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L’udito è una questione di tatto. Ci stranisce, perché percepiamo il suono come qualcosa di etereo, volatile: e invece è materia che sollecita la nostra meccanica sensoriale. Il suono può fare a meno delle superfici: attraversa l’aria e, con un piacere ancora più grande, attraversa l’acqua. Il suono infatti si propaga nell’acqua, rispetto a quando viaggia nell’aria, quattro volte più velocemente. È per sfruttare questa sua capacità che ci siamo inventati il sonar, ispirandoci a quella che nel mondo animale si chiama eco-localizzazione, uno strumento fondamentale per gli animali che vivono nel territorio più esteso del pianeta, gli oceani.
Quando si ricorre a questo sonar biologico, ci si costruisce una rappresentazione mentale di qualcosa che è nascosto. Se lo stridio del pipistrello nasce nella gola ed esce dalla bocca o dal naso, il clic dei delfini nasce nel naso ed esce dalla fronte. Nel caso dei capodogli, dobbiamo abituarci al surreale. Il loro sonar viene prodotto nella stessa testa che contiene il cervello più grosso del pianeta: un cervello di 9 chilogrammi, 7 volte più grande del nostro. Come tutti i cetacei, si tratta di mammiferi che hanno vissuto per milioni di anni sulla terraferma e che 60 milioni di anni fa hanno deciso di tornare in acqua. Immersi nel buio, si orientano in un oceano di suoni.
Sonar è un podcast del Post, immaginato e raccontato da Nicolò Porcelluzzi
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Non così diversamente dalle nostre, le società dei cetacei si fondano sulla condivisione del sapere acquisito e sulla capacità di trasmetterlo. Poter parlare con qualcun altro ci permette di riconoscerci come parte della stessa comunità. Questo fenomeno di trasmissione dei dati e di coesione sociale, gli scienziati l’hanno definito cultura.
Su quale linguaggio si basa allora, la cultura dei capodogli? Il suono di base, per questi animali, è il click; a cambiarne l’utilizzo e il significato è il modo in cui viene emesso. Il primo uso è legato alla caccia, l’altro invece alla dimensione sociale del capodoglio, alla cura delle relazioni: in questo caso si tratta di click distinti dai pattern, cioè dalle sequenze che servono a farsi riconoscere come membri dello stesso clan. I clan non si distinguono tra loro soltanto dai modi in cui cacciano, i modi in cui si spostano e fanno le loro cose: i clan di capodogli si identificano soprattutto attraverso i suoni che emettono.
Come si riconoscono, allora, i capodogli del Mediterraneo? E quelli dei Caraibi? E soprattutto: di cosa è fatta, la vita dei capodogli?
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È complicato fare una stima accurata, ma secondo alcune ricerche solo nel secolo scorso sono state uccise circa tre milioni di balene, il 90% di molte popolazioni. Per fare un paragone: è come se scomparisse l’intera popolazione mondiale, esclusi gli abitanti dell’Austria. Questa caccia impari è arrivata al punto di riscrivere la struttura sociale che teneva insieme i capodogli da una quantità di tempo inimmaginabile: da millenni, milioni di anni, non lo sappiamo.
Il record di uccisioni non risale all’Ottocento ma agli anni Sessanta del Novecento: quando le navi erano ormai dotate di sonar e andavano a benzina, e gli arpioni erano carichi di esplosivi. Ma anche quando ormai era scomparsa la domanda che reggeva l’economia di un secolo prima. Negli anni Ottanta è cambiato tutto: grazie a un’idea molto semplice, e molto potente, una coppia di biologi ha creato le condizioni per una moratoria internazionale contro la caccia commerciale alle balene.
I canti delle megattere hanno rivoluzionato la nostra idea di biodiversità, e hanno creato una comunità che è in continua espansione. Lì fuori infatti, mentre portiamo avanti le nostre vite, ci sono delle persone che si preoccupano per la salute dell’ecosistema da cui dipende il mondo che viviamo, la nostra società, e le sue probabilità di sopravvivenza.
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Il sogno di dialogare con gli altri animali accompagna l’essere umano da epoche lontane e miti sepolti nel tempo. Ma ogni essere vivente è immerso nel proprio ambiente, e a ogni intelligenza corrisponde un mondo. L’obiettivo del Progetto CETI è cercare di superare questo ostacolo. CETI è un progetto titanico, dove collaborano molti esperti di varie discipline: cetologi, informatici, linguisti, esperti di robotica e crittografia. Il progetto è nato ad Harvard nel 2019, in una riunione presieduta dal biologo David Gruber.
Gruber, intervistato dalla rivista Nature, ha dichiarato che l’obiettivo di CETI è “imparare a comunicare con una balena in modo tale da potersi scambiare idee ed esperienze”.
È un obiettivo realistico? È davvero possibile visitare gli altri mondi?
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Ci sono cose che non possiamo spiegare bene, perché le hanno generate altre intelligenze. In questo pianeta diviso tra terra e oceani, noi siamo l’altro mondo. Siamo quelli nuovi, gli alieni, gli invasori. Così come i coda dei capodogli, i canti delle megattere sono più antichi di qualsiasi lingua umana. Anzi, sono più antichi di qualsiasi civiltà umana, palazzo o tempio, di qualsiasi osso o manufatto anche solo lontanamente umano.
Ai cetacei piace il contatto, e abbiamo imparato che si toccano anche attraverso il suono; sono uniti da una rete sonora che è parte del loro ambiente quanto l’acqua, i fondali, e tutto quello che si muove. Per vivere, quello che gli animali fanno tutto il tempo è sentire.
Cos’è il suono, allora? E cos’è l’ascolto?
Sonar è un podcast del Post, scritto e immaginato da Nicolò Porcelluzzi.
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