Episodi
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Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, la Monarchia tocca probabilmente il punto più basso nella popolarità a causa dei ripetuti scandali che coinvolgono la famiglia reale. I figli di Elizabeth, in particolare, non fanno mancare la materia prima ai tabloid: chi si separa, chi divorzia, chi tradisce. Mentre l’era Thatcher si chiude e si apre quella del premier Major, nel moltiplicarsi di indiscrezioni giornalistiche e di trasmissioni televisive che aprono crepe nella secolare riservatezza regale, Elizabeth assiste con sgomento allo sgretolarsi di quell’immagine di rispettabilità e di quei valori morali che, forse tenace, forse miope, difende da sempre come fondamentali.
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Elizabeth è molto più a proprio agio nel celebrare il 25° anniversario di regno che non il Mondiale di calcio vinto qualche anno prima. È tempo di festeggiamenti maestosi ma anche di plateali proteste, e il Silver Jubilee segna il passaggio a un decennio di forti tensioni sociali che l’irriverenza punk dei Sex Pistols fotografa chiaramente. Mentre la nuova leader conservatrice, Margaret Thatcher, non guarda in faccia a nessuno e si guadagna l’appellativo di ‘Lady di ferro’, la Corona finisce così a far da parafulmine per il malessere e la violenza diffusi nella società. Quello è, così, anche tempo di attentati e di inquietanti intrusioni nella bolla impenetrabile che aveva sempre avvolto Elizabeth: rischi ormai frequenti, come mostrano altri atti di violenza diretti a importanti personaggi - quali Papa Giovanni Paolo II o, ancor più tragicamente, John Lennon - per le icone di quegli anni: ed Elizabeth lo è, nel bene e nel male. Ci pensa Andy Warhol a sancirlo, con un ritratto che diverrà un punto di riferimento imprescindibile della Pop Art.
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Episodi mancanti?
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Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 i cambiamenti della società britannica investono anche la relazione tra sudditi e Monarchia: è finita l’era della deferenza rispettosa e dell’entusiasmo che era seguito alla Coronation. Ad accendere gli animi degli inglesi ora sono i Campionati Mondiali di calcio: e saranno un evento davvero mitico, oltremanica! L’unica, memorabile, vittoria inglese. Oggi nessun Capo di Stato si perderebbe un’occasione tanto eccezionale per dare una lucidata alla propria immagine: ma Elizabeth conserva il suo aplomb. Presenzia, dove deve e ritiene opportuno: ma senza uscire mai dai confini della propria imperturbabilità. Quello è il suo modo di giocare.
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Elizabeth sale al trono in un momento per nulla semplice: a complicate situazioni politiche internazionali (la crisi del Canale di Suez, prima fra tutte) fanno da contraltare altrettanto spinose questioni interne al Palazzo: la sorella Margaret si è imbarcata in una relazione con Peter Townsend, un ex militare, quasi quarantenne, separato con due figli: ancora una volta, una storia d’amore costituzionalmente complicata, se non proibita! Le critiche, in patria, si sprecano. All’estero, invece, Elizabeth è guardata con ammirazione, soprattutto da chi avverte ancora il fascino di una figura regale, per di più femminile. È il caso della regina del sex appeal, Marilyn Monroe, che desidera quasi più di ogni altra cosa conoscere Sua Maestà: l’incontro tra le due, finalmente realizzatosi, metterà a tu per tu il mito del potere e il mito della bellezza. E non finisce lì, perché – in quegli anni Sessanta che iniziano – Elizabeth si troverà di fronte anche il mito della musica del suo tempo: a Palazzo sono in arrivo quattro ragazzi di Liverpool, i Beatles.
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Tra i compiti di una principessa c’è quello di trovarsi un buon marito ed Elizabeth non ci mette molto: anche se ha solo tredici anni, quando si trova davanti per la seconda volta Filippo Mountbatten sente che è quello giusto. Scelta inusuale, perché lui non è esattamente una figura di spicco fra le teste coronate, ma Elizabeth fa valere la propria volontà. Si sposeranno nel 1947 e saranno nozze a proprio modo speciali: la guerra è finita da poco, e il clima è ancora di penuria e ristrettezze. Ma la principessa non fatica ad adattarsi: sa che, nel suo ruolo, occorre fare i conti con la realtà. E la realtà ha molti modi per presentare il conto: il padre, re Giorgio VI, muore improvvisamente e lei deve diventare regina molto prima di quanto si aspettasse. La cerimonia della Coronation, con il premier Winston Churchill nel ruolo di regista neppure troppo occulto, sarà l’inizio di una nuova era?
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Elizabeth viene istruita al suo futuro mestiere: cosa molto, molto delicata. La piccola Lilibet ci si applica con impegno. E i risultati si vedranno: la sua padronanza delle questioni istituzionali e di protocollo non verrà mai messa in discussione. Ma c’è altro di cui preoccuparsi: scoppia una terribile guerra mondiale, e gli effetti si sentono anche a Palazzo, dove arriva l’austerità ed Elizabeth è chiamata a dare il proprio contributo sull’esempio del padre. Lo fa - ancora ragazzina - con un discorso via radio che resterà nella memoria di tutti i bambini del Regno, e poi – gli anni passano – come meccanica e guidatrice di automezzi militari. Quando la vittoria, infine, arriva, Elizabeth esce in strada a festeggiare, inebriata di emozione come tutti, libera di sentirsi finalmente in pace (e di essere, ma per meno di quanto crede, solo principessa).
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Per ricostruire la storia della regina più famosa della storia contemporanea è necessario ripartire dagli inizi, da quando era “soltanto” una principessina col nasino delicato e i boccoli nella Gran Bretagna di fine anni Venti. Questo episodio del podcast ripercorre la storia d’amore dei suoi genitori e le circostanze - anche politiche - della sua nascita, portando alla luce elementi che segneranno tutta l’esistenza della futura Elisabetta II. Mentre in Europa, infatti, soffiano tempestosi venti di guerra, a Buckingham Palace lo zio Edoardo VIII non ha alcuna intenzione di regnare senza la possibilità di sposare la sua amante, Wallis Simpson. Se sarà costretto ad abdicare, Elizabeth sarà destinata ad essere regina. Spinosa faccenda.
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Quando, tra l’aprile e il maggio del ’45, si aprono i cancelli dei lager, gli IMI sono vittime di un altro paradosso: sono liberati ma non liberi, presi in consegna dagli Alleati. Inglesi, francesi, russi: fra biechi calcoli politici e scandalosa indifferenza, i prigionieri italiani sono trattenuti nei campi di raccolta per mesi e mesi. E neppure in patria ci si preoccupa di loro: un prolungamento di attesa e sofferenza scandaloso.
Il ritorno a casa, poi, dovranno spesso farselo a piedi, dalla Germania o dalla Polonia, tra infinite traversie: per poi scoprire che i famigliari e gli amici magari li hanno dimenticati, si sono rifatti una vita, conciati come sono neppure la madre li riconosce, e nessuno ha voglia di sentirsi raccontare quel che hanno passato. Così, gli Imi finiscono per tacere e la loro storia non la racconta più nessuno. Tranne Guareschi, e pochi altri. Anche e voi, ora: se vorrete.
Perché adesso avrete più chiaro che quel loro “NO” contiene un senso profondo e ci suggerisce che noi italiani siamo magari un po’ meglio di come ci dipingono. E poi, ora sappiamo che non è vero che il non violento perde sempre e il violento vince: esistono vittorie senza violenza.
Testo: Paolo Colombo con Valentina Villa
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Registrazione e editing: Giorgio Baù
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore -
Un elemento di forza nella resistenza opposta dagli IMI agli orrori del lager è la cultura. Gli IMI studiano, come e quando possono. C’è chi, facendosi aiutare dai più istruiti, prepara la tesi laurea: un modo come un altro per tenersi aggrappati alla vita. Sono organizzate conferenze e lezioni clandestine sui più disparati argomenti: chi sa, insegna agli altri. La “Regia Università del lager” la battezza Guareschi. Ma si riescono ad allestire anche veri e propri spettacoli teatrali: scopre lì il proprio talento artistico quel grande attore che sarà Gianrico Tedeschi. E assolutamente geniale è il modo in cui gli Internati, maestri assoluti nell’arte di cavarsela, riescono a costruire dal nulla una radio per ascoltare notizie dal mondo esterno e non sentirsi dei sepolti vivi: “Caterina”, la chiameranno e riusciranno a tenerla nascosta ai loro carcerieri fino alla liberazione. Ma poi, neanche essere liberi sarà per loro cosa facile.
Testo: Paolo Colombo con Valentina Villa
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Registrazione e editing: Giorgio Baù
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore -
Le angherie, la fame, i soprusi, il lavoro forzato, il freddo, le malattie, l’inedia: di questo è fatta per 19 mesi la vita di uomini che si consumano nella deportazione, devastati dalla fame e mangiano ogni cosa capiti loro a tiro, persino il cane di un sergente della Ghestapo! Uomini che, però, non dimenticano mai la dignità profonda della propria scelta: «Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione», commenta Guareschi che, una volta tornato libero, nell’Italia ormai democratica, sconterà ancora la galera, per non aver chinato la testa di fronte al potere politico, nemmeno davanti al presidente della repubblica Einaudi e al presidente del consiglio De Gasperi, attaccati dalle pagine del suo giornale umoristico “Candido”. La misura interiore della libertà, lui l’ha scoperta dentro di sé durante la prigionia nazista, in luoghi così interiori e personali che nessuno, a parte il buon dio in cui crede, può arrivarci: e quella è la fregatura, per la “Signora Germania”.
Testo: Paolo Colombo con Valentina Villa
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Registrazione e editing: Giorgio Baù
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore
Ascolta tutti gli altri podcast realizzati da Paolo Colombo per Il Sole 24 Ore: https://podcast.ilsole24ore.com/hub/history-telling-AFVa88lC -
I tedeschi non sanno come definire i soldati catturati: erano alleati poco prima e ora non lo sono più, una metà del loro Paese combatte ancora a fianco della Germania e l’altra metà ci si è schierata contro, non sono propriamente prigionieri di guerra perché non sono stati presi in combattimento. Non godranno quindi nemmeno di quel minimo di riguardo fissato dal diritto internazionale e garantito dalla Croce Rossa. Ma sono pur sempre centinaia di migliaia di militari che farebbero gola all’esercito nazi-fascista, stremato dalla lunga guerra. Ma loro rifiutano strenuamente di combattere per quella parte: accettando la desolazione, la fame e i tormenti dei lager con un’eroica determinazione che Guareschi, umorista di razza, sintetizzerà con un geniale “Non muoio neanche se mi ammazzano!”. Anche se, in moltissimi, moriranno: ma in democrazia – scrive sempre Guareschi – “bisogna tener conto anche dei morti”.
Testo: Paolo Colombo con Valentina Villa
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Registrazione e editing: Giorgio Baù
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore
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Tutto inizia l’8 settembre del 1943, con le truppe italiane lasciate allo sbando dall’armistizio sottoscritto con gli anglo-americani dal governo del re: un re che lascia Roma e se ne va al sud, a Brindisi, di fatto sotto la protezione degli ex-nemici e non ci fa una gran figura. I nazisti, nel dubbio, rastrellano tutti i militari italiani e offrono loro l’atroce alternativa: combattete con noi o vi deportiamo in campo di concentramento. Più di 600.000 rifiutano: per molti motivi, ma in fondo perché gli italiani sanno essere dei bastian contrari, proprio come Giovanni Guareschi, che dirà di sé: “non sono un indipendente, bensì un anarchico, un uomo libero ma sovversivo”.
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Una storia che può cambiare il nostro modo di pensarci come popolo. La storia di oltre mezzo milione d’italiani che scontano due anni di lager perché sono determinati a dire “NO” al fascismo, al nazismo e alla loro assurda guerra. Pensa che Paese si sarebbe potuto costruire su una storia così.
Ma le cose sono andate diversamente. Nonostante qualcuno ci avesse provato, a raccontarla, questa storia. Si chiamava Giovanni Guareschi, l’autore delle storie di Peppone e Don Camillo, e - da grande scrittore qual’era - la mise nero su bianco: perché lui era stato uno di quelli che avevano detto “NO”. E l’aveva provata sulla propria pelle, l’assurdità e l’epica di quella storia: la storia degli IMI, gli Internati Militari Italiani.
Testo: Paolo Colombo con Valentina Villa
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Registrazione e editing: Giorgio Baù
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore
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In poche ore un regime ultraventennale crolla su se stesso. Ceausescu fugge dalla capitale ma finisce comunque nelle mani dei “rivoluzionari”. Segue un processo sommario. E una fucilazione ancor più affrettata. E tutto sembra rapidamente giunto alla fine. Ma, come in ogni storia horror che si rispetti, il mostro non è morto: ritorna. E cammina ancora con passo pesante per le strade di Bucarest. Il mostro non era Ceausescu. Era…
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Persino le nascite dei bambini, per far crescere quanto più possibile il popolo di comunisti, vengono pianificate: gli orfanotrofi-lager rumeni ne sono la tragica prova. Anche lo sport è controllato dal dittatore e dal partito: la squadra della Steaua Bucarest, che arriva in finale di Coppa dei Campioni nel 1986 e nel 1989, ne è l’incarnazione. Ma proprio in quel 1989, venti di rivoluzione soffiano ovunque oltre la Cortina di Ferro, e arrivano a farsi sentire anche in Romania: le manifestazioni di Timisoara, che finiscono nel sangue, ne sono i primi segnali.
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La Romania di Ceausescu, nelle intenzioni del dittatore, dovrà rendersi autonoma economicamente, dovrà produrre quanto nessun altro, dovrà riedificare Bucarest, la propria capitale, a misura della propria grandezza,: e la polizia segreta, la famigerata Securitate, dovrà vegliare assiduamente su questo processo. Un progetto di crescita o un delirio di onnipotenza?
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Si può dire quello che si vuole di Ceausescu ma non che gli manchi un certo fiuto politico. È un dittatore, ma i leader di tutto il mondo lo trattano come un governante illuminato, aspira addirittura al premio Nobel per la pace, sua moglie Elena viene riconosciuta ovunque quale scienziata di alto livello: però è arrivata solo alla quarta elementare. Ma cosa c’è di vero in questa storia?
Questo episodio contiene estratti del documentario "A carte scoperte con Ceausescu"
https://www.youtube.com/watch?v=ajfNwMJyU-o&t=1105s -
La storia della Romania è una storia per molti versi di splendore e di profondi legami con l’Europa. Ma poi passa attraverso i legami con il nazismo di Adolf Hitler e con l’imposizione del governo stalinista. Fino alla presa di potere da parte non di Dracula ma di un semi-dio: Nicolae Ceausescu. E i riconoscimenti a quel suo potere arrivano persino da Mickey Mouse!
Testo e voce: Paolo Colombo
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Editing: Daniele Vaschi
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore
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Cosa ha a che fare la storia della Romania con Dracula il vampiro? Forse poco o nulla. O forse molto, se è vero che di un pezzo non lontano del loro passato, come i protagonisti di certi film horror, i Rumeni spesso non amano parlare: quel pezzo di passato è legato alla dittatura comunista. E quando il comunismo inizia a crollare, la Romania sembra l’unico paese a tener duro. Come mai? Che storia è questa? È la storia di un mostro...
Testo e voce: Paolo Colombo
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Editing: Daniele Vaschi
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore
Ascolta tutti gli altri podcast realizzati da Paolo Colombo per Il Sole 24 Ore: https://podcast.ilsole24ore.com/hub/history-telling-AFVa88lC
La cronaca Rai del processo a Ceausescu:
https://www.youtube.com/watch?v=Z7Y4k8d47sI
Le cronache Rai della caduta del muro di Berlino:
https://www.youtube.com/watch?v=udmcoic0kJo -
Nella prima stagione di History Telling l'autore, Paolo Colombo, racconta la vicenda della Romania di Ceausescu, unico tra Paesi del blocco comunista ad essere crollato per effetto di uno scontro sanguinoso tra forze rivoluzionarie e apparati leali al regime. È una tragedia che ci riporta indietro a un periodo storico particolarmente cruciale: i drammatici ultimi mesi del 1989, quando il crollo del Muro di Berlino innescò un effetto domino che, nel giro di poco, spazzò via la Cortina di Ferro e pose fine alla Guerra Fredda. Un momento chiave della Storia contemporanea utile da rievocare soprattutto alla luce di quanto stiamo vivendo oggi, con il rinnovato gelo tra Mosca e l'Occidente e un presidente russo, Vladimir Putin (ai tempi ufficiale del Kgb nella DDR), con il sogno di riportare la Russia ai fasti dell'ex Unione Sovietica.
Testo e voce: Paolo Colombo
Cura editoriale, musiche e sound design: Andrea Franceschi.
Editing: Daniele Vaschi
Comunicazione e marketing: Arianna Faina
Design director: Laura Cattaneo
Illustrazione: Giorgio De Marinis
Produzione: Il Sole 24 Ore