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  • Conoscere e riconoscersi nei testi di Fabrizio De Andrè in età evolutiva è facile.

    I racconti della trasgressione, le parole che nessuno oserebbe cantare pronunciate con una naturalezza a tratti spiazzante è tutto ciò che serve ad un adolescente per poter dipingersi con i colori della normalità, quella che fa sentire tutti uniti e vicini, coalizzati nei confronti di quel mondo che tanto sembra avverso, soprattutto in tenera età.

    Sono ascolti che ti regalano una tregua da una lotta che tutti combattiamo, una speranza che ti fa respirare, chiudere gli occhi e immaginare. 

    Quello che si evince dal primo e veloce ascolto di Jamin-a è questo: la speranza di una tregua. Le urla e i suoni del mercato del pesce di Genova sono la cornice che accoglie la “sultana delle bagasce”.

    Sono parole che vanno via in fretta, termini che si rincorrono quasi a voler trovare l’aggettivo che meglio descrive la personalità della donna.

    “Lingua infuocata, lupa di pelle scura, morso di carne soda”. 

    Ma torniamo a Genova, vicino al porto che vede partenze e immagina ritorni. Parliamo di quel mare che “porta via la via” e insieme ad essa la speranza del futuro. Se cambiamo angolazione e ci spostiamo verso un’ottica nuova, riusciamo ad immaginare Jamin-a come quell’atto di fede praticato per contrastare una vita di rischi, pericoli e precarietà. L’immagine della donna, desiderio ardente e comune, è quindi la compagna di un viaggio che ogni marinaio spera di incontrare. 

    Una descrizione di anime tenute insieme dalla speranza, dalla passione e dal desiderio e Jamin-a, in alto, al di sopra di sogni e di ogni immaginazione perversa mentre gode di quei termini che parlano di una personalità erotica e perfetta.

    E’ lo stesso De Andrè a fare luce sulla questione e mettere le cose in chiaro, riferendosi al brano così:

    “Jamin-a è un’amica algerina. Tutti quanti ma soprattutto la stampa più retriva ha detto che era una prostituta ed invece è una splendida compagna di viaggio. Ce ne fossero di Jamin-e!  Voglio dire: è una bocca di Rosa vista attraverso un’esperienza personale ed è forse l’unica canzone erotica del mio repertorio.”

    A Genova c’è un detto popolare che, tradotto, recita così: “Cara moglie, passato il ponte di Portofino torno libero e scapolo”.

    Il vero senso della canzone credo possa racchiudersi tutto qui.

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    L'AUTRICE / Lucia Lamboglia: https://instagram.com/lucia.lamboglia

    LA NARRATRICE / Talìa Donato: https://www.instagram.com/taliadonato/

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    Bibliografia:

    Le storie dietro le canzoni - Walter Pistarini / https://deand.re/to/#vY4MP4A

    Canzone dopo canzone - Guido Michelone / https://deand.re/to/#ds-vMhU

    Prinçesa e altre regine - Concita De Gregorio / https://deand.re/to/#THYLa2s

    Uomini e Donne di Fabrizio de André - Alfredo Franchini / https://deand.re/to/#KtRtVwA

  • E’ il 30 maggio del 1431 quando, a seguito di un processo per eresia, Giovanna d’Arco viene condannata al rogo e arsa viva. Da questa data in poi, ritroveremo la “Pulzella d’Orleans” protagonista di canzoni, film e discussioni.

    Il cantautore canadese Leonard Cohen saprà renderle omaggio col brano “Joan d’Arc”, contenuto nell’album “Songs of Love and Hate”, pubblicato nel 1971.

    Fabrizio De Andrè invece, che mai aveva fatto mistero delle traduzioni presenti nella propria discografia, l’anno successivo rispetto alla pubblicazione di Cohen, decise di inserire la propria versione del brano come lato b di un 45 giri. Non è un caso che lo stesso 45 giri, nel lato a, contenesse un’altra traduzione dello stesso cantautore, sicuramente più nota, Suzanne. 

    Il disco presentò da subito due copertine, una nera e una bianca, e ciò che le differenziava, oltre il colore, era il titolo della canzone stessa che, nel primo caso era in francese mentre, nel secondo, in italiano. 

    De Andrè riporta quasi fedelmente sia il testo che la musica di Leonard Cohen ma, soprattutto, ne condivide l’ambientazione, concentrando tutti i minuti della durata del brano alla fine della vita di Giovanna d’Arco, nei momenti che l’accompagnarono dal processo alla condanna.

    Dalla prima strofa, infatti, possiamo ascoltare le battute tra Giovanna e il fuoco, immaginando dunque di poter personificare quelle fiamme che, per ultime, avvolgeranno il corpo della donna. 

    Il racconto del dialogo, nonostante il triste epilogo, non manca di fascino e ammirazione, doti distintive di Fabrizio De Andrè che riesce a narrare di un incontro primo e unico, capace di accogliere e spegnere tutti i desideri e i sogni dell’eroina francese per eccellenza.

    Lei, stanca della guerra.
    Lei, la sua vocazione al “trionfo ed al pianto” e lei che, per coronare il proprio sogno di essere moglie, offre al fuoco “il suo modo migliore di essere sposa”.

    L’incontro col fuoco si intensifica nel verso “Lei capì chiaramente che se lui era il fuoco, lei doveva essere il legno”, parole che portano l’ammirazione iniziale verso un crescendo di sensazioni fino a raggiungere una vera e propria estasi mortale.

    Lei, avvolta tra le fiamme di chi l’ha voluta lì ma, nonostante tutto, con l’amara consapevolezza di aver portato a termine la propria missione.

    La strofa finale, presente nella versione di Cohen e nella prima traduzione di De Andrè, che compare solo nella versione su 45 giri e non in quella inserita nell’album del 1974, recita così:

    “Ho visto la smorfia del suo dolore,
    ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante
    anche io vorrei luce e amore
    ma se arriva deve essere sempre così crudele e accecante?”

    Nel singolo, con copertina nera o bianca, l'arrangiamento fu affidato a Nicola Piovani, fresco collaboratore in “Non al denaro non all'amore né al cielo”, diversamente dalla versione presente nell'album “Canzoni”, dove, ad arrangiare, fu Gian Piero Reverberi.

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  • “Campo” e “Cuore” hanno lo stesso numero di lettere e di sillabe e, pensandoci, credo sia perché Via del Campo sia un po’ la via del cuore di ognuno di noi.

    Forse rappresenta il brano che più di altri evidenzia la propensione di De Andrè nei confronti di quel mondo fatto da emarginati, esclusi e prostitute. Un testo ricco di poesia e delicatezza, descrive l’immagine e la realtà di tre donne, di tre vite accomunate dallo stesso destino “sgarbato”.

    “Via del Campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia, tutta notte sta sulla soglia, vende a tutti la stessa rosa”.

    Le parole che De Andrè sceglie accuratamente di usare, rappresentano la nobiltà, il candore e la purezza tanto da raccontare la vita della prostituta come la vita di chi, più che vendere il proprio corpo, “dona” la parte più preziosa di se: la propria rosa.

    “Nascon fiori dove cammina” è il modo più poetico e delicato per raccontare, nella strofa successiva, la seconda figura femminile della canzone: la bambina. I fiori che crescono dopo ogni suo passo vogliono indicare la speranza nella vita della giovane donna: il futuro.

    Dopo due carezze in qualche modo rassicuranti, nella terza strofa porgiamo la guancia al duro schiaffo della realtà, a quel contrasto forse troppo forte e crudo ma, per certi versi, necessario.

    “Via del Campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano.”.

    La donna, prostituta di professione, ci riporta alla parte meno poetica dell’antico mestiere e, con parole precise e pungenti viene descritta come quella “facile da amare”... Basta prenderla per la mano.

    E di nuovo l’elevazione, il riferimento a quel paradiso che diventa improvvisamente facile da raggiungere: basta una rampa di scale.

    “Via del Campo ci va un illuso...”

    Cambiare la realtà di un posto, modificare la natura di un destino già scritto, rifiutare il contesto per evitare di adattarsi a quello che, più semplicemente, è.
    L’illuso che si reca in via del campo aggiunge qualcosa in più a tutte queste aspettative: la volontà di sposare la donna. Aspettative che non vedranno mai futuro ma solo, al primo piano, il balcone chiuso.

    “Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente...”

    Un verso che ci ricorda che all’amore si risponde soltanto con altro amore, qualunque sia il contesto che fa da cornice al sentimento.

    “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.”

    La canzone è frutto di una ricerca musicale di Enzo Jannacci, che ne è coautore, e Dario Fo.

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  • E’ il 27 agosto del 1979 quando Fabrizio De Andrè e sua moglie, Dori Ghezzi, vengono prelevati dall’ “Anonima Sequestri”, in Sardegna. Da quel momento, per i quattro mesi successivi, sentiremo parlare di rapimento e sequestro di persona, fino ad arrivare al giorno del rilascio. 

    Un’esperienza oggettivamente cruda e difficile che non spegne l’animo del cantautore e di Dori i quali, al contrario, cercano di trarre tutto ciò che un contesto del genere può offrire di positivo.

    Franziska, brano contenuto nell’album detto de “L’Indiano” del 1981, vede la luce proprio in Sardegna e proprio durante le settimane del rapimento.
    La storia raccontata nella canzone sarà infatti ispirata a un racconto sentito dai rapinatori. 

    “I miei guardiani mi parlavano dei vari Mesina come di eroi, l’equivalente di Billy the Kid. E’ dai loro racconti che ho appreso la storia di Franziska, donna di un bandito latitante, stanca di vivere senza vivere davvero.”. 

    L’ambientazione dell’intera vicenda sarà dunque la Sardegna mentre l’amore narrato, stavolta, si scontrerà con diverse problematiche. Prima fra tutte, il rapporto tra Franziska e il bandito, il “marinaio di foresta”, costretto a vivere alla macchia.

    Arriviamo quindi alla smisurata gelosia di lui che, nonostante la sporadica presenza fisica nel rapporto di coppia, riesce a frenare la vita di lei, ponendola in quell’ombra dalla quale osserva la vita degli altri comunemente scorrere, a differenza della propria. Il dolore si fa più acuto e l’assenza diventa una più forte presenza nel momento in cui, Franziska, vede anchel’ultima sorella prendere marito. 

    Lei, allontanata da eventuali corteggiatori e da ogni situazione capace di creare equivoco, si rende conto di essere stata allontanata completamente dalla sua stessa esistenza.

    Il destino che spetta al bandito, ad ogni modo, non può essere definito migliore di quello della donna.  Anche lui, per i continui spostamenti, sperimenta la solitudine.

    Si apre quindi una parentesi su uno dei tanti uomini “vittime di questo mondo”, cantati da sempre da De Andrè: l’uomo, senza stelle e senza fortuna, dormirà col rosario di Franziska stretto intorno al suo fucile come unico ricordo, unico rimando a quella vita di coppia che è impossibilitato a vivere. 

    Entrambi, in qualche modo, vittime del sistema ma uniti nella sofferenza, vivono la loro vita “solo con gli occhi”.

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  • Contenuto nell’album "Rimini" del 1978, "Sally" si presenta come un brano che sfiora i cinque minuti di durata ma che, in realtà, dura molto di più. Come la rete dei pescatori in mare, così questa canzone viene gettata lungo un vasto spazio di storia e di tempo, raccogliendo diversi spunti e riferimenti che cercheremo di analizzare un po’ alla volta.

    Allusioni pungenti già nella prima strofa che racconta la disobbedienza di un ragazzo alle parole della madre che, indossando le vesti di una realtà stereotipata, raccomanda il figlio di non uscire a giocare con gli zingari nel bosco. 

    Quanto è bello il proibito? Quanto profuma di libertà la trasgressione? Non tarda a scoprirlo il protagonista che, camminando lungo la strada dell’ignoto, incontra Sally e il suo tamburello.

    Da qui in poi una serie di avventure traumatizzanti accompagnano la vita del giovane uomo che, per saziare la propria fame di libertà, abbandona Sally e continua il viaggio.

    Potremmo quindi parlare della donna come di quel corrimano al quale tutti, almeno una volta nella vita ci siamo aggrappati per attraversare un tratto nuovo, in salita o in ripida discesa o, semplicemente, inaspettato perché fuori dai canoni di realtà che avevamo immaginato. 

    Proseguendo nel viaggio, ci scontriamo col primo riferimento letterario, Pilar Del Mare, personaggio presente nel romanzo “Cent’anni di Solitudine” di Gabriel Garçia Marquez. L’incontro con Pilar rappresenta l’arrivo nella “grande città” che, come si può facilmente immaginare, presenta altri stimoli e racconta di altre avventure alle quali l’uomo non sa più sottrarsi. 

    La ricerca di libertà si conclude con “il re dei topi”, altro omaggio al film “El Topo” di Alejandro Jodorowsky, che fa del male consapevolmente e incarna forse la dura realtà del disincanto. 

    Il protagonista, a questo punto del viaggio, si trova di fronte alla delusione di veder svaniti i propri sogni, circondato da un mondo troppo distante da quello spesso immaginato.

    La mente, capace di correre più velocemente di chiunque, lo riporta infatti col pensiero a Sally.  E se il prezzo da pagare fosse stato troppo alto? 

    L’aria di pentimento, il senso di impotenza e, tuttavia, l’immagine di quel tamburello che ha saputo far vibrare le corde della libertà, a qualunque costo.

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  • “E’ comprendere che siamo irresistibilmente attratti l’uno dall’altro e dobbiamo accettarlo. Dobbiamo fare i conti con questo, con i nostri corpi, i nostri cuori, le nostre anime, le nostre menti e i loro bisogni.”

    Quali sono i bisogni di cui parla Leonard Cohen, riferendosi alla sua Suzanne? 

    Cercando un’origine, possiamo dire di trovarla nel 1966 quando, per la prima volta, il testo viene pubblicato come poesia con il titolo di “Suzanne takes you down.”

    La prima interpretazione sarà di Judy Collins mentre, nel 1967 diventerà la prima traccia dell’album di debutto di Leonard Cohen intitolato, appunto, “Songs of Leonard Cohen”.

    Una trama sfuggente, raccontata con un linguaggio allusivo tipico del poeta canadese, traccia i bordi di una personalità che riporta a quella di Suzanne Verdal, ballerina e moglie dello scultore Armand Vaillancourt. 

    L’intero brano si muove tra realtà e desiderio, intrecciando un incontro a casa della donna e le fantasie scatenate da una visita a una piccola chiesa dei marinai, sempre a Montreal, la Chapelle de Bonsecours, come ricorda Riccardo Bertoncelli. Nonostante alcune voci abbiano da subito sostenuto il contrario, in un’intervista del 1970, è lo stesso Leonard a dichiarare che mai aveva avuto rapporti con Suzanne e che la canzone mescolava elementi reali ad elementi sognati. La stessa tesi sarà poi confermata dalla Suzanne Verdal, in un’intervista del 2006.

    Parliamo quindi di un incontro e di un racconto che volge verso lo spirituale. Un intrecciarsi di anime che semplicemente godono una della presenza dell’altra.

    Ci fu un momento, in realtà, in cui Cohen cercò da Suzanne un altro tipo di avvicinamento, senza riuscirci. Forse a conferma del fatto che alcuni rapporti sono talmente belli, e la paura di sciuparli è talmente tanta, che si preferisce non intaccarli, per evitare anche solo di sfiorare la possibilità di toglier loro la magia.

    La traduzione di De Andrè resta quasi totalmente fedele all’originale; si discosta maggiormente soltanto in due punti: Cohen parla della donna descrivendola come “mezza matta” mentre Fabrizio traduce questo verso usando, forse a livello provocatorio, l’aggettivo “pazza”.

    L’altro punto che allontana l’originale dalla traduzione si trova nella seconda strofa, incentrata su Gesù, proiezione di Suzanne.

    Come aveva già fatto in altre precedenti pubblicazioni, De Andrè preferisce parlare di Gesù come di una figura “più umana” e, quindi, più vicina alla quotidianità.

    “E lui stesso fu spezzato
    ma più umano abbandonato
    nella nostra mente lui non naufragò.”

    A livello strettamente discografico una curiosità: esiste una versione su 45giri del 1972, sia di colore bianco che di colore nero, il cui arrangiamento fu opera di Nicola Piovani e che differisce in maniera evidente rispetto alle incisioni su Lp e Cd, opera invece di Gian Piero Reverberi.

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  • Valzer per un amore: una vocazione, quella di De Andrè, ed una propensione all’arte in generale che inizia esattamente con la sua venuta al mondo.

    Fabrizio nacque a casa e pare che il professor De Andrè, durante le ore di travaglio della signora Luisa Amerio, avesse messo sul giradischi proprio uno tra i brani più celebri di Gino Marinuzzi, compositore e direttore d’orchestra siciliano, “Valzer Campestre”. 

    Quando, anni dopo, Fabrizio ha saputo del dolce aneddoto, ha voluto riprendere la melodia di Marinuzzi per scrivere le parole di quello che sarebbe poi diventato, appunto, “Valzer per un amore”. La melodia originale viene rispettata in ogni dettaglio, De Andrè si limita soltanto a rallentarne un po’ la velocità, quel che basta per aggiungere un tono di malinconia che sposa il testo e il senso dell’intera canzone. Innegabile dunque la propensione del cantautore nei confronti della musica popolare che, nel corso della propria produzione discografica, saprà analizzare in ogni sfumatura. 

    Ancora una volta, protagonista del brano è l’amore, vittima dell’inesorabile scorrere del tempo che sfuma i colori della passione e del desiderio. Croce e delizia di ogni essere umano in età evolutiva, infatti, il tempo che scorre punta un faro sulla passione amorosa, sull’oggettiva bellezza della giovinezza che diventa via via meno scontata. 

    L’intera canzone può dunque riassumersi in un invito ai piaceri dell’esistenza, un urlo di coscienza rafforzativo del “hic et nunc”, qui ed ora.

    L’uomo corteggia la sua amata mettendo in scena una proiezione futura capace di trasformare l’avvenire in rimpianto, triste conseguenza del non aver vissuto degnamente il presente. E’ dunque una sorta di rifiuto all’essere reticente, limite per una vita piena. 

    Infine, la presa di coscienza più dolorosa e al contempo necessaria  per meglio comprendere la precarietà di tutto ciò che spesso, per errore, tendiamo a considerare invece eterno. “Ma più ancora del tempo che non ha età, siamo noi che ce ne andiamo”. 

    Insieme al maestro Gino Marinuzzi, è d’obbligo citare Pierre De Ronsard, compositore del sonetto che ha influenzato l’intera pubblicazione, in particolare nei versi  “Quand vous serez bien veille.”.

    Il brano uscì come singolo sul lato B del LP 45 giri La canzone di Marinella, fu poi inserito nell’album “Nuvole Barocche” del 1969 e nell’album “Canzoni”, qui con diverso arrangiamento.

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  • Nell’intera esperienza poetica, discografica e di vita di Fabrizio De Andrè, riusciamo a distinguere alcune macrocategorie, argomenti presenti più di altri e analizzati con meticolosa pazienza e genialità in ogni sfumatura. Nell’elenco non manca di certo l’amore, del quale Fabrizio riesce a parlare utilizzando, come è solito fare, pochi ma pungenti termini che, come lame affilate, hanno lacerato il cuore di ognuno di noi. 

    L’amore vissuto, quello sognato, l’amore immaginato, libero o non corrisposto sono solo piccoli esponenti al di fuori di una parentesi che, dopo anni, continua a mutare nel contenuto, sviluppando di volta in volta analisi e riflessioni differenti. 

    Tracciando una linea, chiudendo un altro piccolo cerchio all’interno della grande categoria dell’amore, mi piace pensare De Andrè abbia prediletto l’amore libero, dove la libertà rappresenta quel comune denominatore di storie di quotidianità, vissuta e immaginata. Se estendiamo questa supposizione alle figure femminili da lui stesso narrate, troviamo sicuramente Barbara. 

    E’ la storia di una donna che “gioca all’amore”, come descrive lo stesso De Andrè in uno dei versi della canzone.
    Barbara racconta di una passione senza vincoli formali, un amore che sa essere anche spietato, che non conosce limiti e confini anche quando si rischia di ferire l’altro. Lei questo lo sa bene perché, dallo stesso cuore infranto, ha saputo riceverne il perdono.

    Barbara, a differenza delle donne della sua età, non desidera prendere marito perché sa già che “ogni letto di sposa è fatto di ortiche e mimosa”. Eppure, in qualche modo, ci dimostra che ognuno di noi quotidianamente sceglie di sposare qualcosa o qualcuno, seppur un’idea. Barbara ha sposato la libertà.

    Questa stessa visione dell’amore possiamo ritrovarla in diverse pubblicazioni del cantautore, nonostante differiscano per anno di uscita.  Quello che mi è sempre piaciuto considerare un legame invisibile ma indissolubile è l’associazione di alcuni brani tra loro, come una sorta di continuazione della storia raccontata, differendo per contesto ma non per significato.  Barbara, per esempio, l’ho sempre immaginata nitidamente, con i suoi larghi occhi chiari.

    “Per i tuoi larghi occhi” pone al centro della questione un amore non corrisposto, una donna “dal cuore di neve”.
    L’allontanamento dalla persona amata viene vissuto e raccontato con apparente distacco, ma è l’ultima strofa che restituisce forza e vigore al legame che è stato. L’innamorato è deluso ma non riesce a nascondere i suoi sentimenti, seppur con una punta di razionalità e orgoglio.

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  • Rimini, canzone che da il titolo all’intera opera pubblicata nel 1978 con Massimo Bubola, ci apre il viaggio nei pensieri di Teresa. 

    La storia di Teresa si svolge tra sogno e realtà, tra spazio e tempo, nella Rimini che, prima di De Andrè, Fellini descrive ampiamente nel film “i Vitelloni”.
    La meta preferita dalla piccola borghesia d'Italia, quella del boom economico, fa da sfondo ad una storia che si muove tra allegorie e metafore, tra scoperte e sensi di colpa. 

    Nei primi versi della canzone conosciamo Teresa: occhi secchi e labbra screpolate, conseguenze dell’aver pianto tanto, troppo, per aver “dovuto” abortire il figlio che portava in grembo, frutto dell’amore consumatosi con il bagnino.
    La lungimiranza di De Andrè si fa di nuovo spazio, portando al centro della questione l’aborto, oggetto del referendum che si terrà tre anni più tardi rispetto alla pubblicazione del disco. 

    Le lacrime di Teresa sono sì per l’amore ormai perduto ma anche per le conseguenze che questo suo gesto avrà in paese. Da qui il verso che, come una preghiera, recita di “non fare più scommesse sulla figlia del droghiere.”.

    A tal proposito, presentando la canzone in concerto, De Andrè dirà “Questa ragazza è costretta a fare una cosa che non avrebbe mai fatto in vita sua, cioè abortire il figlio del bagnino, perché imprigionata da certe regole stronze che sono quelle della piccola borghesia. Io di piccola borghesia me ne intendo perché sono un piccolo borghese. Ma il dramma è che dopo aver abortito se lo prende in braccio e se lo guarda con dolcezza. A me sembra un dramma.”.

    La protagonista del brano sogna quindi di evadere da una realtà che ha deciso per lei e inizia a fantasticare sui luoghi e sulle persone. Teresa sogna di incontrare Cristoforo Colombo, riconoscendo una sorta di complementarità tra le loro storie. 

    Entrambi accomunati da una voglia di scoperta e di avventura verso l’ignoto, vivono un “aborto” rappresentato dal distacco e dalla differenza che intercorre tra il sogno e la realtà. Colombo “ha inventato un regno ma un triste re cattolico lo ha macellato su una croce di legno.” Chiaro riferimento alla Chiesa Cattolica che impone il proprio credo alla conquista di terre sotto la bandiera dell'evangelizzazione, per larghi tratti forzata, delle popolazioni del Centro America.

    In questo caso, l’aborto si concretizza in un continente creato e distrutto. L’immagine descritta nella strofa in cui “Teresa toglie le manette” all’esploratore, vuole indicare una forte presa di coscienza, un urlo pentito rappresentato dall’errore di saggezza che ha portato entrambi a perdere il loro amore, macellato.

    “Due errori ho commesso, due errori di saggezza, abortire l’America e poi guardarla con dolcezza.”

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  • Proviamo a pensare alla produzione discografica di Fabrizio De Andrè come ad una serie di puntini, abilmente numerati, da collegare per far comparire la figura.  Alcuni di quei puntini rappresentano incontri, altri viaggi, altri ancora influenze e correnti di pensiero.

    Non è un mistero l’associazione di Fabrizio ad una cultura francese e trobadorica così come non si può non pensare alle innumerevoli traduzioni “importate” con dedizione e impegno nel grande baule della canzone d’autore italiana.

    Nancy nasce così, dalla traduzione di un brano del cantautore e poeta canadese Leonard Cohen, “Seems so long ago”, dall’album “Songs from a room” del 1969. Nell’intenzione di Cohen, Nancy è la canzone di un riscatto nei confronti di una ragazza che egli stesso descriverà come “molto vicina a lui”.

    Una ragazza che non appartiene alla maggioranza e che, probabilmente per inseguire la propria idea di mondo e di libertà, a venti anni scappa dalla propria famiglia. Morirà suicida appena ventunenne, dopo aver vissuto il distacco dal proprio bambino, portatole via dalla legge.

    Potremmo dire che Nancy, nel brano di De Andrè e forse nella vita, sia in grado di abitare contesti differenti, entrambi con una forte presenza.

    Nell’immaginario degli amanti, viene sicuramente dipinta con i colori delle “occasioni”, posizionata nella categoria delle donne dall’innamoramento facile e dai facili costumi.

    Sono i versi cantati come un’ammissione di colpa, un grido di verità, a dare luce diversa alla protagonista. “Dicevamo che era libera ma nessuno era sincero”

    Che prezzo ha, dunque, la libertà? Nancy, apparente simbolo di emancipazione, porta con sé un forte senso di abbandono ed un primitivo bisogno di amore. Lei, costretta alla prostituzione dalla fallocrazia, sperimenta sulla propria pelle “il prezzo che si paga per assomigliare al proprio desiderio”.

    Il “palazzo del Mistero”, prima per Leonard Cohen e successivamente per De Andrè, va inteso come una “casa di appuntamenti”. Quale uomo avrebbe mai avuto intenzione di corteggiare Nancy, di conseguenza pensata come “donna da appuntamenti?”

    L’ultima strofa rappresenta un intimo incontro tra i pensieri della donna e quelli della gente, nutriti dal senso di colpa di tutti coloro che avevano avuto modo di viverne la leggerezza senza mai conoscerne la profondità.

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    L'AUTRICE / Lucia Lamboglia: https://instagram.com/lucia.lamboglia

    LA NARRATRICE / Talìa Donato: https://www.instagram.com/taliadonato/

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    Bibliografia:

    Le storie dietro le canzoni - Walter Pistarini / https://deand.re/to/#vY4MP4A

    Canzone dopo canzone - Guido Michelone / https://deand.re/to/#ds-vMhU

    Prinçesa e altre regine - Concita De Gregorio / https://deand.re/to/#THYLa2s

    Uomini e Donne di Fabrizio de André - Alfredo Franchini / https://deand.re/to/#KtRtVwA

  • Secondo brano dell’album “La Buona Novella”, ne “L’infanzia di Maria” analizziamo la “prima” vittima del potere, in questo caso da intendere come potere religioso. Puntiamo i fari dell’attenzione sulla vita condotta da Anna e Gioacchino, genitori di Maria. 

    Una vita pura, spesa nel rispetto che si tramuta in timore del parere altrui. Una teoria che trova conferma nei versi “forse fu per bisogno o, peggio, per buon esempio, presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio.”. Quel “buon esempio” tramandato come una legge non scritta. 

    E’ così che viene descritto il passaggio di Maria nel Tempio.

    Un mondo esclusivamente maschile che accoglie i bisogni e le fragilità di una bambina. Un angelo, secondo De Andrè, la figura capace di riempire le ore di una Maria bambina, a misurarle il tempo fra “cibo e Signore”. 

    Sono le voci di cori che, a questo punto del brano, cantano del passare del tempo, del mutare delle stagioni dunque della vita, tranne per Maria, lei che “nel tempio resta china”. 

    La tirannia del tempo però non risparmia nessuno e così, pur vivendo una vita seguendo una linea passiva, Maria si trova a varcare il confine che la porta nel mondo dei grandi. I suoi dodici anni e le sue prime mestruazioni le aprono le porte dell’età adulta ma le chiudono in modo definitivo quelle del Tempio. Credendola una donna impura e, peggio, contaminata, i sacerdoti ne rifiutano la presenza. 

    Quello a cui si assiste è una sorta di asta pubblica per trovar marito a “chi non lo voleva”. 

    Vengono dunque riuniti tutti gli uomini del paese, scapoli ma anche vedovi, mentre “del corpo di una vergine si fa lotteria”. 

    Di nuovo i cori, ancora queste voci sovrapposte in modo disordinato che descrivono cosa vedono gli occhi puntati su Maria, ormai prossima a diventare moglie. Versi che sembrano essere quasi un implicito invito a guardare le varie parti del corpo della ragazza, ormai priva di una propria personalità.

    La musica cambia, l’attenzione si sposta su Giuseppe. Il “destino sgarbato” ha scelto lui. Reduce del passato, falegname per forza, padre per professione. 

    La descrizione che ne fa De Andrè è breve ma unisce e riunisce tutti i punti che mostrano la personalità dell’uomo che è stato scelto. E’ in particolare il verso “una figlia di più senza alcuna ragione” quello che marca con inchiostro indelebile la differenza di età tra i due, pensando più facilmente ad una paternità piuttosto che ad un’unione coniugale. 

    La strofa succcessiva rafforza i sentimenti di Giuseppe, descrivendolo addirittura “stanco di essere stanco” ma comunque accanto a quel destino che qualcuno ha riservato per lui.  Gli ultimi versi sono recitati, come il finale di una qualsiasi storia che si rispetti ma che non sempre incontra il finale che immaginiamo. 

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    Le storie dietro le canzoni - Walter Pistarini / https://deand.re/to/#vY4MP4A

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  • Quand’è che si diventa donne? E chi è Maria, termine di paragone nella vita di chi le sta accanto?

    Dunque, facciamo un passo indietro ed immergiamoci nelle pagine del protovangelo di Giacomo che, insieme agli altri vangeli apocrifi e del Vangelo arabo dell’infanzia, ha gettato le basi per la stesura dell’unico album di cui De Andrè si dirà realmente soddisfatto, “La Buona Novella”, pubblicato il primo novembre del 1970. Un lavoro sull’umanizzazione di figure spesso immaginate troppo distanti da noi per via di una sacralità irraggiungibile.

    Concentrandosi quindi sulla natura umana dei personaggi biblici, De Andrè riesce a coglierne, e raccoglierne, tutte quelle sfumature che senza fatica si adattano alla quotidianità di ognuno di noi.

    Non dimentichiamo che parliamo di chi, riferendosi a Gesù Cristo, lo definì “il più grande rivoluzionario della storia”, disposto “a morire per delle idee”, per citare Brassens. Seguendo questa scia ritroviamo Maria, femmina un giorno e poi madre per sempre.

    Un dono, quello della maternità che viene raccontato come un vero e proprio inno alla vita.

    In meno di tre minuti, infatti, Fabrizio De Andrè riesce a descrivere le emozioni che intercorrono e separano la gravidanza e il parto.

    Maria, prossima a diventare madre, si muove tra “l’altra gente” che si raccoglie intorno al suo passare. Si avvicina la stagione che illumina il viso a ricordarle quanto è incerto il confine tra la gioia e il dolore.

    “Femmine un giorno e poi madri per sempre.”

    Non importa chi porti in grembo, che sia povero o ricco, umile o messia.

    In un verso breve ma di una potenza struggente, Fabrizio ci ricorda che la maternità non ha scadenze, che, si diventa madri un giorno e non si smette mai, non si finisce più di esserlo.

    “Ave Maria, adesso che sei donna. Ave alle donne come te, Maria.”

    Importante è considerare il momento della pubblicazione dell’album: la cornice di un quadro che non tutti erano pronti ad osservare e, in questo caso, ad ascoltare.

    Prendiamo in prestito le parole dello stesso De Andrè che definì il momento così: “Si era in piena lotta studentesca e alcuni considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: 'Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo?’ Non avevano capito che voleva essere un’allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.”

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  • Una delle definizioni di passione che preferisco recita così: momento o motivo della vita affettiva caratterizzato da uno stato di violenta e persistente emozione.

    Il nostro viaggio insieme partirà proprio da questa definizione, da aggettivi che sanno descrivere l’anima tormentata di Prinçesa. Siamo nel 1996, il 19 settembre, all’alba di una pubblicazione che lo stesso De Andrè definirà “una specie di elogio alla solitudine”.

    Ancora una volta, il cantautore genovese sceglie di rendere poesia una serie di eventi realmente accaduti. In questo caso, le radici del brano affondano nel carcere di Rebibbia, nella cella che accoglie Fernanda Farias De Albuquerque, denunciata per tentato omicidio.

    Fernanda divide il suo tempo con un pastore sardo, Giovanni Tamponi che, percependo il valore umano di quelle ore trascorse insieme, motiva e spinge la sua “compagna” a mettere per iscritto il suo vissuto. E’ esattamente quello che accade nel 1994, quando per la prima volta viene pubblicato il romanzo autobiografico di Fernanda, scritto a quattro mani con Maurizio Iannelli, un ex brigatista romano.

    Entriamo quindi nella realtà di Fernandinho, in quel chiaroscuro dov’è nato che è forse da intendere come una vita di contrasti vissuti già in tenera età.

    Il senso di non appartenenza a quel corpo che lo vuole ciò che non è, si intensifica quando il bambino, di fronte lo specchio, “si para gli occhi con le dita”, immaginando di poter realmente assomigliare al proprio desiderio.

    Un desiderio vivo e ardente che non si spegne, nonostante la voce materna che giustifica il suo essere al mondo usando parole come “sarà l’istinto, sarà la vita”.

    Fernandinho comprende che il “bisturi per seni e fianchi” è l’unico modo, l’unico treno che puo’ prendere per raggiungere la meta, costituita da un senso di appartenenza prima verso se stesso e poi nei confronti del prossimo.

    Inizia quindi la corsa all’incanto dei desideri, per correggere chirurgicamente un errore della natura.

    I versi successivi danno nuovamente magia alla penna e alla voce di De Andrè che, con poche parole, riesce a descrivere la vita che Fernanda è implicitamente costretta a vivere.

    Lei, tra ingorghi di desideri che altro non vogliono che averla accanto per qualche ora e lei che, amaramente ma senza rimpianti, si avvicina alla totalità di una nuova esistenza.

    Fernandinho morto in grembo e Fernanda, bambola di seta, la stella di nome Prinçesa che vivrà nella penombra di un balcone di un avvocato, a Milano, che mai porterà questo amore a vedere la luce del sole.

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    Le storie dietro le canzoni - Walter Pistarini / https://deand.re/to/#vY4MP4A

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  • Donne, a voi, a noi.

    Per tutte le volte in cui vi siete riconosciute in pochi versi di una canzone. Alle donne.

    A quelle cariche d'anni e di castità, tra i ricordi e le illusioni.

    A te che correvi all'incanto dei desideri, con qualche giglio cucito sul vestitino alla buona, per correggere la fortuna. Alle donne, tutte.

    A chi precedeva le fiamme cavalcando e a quella piccola lacrima nascosta che nessuno sa disegnare. A te, ai tuoi occhi color di foglia e all'amore, quello fatto per passione, perché tu lo sapevi che ogni letto di sposa è fatto di ortica e mimosa. Alle donne, sempre.

    A quelle della stagione che stagioni non sente e a quegli occhi che, secchi, guardano verso il mare. Alle donne che, vivendo una vita in direzione ostinata e contraria, non smettono mai di indicarci i colori, tra la spazzatura e i fiori.

    Questo progetto nasce così: dalla necessità di attribuire un volto, una posizione e una lista di sogni da realizzare a tutte queste personalità di cui, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti parte.

    Donne realmente esistite? Poco importa. Sono figure vive nel ricordo di ognuno di noi. Sono donne che creano, abitano e descrivono in modo ampio e articolato tre categorie che, lungo questo percorso, chiameremo “la passione, il dono e la virtù.”

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