Эпизоды

  • In questo podcast, il professor Alberto Tonini, esperto di Storia e politica del Medio Oriente, traccia
    lo stato dell’arte del conflitto israelo-palestinese, alla luce del terribile attacco di Hamas a Israele
    lo scorso 7/10/2023 e della reazione dello Stato di Israele per sconfiggere il movimento terrorista.
    Gli ultimi eventi, le cause, il contesto, la storia di una vicenda irrisolta a cui guarda la comunità
    internazionale.

    Alberto Tonini insegna Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Firenze.

    https://storiainpodcast.focus.it - Canale Guerre e conflitti
    A cura di Francesco De Leo. Montaggio di Silvio Farina.
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  • Tredici presidenti – la vita, l’azione di governo, l’impatto che hanno avuto sull’America (e oltre) – raccontati in forma di una chiacchierata – non sempre seria. A fare le domande, Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dell’Istituto Affari Internazionali. Chi risponde è Mario Del Pero, illustre americanista e Professore di Storia Internazionale presso SciencesPo a Parigi.

    Quarta puntata dedicata ad Abraham Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 4 marzo 1861 fino alla sua uccisione, avvenuta il 15 aprile del 1865.

    Il nome di Lincoln è inestricabilmente legato a due eventi di portata epocale, per gli Stati Uniti e non solo: la Guerra Civile (o meglio, la vittoria del Nord unionista sul Sud secessionista) e l’abolizione della schiavitù.

    Nato il 2 febbraio 1809 in Kentucky, è un autodidatta che viene da una famiglia povera. Si distinse in varie attività, dal commercio fluviale a -soprattutto – la pratica legale, oltre che ovviamente l’esperienza politica, in Illinois e federale.

    Com’è stato possibile per un uomo di risorse tanto limitate non solo fare una carriera politica, ma addirittura catturare la nomination repubblicana per le elezioni del 1860? Agli autori del podcast la risposta.

    A cura di Francesco De Leo. Montaggio di Silvio Farina.
    https://storiainpodcast.focus.it - Canale Personaggi
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    Quarta puntata dedicata ad Abraham Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 4 marzo 1861 fino alla sua uccisione, avvenuta il 15 aprile del 1865.

    Il nome di Lincoln è inestricabilmente legato a due eventi di portata epocale, per gli Stati Uniti e non solo: la Guerra Civile (o meglio, la vittoria del Nord unionista sul Sud secessionista) e l’abolizione della schiavitù.

    Nato il 2 febbraio 1809 in Kentucky, è un autodidatta che viene da una famiglia povera. Si distinse in varie attività, dal commercio fluviale a -soprattutto – la pratica legale, oltre che ovviamente l’esperienza politica, in Illinois e federale.

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    Quarta puntata dedicata ad Abraham Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 4 marzo 1861 fino alla sua uccisione, avvenuta il 15 aprile del 1865.

    Il nome di Lincoln è inestricabilmente legato a due eventi di portata epocale, per gli Stati Uniti e non solo: la Guerra Civile (o meglio, la vittoria del Nord unionista sul Sud secessionista) e l’abolizione della schiavitù.

    Nato il 2 febbraio 1809 in Kentucky, è un autodidatta che viene da una famiglia povera. Si distinse in varie attività, dal commercio fluviale a -soprattutto – la pratica legale, oltre che ovviamente l’esperienza politica, in Illinois e federale.

    Com’è stato possibile per un uomo di risorse tanto limitate non solo fare una carriera politica, ma addirittura catturare la nomination repubblicana per le elezioni del 1860? Agli autori del podcast la risposta.

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  • Se n’è andato a quasi 87 anni Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, ma soprattutto figura controversa che ha attraversato quasi un secolo di storia, passando per l’esilio, il sogno del ritorno, i guai giudiziari, le contraddizioni, la mondanità e il grande amore, andando contro la sua stessa famiglia.

    “Alle ore 7.05 di questa mattina 3 febbraio 2024 sua altezza reale Vittorio Emanuele, duca di Savoia e Principe di Napoli, circondato dalla sua famiglia, si è serenamente spento in Ginevra” è stato l’annuncio ufficiale dato con una nota dalla ‘Real Casa di Savoia’.

    In questo podcast, il Prof. Aldo Alessandro Mola ricostruisce storicamente e istituzionalmente la figura di Vittorio Emanuele. L’importanza per Casa Savoia della nascita del Principe; il contesto storico; i rapporti tra l’utimo Re – Umberto II – e suo figlio; la questione della successione dinastica: questi i temi del podcast.

    Lo storico Aldo A. Mola si occupa da sempre di Monarchia e ha scritto recentemente per Bompiani “Vita di Vittorio Emanuele III”.

    A cura di Francesco De Leo. Montaggio di Silvio Farina.
    https://storiainpodcast.focus.it - Canale I Savoia
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    “Alle ore 7.05 di questa mattina 3 febbraio 2024 sua altezza reale Vittorio Emanuele, duca di Savoia e Principe di Napoli, circondato dalla sua famiglia, si è serenamente spento in Ginevra” è stato l’annuncio ufficiale dato con una nota dalla ‘Real Casa di Savoia’.

    In questo podcast, il Prof. Aldo Alessandro Mola ricostruisce storicamente e istituzionalmente la figura di Vittorio Emanuele. L’importanza per Casa Savoia della nascita del Principe; il contesto storico; i rapporti tra l’utimo Re – Umberto II – e suo figlio; la questione della successione dinastica: questi i temi del podcast.

    Lo storico Aldo A. Mola si occupa da sempre di Monarchia e ha scritto recentemente per Bompiani “Vita di Vittorio Emanuele III”.

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    Terza puntata dedicata ad Andrew Jackson, 7° presidente degli Stati Uniti, in carica per due mandati dal 1829 al 1837.

    Jackson è il primo presidente della generazione successiva a quella dei padri fondatori. Ma prima ancora del sistema politico, la novità di Jackson rispetto ai presidenti padri fondatori – dopo Washington: Adams, Jefferson, Madison Monroe e Adams – sta nella sua biografia decisamente fuori dall’ordinario. Quella di Jackson è infatti una vita avventurosa, esterna al percorso formativo dei suoi predecessori e caratterizzata soprattutto dalla sua esperienza militare e dal modo in cui fece di questa il trampolino verso la politica – in modo non dissimile, direi, da quanto aveva fatto Washington.Andrew Jackson nasce nel 1767, prima dunque dell’indipendenza, in una delle due Caroline (lui sosteneva di essere originario della Carolina del Sud, ma secondo alcuni l’area in cui nacque apparteneva a quella del Nord), anche se poi finì per rappresentare il Tennessee nel senato federale. La sua famiglia, di origine scozzese e irlandese, gli garantisce una buona educazione. Orfano già all’età di 14 anni, dalla madre ereditò l’odio per gli inglesi e le loro istituzioni politiche (monarchia) e sociali (aristocrazia), ulteriormente rafforzato dalla guerra e dalla prigionia che ne seguì. Pur avendo partecipato come staffetta, giovanissimo, alla guerra di indipendenza, è in un’altra guerra che Jackson si conquistò i gradi militari, il favore del pubblico e infine l’attenzione della leadership politica, ovvero la guerra che gli Stati Uniti combatterono contro l’Impero britannico tra il 1812 e il 1815 e contro i nativi americani alleati dei britannici.

    Il prestigio conquistato nelle campagne militari proietta Jackson sulla scena politica, al punto da candidarsi alle presidenziali del 1824, una tornata elettorale che segna l’inizio della fine del primo sistema partitico, già peraltro in via di dissoluzione data la crescente irrilevanza dei Federalisti e le faide interne ai Democratici-Repubblicani. Grazie anche all’espansione del suffragio elettorale, Jackson ottiene la maggioranza relativa sia del voto popolare che del collegio elettorale, eppure la presidenza finisce al suo sfidante John Quincy Adams.

    La presidenza di Jackson è caratterizzata da due trionfi elettorali nel 1828 e ’32, il primo dei quali al termine di una campagna elettorale in cui Jackson è accusato di tutto (di essere un mulatto, uno schiavista, un assassino, uno stupratore di native americane, addirittura un cannibale), il che porta alla morte della moglie (accusata di adulterio; famose le parole di Jackson: “possa dio onnipotente perdonare i suoi assassini, come so che lei farebbe; perché io non potrò mai farlo”).

    Nonostante la sua avversione verso la centralizzazione federale, Jackson fu anche un deciso unionista – arrivando a minacciare un intervento armato contro la Carolina del Sud, rea di eccessivo autonomismo – e un espansionista – appoggiò la secessione dal Messico del Texas, che verrà poi annesso nella guerra messicana del presidente James Polk nella seconda metà degli anni ’40.

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    Terza puntata dedicata ad Andrew Jackson, 7° presidente degli Stati Uniti, in carica per due mandati dal 1829 al 1837.

    Jackson è il primo presidente della generazione successiva a quella dei padri fondatori. Ma prima ancora del sistema politico, la novità di Jackson rispetto ai presidenti padri fondatori – dopo Washington: Adams, Jefferson, Madison Monroe e Adams – sta nella sua biografia decisamente fuori dall’ordinario. Quella di Jackson è infatti una vita avventurosa, esterna al percorso formativo dei suoi predecessori e caratterizzata soprattutto dalla sua esperienza militare e dal modo in cui fece di questa il trampolino verso la politica – in modo non dissimile, direi, da quanto aveva fatto Washington.Andrew Jackson nasce nel 1767, prima dunque dell’indipendenza, in una delle due Caroline (lui sosteneva di essere originario della Carolina del Sud, ma secondo alcuni l’area in cui nacque apparteneva a quella del Nord), anche se poi finì per rappresentare il Tennessee nel senato federale. La sua famiglia, di origine scozzese e irlandese, gli garantisce una buona educazione. Orfano già all’età di 14 anni, dalla madre ereditò l’odio per gli inglesi e le loro istituzioni politiche (monarchia) e sociali (aristocrazia), ulteriormente rafforzato dalla guerra e dalla prigionia che ne seguì. Pur avendo partecipato come staffetta, giovanissimo, alla guerra di indipendenza, è in un’altra guerra che Jackson si conquistò i gradi militari, il favore del pubblico e infine l’attenzione della leadership politica, ovvero la guerra che gli Stati Uniti combatterono contro l’Impero britannico tra il 1812 e il 1815 e contro i nativi americani alleati dei britannici.

    Il prestigio conquistato nelle campagne militari proietta Jackson sulla scena politica, al punto da candidarsi alle presidenziali del 1824, una tornata elettorale che segna l’inizio della fine del primo sistema partitico, già peraltro in via di dissoluzione data la crescente irrilevanza dei Federalisti e le faide interne ai Democratici-Repubblicani. Grazie anche all’espansione del suffragio elettorale, Jackson ottiene la maggioranza relativa sia del voto popolare che del collegio elettorale, eppure la presidenza finisce al suo sfidante John Quincy Adams.

    La presidenza di Jackson è caratterizzata da due trionfi elettorali nel 1828 e ’32, il primo dei quali al termine di una campagna elettorale in cui Jackson è accusato di tutto (di essere un mulatto, uno schiavista, un assassino, uno stupratore di native americane, addirittura un cannibale), il che porta alla morte della moglie (accusata di adulterio; famose le parole di Jackson: “possa dio onnipotente perdonare i suoi assassini, come so che lei farebbe; perché io non potrò mai farlo”).

    Nonostante la sua avversione verso la centralizzazione federale, Jackson fu anche un deciso unionista – arrivando a minacciare un intervento armato contro la Carolina del Sud, rea di eccessivo autonomismo – e un espansionista – appoggiò la secessione dal Messico del Texas, che verrà poi annesso nella guerra messicana del presidente James Polk nella seconda metà degli anni ’40.

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    Terza puntata dedicata ad Andrew Jackson, 7° presidente degli Stati Uniti, in carica per due mandati dal 1829 al 1837.

    Jackson è il primo presidente della generazione successiva a quella dei padri fondatori. Ma prima ancora del sistema politico, la novità di Jackson rispetto ai presidenti padri fondatori – dopo Washington: Adams, Jefferson, Madison Monroe e Adams – sta nella sua biografia decisamente fuori dall’ordinario. Quella di Jackson è infatti una vita avventurosa, esterna al percorso formativo dei suoi predecessori e caratterizzata soprattutto dalla sua esperienza militare e dal modo in cui fece di questa il trampolino verso la politica – in modo non dissimile, direi, da quanto aveva fatto Washington.Andrew Jackson nasce nel 1767, prima dunque dell’indipendenza, in una delle due Caroline (lui sosteneva di essere originario della Carolina del Sud, ma secondo alcuni l’area in cui nacque apparteneva a quella del Nord), anche se poi finì per rappresentare il Tennessee nel senato federale. La sua famiglia, di origine scozzese e irlandese, gli garantisce una buona educazione. Orfano già all’età di 14 anni, dalla madre ereditò l’odio per gli inglesi e le loro istituzioni politiche (monarchia) e sociali (aristocrazia), ulteriormente rafforzato dalla guerra e dalla prigionia che ne seguì. Pur avendo partecipato come staffetta, giovanissimo, alla guerra di indipendenza, è in un’altra guerra che Jackson si conquistò i gradi militari, il favore del pubblico e infine l’attenzione della leadership politica, ovvero la guerra che gli Stati Uniti combatterono contro l’Impero britannico tra il 1812 e il 1815 e contro i nativi americani alleati dei britannici.

    Il prestigio conquistato nelle campagne militari proietta Jackson sulla scena politica, al punto da candidarsi alle presidenziali del 1824, una tornata elettorale che segna l’inizio della fine del primo sistema partitico, già peraltro in via di dissoluzione data la crescente irrilevanza dei Federalisti e le faide interne ai Democratici-Repubblicani. Grazie anche all’espansione del suffragio elettorale, Jackson ottiene la maggioranza relativa sia del voto popolare che del collegio elettorale, eppure la presidenza finisce al suo sfidante John Quincy Adams.

    La presidenza di Jackson è caratterizzata da due trionfi elettorali nel 1828 e ’32, il primo dei quali al termine di una campagna elettorale in cui Jackson è accusato di tutto (di essere un mulatto, uno schiavista, un assassino, uno stupratore di native americane, addirittura un cannibale), il che porta alla morte della moglie (accusata di adulterio; famose le parole di Jackson: “possa dio onnipotente perdonare i suoi assassini, come so che lei farebbe; perché io non potrò mai farlo”).

    Nonostante la sua avversione verso la centralizzazione federale, Jackson fu anche un deciso unionista – arrivando a minacciare un intervento armato contro la Carolina del Sud, rea di eccessivo autonomismo – e un espansionista – appoggiò la secessione dal Messico del Texas, che verrà poi annesso nella guerra messicana del presidente James Polk nella seconda metà degli anni ’40.

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  • Vladimir Lenin (Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano – Gorki, 21 gennaio 1924) è stato il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), ispiratore e leader della Rivoluzione bolscevica (1917), nonché architetto, costruttore e primo capo (1917-24) dello Stato sovietico. Fondatore dell’organizzazione nota come Comintern (Internazionale Comunista) è stato fonte postuma del “leninismo”, la dottrina codificata e unita alle opere di Karl Marx dai successori di Lenin per formare il marxismo-leninismo, che divenne la visione del mondo comunista.

    Se la Rivoluzione bolscevica è – come alcuni l’hanno definita – l’evento politico più significativo del XX secolo, allora Lenin deve essere considerato, bene o male, il leader politico più significativo del secolo. Non solo nei circoli accademici dell’ex Unione Sovietica, ma anche tra molti studiosi non comunisti, Lenin è stato considerato il più grande leader rivoluzionario e statista rivoluzionario della storia, nonché il più grande pensatore rivoluzionario dopo Marx.

    In questo podcast il professor Andrea Romano ricostruisce la sua vicenda. Romano insegna Storia Contemporanea e Storia della Russia all’Università di Roma Tor Vergata.

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  • Vladimir Lenin (Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano – Gorki, 21 gennaio 1924) è stato il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), ispiratore e leader della Rivoluzione bolscevica (1917), nonché architetto, costruttore e primo capo (1917-24) dello Stato sovietico. Fondatore dell’organizzazione nota come Comintern (Internazionale Comunista) è stato fonte postuma del “leninismo”, la dottrina codificata e unita alle opere di Karl Marx dai successori di Lenin per formare il marxismo-leninismo, che divenne la visione del mondo comunista.

    Se la Rivoluzione bolscevica è – come alcuni l’hanno definita – l’evento politico più significativo del XX secolo, allora Lenin deve essere considerato, bene o male, il leader politico più significativo del secolo. Non solo nei circoli accademici dell’ex Unione Sovietica, ma anche tra molti studiosi non comunisti, Lenin è stato considerato il più grande leader rivoluzionario e statista rivoluzionario della storia, nonché il più grande pensatore rivoluzionario dopo Marx.

    In questo podcast il professor Andrea Romano ricostruisce la sua vicenda. Romano insegna Storia Contemporanea e Storia della Russia all’Università di Roma Tor Vergata.

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  • Il gioco del calcio nacque a Firenze, molti secoli prima che gli inglesi inventassero il “football”. In questo senso nessuna partita eguaglierà forse mai per intensità quella che si disputò in piazza Santa Croce il 17 febbraio del 1530, con la città sotto assedio e destinata di lì a poco a cadere. Giocando al calcio storico (o calcio in costume), i fiorentini celebravano e ancora celebrano ogni 24 giugno il loro antico legame con Roma. La disciplina ricorda infatti un sollazzo di remoti tempi: l’harpastum, conosciuto anche come gioco della palletta. Simile l’obiettivo e analoga la disposizione in campo su quattro linee. “Bellissima e famosissima figlia di Roma”, aveva scritto Dante. La città nacque infatti in epoca romana, anche se ben pochi segni visibili ce lo ricordano. Nel castrum le strade minori si innestavano parallele a cardo e decumano, formando per effetto dei loro incroci un totale di 49 isolati. In uno soltanto non potevano transitare i veicoli: il foro lastricato in marmo con il Campidoglio eretto per omaggiare la triade capitolina formata da Giove, Giunone e Minerva. All’incrocio tra cardo e decumano si stagliava una colonna: il mundus sacrificale, l’ombelico di Florentia. Siamo nell’odierna piazza della Repubblica, il centro della Firenze contemporanea. Per immaginare quella che fu un tempo “Florentia” serve oggi uno sforzo di fantasia. Ma qualche simbolo, seppur postumo, ci aiuta. Iniziamo da lì. Dalla colonna di piazza della Repubblica, ad esempio, collocata con funzione propiziatrice per il mercato che l’avrebbe contornata nello stesso punto in cui si trovava il mundus. La prossima volta che fissiamo di ritrovarci ai suoi piedi, come spesso succede prima di una “vasca” in centro, proviamo a ricordarci che tutto è nato in quel punto. È un cuore ormai anziano, ma se tendiamo l’orecchio possiamo accorgerci che batte ancora. Ascoltiamolo.

    In questo podcast il giornalista Adam Smulevich racconta il fascino di una Firenze che non c’è più. Smulevich ha scritto “Firenze. Storia della nobile città illustrata con opere del Borbottoni”, Storie per La piccola casa editrice di Giovanni Santarossa.

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  • Tredici presidenti – la vita, l’azione di governo, l’impatto che hanno avuto sull’America (e oltre) – raccontati in forma di una chiacchierata – non sempre seria. A fare le domande, Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dell’Istituto Affari Internazionali. Chi risponde è Mario Del Pero, illustre americanista e Professore di Storia Internazionale presso SciencesPo a Parigi.

    Seconda puntata dedicata al terzo presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, che tenne la presidenza per due mandati tra il marzo 1801 e il marzo 1809 (allora e per molto tempo ancora, infatti, i presidenti entravano in carica quattro mesi dopo l’elezione, che com’è noto si tiene sempre a inizio novembre).

    Thomas Jefferson nasce il 13 aprile 1743 in Virginia. Al contrario di Washington, Jefferson è il rampollo esemplare della società più ricca e colta del tempo in Nord America. Nel corso della sua vita fu avvocato, architetto, filosofo, diplomatico, e aveva conoscenze di botanica, di agronomia, conosceva francese, greco e latino, sapeva suonare il violino. Dopo essere stato governatore della Virginia e membro del Congresso confederale, Jefferson fu ministro plenipotenziario in Francia e primo Segretario di Stato degli Stati Uniti con Washington.

    Dopo una campagna elettorale che non avrebbe nulla da invidiare a quelle più recenti in fatto di asprezza e polarizzazione, Jefferson diventa presidente e si insedia a Washington (la nuova capitale, inaugurata da lui).

    I suoi due mandati sono ricordati soprattutto per l’espansione a ovest grazie all’acquisto della Louisiana, un’operazione che raddoppiò il territorio degli USA ma accelerò anche il processo di sradicamento ed espropriazione delle nazioni dei nativi; per una breve guerra coi pirati berberi e arabi del Nord Africa, fra l’altro la prima guerra estera degli Stati Uniti; per un embargo commerciale su due imperi (Gran Bretagna e Francia) che ebbe terribili risultati sul piano economico e di sicurezza (prodromi della guerra del ’12) ma permise anche al governo federale di estendere le proprie competenze e, infine, incredibilmente, per un’insurrezione, più grottesca che pericolosa a dire il vero, da parte del suo stesso ex vice-presidente, Aaron Burr.

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    A cura di Francesco De Leo. Montaggio di Silvio Farina.
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    Thomas Jefferson nasce il 13 aprile 1743 in Virginia. Al contrario di Washington, Jefferson è il rampollo esemplare della società più ricca e colta del tempo in Nord America. Nel corso della sua vita fu avvocato, architetto, filosofo, diplomatico, e aveva conoscenze di botanica, di agronomia, conosceva francese, greco e latino, sapeva suonare il violino. Dopo essere stato governatore della Virginia e membro del Congresso confederale, Jefferson fu ministro plenipotenziario in Francia e primo Segretario di Stato degli Stati Uniti con Washington.

    Dopo una campagna elettorale che non avrebbe nulla da invidiare a quelle più recenti in fatto di asprezza e polarizzazione, Jefferson diventa presidente e si insedia a Washington (la nuova capitale, inaugurata da lui).

    I suoi due mandati sono ricordati soprattutto per l’espansione a ovest grazie all’acquisto della Louisiana, un’operazione che raddoppiò il territorio degli USA ma accelerò anche il processo di sradicamento ed espropriazione delle nazioni dei nativi; per una breve guerra coi pirati berberi e arabi del Nord Africa, fra l’altro la prima guerra estera degli Stati Uniti; per un embargo commerciale su due imperi (Gran Bretagna e Francia) che ebbe terribili risultati sul piano economico e di sicurezza (prodromi della guerra del ’12) ma permise anche al governo federale di estendere le proprie competenze e, infine, incredibilmente, per un’insurrezione, più grottesca che pericolosa a dire il vero, da parte del suo stesso ex vice-presidente, Aaron Burr.

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    Seconda puntata dedicata al terzo presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, che tenne la presidenza per due mandati tra il marzo 1801 e il marzo 1809 (allora e per molto tempo ancora, infatti, i presidenti entravano in carica quattro mesi dopo l’elezione, che com’è noto si tiene sempre a inizio novembre).

    Thomas Jefferson nasce il 13 aprile 1743 in Virginia. Al contrario di Washington, Jefferson è il rampollo esemplare della società più ricca e colta del tempo in Nord America. Nel corso della sua vita fu avvocato, architetto, filosofo, diplomatico, e aveva conoscenze di botanica, di agronomia, conosceva francese, greco e latino, sapeva suonare il violino. Dopo essere stato governatore della Virginia e membro del Congresso confederale, Jefferson fu ministro plenipotenziario in Francia e primo Segretario di Stato degli Stati Uniti con Washington.

    Dopo una campagna elettorale che non avrebbe nulla da invidiare a quelle più recenti in fatto di asprezza e polarizzazione, Jefferson diventa presidente e si insedia a Washington (la nuova capitale, inaugurata da lui).

    I suoi due mandati sono ricordati soprattutto per l’espansione a ovest grazie all’acquisto della Louisiana, un’operazione che raddoppiò il territorio degli USA ma accelerò anche il processo di sradicamento ed espropriazione delle nazioni dei nativi; per una breve guerra coi pirati berberi e arabi del Nord Africa, fra l’altro la prima guerra estera degli Stati Uniti; per un embargo commerciale su due imperi (Gran Bretagna e Francia) che ebbe terribili risultati sul piano economico e di sicurezza (prodromi della guerra del ’12) ma permise anche al governo federale di estendere le proprie competenze e, infine, incredibilmente, per un’insurrezione, più grottesca che pericolosa a dire il vero, da parte del suo stesso ex vice-presidente, Aaron Burr.

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  • In questo podcast, Antonio Leggiero, formula un identikit personologico e criminologico dei gerarchi di Hitler, tentando di presentare – sulla scorta dei dati conosciuti nonché di ragionamenti induttivi-deduttivi di tipo criminologico e scientifico – una descrizione quanto più esauriente della personalità, della psiche, dei disturbi e delle autentiche patologie di quei sinistri orchestrali del male. Cerca insomma di elaborare un profilo criminologico dei principali gerarchi nazisti.

    Ascolterete, in questa seconda parte, le storie di Julius Streicher, Alfred Rosenberg e Hans Frank. Julius Streicher, il più ripugnante dei gerarchi alla corte del Fuher. Criminale comune e sessuale.Condannato diverse volte, fu, sul modello di Rosenberg (ma in modo ancora più sconcio e squallidamente criminale), un autentico profeta dell’antisemitismo più abietto e viscerale. Trascorse la vita ad odiare gli Ebrei. Odiato, avversato e disprezzato da tutti gli altri suoi sodali gerarchi. Finì impiccato a Norimberga.Alfred Rosenberg, passato alla Storia come l’”ideologo del Nazismo”. Impiegò ogni sua energia, al servizio del Fuhrer, per diffondere e divulgare le sue deliranti e criminogene idee di supremazia razziale e biologica del popolo germanico. La sua azione instancabile ed indefessa fu terrificante e spietata. Fornì al terrifico sistema con la svastica una sorta di micidiale copertura pseudo-ideologica alle sue nefandezze. Fermo nei suoi propositi anche quando salì il patibolo.

    Hans Frank, dall’aspetto torvo e crudele, sempre con un ghigno mefistofelico, dotato di scarso intelletto,fu uno dei criminali nazisti maggiormente efficienti nello sterminio degli
    ebrei e dei nemici del Terzo Reich. Da Governatore Generale della Polonia commise abomini mai perpetrati, con la sua tipica rozzezza e brutalità. Nel territorio a lui sottoposto riuscì a sterminare il 75% degli Ebrei che odiava. Servile con Hitler e feroce despota sanguinario con i sudditi. Fu definito il “boia di Cracovia”. Venne impiccato a Norimberga.

    Antonio Leggiero ha scritto, per Mursia, “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti”. Criminologo, avvocato e docente in Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Pegaso, Leggiero è ricercatore storico e collabora con svariati quotidiani, riviste scientifiche, giuridiche, storiche e culturali in genere.

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    Ascolterete, in questa seconda parte, le storie di Julius Streicher, Alfred Rosenberg e Hans Frank. Julius Streicher, il più ripugnante dei gerarchi alla corte del Fuher. Criminale comune e sessuale.Condannato diverse volte, fu, sul modello di Rosenberg (ma in modo ancora più sconcio e squallidamente criminale), un autentico profeta dell’antisemitismo più abietto e viscerale. Trascorse la vita ad odiare gli Ebrei. Odiato, avversato e disprezzato da tutti gli altri suoi sodali gerarchi. Finì impiccato a Norimberga.Alfred Rosenberg, passato alla Storia come l’”ideologo del Nazismo”. Impiegò ogni sua energia, al servizio del Fuhrer, per diffondere e divulgare le sue deliranti e criminogene idee di supremazia razziale e biologica del popolo germanico. La sua azione instancabile ed indefessa fu terrificante e spietata. Fornì al terrifico sistema con la svastica una sorta di micidiale copertura pseudo-ideologica alle sue nefandezze. Fermo nei suoi propositi anche quando salì il patibolo.

    Hans Frank, dall’aspetto torvo e crudele, sempre con un ghigno mefistofelico, dotato di scarso intelletto,fu uno dei criminali nazisti maggiormente efficienti nello sterminio degli
    ebrei e dei nemici del Terzo Reich. Da Governatore Generale della Polonia commise abomini mai perpetrati, con la sua tipica rozzezza e brutalità. Nel territorio a lui sottoposto riuscì a sterminare il 75% degli Ebrei che odiava. Servile con Hitler e feroce despota sanguinario con i sudditi. Fu definito il “boia di Cracovia”. Venne impiccato a Norimberga.

    Antonio Leggiero ha scritto, per Mursia, “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti”. Criminologo, avvocato e docente in Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Pegaso, Leggiero è ricercatore storico e collabora con svariati quotidiani, riviste scientifiche, giuridiche, storiche e culturali in genere.

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    Ascolterete, in questa seconda parte, le storie di Julius Streicher, Alfred Rosenberg e Hans Frank. Julius Streicher, il più ripugnante dei gerarchi alla corte del Fuher. Criminale comune e sessuale.Condannato diverse volte, fu, sul modello di Rosenberg (ma in modo ancora più sconcio e squallidamente criminale), un autentico profeta dell’antisemitismo più abietto e viscerale. Trascorse la vita ad odiare gli Ebrei. Odiato, avversato e disprezzato da tutti gli altri suoi sodali gerarchi. Finì impiccato a Norimberga.Alfred Rosenberg, passato alla Storia come l’”ideologo del Nazismo”. Impiegò ogni sua energia, al servizio del Fuhrer, per diffondere e divulgare le sue deliranti e criminogene idee di supremazia razziale e biologica del popolo germanico. La sua azione instancabile ed indefessa fu terrificante e spietata. Fornì al terrifico sistema con la svastica una sorta di micidiale copertura pseudo-ideologica alle sue nefandezze. Fermo nei suoi propositi anche quando salì il patibolo.

    Hans Frank, dall’aspetto torvo e crudele, sempre con un ghigno mefistofelico, dotato di scarso intelletto,fu uno dei criminali nazisti maggiormente efficienti nello sterminio degli
    ebrei e dei nemici del Terzo Reich. Da Governatore Generale della Polonia commise abomini mai perpetrati, con la sua tipica rozzezza e brutalità. Nel territorio a lui sottoposto riuscì a sterminare il 75% degli Ebrei che odiava. Servile con Hitler e feroce despota sanguinario con i sudditi. Fu definito il “boia di Cracovia”. Venne impiccato a Norimberga.

    Antonio Leggiero ha scritto, per Mursia, “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti”. Criminologo, avvocato e docente in Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Pegaso, Leggiero è ricercatore storico e collabora con svariati quotidiani, riviste scientifiche, giuridiche, storiche e culturali in genere.

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  • In questo podcast, Antonio Leggiero, formula un identikit personologico e criminologico dei gerarchi di Hitler, tentando di presentare – sulla scorta dei dati conosciuti nonché di ragionamenti induttivi-deduttivi di tipo criminologico e scientifico – una descrizione quanto più esauriente della personalità, della psiche, dei disturbi e delle autentiche patologie di quei sinistri orchestrali del male. Cerca insomma di elaborare un profilo criminologico dei principali gerarchi nazisti.

    Ascolterete, in questa seconda parte, le storie di Hermann Wilhelm Göring e Reinhard Tristan Eugen Heydrich. Göring è il vero numero due del nero regime con la svastica. Eroe della Prima guerra mondiale, criminale della Seconda. Spietato, amorale, cinico, avversamente antisemita, incallito saccheggiatore di ogni territorio occupato. Collezionista di incarichi e di prebende. Condusse una vita da nero e tetro signore rinascimentale. Politicamente e militarmente nella classe dirigente dei gerarchi fu molto modesto, distinguendosi solo per crudeltà. Sua l’idea dei primi campi di concentramento. A Norimberga fu l’unico a combattere, non rinnegando, fino alla fine. Evitò il patibolo, suicidandosi.

    Heydrich per le sue fattezze anatomiche, di chiaro tipo nordico, nonché per le sue caratteristiche di una personalità psicopatica pura era considerato il “nazista perfetto”. Trascorse tutta la sua criminale esistenza al servizio di Hitler e del male. Fu il mostruoso demiurgo che organizzò la “soluzione finale”, vale a dire lo sterminio degli Ebrei e delle altre etnie odiate dal Nazionalsocialismo. Da Governatore della Boemia e della Moravia commise crimini atroci e nefandezze senza pari, con la sua tipica efficienza, fino alla sua morte avvenuta per mano dei partigiani.

    Antonio Leggiero ha scritto, per Mursia, “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti”. Criminologo, avvocato e docente in Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Pegaso, Leggiero è ricercatore storico e collabora con svariati quotidiani, riviste scientifiche, giuridiche, storiche e culturali in genere.

    Riascolta Prima Parte: https://storiainpodcast.focus.it/vi-racconto-i-gerarchi-di-hitler/

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    Ascolterete, in questa seconda parte, le storie di Hermann Wilhelm Göring e Reinhard Tristan Eugen Heydrich. Göring è il vero numero due del nero regime con la svastica. Eroe della Prima guerra mondiale, criminale della Seconda. Spietato, amorale, cinico, avversamente antisemita, incallito saccheggiatore di ogni territorio occupato. Collezionista di incarichi e di prebende. Condusse una vita da nero e tetro signore rinascimentale. Politicamente e militarmente nella classe dirigente dei gerarchi fu molto modesto, distinguendosi solo per crudeltà. Sua l’idea dei primi campi di concentramento. A Norimberga fu l’unico a combattere, non rinnegando, fino alla fine. Evitò il patibolo, suicidandosi.

    Heydrich per le sue fattezze anatomiche, di chiaro tipo nordico, nonché per le sue caratteristiche di una personalità psicopatica pura era considerato il “nazista perfetto”. Trascorse tutta la sua criminale esistenza al servizio di Hitler e del male. Fu il mostruoso demiurgo che organizzò la “soluzione finale”, vale a dire lo sterminio degli Ebrei e delle altre etnie odiate dal Nazionalsocialismo. Da Governatore della Boemia e della Moravia commise crimini atroci e nefandezze senza pari, con la sua tipica efficienza, fino alla sua morte avvenuta per mano dei partigiani.

    Antonio Leggiero ha scritto, per Mursia, “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti”. Criminologo, avvocato e docente in Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Pegaso, Leggiero è ricercatore storico e collabora con svariati quotidiani, riviste scientifiche, giuridiche, storiche e culturali in genere.

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