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Dopo anni di attività che hanno segnato un capitolo fondamentale nella promozione dell’arte contemporanea in Svizzera, la Galleria Buchmann di Lugano chiuderà i suoi battenti a fine di febbraio 2025. La storica galleria, fondata e curata da Elena Buchmann nel 2013, ha ospitato mostre di artisti internazionali e locali diventando un crocevia culturale di importanza crescente.
In questa puntata di Laser intitolata Elena Buchmann. Una vita per l’arte contemporanea, a cura di Lina Simoneschi Finocchiaro, vogliamo riflettere sul percorso della galleria e sull’eredità che lascia al panorama culturale ticinese e internazionale. Oltre alla stessa Elena Buchmann, sentiremo due artisti della galleria, dal più giovane - classe 1979 - che è Alex Dorici fino a Livio Bernasconi che ha passato i 90 anni.
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È difficile ricordare un periodo storico nel quale in Svizzera e più in generale in Europa ci siamo sentiti più insicuri.
La guerra in Ucraina, la minaccia russa, il dramma di Gaza, lo scontro Iran-Israele stanno alimentando le nostre paure, così come le richieste che finisca tutto al più presto.
Ma la fine di un conflitto non equivale alla soluzione immediata di tutti i problemi. Cosa succede in quelle regioni dove la guerra è finita da poco tempo? Qual è il grado di libertà e di rispetto dei diritti umani? Cosa fanno le nuove generazioni?
Per rispondere a queste domande siamo andati in Libia, paese che per la sua posizione - lo snodo principale per i flussi migratori verso l’Europa - è per noi molto importante.
Abbiamo raccolto storie che raccontano le cose che non vanno, ma anche quelle dinamiche nuove che nonostante le tante difficoltà stanno permettendo al paese di guardare avanti e di aprire un nuovo capitolo. O almeno di provarci.
Le potrete ascoltare in questo radio-documentario, che dà voce a migranti, a cittadini stranieri che sono riusciti a ricostruirsi una nuova vita in Libia, a vittime di soprusi e torture, a giovani che sognano di dare al loro paese un futuro diverso.
Collaborazione di Claudio Maggiolini.
Prima emissione: 23 agosto 2024
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Fehlende Folgen?
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Io sono una banana - ci dice il personaggio di un racconto di un cinese di seconda generazione - giallo fuori, bianco dentro. Siamo a chinatown a Milano, anno del serpente, quello che una volta si chiamava borg de chigulat, borgo degli ortolani, attorno a via Paolo Sarpi, e quello che per alcuni è diventato il “mangificio” di Milano, e forse è il laboratorio di un paese del futuro, in cui culture diverse si fondono creandone di nuove. Con interviste a Giorgio De martino, giornalista, abitante, Stefania Leone, presidente associazione scolastica GPP, Premiata Ditta: Anna Stuart Tovini e Vincenzo Chiaranda, Erik Mu, vicepresesidente Asso Cina e un estratto da Essere un cinesino (non è poi così male) un racconto di Sun Wen-Long nella raccolta Cinarriamo 2 edita da Orientalia.
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La diffidenza verso le apparenze sembra oggi avere preso in ostaggio l’opinione pubblica e il complottismo è diventato una delle chiavi per interpretare il mondo. I don’t drink it, dicono gli inglesi, «non me la bevo». Nel mondo della comunicazione incontrollabile e delle fake news tutti sono portati a dubitare.
Da millenni in realtà l’impresa scientifica funziona proprio così. Gli scienziati non si sono stancati di dirci che il mondo non era come suggerivano l’evidenza o il senso comune. Bisogna non credere a quello che sembra, perché è proprio lì che si nasconde l’errore. Non è vero che il sole gira intorno alla Terra, né che l’uomo è pienamente padrone delle proprie decisioni e della propria vita: lo hanno dimostrato la fisica e la psicoanalisi.
Laser vi invita a questo affascinante viaggio nella storia del sapere insieme a un fisico teorico e a uno studioso di storia della scienza.
Prima emissione: 17 ottobre 2024
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La trasmissione diretta delle conoscenze sulla Shoah attraverso i sopravvissuti, con le loro testimonianze sulle drammatiche esperienze legate alle persecuzioni naziste, sta ormai venendo a mancare.
Il copioso patrimonio documentale prodotto negli ultimi decenni fa sì tuttavia che rimangano per i posteri tracce fondamentali sia sull’organizzazione della macchina dello sterminio, sia sui ricordi tramandati ai discendenti.
La seconda generazione, quella cioè dei figli di coloro che in quell’orribile gioco delle parti furono le vittime, e la terza, quella dei nipoti, hanno sia esperienze sia approcci differenti al retaggio famigliare. Ma ciò che hanno in comune è un trauma ancora profondo.
Anche i discendenti dei carnefici, laddove volontariamente aperti alla rielaborazione del passato famigliare, sono posti davanti a fatti traumatici.
Il punto di partenza della riflessione di questo Laser sulla terza generazione dopo la Shoah e sulla possibilità di una convivenza civile fra cittadini con culture, tradizioni e confessioni diverse, sono due iniziative del Museo Ebraico di Vienna e del Wien Museum. Il tema è tuttavia spiccatamente transnazionale.
Con l’aiuto di due storiche – Barbara Staudinger e Gabriele Kohlbauer-Fritz- e di voci di rappresentanti della terza generazione, Flavia Foradini entra nei chiaroscuri dei riverberi della Shoah nel nostro oggi.
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Una lunga opera di ricerca e studio negli enormi archivi di Auschwitz-Birkenau. Anni passati a mettere insieme fogli di spartiti per comprendere il ruolo che la musica aveva nel campo di concentramento, cosa spingesse musicisti virtuosissimi ad esibirsi per i gerarchi nazisti e per i detenuti.
Il direttore d’orchestra britannico Leo Geyer spiega le ragioni che lo hanno portato a lavorare su quei documenti, l’emozione di riproporre in pubblico quelle opere. E con la direttrice della casa editrice del Museo del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Jadwiga Pinderska-Lech, il Prof. Andrea Bienati, Direttore del master di studi ebraici dell’università di Poznan e Giordano Montecchi, musicologo e critico musicale.
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Per molte donne deportate nei campi di concentramento il prezzo della sopravvivenza fu la sterilizzazione. Oltre alle violenze, alle privazioni e alle umiliazioni molte di esse furono costrette a subire mostruosi esperimenti medici che avrebbero segnato i loro corpi per sempre. Nel suo ultimo libro “Quando imparammo la paura. Vita di Laura Geiringer, sopravvissuta ad Auschwitz” lo storico Frediano Sessi, uno dei massimi esperti dell’universo concentrazionario nazista, fa luce su un capitolo a lungo misconosciuto della Shoah, sul quale non erano stati finora pubblicati studi di rilievo in italiano: quello delle donne sottoposte ai cosiddetti trattamenti sperimentali dal professor Carl Clauberg. Una di esse era Laura Geiringer, una ragazza triestina – ebrea battezzata – che finì ad Auschwitz con tutta la sua famiglia e alla fine fu l’unica dei suoi parenti a salvarsi. Dopo la liberazione del campo rimase ricoverata per mesi nell’infermeria del lager insieme ad altre donne che, come lei, erano state sottoposte a esperimenti sulla sterilità femminile. Tornata a casa scelse di ricominciare a vivere ma il veleno di Auschwitz non le dette scampo.
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“Dinanzi alla statua di Apollo” è il titolo di un componimento del 1898 in cui Saul Tchernikovsky, ebreo, medico, poeta, tenta un confronto positivo tra il suo ebraismo moderno e la grande eredità del mondo antico greco-romano, alle radici dell’identità culturale europea. A questo titolo si è ispirato il convegno internazionale “Before the Statue of Apollo: Jews and the Classics in the Longue Durée”, tenutosi all’Università di Berna il 14-15 gennaio scorso, organizzato dall’Istituto di Giudaistica. Il convegno intendeva esaminare come la cultura ebraica nella storia abbia mantenuto un rapporto sfaccettato con il mondo greco-romano, segnato da scambi fruttuosi e duri conflitti, una dialettica che si riflette nella modernità e nell’attualità. Grazie all’approccio interdisciplinare, che univa archeologia, filologia, antropologia, filosofia, storia dell’arte e delle letterature comparate, si è delineata un’immagine dell’ebraismo assai meno monolitica di quanto in generale non si creda. In particolare abbiamo conversato con due degli organizzatori del convegno: il prof. René Bloch, direttore dell’istituto di Giudaistica di Berna, ci ha rivelato come già nel mondo antico esistessero forme di ebraismo cosmopolite e molto variegate, che oggi definiremmo laiche o secolari; Giacomo Loi, ricercatore della John’s Hopkins University e dell’Università di Haifa, ha individuato, nella visione di Tchernikovsky, un ebraismo riformato e un’idea di sionismo laico ed europeista paradossalmente difficili da comprendere proprio nell’odierno Stato ebraico, che vive una stagione di rinnovato integralismo religioso – un integralismo che porta con sé una rilettura molto rigida della memoria storica.
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Animale simbolo delle Alpi, emblema di forza e di agilità, lo stambecco è stato protagonista di una storia fra le più singolari. Per raccontarvela Laser sale oggi in alta montagna sulle tracce di questi animali, che, vecchi di 14 milioni di anni, due secoli fa hanno rischiato di estinguersi. Erano sopravvissuti una cinquantina di esemplari solo fra le vette del Gran Paradiso in Valle d’Aosta. Grazie all’opera pionieristica di un ispettore forestale della valle di Gressoney e all’istituzione della Riserva Reale di caccia dei Savoia, lo stambecco venne salvato e dalle montagne di Cogne ha potuto essere reintrodotto in tutto l’arco alpino. Anche gli ungulati oggi presenti nel Parc Naziunal svizzero vengono da quella colonia salvata quasi per miracolo.
Laser vi porterà in pieno inverno fra le nevi del Gran Paradiso per scoprire insieme a un guardaparco che esercita questo mestiere da tre generazioni la storia e le caratteristiche del re delle Alpi. Poi scenderemo nel castello di Sarre, la base avanzata dei re italiani che cacciarono questi animali, salvandoli dall’estinzione. Sarà il più celebre storico valdostano dello stambecco, il professore Pietro Passerin d’Entreves, a guidarci nella scoperta del bizzarro sistema decorativo utilizzato a Sarre: centinaia di corni di stambecco e camoscio provenienti dalle cacce reali composti in motivi geometrici.
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La prima puntata andata in onda il 29 maggio 2024 si chiudeva con le parole di Adelina…
“avevo 32 anni quando io sola decisi di diventare madre di 43 orfani di guerra…”
Questa seconda puntata ci racconterà in prima persona con la voce di Emma Tarducci altri particolari inediti di Adelina dalla sua permanenza in Svizzera alla creazione ad Intra (1946) di una casa per comporre una grande famiglia con bambine e bambini orfani di guerra.
A completare la storia questa volta avremo due di quei bambini, i fratelli Silvio e Giuseppe Riccardi che all’epoca nel 1946 avevano rispettivamente 11 e 6 anni, a completare il racconto dedicato ad Adelina Guadagnucci avremo la presenza di colei che ha reso pubblica questa donna straordinaria , la scrittrice e giornalista Angela Maria Fruzzetti.
Con Angela Maria Fruzzetti , Silvio e Giuseppe Riccardi e con Emma Tarducci.
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Lo svizzero Alfred Rittmann (Basilea, 1893 – Piazza Armerina, 1980) è considerato il padre della vulcanologia moderna. Gran parte di ciò che è diventata la vulcanologia lo dobbiamo al suo lavoro e alle sue intuizioni, oltre a essere stato fonte d’ispirazione per tanti di coloro che oggi fanno ricerca sui vulcani. Arrivato in Italia a cavallo delle due guerre, ovunque sia andato ha lasciato un segno, prima a Napoli a studiare il Vesuvio e i Campi Flegrei – fu lui a capire che si trattava della caldera di un vulcano – e poi a Catania, sull’Etna, il vulcano attivo più grande d’Europa, dove fu motore di un profondo cambiamento, grazie a lui furono gettate le basi dell’attuale sistema di monitoraggio e dell’Osservatorio Etneo.
Fabio Meliciani racconta la storia di questo straordinario uomo di scienza a partire da chi l’ha incontrato e da chi ne ha seguito le orme; un racconto appassionato che mostra come sia cambiato nell’ultimo secolo il rapporto fra l’uomo e questi “draghi sepolti”, con le parole di chi vive oggi alle pendici di un vulcano, e da anni lo racconta, lo osserva e lo studia: il giornalista Giuseppe Riggio, lo storico della scienza Daniele Musumeci, il direttore dell’Osservatorio Vesuviano Mauro Antonio Di Vito e Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo.
Prima emissione: 28 ottobre 2024
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Nel novembre 2024 il Castelgrande di Bellinzona ha ospitato il convegno Orizzonti numerici, dedicato all’utilizzo delle misurazioni statistiche nelle politiche culturali. Il tentativo di raccontare la cultura con i numeri è recente ma ha già mostrato le sue potenzialità, per esempio nell’orientare il finanziamento delle diverse proposte e poi nel valutare l’efficacia dei progetti.
Questi sono i compiti dell’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale del nostro cantone, qui rappresentato dal suo direttore Roland Hochstrasser.
Barbara Antonioli Mantegazzini spiega invece come i numeri non offrono solo una fotografia della realtà, ma possono aprire nuove prospettive. Le statistiche sostengono e in qualche misura indirizzano anche le scelte dei politici, secondo
Alessandra Ferrighi. Di particolare interesse il caso della produzione libraria, analizzato da Alessandro Caramis. Da qualche tempo però lo stesso oggetto dell’indagine sembra diventato sfuggente, come sottolinea Luca Dal Pozzolo, mettendo a dura prova gli strumenti statistici. E naturalmente la transizione digitale ha ulteriormente arricchito e complicato il quadro, anche se proprio la natura sfuggente della cultura è forse la garanzia della sua ricchezza, conclude Lorenzo Cantoni.Prima emissione: 9 dicembre 2024
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La carbonara ha avuto un successo planetario. La ricetta è spesso oggetto di polemiche e discussioni. C’è chi la vuole con il guanciale, chi con la pancetta, chi ancora con il prosciutto o addirittura con il pollo. Per non parlare delle persone che litigano sul formaggio: pecorino, parmigiano o gruyère? In Asia, poi, alla salsa alla carbonara si aggiungono funghi, legumi e verdure.
Laser ci porta al ristorante Amore’s di Beeston, alle porte di Nottingham, in Inghilterra. Un cuoco lucano, Salvatore, e il proprietario del locale, Saied, raccontano del loro rapporto con la carbonara e parlano dei gusti della clientela inglese.
Inoltre, abbiamo avuto come ospiti il londinese Giuliano Mai, responsabile commerciale di numerose aziende britanniche e italiane, che operano nel settore alimentare in tutto il mondo, e lo storico dell’alimentazione bolognese Luca Cesàri, autore del saggio Storia della pasta in dieci piatti e collaboratore di diverse testate giornalistiche.
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La voce di Oliviero Toscani conservata nelle Teche RSI ci aiuta a percorrere la carriera professionale unica e irripetibile di questo protagonista della cultura e della comunicazione degli ultimi sessant’anni.
Dalla fotografia al cinema, dalla pubblicità alla moda, Toscani ha lasciato un segno indelebile, controverso ma efficace di denuncia, utilizzando l’immagine e rappresentando la realtà. I suoi scatti non sono mai stati banali. Semplici forse ma in grado di fare pensare: una nascita, un uomo nudo, una donna nera intenta ad allattare un neonato bianco, sono alcuni esempi di una lista lunghissima di immagini iconiche.
Laser non dimentica il lungo rapporto di Toscani con la Svizzera. Dai quattro anni passati a Zurigo alla Scuola di Arte grafica, che per sua stessa ammissione ha fatto la differenza in un mondo – quello della fotografia – dove altrimenti si imparava il mestiere solo praticandolo, fino alle esposizioni a Chiasso, alla partecipazione ai festival cinematografici a Locarno e Bellinzona, alle innumerevoli presenze sui canali radio e TV della RSI.
In fondo la vecchiaia non è altro che il castigo di essere ancora viviundefined -
A 95 anni la cinese Zheng Xiaoying è la direttrice d’orchestra attiva e più longeva del pianeta: a lei si deve la diffusione dell’Opera occidentale e del melodramma in Cina. Dopo avere iniziato la sua carriera con la direzione della Tosca al Teatro Nazionale di Mosca a soli 31 anni, Zheng Xiaoying ha introdotto la sua campagna di “canto dell’opera occidentale in cinese”, avviando un progetto di traduzione di opere italiane per la messa in scena cinese. La sua missione è quella di trasmettere al pubblico cinese la bellezza dell’Opera occidentale nella sua completezza, donando i giusti strumenti di comprensione affinché l’Opera non resti soltanto un esercizio di stile musicale ma diventi un vero e proprio ponte culturale fra i popoli.
Praticamente ogni sera, durante il mio soggiorno a Mosca, ero in un Teatro d’opera o in una sala da concerto e credo sia stato quello il modo in cui ho imparatoundefined -
L’organizzazione no-profit Riwaq è nata dall’intuizione dell’architetta e scrittrice siriano-palestinese, Suad Amiry, con l’obiettivo di documentare e far rivivere, restaurando, i villaggi e gli edifici storici sopravvissuti alla Nakba (espulsione e distruzione del popolo e patrimonio palestinese nel 1948). Fin da subito, nel 1991, l’idea fu quella di creare un’alternativa culturale e urbanistica alla frammentazione geografica imposta da Israele, concentrandosi principalmente sui villaggi con una forte rete comunitaria e promuovendo, così, il recupero del patrimonio architettonico come strumento di sviluppo socio-economico.
Amiry ha successivamente ceduto la direzione di Riwaq a Shatha Safi, che ha continuato il lavoro introducendo il “progetto dei 50 villaggi” e il “progetto salvagente”, volti a rafforzare i legami tra comunità sempre più frammentate. Due esempi emblematici per capire il lavoro di Riwaq sono i villaggi di al-Jib e Kufr Aqab, ben rappresentati, rispettivamente, dall’attivista locale Linda Farraj, che lavora per mantenere vivo lo spirito di uno degli insediamenti più antichi e, parimenti, minacciati della Palestina, e di Fidaa ’Ataya, cantastorie impegnata a raccogliere la memoria orale del suo popolo.
Il tema centrale è la resilienza palestinese, con il patrimonio culturale come mezzo di resistenza e speranza, nonostante l’occupazione e le sfide interne.
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La recente apertura della nuova sede di Palazzo Citterio ha ampliato gli orizzonti della Pinacoteca di Brera nella direzione di una Grande Brera; i nuovi spazi espositivi accolgono le collezioni di arte contemporanea e mostre temporanee. E tuttavia tutte queste novità sono solo l’ultima tappa di un lungo percorso iniziato nel Medioevo, quando Brera era uno spazio vuoto ai margini della città. La vocazione di Brera per le arti e le scienze prende forma con l’arrivo dei Gesuiti nella seconda metà del Cinquecento; la loro missione è la formazione delle classi dirigenti milanesi, come racconta Flavio Rurale. Dopo la soppressione dell’ordine nel 1773, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria fonda qui l’Accademia di Belle Arti e la Biblioteca braidense. Infine con l’arrivo dei Francesi di Napoleone Milano assume un’importanza nuova come capitale del Regno d’Italia; e l’apertura della Pinacoteca di Brera sul modello del Louvre, nelle parole di Antonio De Francesco, rafforza proprio l’identità cittadina.
L’identità di Brera prende forma così, secolo dopo secolo, strato dopo strato, integrando il passato senza rigide contrapposizioni, riflette lo storico dell’arte Marco Carminati passeggiando per le vie di un quartiere ormai centrale e prestigioso; mentre l’architetto Luca Molinari ha cercato di dare ordine e senso a questo lungo cammino curando la mostra «La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze».
Prima emissione: 27 dicembre 2024
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A un anno e mezzo dalla nomina come inviato di pace in Ucraina per conto di papa Francesco, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e capo dell’episcopato italiano, racconta alla RSI la sua strada per la pace, “che nasce anzitutto dall’interrompere il meccanismo del rialzo degli strumenti bellici”. Dalla sua abitazione in centro a Bologna, Zuppi parla del conflitto in Ucraina, che “è iniziato nel 2014 e non si è mai arrestato”, della necessità di trovare “una pace duratura” con un negoziato nel quale tutte le parti “sono convinte per la pace”. E ancora il ruolo dell’Europa e l’allarme perché “il seme del nazismo e del fascismo, nonostante la lezione terribile della guerra, purtroppo ha ancora dei seguaci”.
Prima emissione: 31 dicembre 2024
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Autore e attore, ma anche artista: anzi “artrista”, come si definisce lui. Alessandro Bergonzoni, nato a Bologna nel 1958, laureato in legge, ha al suo attivo 15 spettacoli teatrali e sei libri. Ma dal 2005 ha iniziato anche un percorso artistico, esponendo i suoi lavori in gallerie e musei: nel 2011 mostra personale alla Cittadellarte – Fondazione Pistoletto di Biella dal titolo “Grembi: soglie dell’inconcepibile” e nello stesso anno, “BonOmnia 2006 rivisitata”, collettiva a cura di Philippe Daverio presso Palazzo Fava a Bologna.
Nel 2012 partecipa alla collettiva “Data on imperfection”, a cura di Martina Cavallarin, alla Factory Art a Berlino; nel 2015 espone alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, due anni dopo è presente alla Biennale e alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e nel 2018 nella Sala delle Maestà degli Uffizi all’interno delle manifestazioni dell’Estate Fiorentina.
La sua attività di artista resta tuttora poco conosciuta. E per scoprire Bergonzoni artista lo abbiamo incontrato a Milano, dove alla Fondazione Mudima di arte contemporanea i lavori di Bergonzoni sono stati accostati all’opera di Bill Viola. L’occasione per una conversazione appassionata sui rapporti tra scrittura e immagine, sul ruolo dell’arte e dell’artista in una società che sembra aver perso alcuni fondamentali valori. In Laser incontro con l’artrista Bergonzoni.Prima emissione: 30 dicembre 2024
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“Cabu, Elsa Cayat, Charb, Honoré, Bernard Maris, Mustapha Ourrad, Tignous, Wolanski ci mancate”. Inizia così il libro Charlie Liberté, quasi un diario tra fotografie di redazione e vignette, da oggi nelle librerie francesi. Un libro per conservare la memoria della “loro gioia di essere liberi” che guida Charlie Hebdo ogni giorno, da quel 7 gennaio 2015 quando, in un minuto e quarantanove secondi, i fratelli jihadisti Cherif e Said Kouachi hanno assaltato armati la redazione del giornale satirico a Parigi, uccidendo 12 persone. Il 7 gennaio del 2015 per la prima volta in Francia, in un paese democratico, un giornale, Charlie Hebdo, è stato attaccato.
“È stato un attentato politico ma i terroristi non hanno ucciso Charlie Hebdo”, ribadisce a Parigi, dove lo incontriamo, il caporedattore Gérard Biard, scortato dalla polizia, sfuggito all’attentato perché quel 7 gennaio era a Londra. Il diritto alla caricatura e il diritto al blasfemo, intanto, sono messi in discussione. Dopo una polemica, nel 2019 The New York Times ha deciso di non pubblicare più caricature. Lo scorso anno la Danimarca ha reintrodotto il reato di blasfemia. Charlie Hebdo continua a difendere la libertà e laicità di pensiero, nonostante le minacce continuino, anche di morte, costretti a lavorare in una redazione segreta, che assomiglia a un bunker, protetta da 85 agenti di polizia e sei porte blindate.
L’attentato contro Charlie Hebdo rappresenta un fatto inedito e ha cambiato tutto, ha reso Charlie Hebdo “un simbolo della libertà di espressione e della lotta al terrorismo”, spiega Christian Delporte professore di Storia contemporanea all’Università di Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines, specializzato in media, autore del libro Charlie Hebdo. La folle histoire d’un journal pas comme les autres (Flammarion, 2020).
Prima emissione: 5 dicembre 2024
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