Episódios
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La conclusione del radiodramma e di questa porzione di storia
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A Ginevra, nel gennaio 1687, erano arrivati i valdesi sopravvissuti alle carceri sabaude, dove erano stati rinchiusi. Ce n’erano ottomila distribuiti nelle putride celle di carmagnola, Asti, Ceva, Verrua, trino, Vercelli, Cherasco, Fossano, Saluzzo… Vittorio Amedeo II aveva poi, a marcia forzata, spedito i duecento superstiti in Svizzera. Ad aspettarli, sul ponte dell’Arve, c’era il vecchio Giosuè Gianavello e con lui Henri Arnaud, che due anni più tardi avrebbe guidato il Glorioso Rimpatrio dei valdesi nelle loro Valli.
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Estão a faltar episódios?
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Giosuè Gianavello, con altri 44 compagni, detti banditi dall’Editto ducale, sono costretti all’esilio in cambio della pace per le valli valdesi. Gianavello fugge a Ginevra, la città di Calvino, dove vivrà per altri 26 anni. Lungo il cammino che lo porta verso il cantone svizzero egli ripensa al suo agire e alla sua fede.
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Dieci anni ormai sono passati dalla strage del 1655. Gianavello ha rimesso in piedi un’accanita resistenza fino a diventare bandito. Ma i valdesi sono stremati. Nascono dissidi interni. Viene meno lentamente la solidarietà con i banditi. L’assemblea dei capifamiglia si ritrova a Pinasca nella bassa val Chisone. E’ un freddo gennaio del 1664. I valdesi decidono di accettare la pace con il Duca di Savoia e mandare i 44 banditi in esilio, compreso il loro Capitano, Giosuè Gianavello.
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Gianavello, Capitano della resistenza ingaggiata dai valdesi nella seconda metà del Seicento contro il Duca e i vescovi che volevano riportarli alla fede cattolica, è diventato un bandito fuorilegge. Con i suoi, ogni giorno, fa scorribande nella valle di Lucerna, poi torna in alto, dove spesso lo accoglie Magna Giana, fedele collaboratrice che gestisce un’osteria frequentata dai banditi e da altri avventori che portano notizie sempre interessanti sui movimenti degli eserciti amici e nemici.
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Gianavello, Capitano valdese, continua a organizzare le sue bande per resistere a papisti e ducali. Il suo quartier generale si trova al Ciarmis nell’alta val Lucerna, sotto il completo controllo dei banditi. Di lassù, essi scendono per riconquistare i paesi del fondovalle e per fare scorrerie di approvvigionamenti.
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La resistenza valdese si fa sempre più dura. Gianavello s’inasprisce, fino a liberare, nel 1652, il compagna di lotta, Costafort dalla prigione. Dopo questo atto è dichiarato bandito da un editto ducale e si nasconde nell’alta valle di Lucerna, protetto dai suoi luogotenenti e dall’appoggio solidale della sua gente.
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Nelle giornate della Pasqua 1655, il Marchese di Pianezza, con l’aiuto delle truppe francesi di passaggio in Piemonte per andare ad assediare Pavia in mano agli spagnoli, invade le valli valdesi. E’ una strage. Solo Giosuè Gianavello, diventato stratega militare, riesce a organizzare la resistenza valdese, anche se viene ferito e passa alcuni giorni fra la vita e la morte.
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Nelle carceri di Torino si è svolta una missione segreta di Giovanna Arborio di Gattinara, consorte del Marchese di Pianezza, acerrimo nemico dei valdesi. Fondatrice della Propaganda Fide ed extirpandis haereticis, vuole con ogni mezzo, anche con la guerra, riportare i valdesi alla vera fede cattolica. In quel luogo oscuro la Madama ha incontrato una famosa spia.
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Giosuè Gianavello, contadino valdese, si trova sulla piazza del vecchio borgo di Lucerna, nella valle omonima, sede di poteri vescovili e ducali, dove si svolge una disputa fra il ministro di culto Jean Léger, capo degli eretici valdesi e Teodoro Belvedere, il prefetto apostolico di tutte le missioni dei frati sguinzagliati per convertire gli eretici valdesi. La folla segue la disputa, tifando ora per l’uno ora per l’altro, poi iniziano le reciproche aggressioni e il Belvedere è costretto a riparare nel vicino palazzo del priore Marco Aurelio Rorengo.
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Giosuè Gianavello, contadino valdese di Rorà, con l’amico Fina ha partecipato ai giochi di maggio, nella tarda primavera del 1636, in riva al torrente Pellice che scorre in val Lucerna, non lontana da Torino. Vincono la gara di tiro al moschetto, ma Fina è inseguito e picchiato dagli avversari cattolici battuti.
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Giosuè Gianavello, contadino valdese di Rorà, borgo dell’alta val Lucerna, partecipa con l’amico Fina ai giochi di maggio dell’estate del 1636 in riva al torrente. Vincono, esultanti, la gara di tiro al moschetto e si accingono a festeggiare allegramente con molti bicchieri di vino.