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  • Giallo Criminale #81 Ep. Chi ̶N̶O̶N̶ è il Mostro di Firenze
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  • Giallo Criminale #30 Episodio | Crimine e Cinema
    Speaker:
    Davide Cannella

    Ospiti:
    Franco Ferrini
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  • Giallo Criminale #80 Ep. Analisi spietata del mostro di Firenze
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  • NOI DI REAL CRIME, CHE SIAMO ABITUATI A SCRIVERE DI AVVENIMENTI VERI, QUANDO ABBIAMO APPRESO DI QUESTO CASO, ABBIAMO SCOPERTO COME IL DESTINO ERA STATO CAPACE, NELLA SUA DRAMMATICITÀ, DI SCRIVERE UN CASO CON LE CARATTERISTICHE SALIENTI DELLE TRE ESSE.

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  • Una giovane dal coraggio indomabile,un volo low cost.ed una storia che lascerà a bocca aperta il mondo intero..Documentario - Wings of Hope (1998) : https://www.youtube.com/watch?v=msipyM4vyLg
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  • Un cadavere rinvenuto all’alba
    uno sconosciuto in visita
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  • Una vita traumatica
    un uomo apparentemente mite
    ed una casa dove l’orrore resterà per sempre nella memoria

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  • Il 6 maggio 1971, a Genova, scomparve una ragazza di 13 anni, Milena Sutter. Apparteneva a una famiglia di noti imprenditori svizzeri trasferitasi da anni in Italia. Frequentava la scuola svizzera: quel giorno uscì dalle lezioni nel pomeriggio, come accadeva ogni giorno, ma non arrivò mai a casa. La famiglia pensò subito a un sequestro di persona. Il padre della ragazza era sesto nella classifica dei contribuenti della città. In Italia, proprio in quegli anni, si stava sviluppando la pratica criminale dei sequestri di persona a scopo di estorsione: saranno centinaia negli anni seguenti. Nel solo 1977, l’anno peggiore, i sequestri furono 75, più di uno alla settimana.
    La telefonata con la richiesta di riscatto arrivò il giorno successivo alla scomparsa. Una voce registrata chiese 50 milioni di lire per rilasciare la ragazza. In quel momento Milena Sutter, così stabilì il processo, era già morta. Il suo corpo venne ritrovato in mare il 20 maggio, nella baia di Priaruggia. Attorno alla vita le era stata legata una cintura da sub con pesi da un chilo.
    Lo stesso giorno venne arrestato un venticinquenne, Lorenzo Bozano, che passò alle cronache come “il biondino della spider rossa”. Nei pressi della villa dei Sutter e vicino alla scuola svizzera era stata notata infatti una Alfa Romeo Giulietta spider rossa con molte ammaccature. L’auto venne individuata e venne individuato anche il proprietario, Bozano, appunto, riconosciuto da alcuni testimoni come il ragazzo che spesso si aggirava intorno alla villa dove viveva la famiglia della ragazza, in viale Mosto. Contro di lui furono raccolti molti indizi, alcuni estremamente importanti, ma non ci fu mai la cosiddetta “prova regina”.
    Il caso Sutter suscitò molta emozione, il processo fu seguitissimo, da più parti si tornò a parlare di pena di morte in Italia. Bozano, che si è sempre dichiarato innocente, fu assolto in primo grado e poi condannato all’ergastolo nel processo d’appello, condanna confermata dalla Corte di Cassazione. Fu come detto, un processo indiziario, con moltissimi indizi convergenti ma senza una prova definitiva e con alcune domande che, anche a distanza di anni, non hanno mai avuto una risposta.
    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
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  • Il 6 maggio 1971, a Genova, scomparve una ragazza di 13 anni, Milena Sutter. Apparteneva a una famiglia di noti imprenditori svizzeri trasferitasi da anni in Italia. Frequentava la scuola svizzera: quel giorno uscì dalle lezioni nel pomeriggio, come accadeva ogni giorno, ma non arrivò mai a casa. La famiglia pensò subito a un sequestro di persona. Il padre della ragazza era sesto nella classifica dei contribuenti della città. In Italia, proprio in quegli anni, si stava sviluppando la pratica criminale dei sequestri di persona a scopo di estorsione: saranno centinaia negli ani seguenti. Nel solo 1977, l’anno peggiore, i sequestri furono 75, più di uno alla settimana.
    La telefonata con la richiesta di riscatto arrivò il giorno successivo alla scomparsa. Una voce registrata chiese 50 milioni di lire per rilasciare la ragazza. In quel momento Milena Sutter, così stabilì il processo, era già morta. Il suo corpo venne ritrovato in mare il 20 maggio, nella baia di Priaruggia. Attorno alla vita le era stata legata una cintura da sub con pesi da un chilo.
    Lo stesso giorno venne arrestato un venticinquenne, Lorenzo Bozano, che passò alle cronache come “il biondino della spider rossa”. Nei pressi della villa dei Sutter e vicino alla scuola svizzera era stata notata infatti una Alfa Romeo Giulietta spider rossa con molte ammaccature. L’auto venne individuata e venne individuato anche il proprietario, Bozano, appunto, riconosciuto da alcuni testimoni come il ragazzo che spesso si aggirava intorno alla villa dove viveva la famiglia della ragazza, in viale Mosto. Contro fi lui furono raccolti molti indizi, alcuni estremamente importanti, ma non ci fu mai la cosiddetta “prova regina”.
    Il caso Sutter suscitò molta emozione, il processo fu seguitissimo, da più parti si tornò a parlare di pena di morte in Italia. Bozano, che si è sempre dichiarato innocente, fu assolto in primo grado e poi condannato all’ergastolo nel processo d’appello, condanna confermata dalla Corte di Cassazione. Fu come detto, un processo indiziario, con moltissimi indizi convergenti ma senza una prova definitiva e con alcune domande che, anche a distanza di anni, non hanno mai avuto una risposta.
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  • Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
    Nella notte tra 13 e 14 gennaio 2012 Roberta Ragusa scomparve dalla sua casa di Gello, frazione di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa. Il marito, Antonio Logli, disse che la mattina del 14 si era svegliato alle 6.30 e si era accorto dell’assenza della moglie. Gli abiti erano in casa, e così portafogli, soldi, carte di credito, documenti. Secondo l’uomo, Roberta Ragusa si era allontanata con indosso un pigiama rosa e le pantofole. Quella notte, nella zona, il termometro aveva sfiorato gli zero gradi.
    Per settimane vennero effettuate ricerche in tutta la zona con le unità cinofile, ci furono molte segnalazioni ma mai nessun riscontro. Anche molti presunti veggenti contattarono i carabinieri affermando di sapere che cosa fosse accaduto alla donna.
    Due mesi dopo la scomparsa della moglie, Antonio Logli venne indagato. Gli inquirenti erano convinti che non si trattasse di allontanamento volontario ma che la donna fosse stata assassinata. Il marito era sospettato per una serie di comportamenti giudicati anomali e perché aveva ingenuamente mentito in merito alla relazione che aveva con una donna da otto anni. L’ipotesi degli investigatori era che ci fosse stata una lite dopo che Roberta Ragusa aveva scoperto della relazione del marito.
    Fu un caso molto seguito dai media: una troupe televisiva si introdusse nella scuola dove studiava la figlia dodicenne di Ragusa e Logli per poterla filmare.
    Otto mesi dopo il fatto un testimone disse di aver visto quella notte Antonio Logli vicino a casa sua sul ciglio della strada e poco dopo un uomo e una donna litigare: l’uomo aveva poi spinto a forza la donna nell’auto. Non seppe però dire se si trattasse con certezza di Ragusa e Logli.
    Logli, di cui fu chiesto il rinvio a giudizio, fu prosciolto ma, dopo un ricorso in cassazione presentato dalla procura della repubblica di Pisa, venne condannato a vent’anni di reclusione. La sentenza venne confermata nel processo d’appello e poi dalla Corte di cassazione.
    Fu un processo indiziario, basato di fatto solo su una testimonianza. E fu un processo anomalo, per omicidio, senza che mai fosse stato trovato il corpo della vittima.
    Antonio Logli si è sempre dichiarato innocente, i suoi due figli gli hanno sempre creduto e continuano a sostenerlo.
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    Nella notte tra 13 e 14 gennaio 2012 Roberta Ragusa scomparve dalla sua casa di Gello, frazione di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa. Il marito, Antonio Logli, disse che la mattina del 14 si era svegliato alle 6.30 e si era accorto dell’assenza della moglie. Gli abiti erano in casa, e così portafogli, soldi, carte di credito, documenti. Secondo l’uomo, Roberta Ragusa si era allontanata con indosso un pigiama rosa e le pantofole. Quella notte, nella zona, il termometro aveva sfiorato gli zero gradi.
    Per settimane vennero effettuate ricerche in tutta la zona con le unità cinofile, ci furono molte segnalazioni ma mai nessun riscontro. Anche molti presunti veggenti contattarono i carabinieri affermando di sapere che cosa fosse accaduto alla donna.
    Due mesi dopo la scomparsa della moglie, Antonio Logli venne indagato. Gli inquirenti erano convinti che non si trattasse di allontanamento volontario ma che la donna fosse stata assassinata. Il marito era sospettato per una serie di comportamenti giudicati anomali e perché aveva ingenuamente mentito in merito alla relazione che aveva con una donna da otto anni. L’ipotesi degli investigatori era che ci fosse stata una lite dopo che Roberta Ragusa aveva scoperto della relazione del marito.
    Fu un caso molto seguito dai media: una troupe televisiva si introdusse nella scuola dove studiava la figlia dodicenne di Ragusa e Logli per poterla filmare.
    Otto mesi dopo il fatto un testimone disse di aver visto quella notte Antonio Logli vicino a casa sua sul ciglio della strada e poco dopo un uomo e una donna litigare: l’uomo aveva poi spinto a forza la donna nell’auto. Non seppe però dire se si trattasse con certezza di Ragusa e Logli.
    Logli, di cui fu chiesto il rinvio a giudizio, fu prosciolto ma, dopo un ricorso in cassazione presentato dalla procura della repubblica di Pisa, venne condannato a vent’anni di reclusione. La sentenza venne confermata nel processo d’appello e poi dalla Corte di cassazione.
    Fu un processo indiziario, basato di fatto solo su una testimonianza. E fu un processo anomalo, per omicidio, senza che mai fosse stato trovato il corpo della vittima.
    Antonio Logli si è sempre dichiarato innocente, i suoi due figli gli hanno sempre creduto e continuano a sostenerlo.
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  • Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
    Tra l’ottobre del 1997 e l’aprile del 1998 Donato Bilancia uccise 17 persone. Assassinò nove uomini e otto donne, tra la Liguria e il Piemonte.
    Per molti mesi quei delitti non vennero messi in relazione, indagarono quattro procure diverse. Nonostante alcune indicazioni e una perizia balistica che collegava i primi tre delitti, le indagini proseguirono in direzioni diverse. Nessuno allora pensava che potesse esistere in Italia un assassino seriale con quelle caratteristiche.
    Uccise prima per vendetta, poi per sviare le indagini, infine per il puro piacere di farlo. Lo arrestarono grazie a un grave errore che commise ma che fu scoperto solo per un colpo di fortuna. Quando gli inquirenti lo interrogarono per la prima volta erano decisi a contestargli sette omicidi, lui ne confessò 17 rivelando anche che la morte di un uomo, catalogata come morte naturale era stata in realtà un ‘omicidio e che era stato lui a commetterlo.
    Bilancia fu sottoposto a numerose perizie psichiatriche e dichiarato capace di intendere e di volere al momento dei fatti.
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  • La storia nera di Cesare Seviatti, chiamato il Landru' del Tevere, che uccide e fa a pezzi sette giovani donne nell'Italia del fascismo, usando un coltello da cucina come arma del delitto.
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