Episódios

  • Il corriere della sera ha dato lavoro a diversi scrittori nel palazzo di via Solferino. Tra questi Eugenio Montale e Dino Buzzati che ha trasfigurato la vita di redazione nel suo capolavoro Il deserto dei Tartari.

    "La Fortezza?" rispose l’uomo "quale Fortezza?" "La Fortezza Bastiani" disse Drogo. "Da queste
    parti non ci sono fortezze" fece il carrettiere. "Non l’ho mai sentito dire." Evidentemente era male informato. Drogo riprese il cammino e avvertiva una sottile inquietudine man mano che il pomeriggio avanzava. Egli scrutava i bordi altissimi della valle per scoprire la Fortezza. Immaginava una specie di antico castello con muraglie vertiginose. Passando le ore, sempre più si convinceva che Francesco gli aveva dato una informazione sbagliata; la ridotta da lui indicata doveva essere già molto indietro. E si avvicinava la sera".
    Dino Buzzati, Il deserto dei tartari.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • "C’era da percorrere un passaggio a volte altissime, in penombra, fiancheggiato da tante statue, calchi o copie cioè di nudi classici, mutili nel sesso quelli maschili, non so se per ira dei compagni di Gesù o se per beffa dei ragazzi che, lì accanto, frequentavano le belle arti. La luce ti coglieva giù in fondo, dove il passaggio buio sbocca nel cortile. C’è subito una fontanella col mascherone che tiene in bocca un tubo ricurvo in giù: tu premi un bottone lì accosto e attingi col ramaiolo di ferro stagnato. Mi fermavo sempre a bere, prima di dare un’occhiata all’intorno, sul cortile quadrato pieno di archi, di colonne e di statue".
    Luciano Bianciardi, La vita agra.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

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  • "Alla fine del 1945 avevamo schiodato a Brera le casse dei libri che tornavano in sede, lavoravamo nel giubilo e nel disordine, fermandoci a leggere accoccolati sui talloni se un testo agognato ci veniva infine in mano. Tornavano a funzionare Pinacoteca Biblioteca, mentre fuori al bar Giamaica, convenivano pittori, fotografi, scrittori. La sera tornavamo a casa sfrecciando per via Brera e via Pontaccio mentre dal Giamaica uscivano Crippa e Dova rincorrendoci, ragazze perbene e perbeniste, con qualche fracassante lazzo".
    Rossana Rossanda, La ragazza del secolo.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • Il quartiere di Brera, è stato uno degli snodi dei percorsi narrativi del '900, con la sua aura trasgressiva dove si mischiavano artisti, scrittori, poeti, ragazze di vita e fannulloni. L'incrocio dei destini avveniva al bar Jamaica, cuore della movida, che Emilio Tadini paragonava ad un Olimpo minore e Bianciardi descriveva come una cittadella appartata. Lì si incontravano Piero Manzoni, Lucio Fontana, Salvatore Quasimodo, Ugo Mulas, Mario Dondero e tanti altri. A pochi passi la Pinacoteca e la Biblioteca Braidense, meta erudita già dai tempi di Giuseppe Parini era il luogo dove Lalla Romano (che abitava al 17) portava il giovane nipote Emiliano (nel romanzo "L'ospite"), dove il giovane Luciano Bianchi (Bianciardi) andava a studiare dopo aver guardato Il "Cristo morto" del Mantegna.

    "Era una strada tranquilla e tutta nostra; il traffico quasi non ci si azzardava, ma anche in via della
    Braida, che pure è centrale e frequentata, le auto sembravano riconoscere che questa era zona nostra e rallentavano più del dovuto, e i piloti non s’arrabbiavano né facevano le corna se un pedone uscito dal caffè delle Antille traversava senza guardare, obbligandoli a una secca frenata. Per tacito consenso insomma quella era la nostra isola, la nostra cittadella".
    Luciano Bianciardi, La vita agra


    "Noi pensiamo sempre a Brera come luogo dell’arte e dei libri, ma questa, così schiettamente culturale, non fu la sua prima destinazione. Le origini di Brera vanno fatte risalire al medioevo e all’ordine laico degli Umiliati, detti anche Berrettani della Penitenza per il gran cappello che portavano. Andarono a collocarsi appunto in territorio chiamato “Braida del Guercio”, dove costruirono case, edificando anche la loro chiesa di Santa Maria".
    Maurizio Cucchi, La traversata di Milano.
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  • "Quelli che quando perde l’Inter o il Milan
    dicono che in fondo è una partita di calcio
    E poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yes".
    Enzo Jannacci, Quelli che.

    "L’immenso ovale posa sui prati lisci e fangosi, è una forma irreale, folle, nel silenzio doloroso, funebre del giorno che nasce".
    Pier Paolo Pasolini, La nebbiosa, 1959.

    "Non credo che esista un altro spettacolo sportivo capace, come questo, di offrire un riscontro alla varietà dell’esistenza, di specchiarla o piuttosto di rappresentarla nei suoi andirivieni, nei suoi rovesciamenti e contraccolpi; e persino nelle sue stasi e ripetizioni; al limite nella sua monotonia. La passione che li accompagna muore nelle ceneri di un tardo pomeriggio domenicale e da queste, di domenica in domenica, non si sa come, risorge".
    Vittorio Sereni, Il fantasma nerazzurro
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  • "Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco: che ne disprigionò fuori a un tratto tutte le donne che ci abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale, fuor dal tanfo e dallo spavento repentino della casa, poi diversi maschi, poi alcune signore povere e al dir d’ognuno alquanto malandate in gamba, che apparvero ossute e bianche e spettinate, in sottane".
    Carlo Emilio Gadda, L'incendio di via Keplero.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • "Esisteva in Corso Garibaldi, a Milano, un gruppo di vecchissime case addossate le une alle altre in un groviglio di muri, di balconi, di tetti, di comignoli. Dove lo spirito della città antica, non quella dei signori ma quella dei poveri, sopravviveva con una singolare potenza. [...] E fra il numero 72 e il 74 c’era un passaggio sormontato da un arco, una specie di porta che immetteva in uno stretto e breve vicolo. C’era anzi una targa in pietra su cui era scritto: Vicolo del Fossetto. È così angusto l’ingresso della minuscola strada che la maggioranza dei passanti non se n’accorge nemmeno. Ma, dopo otto nove metri, il vicolo si allarga in una specie di piazzetta contornata da edifici decrepiti. È un angolo dimenticato, un labirinto di viuzze, anditi, sottopassaggi, piazzuole, scale e scalette".
    Dino Buzzati, Un amore.
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  • "Quell'arzigogolato castello si riempì d'una turba d'inquilini occasionali maschi e femmine (russi, profughi levantini con berretto basco), greci di Smirne Smirne riconquistata dall'Ataturco, ebrei d'Ucraina, violinisti polacchi, neoungheresi in attesa di divorzio, venditori di tappeti etc. che friggevano le ova in camera da letto e cacavano a turno dentro i pochi cessi disponibili: e di tanto in tanto procuravano anche un pò di lavoro alla Regia Questura, come non ne avesse abbastanza del suo".
    Carlo Emilio Gadda. La Pianta di Milano.
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  • "Il gran pavese delle mutande, con bindelli, e delle camiciole ad asciugare magnificava la sera, gioioso nel vento; ch'era uno spirante maestro".
    Carlo Emilio Gadda , L'Adalgisa.

    "La camera delle Terragni apparteneva alla miglior parte della casa, ma era voltata verso corte e dava con uscio finestra sopra una lunga ringhiera al secondo piano. Sulla ringhiera vicino ma alcuni scalini più basso, la donna gialla, empiva la ringhiera della sua ciccia".
    Bruno Sperani, La fabbrica

    "La casa è proprio vecchia, vecchia da far spavento. Anni fa una gelosia l'è crollada e per un pelo non ha tolto di mezzo un inquilino risolvendogli il contratto! La casa è in un vicolo cieco che adesso ha cambiato faccia, a man diritta di corso Roma, poi a sinistra in fond al streccion. È sempre stato impossibile, assolutamente impossibile entrare in corte senza essere visti dai portinai. La sciora Erminia ha una sua perfida tattica. Non ti conosce e tu – ingenuo – vuoi passare alla chetichella o credi di non aver bisogno di lei per sapere dove devi andare. La sciora Erminia ti lascia far dieci passi sotto il portico e poi ti lancia alle spalle un "Ej" che è come il cappio del gaucho e ti inchioda lì. Poi tira e stringe il nodo con un altro imperioso: – Ej lu, dove el và? –
    Delio Tessa, Ore di città, racconti 1936.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • La zona dei navigli oggi patria della movida, era il quartiere più proletario e bohemien di Milano. Lungo i canali si affacciano i caseggiati di ringhiera che prima delle ristrutturazioni erano l'edilizia popolare dei primi del '900, e celavano, al di là della fac-ciata, cortili interni su cui si affacciano diversi piani di appartamenti collegati l'uno all'altro da stretti ballatoi. Poche stanze senza servizi igienici dove abitavano operai, piccoli artigiani, sartine, ballerine piccoli che ritroviamo nei racconti di Carlo Gadda, di Verga, di Giovanni Testori, Delio Tessa, Dino Buzzati o nelle poesie di Alda Merini. La Merini nacque in via Mangone, e successivamente visse col suo amato Michele Pierri in Ripa di Porta Ticinese 47, in un piccolo appartamento di ringhiera. Frequentava il Bar Chimera, in via Cicco Simonetta, e a lei è dedicato lo Spazio Alda Merini, in via Magolfa 32.

    "Il Naviglio mi vuole anche di notte come lucciola appesa sui piloni, vuole che canti le latrine e i bar fumosi dei miei ponti e io, malgrado tutto, canto un poeta che è risorto dalle ceneri inermi di un peccato: non dimentico mai questo dolore di essere sgradita alla mia gente".
    Alda Merini, Il Naviglio mi vuole anche di notte.

    "Il Naviglio è un rettilineo ben strano, che non permette alcuna scansione. Sembra qualche cosa di sinuoso e fervido ma, invece, è lugubre, perentorio, ripetitivo".
    Alda Merini, Manganelli sul Naviglio.
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  • Il Lazzaretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, nè di vista nè per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d'una strada di circonvallazione, e d'una gora che gira il recinto medesimo. Così Manzoni descriveva l'ospedale degli appestati, un luogo terribile che resta solo nel nome di una via e in tanta parte della memoria letteraria italiana.

    "Poi, sul conto di via San Gregorio, c’è stata un’altra scoperta: la scoperta che, per un tratto, la via dove vivevo coincideva con il perimetro del Lazzaretto –il Lazzaretto della grande peste di Milano, quella di cui parla Manzoni nei Promessi Sposi e nella Storia della colonna infame. Un pezzo del muro di cinta del Lazzaretto è ancora visibile. Grazie al Lazzaretto, al fatto di essere nato, per così dire, ai suoi margini, credo di essermi reso conto in un modo concreto, fisico – un modo che nessun libro, nessuna lettura mi avrebbe consentito – che la mia città non era solo quella che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era anche piena di storia, cioè di case, strade, piazze che non c’erano più e di gente che non era più viva, di gente morta".
    Giovanni Raboni “L’approdo letterario".
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • "Piazza Affari, sede della Borsa di Milano, non è propriamente un luogo. O meglio, lo è anche, ma
    dopo. Nel senso che è prima l’ipostasi del business mondiale nel suo periferico ufficio italiano. Poi è anche una delle più imponenti piazze di Milano, con il maestoso, neoclassico palazzo della Borsa, ristrutturato nel 1990, coperto da una vetrata e suddiviso nei recinti dove avvengono le contratta-zioni, con zone per addetti ai lavori e zone aperte al pubblico".
    Aldo Nove, Milano non è Milano.

    "Ordinai "Palazzo degli Affari" a un conducente di tassì: il disco rosso di tre semafori, che brutto
    colore, diobono, ci bloccò tre volte ai più casalinghi santi, e sante, dell'umilico metropolitano:
    ma arrivai in tempo lo stesso ad attingere per la manica il mio agente di cambio, cavalier Aristide Bilancioni, proprio mentre iniziava l'attacco, scarpette nere lucidissime, della gradinata del Palazzo degli Affari. Gli sono stranamente affezionato. Le poche centinaia di lire che m'è avvenuto di veder esalare nell'azzurro ogniqualvolta deliberai avvalermi delle di lui prestazioni mi son sempre parse una cosa così naturale, da allibrarle ogni qualvolta in "dare" nel mastro doppio della mia gratitudine".
    Carlo Emilio Gadda, Alla borsa di Milano.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • Azioni, cedole, obbligazioni, contrattazioni, transazioni: Milano è anche la capitale finanziaria d'Italia. E Palazzo Mezzanotte era il suo tempio. Nel grande edificio neoclassico della borsa che domina Piazza Affari, fronteggiato dal gigantesco dito medio dello scultore Cattelan, si consumava, fino a 20 anni fa, il rito della moltiplicazione dei capitali.

    "Il capitalismo ha leggi di accumulazione, che non mescolano, dividono. Tende a concentrare i ricchi e i poveri (i belli e i brutti, anche); soffoca Milano col suo stesso rigoglio, Milano città santa, città limite, estrema, senza equilibrio e senza pausa. Senza alcuna antitesi esplicita alla tesi del denaro".
    Ottiero Ottieri, La linea gotica.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • "Bellissima ed elegante, come sempre. Ma il contrasto nasce da ciò che ha rappresentato storicamente quando era il cuore della rivolta delle Cinque Giornate, e ciò che è ora, simbolo e vetrina della moda. Al numero 21 c’è Palazzo Dozzio, che ricorda quei giorni eroici del 1848. Gli insorti avevano trovato l’opposizione degli austriaci, nella prima delle Cinque Giornate, proprio in Via Montenapoleone, ed erano andati a rifugiarsi in quel palazzo, che apparteneva alla famiglia Vidiserti e arrivava dall’altro lato fino a via Bigli. E sempre in quella casa, come ricorda una targa, si riunivano i capi della rivolta. Zone, dunque, di eventi decisivi e straordinari, incongrui."
    Maurizio Cucchi, la traversata di Milano.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • "La mia strada è privilegiata
    vi sono interdette le automobili
    e presto anche i pedoni (a mia eccezione
    e di pochi scortati da gorilla).
    O beata solitudo disse il Vate.
    Non ce n’è molta nelle altre strade.
    L’intellighenzia a cui per mia sciagura
    appartenevo si è divisa in due.
    C’è chi si immerge e c’è chi non s’immerge.
    C’est emmerdant si dice da una parte
    e dall’altra. Chi sa da quale parte
    ci si immerda di meno".
    Eugenio Montale, Pasquetta


    "S’inchinano sui balaustri le amiche e guardano il Lago, sognando l’amore presago nei loro bei sogni trilustri.
    "… se tu vedessi che bei denti!" – "Quant’ anni?"
    – "Vent’otto".
    – "Poeta?" – "Frequenta il salotto della contessa Maffei!"[...]
    – Conosce Mazzini…"
    – E l’ami? – "Che versi divini!… "Fu lui a donarmi quel libro, ricordi?
    Che narra siccome, amando senza fortuna un tale si uccida per una: per una che aveva il mio
    nome".
    "Carlotta!" [...]
    Ti fisso nell’albo con tanta tristezza, ov’è di tuo pugno la data: vent’otto di giugno del mille ottocento cinquanta".
    Guido Gozzano, L’amica di nonna Speranza.
    ©Elleboro Editore - AA. VV.

  • In questa via riservata e quieta ci sono due palazzi importanti. Uno è quello al numero 21 dove teneva salotto la Contessa Clara Maffei, donna colta e patriottica amata da tanti scrittori. In quel salotto si prepararono le 5 giornate del 1848. E l'altra è al numero 15 dove c'è la casa del premio nobel Eugenio Montale.

    "Era in Milano un tempio dell'arte e della poesia, ove era un grande onore e una promessa di gloria essere introdotti. Noi avevamo riverito la padrona di casa, creatura di elezione, una delle più adora-bili dame della grande società milanese del secolo scorso, e che doveva sparire, poco dopo, ma avendo fatto tutto il maggior bene dello spirito a coloro che si erano accostati a lei, alla fine beltà del suo viso, beltà sfiorita ma dolce, anche in vecchiaia, al fascino della sua grazia e del suo intelletto".
    Matilde Serao, Ricordando Neera.
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  • "Va' pensiero
    Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un’ora di quiete. Sedici anni di galera!"
    Giuseppe Verdi a Clara Maffei

    "Alle ore della notte tu ti rivolti nel letto e un qualcosa ti opprime: magari la cattiva coscienza, ma è più probabile che sia invece il Nabucco. Tu li senti: la città s'è purgata dei rumori e non più frastorna, con il suo trambusto, il corso delle ta-cite stelle. Allora ti pare di destarti da quella gran pena del vivere, di aver dimesso, risvegliandoti, una soma che troppo faticavi a potarla: e nell'ora buia e silente ti arriva lo sdrusciare di una ramazza sopra l'asfalto.
    Carlo Emilio Gadda, Nella notte

    La serata del 9 marzo del 1842, suonavano il Nabucco di Giuseppe Verdi. Una musica inaudita. Da giorni, all’ora delle prove, in teatro era impossibile lavorare, poiché tutti –impiegati, operai, pittori, lampionai, macchinisti –si fermavano per assistere a bocca aperta a quel che avveniva sul proscenio mentre risuonavano quelle melodie ardenti, infiammate. Si cantava l’afflizione corale di un popolo, un popolo che stava per prendere fuoco. Poi, la sera della prima, gli spettatori dei palchi e della platea si erano levati in massa, gridando. In quel momento, tra le note impalpabili di una musica eterea, gli eleganti ufficialetti austriaci, nelle loro divise bianche, avevano avvertito l’odio piombargli addosso come qualcosa di solido".
    Antonio Scurati, Una storia romantica.
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  • "Il teatro alla Scala è il salotto della città. Ci vedremo alla Scala è frase corrente in ogni genere d'affari. Il primo colpo d'occhio fa venire le vertigini. Sono in estasi mentre scrivo queste righe".
    Stendhal.

    "Ed ecco i pensieri sgradevoli fuggire via alla vista consolante del fermento alla porta del teatro, delle signore che si affrettavano in un precipitoso ondeggiar di strascichi e di veli, della folla che stava a vedere, delle automobili stupende in lunga coda, attraverso i cui vetri si intravvedevano gioielli, sparati bianchi, spalle nude. Mentre stava per cominciare una notte minacciosa, forse anche tragica, la Scala, impassibile, mostrava lo splendore degli antichi tempi".
    Dino Buzzati, Paura alla Scala.
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  • La Scala il più grande teatro lirico del mondo che intreccia la sua storia con quella della città. E' il tempio della musica e dello sfoggio della ricchezza, simbolo del potere da riverire o da contestare. È uno dei luoghi da cui si irradia la fama della città e uno dei suoi luoghi letterari. E' passato alla storia il successo trionfale del Nabucco, che decretò la fama immortale di Giuseppe Verdi. Alla sua morte il grande direttore Arturo Toscanini diresse al Famedio del cimitero Monumentale, il coro e del Va pensiero.

    "Mio caro Peacock ieri sera siamo andati all'opera che è uno spettacolo davvero splendido. L'opera in sé non era la mia preferita. Ma il balletto, o piuttosto una specie di melodramma o pantomima era lo spettacolo più bello che abbia mai visto, non abbiamo nessuna Miss Melanie qui, ma in qualsiasi altra cosa Milano è senza dubbio superiore".
    Percy Bysshe Shelley, Le lettere.
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  • "Risalivo in quella morbida notte di novembre la via Manzoni al fianco del mio amico Fabrizio,
    e dolcemente conversavamo, noi membri segretissimi di una civiltà così sottile, che passa tra le
    gambe delle cose e si espande tra i misteri dell’aria. Il nome del mio amico non è inventato col fine di "stendhalizzare" la nostra situazione, ma reale".
    Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore città

    "Erano arrivati, intanto, in quel punto di Via Manzoni, dove, chi viene dalla Scala, ha sulla sinistra i Giardini, sulla destra la Galleria omonima, e davanti la più bella piazza che Milano possegga, con lo sfondo di un rado parco che la nebbia, anche d’aprile, avvolge di un velo tranquillo. E, come sempre, a quella vista, il Daddo provò un’amorosa mestizia, quasi un offuscamento".
    Anna Maria Ortese, L'iguana.
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