Folgen
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Uno scatolone di libri incautamente acquistato in un momento di debolezza oggi ci fa parlare di Umberto Eco, Jocelyn Haley, Ernest Hemingway, Giuseppe Ungaretti, George Steiner. E alla fine tra monaci medievali, ninfe dagli occhi verdi, alcolizzati, poeti ermetici e critici letterari comprendiamo come ogni atto comunicativo comporti sempre l’atto del “decifrare”, anche quando si comunica nella stessa lingua. Ma che fatica però. Forse aveva ragione Wittgenstein: “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.
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Da uno scatolone di libri vintage acquistati in un momento di debolezza in una legatoria, escono fuori oggi: saghe familiari di drammatica intensità (John Steinbeck), un giallo divertente e cinico quanto basta (Willliam Somerset Maugham), romanzi rosa per casalinghe non troppo disperate (Constance Heaven), piccoli drammi morali quotidiani (Bonaventura Tecchi). C’entrano un po’ anche le sirene con i loro richiami e un unico imperativo: leggere sempre e comunque.
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Fehlende Folgen?
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Oggi si parte dal titolo dell’ultimo libro di David Grossman (“La pace è l’unica strada”) per parlare di pace. Più facile a dirsi che a farsi. Il motto latino “pax optima rerum” (“ottima fra tutte le cose la pace”) ci trova tutti d’accordo. Ma come raggiungere la pace (interiore, nelle relazioni, tra nazioni)? David Grossmam, un dizionarietto della Hoepli di sentenze latine, Zygmunt Bauman, Giovannino Guareschi, Chandra Candiani (ma anche Umberto Eco, il Dalai Lama, Gerald Holtom e il contadino di Goya) ci danno qualche dritta su come coltivarla, ma la vera sapienza – come scopriremo – si coltiva nell’orto, tra la valerianella e i porri.
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Con i tormentoni, recenti e passati, di Sanremo ancora in testa oggi partiamo da una canzone di Dargen D’Amico (“Dove si balla”) per parlare dei terremoti e dei vulcani (anche metaforici) che fanno capolino in libri, saggi e poesie. Si parte con Paolo Rumiz e si conclude con Achille Campanile passando per Heinrich von Kieist, Tiffany Watt Smith, Vamba, Giacomo Leopardi, Alberto Angela, John Fante, Emily Dickinson e l’immancabile Antoine de Saint-Exupéry. Per scoprire poi che le calamità naturali sono preferibili al fanatismo dell’uomo e che quando sei un vulcano ed erutti, rischi di fare una figuraccia.
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Dove sono finite le virtù? E quante sono? Con l’episodio di oggi andiamo a cercarle col lanternino in un’operetta, in un dramma liturgico del XII secolo, in un piccolo trattato di grandi virtù di un filosofo francese, nella sceneggiatura di alcuni film e in un paio di poesie. Carlo Lombardo, Ildegarda di Bingen, André Compte-Sponville, Krzysztof Kieslowski, Giuseppe Ungaretti, Wysława Szymborska sono i nostri ciceroni e ci aiutano a comprendere che le virtù hanno anche a che fare con un desueto ballo, lo “shim sham shimmy”, con un misterioso testimone silenzioso, ma non con un particolare tipo di culotte. E che i veri insuperabili maestri di virtù, almeno per noi italiani, sono Totò e Peppino con le loro “cose vere” e “cose supposte”.
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A dicembre, sotto Natale, parlare di angeli sembra scontato. Eppure oggi, Dante, von Kleist, Schiller, Benjamin, Rilke, ma anche Klee, Escher, Lucio Dalla e Wim Wenders, ci fanno incontrare angeli atipici: angeli caduti, angeli irriverenti, angeli-uomini, angeli tremendi, angeli-demoni. Insomma, angeli al rovescio che, biondi e riccioluti, suonano sì strumenti improbabili come la ghironda o l’organo portativo nell’alto dei cieli, ma che possono anche farsi umani quando non addirittura demoniaci. Per sdrammatizzare un po’ però oggi si parla anche di un angelo che fuma Marlboro, di un’aureola infilata sulle corna di un diavolo e di un porcello super-eroe alla ricerca di una dieta che funzioni. E buone feste a tutti!
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In questo episodio di dicembre, mese avaro di luce, si parlerà di tunnel bui, mondi inferi, catacombe e sotterranei, reali e immaginari, fisici e mentali, di isole sommerse e figuracce che fanno sprofondare. Aldo Carotenuto, Fëdor Dostoevskij, Woody Allen, Paolo Lorenzini, Luigi Pirandello, Italo Calvino, Michal Ende, Niccolò Ammaniti e altri ci condurranno nei sotterranei dell’anima e nelle viscere della terra. Alla fine scopriremo che Dio è un rosticciere, che non è saggio leggere Dostoevskij e il periodico “Weight Watchers” sullo stesso volo e che la luce della luna, se siamo capaci di stupirci, vale cento sedute di psicanalisi.
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Un episodio all’insegna del “volemose bene”? No, “ubuntu” è un’altissima filosofia, “altissima” in quanto prassi, della connessione e dell’interdipendenza; una visione del mondo che mira a una coesistenza armoniosa tra gli uomini, tra l’uomo e la materia, tra l’uomo e la trascendenza. Non a caso oggi abbiamo dovuto scomodare San Francesco d’Assisi, Ildegarda di Bingen, Jalal al-Din Rumi, ma anche la Radio Bavarese, uno spot di una bevanda famosissima e un giallo fiabesco di Cristina Ortolani, dove in un paesino senza tempo la scomparsa di una statua votiva crea scompiglio in una comunità i cui personaggi sono – anche se a modo loro e senza saperlo – molto “ubuntu” e dove alla fine l’armonia viene ricomposta (ma senza sambuca nel caffè).
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In quest’episodio parliamo del giallo, il colore meno amato sulla tavolozza secondo lo storico dei colori Michel Pastoureau. Scopriamo presto però che Van Gogh era di tutt’altro parere, mentre in letteratura il giallo si addice alle foglie, ai limoni, alle vele, alle cinture delle divinità e persino alle copertine dei libri. Pastoureau, Emily Dickinson, Mirabai, Esenin, Goethe, Montale ci accompagnano alla scoperta di un colore ambivalente. Alla fine apprendiamo che c’è una brevità gialla che si può distillare, ed è la nostra vita, e che se tutto va storto possiamo sempre progettare un giallo con tanti omicidi.
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Cos’ha a che fare un quantum dot con gli idraulici che non si trovano nei week-end? Oggi andiamo alla scoperta del piccolo in letteratura: dagli Umpa Lumpa di Roald Dahl ai Lillipuziani di Jonathan Swift, dalla minuscola Alice di Lewis Carroll ai neonati di Christian Bobin. Ma c’entrano anche la mistica Giuliana di Norwich, una nocciolina, il karate e Dio. A riprova che l’importante, nella vita, è cambiare prospettiva.
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Il primo episodio della quarta stagione degli Scimmioni ruota intorno al tema autunnale delle foglie che cadono. Lungi dall’essere un episodio dai toni malinconici, oggi scopriamo che le foglie cadenti rendono un servizio all’albero. Lasciare andare ciò che è morto significa restituirlo al ciclo naturale della vita. Oggi parliamo di foglie abnormi, di foglie di fico, “foglie d’erba”, foglie che assomigliano a fiori, foglie cadenti che cambiano rotta e che ritornano all’albero; e lo facciamo in compagnia di Whitman, Camus, Ungaretti, Cattabiani, Vassilikov, Cowper, i Peanuts e Deledda. Per scoprire che la foglia più bella è quella che ha l’iridescenza di una farfalla, simbolo di trasformazione ed eternità.
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Quest’estate, al bando i romanzi all’acqua di rose! Sotto l’ombrellone o in montagna, più che altro per darci un tono, optiamo per libri con un certo peso specifico. Che Hannah Arendt, André Compte-Sponville, Seneca, Goethe e Schiller, siano con noi a intrattenerci sulla banalità del male, sulle virtù, sul segreto di una vita felice e sulla rivoluzione estetica necessaria per fondare una nuova umanità. E se gli unici due neuroni che ci girano in testa, causa afa, non riescono a concentrarsi: non fa nulla. Ci resta sempre il geniale “Pio pio bau bau” di Attilio dove, male che vada, possiamo contemplare con occhio vacuo le figure stilizzate di cani grigi e pulcini molto gialli.
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Stivali fatati o insanguinati, scarpine di cristallo, zoccoletti di legno, scarpette rosse, calzari alati, scarpe strette di raso bianco, scarp de’ tenis: feticisti di scarpe (letterarie) di tutto il mondo unitevi! Grazie a H. C. Andersen, F. Baum, F. Dostoeweskij, C. Brontë, T. Hardy, W. Szymborska, J. Lussu, F. Danney e M. Lee, A. Vaganova, Collodi e ad altri, da oggi in poi cammineremo con tutt’altra consapevolezza nel mondo e sapremo scegliere le calzature che indossiamo in maniera più oculata (forse). L’importante, comunque, è non avere sassolini nelle scarpe.
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Un episodio sulla Grecia con dentro di tutto e un po’: dall’unica opera conosciuta di Marco Aurelio (che è in greco) alle imprecazioni in greco antico, dallo stoicismo all’effetto farfalla, dagli eremiti ai miti e agli eroi dell’antica Grecia, dal verde fosforescente al blu marino, da una pianta sovrabbondante al Minotauro, passando per storie di bambini molto antichi e donne forti e solidali tra loro, dall’armonia del Tutto al senso del limite, dalle olive al canto delle sirene. Marco Aurelio, Friedrich Hölderlin, Vassilis Vassilikos, Károly Kerényi, William K.C. Guthrie, Mino Milani, Laura Orvieto, Jennifer Saint, ma anche Umberto Galimberti, Roberto Calasso e altri ancora: ognuno di loro ci svela una parte di quel grande mistero impenetrabile chiamato “Grecia” (ma anche il gyros ha il suo perché).
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Il sogno come porta d’accesso all’inconscio, il sogno premonitore ma anche il sogno come visione da costruire in futuro. E poi il sogno ingannatore, il sogno come attività artistica per eccellenza e, infine, la vita tutta come un sogno sognato da un dio ebbro. Oggi siamo in buona compagnia: Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, Jostein Gaarder, Plutarco, Jorge Luis Borges, Heinrich Heine, ma anche Oscar Wilde, Fridrich Nietzsche, Franz Kafka, Shakespeare e altri ci offrono spunti per ragionare su un tema tanto affascinante quanto indecifrabile. Nell’episodio di oggi incontrerete anche Calpurnia, un viaggio a Est e uno struzzo cingolato. Solo quest’ultimo vale, credo, l’ascolto.
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“La pace forse più non tornerà, finché vivrà il cinemà”: così cantava Totò Mignone negli anni Trenta. E noi oggi non possiamo che confermare il fascino che la Settima Arte continua a esercitare sulle nostre vite e sul nostro immaginario. E lo facciamo con un episodio squinternato che racconta la propaganda bellica made in Hollywood durante la seconda guerra mondiale, attraverso le ossessioni e le depressioni di Woody Allen, con i suggerimenti di Age per scrivere una sceneggiatura di successo, sbirciando nel back-stage di “Frankenstein Junior” e leggendo ritratti insoliti di divi e divine del cinema a cura di un giornalista “insospettabile”. Koppes e Black, Woody Allen con Eric Lax, Age, Mel Brooks, Indro Montanelli ci guidano in un’insolita passeggiata dentro il “cinemà”. Ma attenti a non finire a “gretagarbeggiar”.
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Un episodio per riprenderci la vita in mano nel periodo più propizio dell’anno in piena primavera. Sì, bello, ma da dove cominciare? Auguste Racinet ci aiuta a cambiare look perché sì, contrariamente a quanto si dice, l’abito fa il monaco. Paul Waztlawick con il suo “Linguaggio del cambiamento” e Alejandro Jodorowsky con “Psicomagia” ci insegnano a bypassare la razionalità e ad affidarci alla parte più creativa del nostro cervello; Roberto Mancini ci sprona a trasformare l’economia mettendo al centro l’uomo; Gianni Rodari ci insegna che gli errori aprono nuovi mondi fantastici. In primavera, quest’anno, oltre a fare il cambio del guardaroba, proviamo a modificare anche qualche mappa. E a trasferirci, magari, anche solo per qualche ora in “Lamponia”.
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Dal “naso d’oro” di Tycho Brahe alle bugie “che hanno il naso lungo”: l’episodio di oggi ruota intorno al naso e parte dal curioso libro che una neuroscienziata ha scritto sull’olfatto, un senso un po’ bistrattato che forse dovremmo conoscere meglio. Oltre ai celeberrimi nasi di Pinocchio (Collodi) e di Cyrano di Bergerac (Edmond Rostand), oggi faremo la conoscenza del naso di un notaio (Edmond About), del naso di un uomo in crisi di identità (Luigi Pirandello), di quello di un assessore di collegio di San Pietroburgo che finisce nel panino di un barbiere (Gogol), del naso dell’uomo primordiale (Italo Calvino) per arrivare a scoprire che, sia come sia, il naso (persino posticcio di gomma) ha il potere di cambiare la nostra vita.
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In questo episodio scopriamo che viole e violette, secondo la mitologia greca, nascono da gocce di sangue; che Napoleone le regalava alle sue amanti; che sono l’ideale da avere intorno quando si vuole baciare l’amata; che sono modeste (ma non sempre); che possono anche essere indecenti; che mal si sposano con le rose nei bouquet; che fanno innamorare le persone; che hanno doti divinatorie. Qua e là incontriamo anche donne che si chiamano “Violetta”, alcune dal destino tragico, altre invece dal carattere combattivo. Ringraziamo Alfredo Cattabiani, Dante, E. M. Forster, Trilussa, Aldo Palazzeschi, Isabel Allende, Giacomo Leopardi. Ma ringraziamo soprattutto lei: la violetta, la “beghina d’ogni fiore” che però, all’ombra dell’erbetta, vedeste cosa mostra al ciclamino.
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Dopo il blu, il rosso e il verde in letteratura, oggi è l’arancio il fil rouge, pardon, il filo conduttore di un episodio un po’ sconclusionato che procede dalla “Teoria del colore” di Goethe fino al surrealismo di Paul Eluard. Questo non-colore che Pastoureau definisce una “sfumatura” si rivela essere legato all’amore più di quanto non crediamo (ce lo ricordano i versi di Garcia Lorca e le albicocche di Flaubert), ma l’arancio è simbolo anche di trasformazione e illuminazione interiore (penso al “fuoco” di Kerouac de “I vagabondi del Dharma”, alla zucca di Cenerentola e a un piccolo seme di albicocco in un breve romanzo di Laura Mancinelli). Tra arance, zafferano, muse ispiratrici, divinità delle zucche, monaci buddisti, pittori geniali, amori illeciti e amori che ritornano, alla fine scopriamo che gli occhi raccontano più di quanto non sia scritto su una banale carta di identità e che per divenire poeti immortali è meglio cantare il blu e l’arancione piuttosto che il marrone.
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