Episodi
-
Con il suo ultimo Quartetto op. 135 Beethoven torna alla tradizionale scansione in quattro movimenti; ma tutto, anche qui, parla il linguaggio del suo ultimo stile: dalla rarefazione dell’Allegretto al maniacale Trio dello Scherzo, e dalla cantabilità del Lento alla “difficile decisione” che offre lo spunto per il finale. In questa stessa trasmissione, Marco Mangani analizza la Grande Fuga che Beethoven pubblicò come brano a sé stante, dopo averla espunta dal Quartetto op. 130.
-
Completato nel 1826, il quartetto op. 131 è il più radicale degli ultimi quartetti di Beethoven. Sette movimenti collegati tra loro, dove le forme sono stabilite dal progetto compositivo, senza più distinzione tra presentazione del materiale ed elaborazione. Tutto qui è esposizione e sviluppo al tempo stesso; e tutto è contrappunto. Il disorientamento delle platee e l’ammirazione di Wagner sono i due volti della posizione unica occupata da questo lavoro nella storia della musica.
-
Episodi mancanti?
-
Il Quartetto in si bemolle maggiore op. 130 – terzo e ultimo dei quartetti dedicati al principe Galitzin – abbandona, come il precedente, la suddivisione tradizionale. All’ampia struttura del primo movimento fanno seguito infatti tre brani caratteristici, a loro volta seguiti da una struggente “Cavatina”. Gli ascoltatori furono però sconvolti dall’immensa fuga finale. Beethoven decise di pubblicarla a parte (come op. 133), sostituendola con l’ultima, bistrattata, felicissima pagina che riuscì a completare.
-
Con il quartetto in la minore – il secondo per il principe Galitzin, che solo per ragioni editoriali reca il numero d’op. 132 – Beethoven rompe decisamente gli argini del genere cameristico. Al posto dei tradizionali quattro movimenti, ne abbiamo ora cinque articolati in sei fasi. Vi trovano posto, con le nuove concezioni beethoveniane dell’elaborazione tematica e del contrappunto, un recitativo memore della Nona Sinfonia e la più intensa preghiera strumentale mai uscita dalla penna di un compositore.
-
Beethoven scrisse il Quartetto per archi n. 12 in mi bemolle maggiore op. 127 nel 1825. Nel 1822 il principe russo Nikolai Galitzin, eccellente violoncellista, gli aveva commissionato “due o tre nuovi quartetti”. Ancora impegnato su altri fronti (in particolare la Nona Sinfonia), Beethoven si mise al lavoro solo nel 1825, componendo i primi tre di quegli ultimi quartetti che costituiscono il suo lascito estremo. Il primo, pur tradizionale nelle sue forme esteriori, apre la saga cameristica che avrebbe sconvolto il mondo musicale dell’era moderna.
-
I due quartetti op. 74 e op. 95, che Beethoven compose tra il 1809 e il 1810 nel pieno di una svolta esistenziale, sono due capolavori diversissimi. Il primo, che alcuni chiamarono “delle arpe” a motivo dell’uso insistito del “pizzicato”, è in bilico tra passato e futuro, tra serenità e inquietudine. Il secondo, definito “serioso” dallo stesso Beethoven e pubblicato solo nel 1816, è invece concentratissimo e ormai decisamente proiettato verso le vertigini dell’ultimo stile.
-
Il Quartetto in do maggiore op. 59 n. 3, l’ultimo dedicato a Razumovsky ricevette da subito un’accoglienza favorevole, perché in esso le novità di scrittura – non meno presenti che negli altri due lavori – si manifestavano sullo sfondo di alcuni “luoghi comuni”, ben riconoscibili da parte di un pubblico avvezzo ai modelli haydniani e mozartiani. Pur non presentando alcun esplicito “tema russo”, il quartetto prevede un secondo movimento ricco di pathos e chiaramente improntato al tono popolare tanto caro agli intellettuali romantici.
-
Marco Mangani, prosegue l’esame dell’op. 59 con il Quartetto in mi minore n. 2. L’unico dei tre in tonalità minore presenta una forma più regolare rispetto al primo; ma i suoi profili tematici, le tecniche di sviluppo e l’uso dei registri estremi degli strumenti sono altrettanto innovativi. Come nel caso del primo quartetto, anche qui Beethoven ricorse a un’antologia di canzoni russe in omaggio al dedicatario: ne trasse il tema del Trio dello Scherzo, che sarà in seguito utilizzato da Musorgskij per l’Incoronazione del Boris Godunov.
-
Questa quarta puntata del ciclo segna il passaggio di testimone da Maddalena Bonechi, che ha analizzato l’op. 18, a Marco Mangani, che inizia a esaminare l’op. 59. Nel febbraio del 1807 il pubblico viennese ascoltò i tre nuovi quartetti che Beethoven aveva composto l’anno precedente, dedicandoli all’ambasciatore russo conte Razumovsky. Tutti si attendevano un ulteriore passo nella direzione dell’op. 18: rimasero invece sconvolti dalle novità. Il Quartetto in fa maggiore op. 59 n. 1, del quale si occupa questa trasmissione, era senza dubbio il più audace. Gli esecutori lo accolsero ridendo, convinti che Beethoven avesse voluto prendersi gioco di loro.
-
Maddalena Bonechi conclude l’esame dell’op. 18, avviata nelle prime due puntate, con il Quartetto in la maggiore op. 18 n. 5 e il Quartetto in si bemolle maggiore op. 18 n. 6. Il Quartetto op. 18 n. 5 presenta diversi legami con il Quartetto in la maggiore K. 464 di Mozart, nonché con l’op. 74 n. 2 di Haydn. Nel Quartetto op. 18 n. 6 l’Adagio finale, intitolato da Beethoven stesso La Malinconia, è caratterizzato da una melodia lenta e grave cui risponde l’Allegretto quasi Allegro, dai toni del Ländler. Proprio in questi evidenti contrasti è possibile rintracciare il germe di alcune delle innovazioni del Beethoven successivo.
-
La seconda puntata è dedicata al Quartetto in fa maggiore op. 18 n. 2 e al Quartetto in do minore op. 18 n. 4. Maddalena Bonechi prosegue in maniera cronologica l’esame dell’op. 18, avviata nella scorsa puntata, seguendo le date di composizione dei quartetti. Il n. 2 in fa maggiore si caratterizza per i suoi atteggiamenti musicali più scherzosi, salottieri e talvolta rustici, che richiamano ancora una volta lo spirito di Mozart e di Haydn. Il Quartetto n. 4 in do minore è l’unico in tonalità minore di tutta l’op. 18: pagina dai toni drammatici, è priva del movimento lento. La sua immediata comunicabilità emotiva ne determinò il grande successo.
-
I Quartetti op. 18 di Ludwig van Beethoven furono i primi composti dal musicista tedesco. Secondo quanto risulta dagli schizzi conosciuti, il Quartetto in re maggiore n. 3 è cronologicamente il primo. Ancora fedele a Haydn e Mozart, pur senza rinunciare a elementi di novità, Beethoven costruisce un tessuto sonoro puro e cantabile. Il Quartetto in fa maggiore n. 1 è noto soprattutto per l’Adagio, pagina patetica e appassionata per la quale Beethoven avrebbe pensato alla scena shakespeariana di Giulietta e Romeo presso la tomba.