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In questa puntata di Malalingua chiariremo perché la disgraziata usanza di comunicare in burocratese affligge le nostre vite. Perché l'amministrazione pubblica e privata parla in maniera volutamente oscura, artificiosa e fatta apposta per confonderci?
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Ci sono delle forti sproporzioni globali nella distribuzione delle lingue e non è possibile semplificare tutto dicendo che “oggi parlano tutti inglese”, anche se il bilinguismo funzionale è una caratteristica fondamentale della globalizzazione. Così come la diffusione di lingue universali ovvero lingue dotate di funzioni comunicative globali grazie al loro prestigio, alle politiche degli Stati d'origine e al numero di parlanti. Attualmente la maggioranza dei locutori di lingue come inglese, spagnolo, portoghese e francese vive in regioni extra europee. Com'è successo? Ne parliamo nell'episodio di oggi.
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Quando una lingua si immette nel mercato globalizzato dell’intrattenimento si trasforma, lo stesso vale per i dialetti, a lungo vituperati e censurati ma che oggi sentiamo ovunque nelle serie tv, al cinema, sui social, da Zerocalcare ai profili de Il milanese imbruttito. Nell’episodio di oggi parleremo dell’importanza di esser glocal per sopravvivere, una visione delle lingue che si concentra allo stesso tempo sulla dimensione mondiale e su quella locale.
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Quando si parla di censura sul linguaggio un buon punto di partenza è il turpiloquio. Le parolacce sono sempre esistite - possiamo trovarle nei vocabolari di egizi, greci e romani - ma non nascono mai come parole vietate. Quand'è che una parola diventa una parolaccia? Cos'è che genera il biasimo sociale e la censura? Ne parliamo in questa puntata di #Malalingua
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Cos'hanno in comune Giorgia Meloni e il nuovo vocabolario della Treccani? Niente, in effetti le direzioni prese sono opposte: la prima sceglie di declinare la sua nuova carica di presidente al maschile mentre Treccani nella nuova edizione del suo dizionario punterà alla parità dei generi. In che modo? Ascolta la nuova puntata di #Malalingua per scoprirlo!
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Il virus ha ridisegnato i nostri confini, non solo geografici, ma anche quelli della nostra lingua. Ci ha imposto un vocabolario tutto nuovo ma ha anche cambiato i toni e i registri delle nostre comunicazioni, la nostra sensibilità. Ci sono stati slittamenti semantici, risemantizzazioni, neologismi. Scopriamoli insieme in questa puntata che si occuperà dell’eccezionalità dei cambiamenti sul linguaggio avvenuti a seguito della pandemia. Sia per portata (il covid ha colpito tutto il mondo)sia per la natura mediata dei fenomeni (il cambiamento linguistico
è avvenuto per intercessione dei media). Con il Covid abbiamo assistito a un fenomeno trasversale di diffusione lessicale di massa avvenuto in brevissimo tempo senza contatto diretto tra i parlanti. Il globalismo linguistico non è niente di nuovo, basti pensare alle parole della cucina e dell’informatica, ma la sua entità nel 2020 ha raggiunto un picco mai registrato in precedenza sia per velocità sia per convergenza di vocaboli a livello mondiale. -
Cos'è il corsivo? Il trend di parlare con una cadenza molto strascicata, allungando le sillabe, alzando il tono. Esiste e si ascolta in giro già da un po', soprattutto nella musica pop, da Sangiovanni a Madame. Non si è quindi inventata nulla la prof. Elisa Esposito, tiktoker che ha sdoganato la moda, diventando rapidamente bersaglio dell’indignazione di chi vede in questo modo di esprimersi un’aberrazione. Si è sollevato uno sdegno collettivo contro i ragazzini, etichettati come capre ignoranti e poi, una volta ristabilito l’ordine, sono partiti i meme. Tutto normale, il classico ciclo di un fenomeno d’indignazione online.
Cos’è però - al di là della faida che potrebbe far già sbadigliare - su cui vale la pena riflettere? Cosa c’è di interessante in questo corsivo?
In questa puntata, partiremo dallo spiegare cos’è, com’è nato, perché è emerso e andremo ad analizzare quella selva oscura che sono i sottocodici delle lingue che utilizziamo. Scopriremo cosa sono i gerghi, gli slang, i linguaggi settoriali e perché spesso agiscono come anti-lingue. -
Sapevate che sono più di 6 miliardi le emoji mandate ogni giorno su internet? Più del 90% delle persone in rete dichiara di usarle regolarmente. Questo rende le emoji uno dei prodotti giapponesi più esportati della storia, più del sushi (sì, sono state inventate da un giapponese).
Sono un segno inconfondibile della contemporaneità, le figlie della comunicazione globalizzata e istantanea della sfera digitale ma i meccanismi che ci hanno portato a impugnare questo strumento sono molto più antichi.
Il tema emoji è particolarmente significativo anche perché coinvolge tutto il mondo, rappresenta un codice internazionale per persone di differenti nazionalità e che vivono a mille miglia di distanza che forse riuscirebbero a capirsi semplicemente mostrandosi l’emoji di un cactus.
Nella puntata di oggi scopriremo come le emoji ci abbiano conquistato, la loro genesi e il loro significato socioculturale. -
Un segno, una parola, un suono che scatena critiche apocalittiche ma anche molti consensi. Lo scevà è un potente catalizzatore quando si parla di linguaggio inclusivo ma non è nemmeno l'unica risposta alla domanda: l'italiano è una lingua sessista? Proviamo a discuterne - insieme ad altri interrogativi socialmente pericolosi - nella puntata di oggi. Ci soffermeremo sull'uso dello shwa e dell’asterisco ma parleremo anche di strategie meno usate come lo splitting. Prima di tutto chiariremo quali sono le caratteristiche di una comunicazione gender neutral e la sua importanza nella realtà di oggi.
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La lingua ucraina e quella russa sono in conflitto, come i loro Paesi. La guerra cambia tutto, anche l’uso, la reputazione e la percezione che abbiamo delle lingue. La guerra si combatte prima di tutto con le parole, con le armi della propaganda, con la censura, con l’imposizione di nuove regole su come parliamo e di cosa. In questo episodio rifletteremo su quanto le lingue riflettano le dinamiche del potere e su come l’identità linguistica sia fortemente legata all’identità nazionale. Al di là del singolo caso ucraino-russo.
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Non importa che titolo tu abbia o che professione svolgi, se sei una donna ti chiameranno Giorgia, Martina, Lucrezia, Genoveffa. Anche se vinci il Nobel, continueranno a chiamarti per nome. Al massimo ti dicono che sei una mamma. O "una donna", a caso. Dobbiamo iniziare a cambiare questa rappresentazione. Chiamare le donne con nome e cognome è fondamentale perché c'è un enorme potere nel nominare le cose e quando ci rifiutiamo di farlo significa che c'è un tabù, c'è qualcosa sotto. In questa puntata di #Malalingua ci occuperemo di scavare in profondità e scoprire cos'è.
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La lingua è un camaleonte: si adatta ai più diversi contesti comunicativi e muta per spinta e per influenza dei media. Così è successo anche con la trasformazione digitale. Cos’è cambiato? Lo scopriamo insieme.