Episódios
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Nel novembre 2023, mesi dopo un colpo di stato militare che ha colto di sorpresa le diplomazie occidentali, la giunta militare del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) al potere in Niger ha soppresso una controversa legge del 2015 che criminalizzava il trasporto e l’assistenza ai migranti. La norma era stata adottata sotto la forte pressione dei partner europei e delle agenzie delle Nazioni Unite.
L’applicazione di questa legge ha segnato l’inizio di rapporti privilegiati tra i leader europei, desiderosi di dimostrare un’azione sulla migrazione dall’Africa, e i governanti del Niger, che facevano affidamento su fondi esterni e sostegno diplomatico per consolidare il loro potere.
Dopo l’abrogazione, i “passeurs” hanno ripreso le loro attività alla luce del sole. Questo reportage nasce da una missione nella regione di Agadez. Racconta le storie dei migranti in viaggio verso la Libia e dei “passeurs” che sono tornati in libertà dopo essere stati in prigione. Si racconta la preparazione dei migranti alla partenza, la vita in città e all’interno dei “ghetti” dove i migranti soggiornano. Il reportage descrive come abbia ripreso slancio l’economia di Agadez, la celebre “porta del Sahara” al centro delle rotte migratorie.
Prima emissione: 12 aprile 2024
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Sulla strada è impressa la storia dei valdesi e della loro lunga battaglia verso la libertà: un cammino segnato da repressioni, massacri, ghetti ed esilio.
Una delle pagine piu buie si è consumata nell’inverno del 1687 quando 2700 valdesi, deportati dall’esercito sabaudo, percorsero la via che univa Torino a Ginevra e oltre 300 moritrono.
Questo itinerario è parte del percorso storico «Le Strade degli Ugonotti e dei Valdesi», certificato dal Consiglio d’Europa come «Itinerario culturale europeo».
Un percorso nella memoria per conoscere la storia di resistenza dei valdesi, che inizia 850 anni fa da quando il mercante francese Valdo fonda il movimento dei «poveri di Lione», che da cristiani laici predicavano il Vangelo in lingua volgare, nel 1184 accusati di eresia da Papa Lucio III.
Una storia di difesa dei diritti e della libertà, non solo religiosa, ma di pensiero e coscienza che ripercorriamo con Davide Rosso, direttore del museo Valdese di Torre Pellice; Pierre-André Glauser, presidente della fondazione “Via sur les pas des Huguenots et des Vaudois du Piémont à travers la Suisse” (“Strada sui passi degli Ugonotti e dei Valdesi del Piemonte attraverso la Svizzera”) e Albert de Lange, responsabile del museo Valdese di Schönberg, in Germania.
Prima emissione: 24 maggio 2024
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Estão a faltar episódios?
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Pochi mesi fa si sono laureati i primi studenti del Corso di Laurea Triennale per Artista di Circo Contemporaneo, equipollente dal 2022 a laurea triennale in DAMS. È accaduto all’accademia Cirko Vertigo di Grugliasco, nel torinese.
L’arte di strada dunque diventa un mestiere con laurea. E questo anche perché il circo è cambiato: esiste ancora il tendone itinerante, ma dagli anni Settanta si è ormai affermato un “nuovo circo”. Mescola teatro, acrobazia e danza, creando uno spettacolo di intrattenimento capace di attirare un pubblico diverso, come dimostra il successo internazionale del Cirque du Soleil.
Lo speciale parte dal racconto di Anna e Batipste, due giovani allievi dell’Accademia Cirko Vertigo, protagonisti dello spettacolo Impromptu, andato in scena durante la terza edizione del Festival Nice Chieri, svoltosi dal 15 al 21 aprile. Paolo Stratta spiega poi la novità della laurea per Artista di Circo Contemporaneo dell’Accademia Cirko Vertigo, da lui diretta e fondata. Racconta la sua esperienza anche Camilla Peluso, direttrice della Piccola Scuola di Circo di Milano, che promuove inoltre il circo come disciplina alternativa a quelle sportive più diffuse. Infine Alessandro Serena, nipote di Moira Orfei e docente di Storia dello spettacolo circense e di strada all’Università degli studi di Milano, fa il punto sull’evoluzione del circo e le sue tecniche della meraviglia.
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La Legione internazionale Ucraina è un’unità militare creata nel febbraio 2022 e composta da migliaia di uomini e donne venuti da ogni parte del mondo per combattere le forze militari russe che hanno invaso il paese. Ma chi sono, che storia hanno e perché hanno deciso di rischiare la loro vita imbracciando un fucile a migliaia di chilometri di distanza dalle loro case? Abbiamo incontrato alcuni di loro in Donbas, nell’est dell’Ucraina. Queste sono le loro storie.
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A partire dagli anni ’90, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si era diffusa un po’ ovunque l’idea che la classe operaia fosse definitivamente morta. Molti intellettuali hanno prodotto articoli, libri e ricerche sostenendo che il peso della “working class” nella società europea si era notevolmente ridotto, diventando una forza irrilevante, o avesse addirittura cessato di esistere.
Ma in anni recenti il concetto stesso di fabbrica si è esteso ovunque. Le città sono percorse ormai da un esercito di trasportatori, rider, camerieri, badanti, impiegati delle pulizie, telefoniste dei call center. Ma anche insegnanti, segretari, correttori di bozze, infermieri, che si trovano spesso a sopravvivere grazie a uno stipendio precario. Un mondo che ha ritrovato a poco a poco anche una sua rappresentazione attraverso la cultura. In un’epoca in cui l’industria tradizionale è stata in parte soppiantata dalla delocalizzazione e da nuove forme di sfruttamento, la letteratura operaia che aveva avuto grande successo tra gli anni ‘50 e ‘80 del XX secolo, ha trovato nuova linfa vitale, iniziando a essere definita come tale anche dalle riviste culturali specializzate, e la classe operaia ha cominciato a riprendere forza nell’immaginario collettivo. A confermarcelo è stata la seconda edizione del festival di letteratura working class, una rassegna che si è svolta agli inizi di aprile alle porte di Firenze e ha avuto un successo straordinario, con cinquemila partecipanti e cinquanta relatori da sette paesi diversi.Prima emissione: 30 aprile 2024
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Nel cuore delle prossime elezioni legislative francesi, il nostro reportage svela il polso di una nazione divisa. Nelle periferie est di Lione, tra le strade di Villeurbanne, Decines, Meyzieu e Jonc, abbiamo esplorato le profondità di una società in fermento. Le interviste raccolte nei quartieri popolari dipingono un quadro delle frustrazioni e delle aspirazioni degli abitanti. Con il Presidente Macron che ha sciolto l’Assemblea Nazionale in risposta al successo del Rassemblement National alle elezioni europee, queste elezioni assumono un significato cruciale per il futuro politico del paese. Da un lato, c’è la richiesta di cambiamento; dall’altro, la paura dell’incertezza economica e sociale. Attraverso le voci dei cittadini, il nostro viaggio rivela le contraddizioni e le unità di una Francia che si confronta con sé stessa.
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Luca Vettori è un creativo ed ex pallavolista della nazionale italiana. Arianna Scarnecchia è una giornalista e documentarista freelance e si è occupata anche di sport. Dal loro incontro, grazie a passioni condivise, per prima la radio, è nata una domanda di ricerca: cosa fa un pubblico sportivo?
Il percorso di ricerca li ha portati sulle tracce della tifoseria della squadra di Modena, una città in cui Luca ha giocato per diversi anni, e dove la pallavolo è rilevante e presente quanto il calcio, se non di più; e poi a Firenze, dove una tifoseria ha deciso di gestire una squadra di calcio auto-organizzandosi e legandosi al territorio che vive e attraversa. Le voci di atleti, giornalisti e psicoterapeuti indagano e raccontano la relazione tra lo sport e i suoi pubblici, per provare a rispondere: cosa accade quando un pubblico assiste?Con Francesca Chelazzi, Lorenzo Frutti, Giulia Ghiretti, Federico Meda, Matthias Moretti, Alberto Pellai, Chiara Sandoni.
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Nei carruggi stretti di Genova, nella prima metà dell’800, si aggirava un ticinese ossessionato dal porto, tanto da renderlo materia d’esame a un suo corso universitario. Era l’architetto ticinese Gaetano Cantoni, una figura che incarna il legame stretto tra la Superba e il nostro territorio. È lui il primo tassello nel nostro viaggio spazio temporale nella realtà del porto di Genova, nelle sue trasformazioni attuali e nelle sue prospettive future di ritornare a essere lo scalo marittimo di riferimento della Svizzera, come fu agli inizi del ‘900. Andremo alla scoperta delle opere infrastrutturali che sono già state cantierate e che lo trasformeranno da qui ai prossimi anni, ma anche degli altri luoghi e delle figure che ruotano attorno alla movimentazione delle merci tra sud e nord Europa, per porre infine l’attenzione sulle grandi sfide logistiche ancora aperte. In questa puntata ritroveremo la storica Stefania Bianchi, in procinto di pubblicare un’opera monografica su Gaetano Cantoni, Paolo Piacenza, ex commissario straordinario dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale (lo era ancora all’epoca della nostra intervista), Roberto Ferrari, managing director di PSA Italy e Angelo Betto, CEO di Cippà Trasporti.
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Davvero le donne hanno viaggiato meno degli uomini nel corso dei secoli? Quando comincia il viaggio al femminile? Chi parte, quali sono le destinazioni prescelte, quando inizia il processo di democratizzazione del viaggio? Ecco alcune delle domande a cui cercherà di rispondere questo Laser di Franco Brevini. Coinvolgendo due specialisti come Luca Clerici dell’Università di Milano e Ricciarda Ricorda dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, verranno affrontati anche i temi scottanti legati alle questioni di genere. Quali sono le differenze tra le relazioni di viaggio degli uomini e quelle delle donne? Esiste un etimo inconfondibilmente femminile, un quid caratteristico della scrittura di tutte le viaggiatrici o della maggior parte di esse? Quanto dipende invece dalle sensibilità individuali, dal livello sociale, dall’educazione più o meno cosmopolita e dalle matrici ideologiche e culturali di ciascuna di loro?
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Si chiamano Eyeru, Iman, Musa, Farzad, Mahboubeh. Hanno due cose in comune. Sono rifugiati e parteciperanno ai giochi olimpici di Parigi 2024. Quasi quaranta atleti d’élite ma senza bandiera nazionale saranno presenti sui campi di gara tra pochi giorni nella capitale francese. E – per la prima volta – alcuni hanno serie possibilità di conquistare una medaglia. Lo sport da alcuni anni ha assunto un ruolo importante nelle realtà delle comunità rifugiate. E i giochi olimpici sono il momento più significativo per comprendere il valore sociale delle diverse discipline praticate. E gli atleti rifugiati presenti a Parigi avranno il privilegio di sottolineare le ragioni per cui lo sport esiste: condividere una passione, rispettare le diversità, vivere in pace e in armonia, affrontare con lo spirito olimpico sia le vittorie sia le sconfitte.
Con Filippo Grandi, Alto Commissario UNHCR, gli atleti Musa Suliman e Iman Mahdavi, l’allenatrice Sandra Gasser, il presidente della squadra di atletica STB Berna Alex Khun, Marianne Amar, storica e responsabile del team di ricerca del Museo Nazionale dell’immigrazione di Parigi, il presidente del Lotta Club Seggiano Giuseppe Gammarota e il dottore di origine iraniana Farzin.
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È certamente uno dei registi europei più affermati e originali e i suoi spettacoli (ma anche i suoi film e i suoi libri) che nascono, ma allo stesso tempo si discostano dal genere del teatro documentario tedesco degli anni ’60, sono diventati punti di riferimento essenziali della nuova drammaturgia.
Nato a Berna nel 1977, Milo Rau dalla Svizzera è partito alla conquista dei palcoscenici internazionali prima portando in giro per l’Europa i suoi “processi” – non a caso la forma con cui Peter Weiss aveva rilanciato il teatro documentario - e poi diventando nel 2017 direttore del Teatro Nazionale di Gent in Belgio. Lo scorso anno poi è stato nominato direttore delle Wiener Festwochen e in queste settimane è impegnato a presentare la sua prima edizione di un festival viennese in cui ha trasposto tutta la sua visione di un teatro politico e dalla chiara impronta attivista. Dal 19 al 22 giugno Antigone in amazzonia- di cui Milo Rau è in scena a Losanna al Théâtre de Vidy.
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È certamente uno dei registi europei più affermati e originali e i suoi spettacoli (ma anche i suoi film e i suoi libri) che nascono, ma allo stesso tempo si discostano dal genere del teatro documentario tedesco degli anni ’60, sono diventati punti di riferimento essenziali della nuova drammaturgia.
Nato a Berna nel 1977, Milo Rau dalla Svizzera è partito alla conquista dei palcoscenici internazionali prima portando in giro per l’Europa i suoi “processi” – non a caso la forma con cui Peter Weiss aveva rilanciato il teatro documentario - e poi diventando nel 2017 direttore del Teatro Nazionale di Gent in Belgio. Lo scorso anno poi è stato nominato direttore delle Wiener Festwochen e in queste settimane è impegnato a presentare la sua prima edizione di un festival viennese in cui ha trasposto tutta la sua visione di un teatro politico e dalla chiara impronta attivista.
Ad aprile Milo Rau ha preso parte agli eventi letterari di Monte Verità e Laser lo ha incontrato per parlare di questa sua nuova sfida ma anche dei suoi numerosi spettacoli che continuano a girare per il mondo e anche in Svizzera. -
Da sabato prossimo, Rete due dedica alla letteratura di viaggio un spazio ogni sabato mattina alle 11.
Anticipiamo “Valigie di carta – Orizzonti di viaggio letti e raccontati alla radio” ripercorrendo la nascita e la fortuna del libro di viaggio più conosciuto: il Milione di Marco Polo. Già pochi anni dopo la sua composizione era ricercato da mercanti, missionari, studiosi, tanto che fu subito tradotto nelle più diverse lingue. Nei secoli seguenti questo interesse non si è mai sopito e ora anzi si è risvegliato in occasione dei settecento anni dalla morte dell’autore, celebrato con mostre e nuove edizioni.
La stesura del Milione – quando ancora si chiamava Descrizione del mondo o Libro delle meraviglie – si deve a una serie di circostanze irripetibili. Il medievista Paolo Grillo racconta le straordinarie opportunità aperte per i mercanti dal nuovo impero mongolo guidato dagli eredi di Gengis Khan; lo scrittore Giordano Tedoldi ha tradotto in italiano moderno l’intricata prosa del Milione, scritto dapprima in francese; lo storico Pieralvise Zorzi ci aiuta a orientarci nella Venezia del Duecento, in perenne guerra con Genova, e approfondisce il viscerale legame di Marco con la sua città d’origine; infine Giulio Busi, ultimo biografo del viaggiatore veneziano, riflette sullo sguardo di Marco quale spiegazione più vera e profonda del successo di questo libro. Mario Cei ha letto per noi alcune delle pagine più belle.
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Le elezioni europee sono una cartina di tornasole che permette di valutare lo stato di salute della democrazia dell’Unione europea e dei singoli paesi che la compongono. Negli ultimi anni infatti la democrazia di stampo liberal-democratico sembrerebbe essere entrata in uno stato di profonda crisi in diversi paesi, conseguenza di governi che hanno preferito inseguire il consenso immediato al posto di scelte difficili, impegnative o pianificazioni future a lungo termine.
Il Professor Mario Monti analizza a Laser lo stato di salute delle democrazie europee e l’importanza dell’Unione Europea a partire dalla sua recente pubblicazione Demagonia. Dove porta la politica delle illusioni (Solferino, 2024). La crisi della democrazia – la demagonia – non è però irreversibile, ci sono delle soluzioni nelle istituzioni stesse della democrazia, applicate con una politica seria e responsabile.
Mario Monti, Senatore a vita della Repubblica Italiana, è stato Presidente del Consiglio dei ministri fra il 2011 e il 2013 ed ha una grande esperienza nell’Unione europea, prima come Commissario Europeo per il Mercato Unico (1995-1999) e poi per la Concorrenza (1999-2004). E’ stato inoltre Professore di Economia presso le Università di Trento e di Torino, e poi alla Bocconi, di cui è stato anche Rettore (1989-1994) e Presidente (1994-2022).
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15 aprile 1874: è la data che segna la nascita di uno dei movimenti artistici d’avanguardia più conosciuto e amato nella storia dell’arte, l’Impressionismo. Un movimento che alle origini era una società anonima di pittori e scultori, una cooperativa di una ventina di artisti decisi ad avere il controllo della propria produzione artistica e a promuoversi autonomamente, al di fuori del circuito accademico dei Salons ufficiali: è l’avvio di una rivoluzione estetica che porterà alla ribalta i nomi di Monet, Renoir, Degas, Cézanne, Pissarro, Sisley e Morisot. Ma in quegli anni si gettano anche le basi del moderno sistema dell’arte, con un mercato basato sulle gallerie indipendenti, sulla figura del mercante-gallerista e sulla critica specializzata. Per capire come, siamo andati a Parigi sulle tracce di quella prima mostra impressionista a incontrare Anne Robbins, conservatrice al Musée d’Orsay, Sylvie Patry, ricercatrice e curatrice, e il sociologo dell’arte Alain Quemin.
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Anche se non necessariamente in ottanta giorni, come voleva Jules Verne, chi di noi non ha sognato di compiere il giro del mondo? Non erano trascorsi trent’anni dal viaggio di Colombo che già Magellano si lanciava nell’impresa. Impiegò tre anni. Dei 237 uomini imbarcati su cinque navi ne rientrarono solo diciotto su un’unica nave.
Cento anni fa una squadra americana si lanciò nel primo giro aereo del mondo. Il viaggio del 1924 fu più lento di quello di Jules Verne. Durò infatti non 80, ma 175 giorni, nel corso dei quali vennero superati 42.400 km, volando da est a ovest attraverso Pacifico, Asia, Europa e Atlantico. Era stato appositamente costruito un aereo, il Douglas World Cruiser, un biplano monomotore, con caratteristiche precise: affidabilità, sicurezza, autonomia e dotazioni da idrovolante per eventuali ammarraggi.
Nel frattempo, un’altra aviatrice americana, la leggendaria Amelia Earhart cercava di completare il primo giro aereo femminile del mondo. Alla soglia dei quarant’anni decise di cimentarsi nell’impegnativa rotta equatoriale, che richiedeva un interminabile volo di 47 mila chilometri. Pianificò accuratamente ogni dettaglio, ma quando mancavano solo 12.000 km, l’aereo della aviatrice americana si inabissò nelle acque dell’oceano Pacifico. Da allora la sua fine è diventata un giallo, su cui si torna periodicamente a discutere.
In questa trasmissione discutono di questi avventurose trasvolate uno storico dell’aviazione, il professor Gregory Alegi, e un pilota di C130, il capitano Jacopo Fainozzi Perini, che ci aiuteranno a capire difficoltà eroismi di quelle imprese
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Se c’è una realtà figlia dell’Europa, ecco quella è la Svizzera. Tutti i pilastri che costituiscono l’identità svizzera (neutralità, federalismo e sovranità) sono intrecciati a doppio filo alla storia delle nazioni circostanti. E la propria indipendenza e il “caso speciale” (Sonderfall) che caratterizza la nazione sono chiaramente frutto di complessi legami, relazioni – diplomatiche, commerciali, militari – e differenze tra le due realtà, ovvero quella della Confederazione e le altre nazioni confinanti.
Una caratteristica della narrazione storiografica è quella di raccontare il passato da un punto di vista esclusivamente nazionale. Lo storico André Holenstein rovescia l’approccio, collocando la Svizzera nel cuore dell’Europa. Una prospettiva originale che ci aiuta a capire perché la Svizzera non può – o forse non poteva? – fare a meno dell’Europa. E viceversa.
Di prossima pubblicazione anche in italiano André Holenstein, Nel cuore d’Europa, una storia della Svizzera fra apertura e ripiegamento. Giampiero Casagrande editore.
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Il 10 giugno 1924, esattamente un secolo fa, una squadra della polizia segreta fascista rapisce e uccide il deputato socialista Giacomo Matteotti.
Il gesto efferato provoca indignazione e commozione, tanto che lo stesso Benito Mussolini, a capo del governo e sospettato di essere il mandante, affronta il periodo più difficile nella sua ascesa verso il potere. Anzi proprio superando la crisi aperta dall’omicidio Matteotti Mussolini supera le ultime riserve legalitarie e stabilisce un regime a partito unico.
Anche per questo il fascismo cercò sin dal primo momento di cancellare il ricordo di Matteotti, ma la sua memoria rimase viva tra il popolo, che vedeva in lui un eroe, un martire, un apostolo. Questa immagine, ripetuta nelle celebrazioni, lascia tuttavia in ombra la complessa personalità di Matteotti, il suo spessore politico e il ruolo nella storia del socialismo riformista, come spiega Giovanni Scirocco. Invece Mauro Canali, il più importante biografo di Matteotti, ribadisce la responsabilità diretta di Mussolini quale mandante dell’omicidio e getta nuova luce su altri aspetti della vicenda sin qui poco conosciuti, in particolare gli episodi di corruzione documentati nelle carte sottratte a Matteotti nel giorno del rapimento. Infine Pasquale Genasci approfondisce le relazioni internazionali di Matteotti, tra Gran Bretagna, Svizzera e Canton Ticino.
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Una vita passata a scoprire. E a raccontare quanto vissuto. Attraverso la scrittura, la fotografia, l’arte, la poesia, utilizzando ogni mezzo e metodo di comunicazione.
Per questa ragione è impossibile “catalogare” Fosco Maraini, se non utilizzando formule che implicano fantasiosi giri di parole. “Non è solo un fotografo”, “non è solo un divulgatore” “non è solo…” molto altro. Maraini ha insegnato a milioni di lettori in lingua italiana e nel mondo a provare curiosità e stimolare la conoscenza. Per ciò che osservava lui, dal Giappone al Tibet, realtà che in Occidente sono state prima intuite poi definitivamente scoperte grazie anche ai suoi monumentali saggi, alle fotografie e alle interviste.
Ma Fosco Maraini ha lasciato soprattutto, in chi l’ha conosciuto attraverso le sue opere, il gusto per la ricerca, la passione per l’approfondimento, il desiderio di allargare gli orizzonti. Per sentirsi coinvolti e protagonisti del tempo.
Con Dacia Maraini, scrittrice, Maria Pia Simonetti, giornalista e consulente editoriale, Franco Marcoaldi, scrittore, poeta e curatore dei Meridiani Mondadori “Pellegrino in Asia” dedicati a Fosco Maraini e Giorgio Amitrano, professore di letteratura giapponese e di lingua e cultura del Giappone all’Università Orientale di Napoli e direttore dell’Istituto Italiano di cultura di Tokyo.
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Una vita passata a scoprire. E a raccontare quanto vissuto. Attraverso la scrittura, la fotografia, l’arte, la poesia, utilizzando ogni mezzo e metodo di comunicazione.
Per questa ragione è impossibile “catalogare” Fosco Maraini, se non utilizzando formule che implicano fantasiosi giri di parole. “Non è solo un fotografo”, “non è solo un divulgatore” “non è solo…” molto altro. Maraini ha insegnato a milioni di lettori in lingua italiana e nel mondo a provare curiosità e stimolare la conoscenza. Per ciò che osservava lui, dal Giappone al Tibet, realtà che in Occidente sono state prima intuite poi definitivamente scoperte grazie anche ai suoi monumentali saggi, alle fotografie e alle interviste.
Ma Fosco Maraini ha lasciato soprattutto, in chi l’ha conosciuto attraverso le sue opere, il gusto per la ricerca, la passione per l’approfondimento, il desiderio di allargare gli orizzonti. Per sentirsi coinvolti e protagonisti del tempo.
Prima parte - Con Dacia Maraini, scrittrice, Maria Pia Simonetti, giornalista e consulente editoriale, Franco Marcoaldi, scrittore, poeta e curatore dei Meridiani Mondadori “Pellegrino in Asia” dedicati a Fosco Maraini e Giorgio Amitrano, professore di letteratura giapponese e di lingua e cultura del Giappone all’Università Orientale di Napoli e direttore dell’Istituto Italiano di cultura di Tokyo.
Seconda Parte – Con Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle Culture di Lugano, lo scrittore Carlo Magris, l’artista e compositore Stefano Bollani e il Prof. Daniele Baglioni, università Ca’ Foscari di Venezia.
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