  • Perché sotto l’albero di Natale mettiamo sempre tantissimi regali per i nostri bambini? Qual è il regalo più bello che potremmo fare loro? Perchéci piace così tanto comprare tutto e che effetti ha questa abitudine sui nostri bambini? Far sentire amato un bambino non significa dirgli sempre sì. Anzi!

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  • L’allegria spesso è contagiosa e si trasmette persino quando lo stato d’animo iniziale di chi ne viene contagiato non è dei migliori: relazionarsi con qualcuno che è visibilmente allegro, “in modo vivace e rumoroso” come dice la definizione del dizionario, facilmente ci strappa un sorriso, come minimo, se non addiritturauna bella risata.

    Perché sorridere e divertirsi sono fattori che fanno stare bene?

    Prima di tutto perché, ce lo dice la scienza, sorridere libera serotonina ed endorfine e tutti i cosiddetti “ormoni del benessere”; in secondo luogo perché sorridere inviasegnali non solo al nostro organismo, ma anche a chi ci sta intorno, creando un clima di serenità e fiducia, a beneficio di tutti. Inoltre prendere la vita con umorismo aiuta ad affrontare molto meglio le sfide della quotidianità e a rimanere più recettivi a possibili soluzioni. Purtroppo è abitudine comune vivere gli aspetti “più seri” della vita con una certa preoccupazione eserietà. Ci è stato insegnato così, fa parte della nostra cultura. Come se affrontare la vita con umorismo significasse un po’ prendere in giro gli altri o sminuire le sofferenze prendendo tutto alla leggera. Invece dovremmo vedere la tendenza ad essere sempre allegri come la capacità di non farsi sopraffare dai pensieri negativi e di dare il giusto peso alle situazioni difficili.

    Portare un po’ di umorismo e di allegria nelle nostre vite non significa essere superficiali: significa piuttosto imparare a fare una battuta quando c’è tensione da stemperare, riuscire ad essere un po’ autoironici, riuscire a ridere di gusto anche se abbiamo problemi da risolvere o pensieri scuri che ci rattristano. Se dovessimo aspettare di risolvere tutti i nostri problemi prima di poter vivere con allegria, non arriveremmo mai a quel momento…

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  • È un dato di fatto che nel periodo dell’adolescenza i ragazzi sembrano distanti dai genitori e dalla vita familiare, tendono ad avere sbalzi di umore, a rispondere a monosillabi, a dare risposte secche, spesso insolenti e irrispettose, o a non rispondere proprio… e solo poche volte danno dimostrazioni d’affetto verso i genitori. Le regole non piacciono agli adolescenti, perché li fannosentire dipendenti e limitati. Vengono percepite come imposte e spesso inutili o poco chiare. Per questo trasgrediscono. Eppure ne hanno bisogno, per sentirsi stabili, sostenuti, guidati e incoraggiati. Quindi spesso i ragazzi hanno atteggiamenti contrastanti, che spiazzano l’adulto, il quale si trova a dover essere particolarmente flessibile, facendo lo slalom tra richieste di autonomia e bisogno di protezione, tra la necessità di essere accogliente e comprensivo e quella di mollare la presa per consentire al figlio di fare le proprie esperienze… Allo stesso modo, quando i figli diventano silenziosi, si chiudono in camera per ore e ne escono solo quando sono affamati, non raccontano più niente di loro ai genitori e non si entusiasmano più all’idea difare qualcosa con loro… Succede perché i due mondi, quello dei genitori e quello dei figli, non sono più allineati: le aspettative reciproche non corrispondono più. I genitori continuano a dare la priorità alla scuola, alla collaborazione in casa, all’obbedienza e alla coerenza con gli impegni presi, mentre i figli ormai trovano noiose queste cose e danno la priorità al gruppo di amici, al divertimento, al corpo e all’aspetto esteriore, ai social… Così igenitori non riconoscono più i figli e i figli non si sentono più capiti, ma piuttosto giudicati. Di solito a questo punto i genitori le provano un po’ tutte per rientrare in sintonia con loro, ma si trovano a dover imparare daccapo a fare i genitori: devono imparare a modulare costantemente la distanza tra loro, ad essere per loro un punto fermo senza diventare un freno alla loro libertà, ad essere presenti ma non pressanti, amorevoli ma decisi, fermi ma non intransigenti, pazienti ma non arrendevoli… niente di nuovo, dovevano essere così anche quando i figli erano bambini, ma questa volta si rapportano con dei ragazzi che mettono costantemente in discussione la loro autorità e la loro capacità di guidarli… Come fare?

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  • La pazienza è il frutto di tante qualità importanti come la consapevolezza, la speranza, la maturità, l’equilibrio, la gestione dell’ansia, la forza di volontà… E’ la capacità di non reagire di fronte alle avversità che ci creano frustrazione, mapiuttosto di agire mantenendo un atteggiamento riflessivo, perseverante, calmo e coraggioso. Pazienza e saggezza si nutrono a vicenda, perché la prima implica un’attesa attiva che favorisce l’autoriflessione e quindi ci offre la possibilità di ascoltarci e scoprirci, di vedere la situazione con occhi diversi, di migliorare e crescere; la seconda è il risultato di tutte quelle qualità cui accennavo prima, che ci permettono di non essere impulsivi, di fare scelte in linea con il nostro modo di essere, che implicano consapevolezza, tolleranza e persino intuizione. Ecco perché ècosì facile perdere la pazienza vivendo in modo frenetico: la pazienza viene percepita come un difetto piuttosto che una virtù, come se “avere pazienza” fosse sinonimo di “perdere tempo”, mentre richiede il riconoscimento di un tempo dilatato a cui non siamo abituati. La pazienza richiede lentezza.

    Solo con la pazienza si può aspettare che i tempi siano maturi per il raggiungimento di un obiettivo, a volte prima ancora di aver messo a fuoco l’obiettivo stesso: frequentare una persona in funzione di un’eventuale relazione di coppia, studiare per superare un esame importante, dimostrare le proprie capacità e qualità in ambito lavorativo, conquistare o recuperare la fiducia di una persona, allenarsi per vincere una gara sportiva, educare i propri figli e insegnare loro a sentirsi a proprio agio nel mondo… Qualsiasi obiettivo importante implica pazienza e lentezza. Implica saper aspettare il momento giusto, affrontando incertezze e paure, ansia e intolleranza, senso di impotenza e frustrazione.

    Siamo abituati ad agire in modo da ricevere subito quello che vogliamo o, al contrario, da far cessare immediatamente qualcosa che non vogliamo. Così non ci passa neanche per la testa che c’è un tempo giusto per ogni cosa. Pensiamo di poter decidere noi quando far succedere le cose, ma non è così. Ce lo insegna la natura che ogni cosa ha il suo ritmo di crescita e di evoluzione. Ce lo insegnano i fatti della vita. Quando cerchiamo di adattare il ritmo della vita al ritmo che vorremmo noi, di solito finisce che ci facciamo travolgere e in qualche modo ci facciamo male. Se hai curiosità, dubbi o domande, non esitare a contattarmi scrivendomi una mail a [email protected]

  • Spesso si sentono adulti che esortano i bambini a salutare, a chiedere per favore, a ringraziare… Adulti che cercano di insegnare ai piccoli la buona educazione, le regole di base per instaurare relazioni sociali soddisfacenti… Quello a cui forse spesso non si pensa, in queste occasioni, è che la buona educazione (che si fonda su regole razionali socialmente condivise), se mescolata a un po’ di generosità e di calore (chesono invece prerogative del cuore), diventa qualcosa di potente: diventa gentilezza.

    La gentilezza è un atto di connessione umana. A 360°. Infatti ormai è stato ripetutamente dichiarato, da studiosi che hanno condotto diversi tipi di esperimenti scientifici, che gli atti di gentilezza fanno bene non solo a chi li riceve ma anche a chi li compie, perché essere gentili può stimolare il rilascio di serotonina e ossitocina, neurotrasmettitori che riducono ansia estress. Sostanzialmente ritengono che la spinta ad essere gentili nasca da un impulso biologico e che poi i modelli educativi che si ricevono facciano il resto. Come se non bastasse, esperimenti di fisica quantistica sui fotoni e altre ricerche di medicina sul DNA hanno dimostrato scientificamente che esiste una connessione energetica fra tutto e tutti. Essere gentili, in sintesi, abbassa il nostro livello di stress e nervosismo, aumentando le occasioni per sorridere e stare bene; riduce l’aggressività di chi si sta innervosendo con noi facendogli cambiare atteggiamento perché riceve uno stimolo completamente diverso da quello che si aspettava; migliora le relazioni sociali in tutti i settori, compreso quello lavorativo. Aggiungerei che se venisse trasmessa e insegnata più spesso ai ragazzi, si eviterebbero tante situazioni di bullismo da un lato, e di disistima dall’altro.

    Nell’episodio di oggi vediamo come allenarci ad essere gentili e come insegnare questo valore ai nostri bambini.

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  • Il senso di colpa scaturisce dal non riuscire a perdonare noi stessi… Si può manifestare in diversi modi: dal rimuginare incessantemente sulle azioni commesse, al rimorso e all’auto-rimprovero, fino ai casi più gravi di auto-punizione.

    In generale, il senso di colpa nasce quando viviamo un disallineamento tra il nostro comportamento e quello che invece riteniamo essere il comportamento giusto da adottare, in base al nostro senso morale e valoriale e al contesto sociale e culturale in cui viviamo e con il quale condividiamo il concetto che alcune azioni sono giuste mentre altre sono sbagliate e punibili. Renderci conto di esserci comportati male, cogliere l’eventuale malessere che possiamo aver provocato in un’altra persona e dispiacerci per questo è qualcosa di positivo e utile che permette di assumersi le proprie responsabilità e di adottare comportamenti adattivi.

    Il problema nasce quando questi nostri comportamenti ci fanno sentire in difetto per un periodo che si protrae a lungo nel tempo e non riusciamo ad accettare di aver sbagliato o di non aver fatto quello che sentivamo di dover fare. Quando non riusciamo a perdonarci, il nostro stato d’animo può generare emozioni aggiuntive come la tristezza, la rabbia, la paura, il rimorso…, che spesso provocano persino malessere fisico. Allora nascono i mal di testa, i dolori allo stomaco, l’ansia con tutte le sue manifestazioni di respiro corto,disturbi del sonno, tensioni muscolari…

    Quando invece riusciamo a guardare con obiettività il nostro errore, ci guadagniamo l’opportunità di capire cosa ci ha condotto a sbagliare, in che modo le nostre convinzioni o le nostre paure ci hanno manipolato. Di conseguenza possiamo, da un lato, non commettere più la stessa azione e, dall’altro, smettere di biasimarci. Il che corrisponde a PERDONARCI e, in generale, ad amarci un po’ di più.

    Nell’episodio parlo di cosa possiamo fare per smettere di sentirci in colpa ed evitare di far nascere i sensi di colpa nei nostri bambini.

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  • Nessuno di noi vorrebbe mai far del male a qualcuno che ama. Non consapevolmente almeno. Eppure ci riusciamo.

    La cosa peggiore è che più la vittima del nostro atteggiamento ci è vicina, più profondamente la feriamo e quella stessa ferita fa male anche a noi che l’abbiamo inferta, seppure senza volerlo.

    Qualsiasi sia la forma che assume l’esperienza dolorosa, qualsiasi sia la natura del rapporto che intercorre tra chi ferisce e chi viene ferito, l’effetto è sempre quello di un tradimento. Fisico o morale che sia, che vengano traditi i sentimenti dell’altra persona o gli accordi presi con lei, che venga calpestato un valore in cui crede, la sua morale, la sua sensibilità, le sue aspettative… è un tradimento che fa male. Sentire tradita la fiducia che si è riposta in qualcun altro fa male. Quando succede, per evitare conseguenze spiacevoli bisogna trovare la forza di fare un passo in avanti e impegnarsi entrambi per curare la ferita e ridurre la distanza che si è venuta a creare: in particolare la persona ferita dovrà riuscire a perdonare, se vuole davvero andare oltre. Fare pace razionalmente non basta. Perdonare significa andare oltre la comprensione delle cause che hanno scaturito il comportamento incriminato, oltre la capacità di riconoscere e gestire la propria rabbia o delusione. Significa fare un atto volontario di accettazione totale e amorevole dell’altro, riconoscere il valore intrinseco della persona e, in nome di quel valore, decidere di dare più peso a lei che alle parole o alle azioni che hanno provocato il disgusto e il senso di impotenza e incredulità in chi si sente ferito. Il perdono è un atto di coraggio e di forza, non di debolezza: per perdonare bisogna mettere da parte l’orgoglio e la delusione, fare leva su tutta la propria capacità di vedere le cose con lucidità, avere la forza di mettere sulla bilancia il dolore che si sente e il valore che si riconosce all’altra persona e al rapporto che si ha con lei. Tutto questo senza giudizio, con pazienza e dedizione. È difficile perdonare, ma vale sempre la pena di farlo, soprattutto se riconosciamo il valore della persona coinvolta, ma anche solo per noi stessi, per trasformare in fiori profumati le spine della delusione, del risentimento, della rabbia e di tutto quello che può rimanere nascosto nelle pieghe del nostro cuore, continuando a pungerci nel tempo.

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