Episódios

  • In concomitanza con l’uscita in italiano del suo ultimo libro, intitolato Un giorno tutti diranno di essere stati contro, ecco un’intensa intervista allo scrittore e giornalista egiziano-statunitense Omar El Akkad. El Akkad riflette sul collasso morale dell’Occidente, incapace di chiamare “genocidio” ciò che sta avvenendo a Gaza per timore delle conseguenze politiche e personali. Denuncia l’ipocrisia di leader e istituzioni che, pur vedendo l’orrore, scelgono il silenzio. L’autore parla da una posizione disillusa e profonda, maturata da reporter in Afghanistan, a Guantanamo, durante la prima guerra del Golfo e durante le sollevazioni arabe popolari del 2010-2011.

    Figlio del colonialismo, cresciuto tra culture diverse, El Akkad incarna il trauma dell’esilio e la frattura identitaria, oggi aggravata dal massacro in Palestina, che considera il punto di rottura definitivo. Il suo libro è un atto di coscienza, più che un tentativo di persuasione, nato da una crisi personale e morale che lo ha spinto a non voltarsi più dall’altra parte.

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    I paesi baltici sono diventati rifugio per centinaia di giornalisti scappati dalla Russia soprattutto dopo che il presidente Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, nel febbraio 2022. Sarebbe stato impossibile continuare a lavorare nel loro paese. Molti oggi sono in Lettonia, dove i loro editori hanno spostato redazioni e personale. Radio Svoboda, Novaja Gazeta, Meduza e tante altre realtà della stampa indipendente continuano a coprire da lì gli eventi che accadono in Russia. Ma i problemi che devono affrontare sono molti: vivere lontano dai propri amici e familiari, in esilio, lontani dal loro paese, crea isolamento, solitudine, incertezza per il futuro. Alcuni si sono adattati alla loro nuova vita e continuano a fare il loro lavoro. Altri hanno avuto bisogno di assistenza e protezione in centri dedicati ai giornalisti come il Riga Media Hub.

    Prima emissione: 22 marzo 2024

  • Estão a faltar episódios?

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  • Il 16 settembre 2024 un gruppo di 8 studenti e studentesse delle scuole superiori, anziché presentarsi all’ingresso delle loro rispettive scuole, si sono caricati lo zaino sulle spalle ed hanno cominciato a camminare. Assieme a tre professori-guide e ad altri che si sono aggiunti per alcuni periodi, hanno attraversato l’Italia dal Mediterraneo alle Alpi. A fare da aula i boschi, i sentieri, i borghi dove un’umanità variegata li ha accolti ed ospitati. Si tratta di Strade Maestre, un progetto educativo mai realizzato prima in Italia, e forse anche nel mondo, che si propone di fare scuola in maniera alternativa, attingendo al territorio e alle relazioni.
    Lungo il percorso l’insegnamento e l’apprendimento sono avvenuti in maniera formale e informale, unendo la teoria e la pratica, lo studio e il confronto. Si è parlato di geologia sui pendii dell’Etna e ai Campi Flegrei, di chimica e biologia lungo un sentiero o in uno stabilimento industriale, di italiano all’interno della casa di Dante, di storia sulla Linea Gotica.

    Laser di oggi racconta un pezzo di strada fatto insieme, raccogliendo le motivazioni, i desideri, le gioie e le fatiche e scoprendo il potenziale incredibile di una scuola in cammino.

  • Ogni anno migliaia di giovani etiopi, somali ed eritrei affrontano la “Eastern Migration Route”, una delle rotte migratorie più battute e meno raccontate del mondo. Dal cuore dell’Etiopia fino alle coste del Golfo di Aden, passando per Somaliland e Puntland, inseguono il miraggio dell’Arabia Saudita, meta finale di un viaggio pieno di sofferenze, inganni e pericoli.
    Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione, IOM, almeno 96.670 persone sono passate dal Corno d’Africa allo Yemen nel corso del 2023, circa un terzo in più rispetto al 2022. Circa il 95% di questi migranti proveniva dall’Etiopia.
    In questo reportage realizzato sul campo, ascoltiamo le voci dei migranti, dei familiari rimasti a casa, degli attivisti e degli operatori umanitari. Cerchiamo di capire quali sono le ragioni che spingono tutti questi giovani a partire e come i trafficanti sfruttano il fenomeno. Un viaggio segnato da illusioni, sofferenze, abusi e dalle celle sovraffollate delle prigioni saudite dove molti finiscono per poi essere rimpatriati.

  • Trentanove persone persero la vita allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool.

    Quarant’anni fa, il momento più tragico della storia del calcio cambiò per sempre la nostra percezione e la passione per quella disciplina sportiva. L’evento segnò centinaia di famiglie in tutta Europa (i feriti furono oltre seicento), i giocatori in campo, gli spettatori davanti alla televisione, i giornalisti presenti allo stadio, chiamati a raccontare una vicenda che ancora oggi lascia increduli e impotenti.

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    Esiste un “prima” e un “dopo” Heysel. Lo sport ha provato a rimuovere quella vicenda (il sito della UEFA dedicato alla Champions’ League non riporta nulla di quel match se non il tabellino con giocatori, marcatori e ammoniti, perfino lo stadio viene chiamato con il nome assegnato in seguito, ovvero “Re Baldovino”), l’arte e la letteratura invece non hanno dimenticato, e ancora oggi si interrogano sulle conseguenze di quell’evento. Per la nostra società civile, per la storia e per tutti noi.

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    Con Massimo Raffaeli, saggista, critico letterario traduttore del lavoro “Le gradinate dell’Heysel” del saggista e critico belga Pol Vandromme. Alberto Cerruti, decano dei giornalisti sportivi e commentatore del Corriere del Ticino, e il contributo delle Teche RSI, con interviste al calciatore Paolo Rossi, al regista Tullio Emilio Giordana e a Gabriele Albertini, commentatore televisivo della RSI presente alla partita.

    Tenemmo la Coppa, il sangue era nostroundefined
  • In ogni epoca umana ci sono mestieri che nascono e mestieri che muoiono. La trasformazione del tessuto sociale porta inevitabilmente con sé una continua trasformazione del tessuto economico.

    Oggi ci sembrerebbe strano avere a che fare con una fiammiferaia come quella della favola, ad esempio. O con un acquaiolo: colui che vendeva acqua da bere agli angoli delle strade. Allo stesso modo una persona del 19mo secolo non avrebbe saputo che pesci pigliare, se si fosse trovata davanti a un informatico, o a un tiktoker.

    Ma c’è una piccola categoria di mestieri, spesso antichi, che sebbene non rivestano più un’importanza economica, hanno resistito al cambiamento dei tempi. Sono quei mestieri che ci riconnettono con le nostre radici. Spesso mestieri artigiani, o contadini, che raccontano una storia; una sapienza nascosta tra le rughe delle mani. Mestieri che vengono riscoperti, che perdono il loro carattere di necessità per diventare hobby, passioni, se non addirittura forme di meditazione.

    Uno di questi è il cestaio, che negli ultimi anni sta vivendo un aumento di popolarità grazie anche ai tanti corsi che si tengono in ogni forma, per poterne imparare le basi. Il protagonista del nostro Laser di oggi ha imparato così. Marco Pagani lo ha incontrato.

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    Inattitudine alla vita militare, scelte errate dei comandanti, traumi psicologici, impossibilità di dimettersi dall’esercito. Più la guerra va avanti, più il fenomeno delle diserzioni in Ucraina diventa una questione pubblica. Serhii Hnezdilov è uno di loro. Dopo cinque anni di permanenza nell’esercito, dichiara pubblicamente la sua diserzione. Nel giugno 2014 il Parlamento ucraino ha fatto una legge per regolare e comprendere questo fenomeno e favorire il rientro volontario di chi ha in precedenza disertato. Un viaggio nel cuore di una questione complessa e delicata. L’obiettivo è capire quali sono le motivazioni, le paure e le disillusioni che possono portare un uomo a voltare le spalle alla propria patria in un momento così critico.

    Prima emissione: 5 marzo 2025

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    “Perché sono tornato nella mia vecchia cella? Per ricordare tutto il dolore che ho provato in questo posto e poi uscire, guardare il sole e respirare”.

    Mohammad cammina nel buio dei sotterranei di quello che fino a pochi giorni fa era il sotterraneo della sede dei servizi segreti militari di Bashar al-Assad. Quando lo portarono qua aveva poco più di 16 anni.

    Il sotterraneo era una prigione segreta, ufficialmente non esisteva, ma molti cittadini siriani ci sono passati. Sotto l’ex-regime non era tollerato alcun tipo di dissenso. A scuola, al lavoro, durante il servizio militare, figuriamoci quando qualcuno provava a esprimere le proprie idee politiche. E spesso prima di finire nelle prigioni ufficiali i detenuti finivano in queste carceri segrete.

    Lo scorso dicembre, quando in pochi giorni i gruppi ribelli hanno costretto alla fuga le truppe governative, questi luoghi del terrore sono stati aperti e i prigionieri ancora vivi liberati. Le carceri segrete ma anche quelle ufficiali, che avevano un nome e un luogo fisico ben definiti, come la prigione di Saydnaya a nord di Damasco.

    Ma non tutti sono riusciti a tornare a casa. In tutto il paese ci sono centinaia di migliaia di famiglie che stanno ancora cercando i loro cari. A Damasco per esempio ci sono luoghi pieni di foto con sotto nomi, cognomi e numeri di telefono. Le hanno messe proprio le famiglie delle persone di cui ancora non si hanno notizie.

    Questo radio documentario, registrato a Damasco pochi giorni dopo la caduta del vecchio regime siriano, vi porta nei luoghi dove per decenni si sono consumate alcune delle più efferate violazioni dei diritti umani che la storia contemporanea ricordi.

    Prima emissione: 13 febbraio 2025

  • L’Occidente ignora la Storia, Putin è pronto a tutto

    “Perché i russi non si ribellano?” È una domanda che si è sentita spesso fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Ma è davvero possibile parlare di una responsabilità collettiva — in questo caso della società russa — di fronte alla guerra in Ucraina e al regime autoritario di Vladimir Putin? Oppure, come accade nel diritto penale, esiste solo una responsabilità individuale? E quanto costa essere liberi in un regime autoritario come quello russo?

    È questo il tema della puntata di Laser, che parte dalle testimonianze raccolte a Ginevra, a margine dell’ultimo Summit for Human Rights and Democracy, di due tra i maggiori dissidenti russi: Vladimir Kara-Murza e Garri Kasparov. Vladimir Kara-Murza è stato liberato nell’agosto 2024 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia. Era detenuto in isolamento in una colonia penale siberiana, dove stava scontando una condanna a 25 anni per aver criticato il Cremlino e la guerra in Ucraina. Garri Kasparov, uno dei più grandi scacchisti della storia e tra i più noti oppositori di Putin, vive in esilio dal 2013.

    Secondo Kara-Murza e sua moglie, Evgenia Kara-Murza, attivista per i diritti umani, nonostante la repressione e la propaganda, una parte consistente della società russa condanna la guerra e non si riconosce nel regime.

    Per Garri Kasparov, invece, la responsabilità della guerra in Ucraina non può ricadere solo su Putin, perché milioni di cittadini contribuiscono, in vari modi, al funzionamento della macchina bellica.

    Una riflessione sulla società russa di oggi, alla luce della storia, è offerta in questa puntata anche da Giovanni Savino, storico specialista di Russia e Europa orientale, docente all’Università Federico II di Napoli, e Maria Chiara Franceschelli, ricercatrice della Scuola Normale Superiore di Pisa, esperta di società civile e movimenti sociali nella Russia contemporanea.

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  • La famiglia dei compositori Strauss – Johann Strauss padre, Johann Strauss figlio, Josef e Eduard – ha dominato l’Ottocento viennese ed è riuscita poi a conquistare il mondo, grazie anche al Concerto di Capodanno, che dal Musikverein di Vienna ogni primo gennaio raggiunge milioni di appassionati.

    Soprattutto Johann Strauss figlio ci ha lasciato centinaia di opere di successo, prime fra tutte il valzer Sul bel Danubio blu e l’operetta Il Pipistrello. Ma chi era quel figlio d’arte, nato nel 1825 e morto nel 1899? E com’era la Vienna del suo tempo? Come fu che il valzer diventò uno dei balli più amati? E quali sono gli ingredienti alla base della sua fama, che già ai suoi tempi era internazionale?

    Nell’anno del bicentenario della nascita di Johann Strauss figlio, che a Vienna vede un gran numero di eventi a lui dedicati, Flavia Foradini si è messa sulle sue tracce. Con l’aiuto del musicologo Thomas Aigner, della storica Lisa Noggler-Gürtler e della divulgatrice Clara Kaufmann delinea lo sfondo storico della capitale asburgica nel diciannovesimo secolo, da cui emerse il fenomeno Strauss, e disegna un ritratto di un artista che seppe essere un’icona della musica viennese e una vera e propria popstar ante litteram.

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  • La famiglia dei compositori Strauss – Johann Strauss padre, Johann Strauss figlio, Josef e Eduard – ha dominato l’Ottocento viennese ed è riuscita poi a conquistare il mondo, grazie anche al Concerto di Capodanno, che dal Musikverein di Vienna ogni primo gennaio raggiunge milioni di appassionati.

    Soprattutto Johann Strauss figlio ci ha lasciato centinaia di opere di successo, prime fra tutte il valzer Sul bel Danubio blu e l’operetta Il Pipistrello. Ma chi era quel figlio d’arte, nato nel 1825 e morto nel 1899? E com’era la Vienna del suo tempo? Come fu che il valzer diventò uno dei balli più amati? E quali sono gli ingredienti alla base della sua fama, che già ai suoi tempi era internazionale?

    Nell’anno del bicentenario della nascita di Johann Strauss figlio, che a Vienna vede un gran numero di eventi a lui dedicati, Flavia Foradini si è messa sulle sue tracce. Con l’aiuto del musicologo Thomas Aigner, della storica Lisa Noggler-Gürtler e della divulgatrice Clara Kaufmann delinea lo sfondo storico della capitale asburgica nel diciannovesimo secolo, da cui emerse il fenomeno Strauss, e disegna un ritratto di un artista che seppe essere un’icona della musica viennese e una vera e propria popstar ante litteram.

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  • Astrid Lindgren la inventò un po’ per caso, per svagare la figlioletta costretta a letto da una polmonite. E da quando, ottant’anni fa esatti, fece la sua comparsa sulle pagine di un libro, Pippi Calzelunghe non ha mai smesso di trascinare con la propria forza e la propria voce lettori di tutte le età. Ma che cosa succede, oggi, provando a leggere a cinque bambine di prima elementare le avventure fatte di scimmiette con la giacca e cavalli in giardino, di valigie piene di monete e bugie rivendicate con fierezza? Un modo per chiedersi che cosa cerchiamo nelle storie, che cosa ci faccia crescere nelle letture, che tipo di gesto sia, oggi, quello di aprire un libro. Alla vigilia della giornata per la lettura ad alta voce, che torna domani, 21 maggio, ad animare biblioteche, scuole, librerie, musei e luoghi privati in tutta la Svizzera, Rachele Bianchi Porro ne ha parlato con Maria Polita, studiosa e divulgatrice di letteratura per l’infanzia, ideatrice del sito Scaffale Basso.

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    Nel novembre 2024 il Castelgrande di Bellinzona ha ospitato il convegno Orizzonti numerici, dedicato all’utilizzo delle misurazioni statistiche nelle politiche culturali. Il tentativo di raccontare la cultura con i numeri è recente ma ha già mostrato le sue potenzialità, per esempio nell’orientare il finanziamento delle diverse proposte e poi nel valutare l’efficacia dei progetti.
    Questi sono i compiti dell’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale del nostro cantone, qui rappresentato dal suo direttore Roland Hochstrasser.
    Barbara Antonioli Mantegazzini spiega invece come i numeri non offrono solo una fotografia della realtà, ma possono aprire nuove prospettive. Le statistiche sostengono e in qualche misura indirizzano anche le scelte dei politici, secondo
    Alessandra Ferrighi. Di particolare interesse il caso della produzione libraria, analizzato da Alessandro Caramis. Da qualche tempo però lo stesso oggetto dell’indagine sembra diventato sfuggente, come sottolinea Luca Dal Pozzolo, mettendo a dura prova gli strumenti statistici. E naturalmente la transizione digitale ha ulteriormente arricchito e complicato il quadro, anche se proprio la natura sfuggente della cultura è forse la garanzia della sua ricchezza, conclude Lorenzo Cantoni.

    Prima emissione: 9 dicembre 2024

  • Questo documentario interroga la questione della migrazione attraverso la lente della salute mentale, restituendo un racconto polifonico fatto di voci professionali e testimonianze dirette.

    Con l’etnologopedista Francine Rosenbaum, esploriamo del linguaggio della lingua materna, mentre la psicoterapeuta Elia Carenzio Sala – laureata in etnopsichiatria che anche lei ha lavorato per oltre trent’anni nelle strutture pubbliche del Canton Ticino – riflette sulle sfide dell’accoglienza terapeutica in contesti multiculturali.

    Ad affiancarle, le parole di don Giusto, parroco di Rebbio a Como che collabora con le associazioni del Ticino che da assistenza a persone migranti tutti i giorni. Un viaggio tra psiche e confini, per ascoltare ciò che spesso rimane inascoltato.

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    Lo svizzero Alfred Rittmann (Basilea, 1893 – Piazza Armerina, 1980) è considerato il padre della vulcanologia moderna. Gran parte di ciò che è diventata la vulcanologia lo dobbiamo al suo lavoro e alle sue intuizioni, oltre a essere stato fonte d’ispirazione per tanti di coloro che oggi fanno ricerca sui vulcani. Arrivato in Italia a cavallo delle due guerre, ovunque sia andato ha lasciato un segno, prima a Napoli a studiare il Vesuvio e i Campi Flegrei – fu lui a capire che si trattava della caldera di un vulcano – e poi a Catania, sull’Etna, il vulcano attivo più grande d’Europa, dove fu motore di un profondo cambiamento, grazie a lui furono gettate le basi dell’attuale sistema di monitoraggio e dell’Osservatorio Etneo.

    Fabio Meliciani racconta la storia di questo straordinario uomo di scienza a partire da chi l’ha incontrato e da chi ne ha seguito le orme; un racconto appassionato che mostra come sia cambiato nell’ultimo secolo il rapporto fra l’uomo e questi “draghi sepolti”, con le parole di chi vive oggi alle pendici di un vulcano, e da anni lo racconta, lo osserva e lo studia: il giornalista Giuseppe Riggio, lo storico della scienza Daniele Musumeci, il direttore dell’Osservatorio Vesuviano Mauro Antonio Di Vito e Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo.

    Prima emissione: 28 ottobre 2024

  • «La vulcanologia non è fisica, non è matematica. Non può fare previsioni» è quanto ammette uno degli scienziati intervistati, il giorno dopo l’ennesimo sciame sismico che ha scosso i Campi Flegrei, tutta Napoli e il suo golfo. Un paradiso dove emergono meraviglie come Capri, Ischia e Procida, ma che sovrasta una grande conca ribollente che, oltre a generare terremoti continui, potrebbe dare vita ad un altro Vesuvio con altre Pompei e Ercolano. Con conseguenze ancora più catastrofiche sulle persone e le sue case, concentrate cento volte di più di quanto fosse duemila anni fa. Insomma, un paradiso che può trasformarsi in inferno.

  • In America sono state decrittate le carte relative all’assassinio di Kennedy. I segreti si costruiscono e si mantengono. Ma non durano per sempre. Qual è il posto del segreto nella società contemporanea? Quali sono le responsabilità di chi custodisce i segreti? Intorno ai segreti si creano alleanze e gruppi sociali, si definiscono pratiche di esclusione e inclusione.

    Ma il segreto riguarda anche le persone comuni. Non solo le spie e le organizzazioni mafiose e criminali, ma anche le famiglie, gli amanti clandestini, i pettegolezzi mobilitano il segreto. Nell’era digitale la caccia ai segreti costituisce una delle pratiche più diffuse e la dietrologia ritiene che proprio sul segreto si costituiscano le società. In più oggi conta sempre meno la verità e il segreto può risultare a sua volta una costruzione, una pratica diffamatoria, un modo per distruggere una carriera o un’identità.

    Nel corso della trasmissione il segreto verrà affrontato da più punti di vista: la storia della cultura, la tecnologia, la psicologia e la pedagogia.

  • L’audio documentario si interessa alla relazione e alle divergenze tra collezione, archivio e memoria. Si è scelto di trattare il tema dell’archiviazione e della memoria sotto una lente in particolare: quella sportiva. Si è osservato dunque sia il rapporto che ciascuno intesse con le proprie tracce intime, biografiche, ereditate in sorte, sia con la medesima operazione febbrile di chi ama vertiginosamente archiviare e collezionare.

    Partendo da una storia personale, si è scelto di esplorare la testimonianza concreta di diverse voci, osservando come biografie connesse siano in grado di mescolarsi e di proseguire - apparentemente - la medesima storia. Si è voluto raggiungere la storia di Giuseppe Panini, fondatore della casa editrice e del mitico album di figurine, di cui ricorrono peraltro quest’anno i 100 anni dalla nascita, attraverso la voce del figlio Antonio; la testimonianza di Paolo Gandolfi, che dispone di una collezione mastodontica e al tempo stesso amatoriale nell’ambito delle cartoline e delle fotografie sportive; la storia di Anna e del suo diario su Gilles Villeneuve, depositato all’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, che racconta come la memoria sportiva si muova spontaneamente dall’infanzia all’età adulta; la voce esperta del giornalista e documentarista Renato Rinaldi sul rapporto tra archivio, eredità e memoria; la voce di Anna Stefi, psicanalista, vicedirettrice della rivista online Doppiozero e insegnante, acuta osservatrice della passione del collezionismo da un punto di vista psicanalitico, storico e culturale.

  • La città di Lugano ha deciso di intitolare una via ai poeti e patrioti lettoni Rainis e Aspasija, che hanno soggiornato per circa quindici anni a Castagnola.

    Fuggiti nel 1905 dalla loro terra d’origine, la Lettonia, dove avevano sostenuto i movimenti indipendentisti contro la dittatura zarista, repressi nel sangue, Rainis e Aspasija raggiunsero la Svizzera per recarsi in Italia, ma giunti a Lugano si innamorarono del luogo e si stabilirono a Castagnola. Tutte le opere principali sono state scritte nella Svizzera italiana, e divennero rapidamente il punto di riferimento dell’identità culturale e dei programmi di democrazia e libertà del Paese baltico.

    Due giorni fa la città di Lugano, a Castagnola, ha dedicato una strada ai due poeti e patrioti lettoni, contemporaneamente all’intitolazione di una via a Castagnola nella città di Julmala, dove Rainis e Aspasija vissero una volta rientrati in patria nel 1920.

    Con il Consigliere federale Ignazio Cassis, la ministra della cultura della Lettonia Agnese Lāce, lo storico Antonio Gili, l’artista Liga Liedskalnina, il vicesindaco di Lugano Roberto Badaracco, il direttore della divisione cultura della città di Lugano Luigi Di Corato e Vita Začesta, presidente dell’Associazione dei Lettoni d’Italia e Svizzera.

  • Anche se ha subito un inevitabile contraccolpo economico e diplomatico dalla guerra a Gaza e dalla crisi in Siria, la Giordania resta un’isola di stabilità in un Medio Oriente turbolento. Legata a Israele da un trattato di pace sottoscritto nel 1994, ha oltre il 60 percento di cittadini di origine palestinese su una popolazione di undici milioni di persone, gran parte delle quali stanno vivendo in prima persona il massacro in corso a Gaza. Nell’ultimo anno e mezzo la monarchia hashemita guidata da re Abdallah II di Giordania si è mossa in una situazione molto difficile, da un lato condannando Israele e facilitando l’accesso agli aiuti a Gaza, dall’altro ha lasciato però intatti i rapporti con Tel Aviv e Washington fondati su accordi politico-militari di lunga data.
    Alla fine di gennaio Amman ha sottoscritto anche un nuovo partenariato strategico con l’Unione Europea, un accordo che conferma, una volta di più, che il Paese sulla sponda orientale del fiume Giordano è il partner più affidabile di Bruxelles in Medio Oriente.
    In questo reportage che ci ha portati dalla capitale Amman all’entità economica autonoma di Aqaba, affacciata sul Mar Rosso, abbiamo cercato di comprendere come ha fatto la Giordania a mantenere una stabilità invidiabile e una buona condizione economica interna considerando che confina con aree di grande crisi come la Siria, il Libano, l’Iraq e la Palestina.