Episoder
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Nell'aria limpida e fredda vibravano i rumori del porto e della città ancora violacea al riflesso dell'occidente; s'udiva una fisarmonica, come nelle belle sere d'autunno, la luna saliva grande e rossa sopra la torre nera del molo e già l'acqua intorno ne rifletteva lo splendore. Il viaggiatore guardava la terra e il mare, e il suo viso pallido e un po' cascante e i suoi occhi azzurrognoli e freddi, a fior di pelle, non esprimevano né ammirazione né tristezza; solo le labbra grigiastre avevano di tanto in tanto come un segno di disgusto.
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I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco. Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei. E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.
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Quand'ero ragazzetta, avevamo in casa nostra un vecchio servo della Barbagia chiamato Moisè. Era il suo vero nome? Non credo; forse era un soprannome, perché realmente il vecchio rassomigliava al profeta Mosè, alto e bruno in viso com'era e con una lunga barba a riccioli; o piuttosto perché fra le altre cose egli sapeva fare certi scongiuri contro il malocchio, contro le malattie del bestiame, contro le formiche che rapiscono il grano dall'aia, contro i bruchi, le cavallette e i vermi, contro le aquile per impedir loro di rapire i porcellini, gli agnelli ed anche i bambini;
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La signorina Aida e altri racconti di Marcella Onnis
Messa in voce di Gaetano Marino
I racconti:
La signorina Aida - Diversamente mogli - Odore di pioggia - Rosa batteva - Il relitto - Cerchionirico - Asimetrie relazionali - Alla fermata del 15 -
Ella era una povera donna, misteriosa e bizzarra, sulla cinquantina. Come quasi tutte le povere donne della Baronia, soffriva le febbri miasmatiche, tanto più che passava le giornate nelle paludi, tra le verdi acque stagnanti, pescando sanguisughe. Pescando per modo di dire; perché tuffava le gambe nell'acqua malefica, aspettando che le sanguisughe vi si attaccassero ferocemente. Ella poi si curvava, staccava dalle sue povere carni lo schifoso animaletto e lo introduceva a viva forza entro un'ampolla verdognola, a metà colma d'acqua. [...]
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Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, lei lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche da temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. [...]
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[...] Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. [...]
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Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai - di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all'altare di Santa Agrippina. [...] -
Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! - Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. [...]
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- Basile, ti deruberanno. - No, babbo Ara, non mi deruberanno; babbo grande caro, mandatemi - supplicava il piccolo Basilio, accarezzando il nonno. - Va bene, ma non tirarmi la barba: tu sai che la barba si tira solo ai caproni. Io ti manderò, ma senti, Basilio, tu sai che mamma Ara è avara come il pugno d'un morto. Se ti derubano, mamma Ara mi sgriderà, ed io ti bastonerò come un cane. [...]
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A venticinque anni, bella, ricca, fidanzata, senza aver mai provato un dolore veramente grande, un giorno Maria Magda si sentì improvvisamente il cuore nero e vuoto. Fu come il principio d'un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi. Ella era felice in casa sua, e un'altra felicità l'aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l'antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. [...]
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[...] però una leggera nuvola era apparsa dopo due anni di completa felicità sul cielo sereno della sua esistenza. Saveria non lo aveva reso né ancora accennava a renderlo padre! Era una cosa ben triste! Egli l'aveva tanto sognato un bel marmocchio bruno come lui che appena in gambe l'avrebbe seguito su e giù, fra i boschi e le valli, aiutandolo nelle dure fatiche di pastore; un marmocchio che poi, fatto forte giovanotto, la gioia e la speranza dei suoi vecchi, ammogliandosi avrebbe a sua volta tramandato il loro nome e la discendenza dei loro armenti in un altro, [...]
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Nessuno, fra quelli che sapevano del suo terribile mestiere, e più o meno si erano serviti o contavano di servirsi di lui, lo chiamava con questo nome; anzi tutti lo consideravano, almeno superficialmente, come un giustiziere; perché in realtà egli non si prestava alle richieste esecuzioni se non in casi eccezionali, quando cioè si trattava di una giusta vendetta o di levar di mezzo un individuo nocivo alla pace di un uomo o di una famiglia. [...]
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Tutt'a un tratto, mentre San Rocco se ne andava tranquillamente per la sua strada, sotto il baldacchino, coi cani al guinzaglio, un gran numero di ceri accesi tutt'intorno, e la banda, la processione, la calca dei devoti, accadde una parapiglia, un fuggi fuggi, un casa del diavolo: preti che scappavano colle sottane per aria, trombe e clarinetti sulla faccia, donne che strillavano, il sangue a rigagnoli, e le legnate che piovevano come pere fradicie fin sotto il naso di San Rocco benedetto. [...]
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Premessa
Alzi la mano chi non ricorda con gioia un suo ultimo giorno di scuola!!! Magari soltanto uno particolare. Come studente io ne ricordo diversi. Tutti sono ammantati da un velo di malinconia. In fondo a scuola ci stavo bene. I maestri (ma un anno ho avuto anche una maestra, in quarta elementare, si chiamava maestra Soro) mi volevano bene.
I miei ricordi di scuola più lontani son legati a cinque colori. [...] -
[…]Appena aperti gli occhi alla luce del giorno, il cinghialetto vide i tre più bei colori del mondo: il verde, il bianco, il rosso, sullo sfondo azzurro del cielo, del mare e dei monti lontani. In mezzo al verde delle querce le cime dei monti vicini apparivano candide come nuvole alla luna, ma già intorno al nido del cinghialetto rosseggiava il musco fiorito, e i macigni, le chine, gli anfratti rocciosi ne eran coperti come se tutti i pastori e i banditi passati lassù avessero lasciato stesi i loro giubboni di scarlatto e anche qualche traccia del loro sangue. Come non essere arditi e prepotenti in un simile luogo?[…]
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Antigone, Figlia di Edipo e Giocasta, ha due fratelli, Eteocle e Polinice. Edipo è morto e i due fratelli si accordano per dividersi a turno il trono, ma Eteocle non rispetta i patti. Polinice, fugge in esilio e muove guerra alla sua città. Nel duello finale Eteocle e Polinice muoiono per mano reciproca. Il potere è assunto da Creonte, fratello di Giocasta. E qui comincia l'opera di Sofocle.
Creonte considera Polinice un traditore e ordina, nel pieno rispetto delle leggi dello stato, che il suo cadavere rimanga insepolto. Ma Antigone, appellandosi alla legge degli dei, che impongono pietà e la sepoltura dei parenti defunti, disobbedisce. Esce dalle mura, si avvicina al cadavere del fratello Polinice e lo cosparge con un pugno di terra dandogli simbolicamente sepoltura. La ragazza viene arrestata e portata alla presenza del re, dinanzi al quale rivendica la legittimità sacra del suo gesto. Creonte, adirato, ordina che Antigone sia sepolta viva in una grotta fuori città. -
Era il 1993. Un’amica, reduce da un viaggio di lavoro all’estero, mi raccontò una storia vera di ordinaria follia. Una vicenda vissuta come spettatrice proprio nei giorni di soggiorno in una città d’Europa. L’amica si occupava di un progetto civile d’accoglienza riservato agli stranieri immigrati; soprattutto giovani donne, spesso fanciulle coinvolte nella tratta della prostituzione.
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Schiavi e non schiavi: il viaggio in un mondo nuovo, fatto di miserie più o meno estreme, ha inizio. Anna, intrappolata in una città dove tutto è povero, lotta per la sopravvivenza. Gli schiavi nel deserto invece neanche lottano più e si trascinano.
Liberi e non: le dinamiche fra schiavi sono sempre le stesse. Mors tua vita mea, oppure solidarietà. Dipende dai momenti, dalle persone, dalla fame. Scopriamo invece che nella città di Anna circola una droga. -
Mi rammento, nell'ultima eruzione dell'Etna, di avere assistito ad uno di quei semplici episodi che vi colpiscono più profondamente della catastrofe istessa. Era lo spettacolo di un casolare, in fondo alla valle, che la lava stava per seppellire. Davanti al casolare, c'era un cortiletto, cinto da un muricciuolo, il quale aveva arrestato per poco la corrente, e le scorie gli si ammonticchiavano addosso adagio adagio; sembrava si gonfiassero, come un rettile immane irritato, e scoppiavano in larghi crepacci infuocati. [...]
- Se mer