Episoder
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[...] La vita era per Bernardo Sopo profondamente oscura; la morte, uno sbuffo di più densa tenebra nell’oscurità. Né al lume della scienza per la vita, né al lume della fede per la morte, riusciva a dar credito; e in tanta oscurità non vedeva profilarsi altro, a ogni passo, che le sgradevoli, dure, ispide necessità dell’esistenza, a cui era vano tentar di sottrarsi, e che si dovevano subito perciò affrontare o subire, per levarsene al più presto il pensiero. [...]
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Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
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Nel popolo, che ha la sua nobiltà e la sua plebe, vi sono, come nelle classi elevate, famiglie decadute che cercano di risollevarsi facendo fare buoni matrimoni ai loro figliuoli, e giovani di bassa stirpe che credono di nobilitarsi imparentandosi con tali famiglie, e fanciulle che si sacrificano e parenti interessati che non mancano mai di pescare qualche cosa nel torbido. [...]
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L'uomo era bello, - alto, agile, con un viso bruno e rapace di arabo adolescente, - e sembrava sincero quanto il suo passato era brutto e torbido. Ma a sentirle raccontare da lui le sue vicende avevano un sapore quasi romantico. Seduto sullo sgabello che la sua piccola padrona di casa s'era affrettata a metter fuori della porta appena la figura di lui era apparsa in fondo alla piazza illuminata dalla luna, con le braccia nervose incrociate sul petto, la gamba destra attorcigliata intorno alla sinistra,
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Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) scrittrice, premio Nobel Letteratura. Una donna fuori dagli schemi, la cui unicità si ripercosse senza dubbio sui suoi scritti – cresciuti, maturati assieme a lei, fino a giungere ad opere inscindibili rispetto alla reale complessità umana della scrittrice.
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Prato al sole, erba nuova, fili di suono, nel silenzio che pare uno stupore. Stupore di come s'accendono qua questi fiorellini d'oro e là bruciano quei rossi.
Ma già comincia a cadere, di sbieco e pericolante sul verde, l'ombra del conventino con la tozza crocetta in cima alla cuspide, cosí allungata che va a sbattere, e si rizza spezzata, su quel bianco muretto a riparo degli orti.
Lucilla, da un pezzo addossata al muro del conventino, smette di piangere, d'un tratto facendo caso all'ombra di quella crocetta.
Possibile, cosí lunga? [...] -
Nessuno, fra quelli che sapevano del suo terribile mestiere, e più o meno si erano serviti o contavano di servirsi di lui, lo chiamava con questo nome; anzi tutti lo consideravano, almeno superficialmente, come un giustiziere; perché in realtà egli non si prestava alle richieste esecuzioni se non in casi eccezionali, quando cioè si trattava di una giusta vendetta o di levar di mezzo un individuo nocivo alla pace di un uomo o di una famiglia. [...]
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Dei figli dell'Anno, Aprile era il più bello, il più alto e il più nervosamente robusto, sebbene ancora in crescenza, come gli abeti giovani delle radure del bosco. Bonaccione, anche, laborioso e innocente, coltivava, col padre, i campi e i frutteti, e gli orti dove la tenera freschezza degli ortaggi era tale che neppure le farfalle, per non sciuparli, li sfioravano. [...]
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Grazia Deledda, scrittrice, premio Nobel Letteratura. Una donna fuori dagli schemi, la cui unicità si ripercosse senza dubbio sui suoi scritti – cresciuti, maturati assieme a lei, abbandonando progressivamente una narrazione di sentimenti e personaggi descritti con poco spessore, fino a giungere ad opere inscindibili rispetto alla reale complessità umana della scrittrice.
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Sul primo treno si ritrovarono in uno scomparto mezzo vuoto, chiacchierarono dei compagni di classe, e mangiarono le patatine che Lei aveva comprato al bar della scuola; ma i panini no, ché comunque la tratta durava solo tre quarti d’ora. Al paese, sul binario, Lei disse che da qualche parte aveva letto che Sciascia viaggiava solo per il gusto di leggere in treno. [...]
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[…] A quel tempo, la mattina presto si andava a lavorare con qualcosa sulla testa, per proteggersi dall’umido. Chi aveva cicia, chi bonette. Lui, dal primo giorno, basco alla francese. Sembrava lo facesse apposta per continuare a distinguersi dal gregge. Poi si é visto che ai sorveglianti e agli impiegati di Montevecchio quel basco dava fastidio, chissà perché? Lo guardavano male. Ma cosa potevano dire? Il duce mica aveva proibito ai minatori di portare basco alla francese. In capo a quindici giorni avevamo tutti copricapo uguale al suo. […]
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Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell'ovile di pietre e di siepe, e la luna d'aprile, tramontando sull'occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno. [...]
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Zio Nanneddu Fenu aveva l'ovile dalla parte di Tresnuraghes, cioè quasi due ore distante da Nuoro, in una bella tanca dove l'erba durava fresca sino al mese di giugno. Ogni due o tre giorni la moglie o la figlia, la simpatica Manzèla, si recavano a piedi, da Nuoro all'ovile di zio Nanneddu, per godersi una giornata di sole e portare delle vivande al vecchio pastore.
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Coperti di stracci, abbrustoliti dal freddo, con certi scarponi che affondavano nelle pozzanghere come draghe nel porto, tuttavia sani, allegri e sudicioni a più non posso, i bambini della lavandaia se ne stavano quasi tutto il giorno davanti alla finestra bassa della cantina, dove la madre, vera figura da "novecento", tutta ossa e ventre, con la grande faccia ovale e nìvea dentro una cuffia di capelli neri ridotti a stoffa, lavava e sbatteva i panni con un fracasso da terremoto.
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Su, in alto, sullo sfondo azzurrino delle montagne, sotto il cielo fresco di una dolcezza profonda, la nostra casa verde dominava il villaggio: col suo tetto aguzzo su l'elegante cornicione bianco, le finestre gotiche al secondo piano e il verone che la circondava tutta al primo. Esile, alta, la tinta verde smaltata dal sole, pareva una casetta cinese di porcellana, così fresca e allegra che ancora, nonostante il triste caso che vi racconterò e che mi costrinse ad allontanarmene per sempre, il suo ricordo mette una nota gaia nelle memorie della mia fanciullezza.
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- La neve non può tardare, - annunziò la giovane serva, guardando il cielo bianco, - prenditi almeno un ombrello, Maureddu.
- Un ombrello?
Il giovane padrone si mise a ridere. Portar l'ombrello era per lui un segno di debolezza, quasi di vigliaccheria.
- Vedrai che nevicherà; perché parti con questo tempo?. - riprese la ragazza, con voce ardente e lamentosa. - Io non potrò dormire...
Maureddu rise ancora. Per lui tutto era oggetto di riso, ma d'un riso quasi infantile, che non offendeva nessuno.
- Tu non potrai dormire? Allora, scendi in cucina, allora - disse, mentre finiva di sellare il cavallo.
Anch'ella rise un po', melanconica e voluttuosa. [...] -
Questa che parrà una storiella da focolare (così noi chiamiamo le fiabe), è invece una storia vera, accaduta in un villaggio della Baronia di Sardegna.
Quando avrò detto che ai tempi di Tolomeo questo villaggio, - ora fra i più miseri del Nuorese, - era fra le città più opulente delle colonie romane, forse ne saprete qualche cosa.
Quando aggiungerò che il nostro governo ha già messo all'asta quasi tutte le case e i terreni di questo villaggio, per l'imposta che i miseri abitanti non riescono a pagare, voi che nei giornali avete letto la strepitante notizia di un comune sardo messo all'asta, ne saprete quanto me.
Questo accade però: si fa l'asta; vengono espulsi gli abitanti coi loro stracci, che restano più o meno sulla via. Nessuno si presenta all'asta e tanto meno alla subasta; cosicché gli stabili vengono aggiudicati al demanio. [...] - Se mer